Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: EffyLou    04/10/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'Angolo autrice ve lo piazzo in alto oggi. 
Voglio precisare che non so se abbiano combattuto davvero all'aperto e sotto la pioggia, io dubito perché non credo che facciano combattere fuori con un tempaccio del genere. Però ho esageratamente romanzato questo aspetto. 
In secondo luogo spero di non deludere le vostre aspettative e di aver scritto, tutto sommato, un capitolo decente. Non è facile per me scrivere di pugilato per la poca familiarità che ho con il contesto, nonostante le ricerche, perché certe cose sono dell'idea che vadano vissute un po' per saperle raccontare. 
Per scrivere questo capitolo, ho ascoltato a repeat una canzone in particolare, ma vi farò comunque una lista anche delle altre che ho ascoltato. Magari vi va di leggerlo con una di queste canzoni nelle orecchie!
1. Sonne - Rammstein [il cui titolo originario era Der Boxer.]
2. 
Hall of Fame - The Script 
3. Unstoppable - Sia
4. Never give up - Sia
5. The Greatest - Sia

Vi lascio al capitolo e IN VIA DEL TUTTO ECCEZIONALE una fotografia scattata durante l'incontro. 
Mi farebbe piacere sentire le vostre opinioni!
A presto! ♥


 
_______________________________________


13. Rücknahme von Rukeli
Gipsy König von Deutschland

 


9 giugno 1933

Berlino. Birreria Bock. Kreuzberg Fidicinstrasse, monte Tempelhof. Ore 21:00.
Era stata una bella giornata. Verso le 19:00 cominciò ad infuriare una tempesta e siccome l’incontro si sarebbe tenuto all’aperto, nel giardino della birreria, vennero “solo” millecinquecento persone.
Era solo nello spogliatoio. Stava finendo di fasciarsi le mani. Non voleva nessuno.
Conosceva il significato della parola propaganda. Avevano preso il pugile zingaro di centocinquantasei libbre, che guarda caso era il più amato e famoso di Germania, e gli avevano messo contro un colosso di pura razza ariana di centosettanta libbre. Adolf Witt.
Il campione scelto dal Reich contro un gitano. La differenza di peso era elevata, la differenza di altezza pure. Nessuno sapeva cosa aspettarsi da questo incontro. Contro Witt aveva vinto, perso e pareggiato.
L’ariano fisicamente superiore al gitano: Gipsy Trollmann annientato, la razza zingara sopraffatta dalla superiorità ariana.
Non l’avrebbe mai permesso. Quella sera avrebbe giocato il tutto per tutto, c’era in palio molto più di un titolo. Avrebbe vinto il riscatto. Non poteva darla vinta agli uomini del Reich.
La folla, là fuori, batteva i piedi e faceva tremare il pavimento. Chiamavano il nome di Gipsy. Lo volevano campione di Germania.
Chiuse gli occhi, rilassò i muscoli. Gli tornò in mente sua madre Friederike.

«Come ti chiami?»
«Johann.»
«No, il tuo nome sinti. Qual è?»
«Rukeli.»
«E cosa significa “rukeli”?»
«Albero.»


Glielo faceva ripetere. Ripeteva “albero” finché non sentiva il coraggio montare, si sentiva invincibile, impiegabile.

«Un albero non cade se ha radici profonde.»

Era diventato il suo mantra.
Non era altro che questo, non era altro che il suo nome.

«Quando tutto ti sembrerà cadere fermati. Ricordati chi sei, riprendi il controllo. Su quel ring combatterai una battaglia tremenda. Porta con te l’orgoglio del tuo popolo intero.»

Riaprì gli occhi, respirò. I pantaloncini bianchi su cui era scritto Gibsy.
Fuori il Reich voleva vedere lo zingaro cadere sul ring, sotto i colpi dell’ariano. Rukeli avrebbe dato loro lo zingaro. Ma l’avrebbero visto danzare.
L’avrebbero visto vincere.
Leyendecker bussò alla porta dello spogliatoio. Gli fece un cenno con la testa.
Johann si alzò in piedi, tirò il cappuccio dell’accappatoio nero fino agli occhi lasciandolo aperto davanti.
Con l’allenatore non avevano più parlato di niente. Lui sembrava essersi passivamente arreso all’ostinatezza di Trollmann.

Non pioveva più. Johann poteva sentire l’odore della pioggia, della terra bagnata. Intorno al ring erano stati messi i gazebi per proteggere il pubblico in caso di pioggia e garantire una buona visuale dell’incontro.
C’erano le camice brune che avevano occupato due interi tendoni. Fotografi e giornalisti sotto un altro tendone. I giudici sotto un altro ancora. Il resto del pubblico era sotto i restanti gazebi.
Flash di macchine fotografiche, scommesse sottobanco, rumore di macchine da scrivere. Lo accompagnavano verso il quadrato.
Il ring era stato asciugato. Era ben illuminato dai lampioni del giardino della birreria, quasi si trovassero dentro, sotto i fari.
Witt era al suo angolo, provava alcuni montanti bassi, i pantaloncini azzurri. Otto Griese, l’arbitro, discuteva delle ultime cose con i giudici.
Rukeli piantò la mano sul palo dell’angolo. Si diede lo slancio con le gambe, piegandole da un lato facendo lavorare i muscoli laterali della schiena e gli addominali, mentre saltava le corde alte un metro e mezzo a piedi pari. La folla in delirio. Lasciò scivolare via l’accappatoio, esibendo la pelle nocciola con una certa sfrontatezza di fronte al desiderio negli occhi delle donne e l’odio negli sguardi delle camice brune.
Salutò il pubblico con le mani e lanciò baci qua e là. Incrociò lo sguardo di Edmund ed Ivan Bilda, fece loro un cenno col capo. Con gli occhi cercò Frieda nel pubblico, ma lei si era materializzata al suo angolo e lo guardava con le braccia incrociate e un sorrisetto da furba.
Aveva fiducia nel suo campione, tuttavia Witt era carico di una sicurezza e spavalderia inusuale, e qualsiasi esito avrebbe avuto quella serata… niente sarebbe stato come prima. Nel bene e nel male.
Si chinò su di lei, sporgendosi dalle corde per darle un bacio.
«Un albero non cade se ha radici profonde.» le disse sottovoce.

«All’angolo destro, in calzoncini azzurri. Il campione di Kiel. Ventuno incontri dal ’32, di cui quattordici vinti. Adooolf Witt!»
Annunciò lo speaker, con un grosso microfono in mano. La folla applaudì, anche Witt era bravo. Le camice brune si alzarono in piedi.
Poi lo speaker si rivolse a Johann, incapace di contenere l’ammirazione.
«All’angolo sinistro, in calzoncini bianchi. Il campione di Hannover. Cinquantadue incontri dal ’29. Il pugile con il più alto record di incontri in un anno, diciannove solo nel ‘32. Johaaann Giiipsy Trollmaaaann!»
Il pubblico esplose. Urla di devozione, dichiarazioni d’amore, incitamenti, applausi scroscianti per il beniamino di Germania. Rukeli si inchinò teatralmente a quell’accoglienza.
Il titolo me lo prendo.
Si voltò verso Leyendecker per farsi aiutare a mettere i guantoni. Zirzow fumava la sua fedele pipa, guardava in cagnesco le camice brune.
«Mettigli una museruola.» ammiccò Johann all’allenatore, facendo un cenno col capo per indicare il manager.
Quello sorrise divertito. Gli mise il paradenti.
Rukeli provò un paio di colpi, le vene delle braccia inspessite ed evidenti sotto la pelle d’ambra.
Sciolse il collo, le spalle. Riconoscere i propri limiti, rispettarli, ma non fermarsi. Andare avanti sempre, senza dimenticare mai la strada percorsa e da dove si è partiti. I sobborghi poveri di Hannover. Le scarpe bucate che si riempivano d’acqua quando saltava nelle pozzanghere dopo la pioggia. I cappotti tre volte la sua taglia. Le lotte con gli animali nelle fattorie. I pugni con Ferdinand nel fango delle strade. Friederike che imprecava e li divideva. Schnipplo che cercava di rifilargli un buffetto sull’orecchio. Johann che rideva e scappava, nessuno che riusciva a prenderlo.
Si voltò verso Witt. Occhi azzurri, pieni d’odio.

L’arbitro chiamò i guantoni. «Boxe!»
Il gong nelle orecchie.

Il gigante ariano tentò di colpire la faccia dello zingaro. I suoi occhi brillavano di disprezzo.
Tirò una serie di colpi diretti al viso di Rukeli. Risposta: lievi rotazioni del busto, lievi spostamenti del capo. Witt caricò un gancio. Trollmann spostò indietro una gamba, bilanciando il peso su entrambi i piedi, piegò indietro il tronco, incredibilmente elastico. Il gancio sinistro andò a vuoto.
In quel momento, mentre il colosso veniva trascinato dal colpo, scoprì tutta la guardia sul corpo. I piedi messi male rischiavano di sbilanciarlo.
Gipsy esplose in una raffica di colpi al plesso solare e al costato nel frammento di tempo in cui Witt era scoperto. Il gigante non vide partire i pugni. Cadde a terra, i colpi l’avevano sbilanciato.

Fine della prima ripresa. Ognuno ai propri angoli.
Leyendecker massaggiò le spalle di Trollmann, Frieda gli tolse il paradenti e lo fece bere.
«È meccanico. – commentò il pugile. – Statico, granitico.»
«Non ti abbiamo ancora visto danzare, Gipsy.» commentò Zirzow.
«Mancano undici round. Vedrai se non mi metto a ballare sotto la pioggia.»
«Fuori i secondi!» l’arbitro chiamò.

Nelle riprese che seguirono, Trollmann teneva Witt sistematicamente lontano impedendogli di entrare puntandolo col sinistro.
Witt che tentava di colpire con diretti pesanti, ma non trovava niente. Le sue gambe veloci lo portavano lontano dalla zona di pericolo. Witt si disperava: colpiva nel vuoto, Trollmann rendeva evidenti i suoi limiti. Non aveva i mezzi pugilistici per fermarlo. Quando cercava di prenderlo doveva pagare un prezzo, molto maggiore rispetto al dono che Johann offriva. Prima che Witt arrivasse a segno, Trollmann lo aveva già colpito. E prima che ci riprovasse, Gipsy non c’era più.
In compenso riconobbe che Witt non si lasciava ingannare dai truccacci che gli rifilava di tanto in tanto. Smise di cercare di fregarlo.
In ogni colpo che l’ariano cercava di sferrargli, vedeva l’odio. Lo zingaro che gli rifilava colpi di disturbo, colpi che pungevano.
Adolf Witt si innervosiva ad ogni schivata e ad ogni fastidio di Trollmann. Finiva col mettere più forza nei suoi pugni, spingendosi ai limiti, perché sia mai che lo colpiva, almeno lo prendeva per bene e mandava al tappeto quello zingaro ballerino.
Ad ogni diretto furioso che l’ariano gli lanciava, Johann vedeva la frustrazione nel suo sguardo, i rivoli di sudore scendere lungo il viso, percepiva il fiato corto. Si stava stancando. Witt, il toro scatenato; Trollmann, il torero che sventolava il drappo cremisi.
Witt combatteva onestamente, si impegnava per il bene del Reich e della razza, ma non aveva possibilità. Questo risultò chiaro a tutto il pubblico fin dai primi minuti. Trollmann era più veloce, sempre un passo avanti a lui: portare il colpo, andare a segno, poi sparire. Witt non riusciva a rispondere a questo, ci provava ma senza successo.
Tra le camice brune c’era agitazione. Uno di loro, aveva scambiato qualche parola con l’arbitro e i giudici. Si era piazzato davanti alle corde. I suoi occhi facevano pressione su Rukeli.
Cominciava a pioviccicare.

Trollmann al suo angolo. Il corpo coperto da un sottile strato di sudore e ora umido dalla pioggia. Piccole gocce d’acqua incastrate tra i ricci neri.
«Chi è quello?» indicò col mento l’SA a bordo ring.
Le gambe divaricate, seduto sullo sgabello, le braccia distese sulle corde, il mento incassato. Gli occhi del lupo che guardavano l’omino con la camicia marrone all’angolo di Witt. Confabulava con il suo allenatore e con l’arbitro.
«Nessuno.» rispose Zirzow, sbrigativo.
Johann alzò lo sguardo sul manager, senza scomporsi. «Chi è?»
«George Radamm. Presidente della Federazione dei Pugili Tedeschi.»
«È venuto per guardarmi mentre butto giù il suo campione e vinco il titolo? Gentile da parte sua.»
L’allenatore gli mollò un buffetto dietro la testa. «Falla finita, maledetto sbruffone.»
L’arbitro richiamò i pugili. Suonò il gong. Decimo round.
Leyendecker teneva gli occhi fissi su Witt. «Incassa il mento. Sta mirando al K.O.»
Johann masticò il paradenti.
«Anche io.»

La pioggia si fece più fitta all’undicesimo round. Witt barcollava, ma alla fine aveva colpito Trollmann al lato del viso. Ora lo zingaro aveva un bel livido al lato della faccia, tra la tempia e lo zigomo. Ma Witt era ridotto peggio. Sanguinava dal sopracciglio, aveva un occhio nero, le labbra gonfie, una sacca di sangue sotto l’altro occhio, il naso rotto. La storia di Davide e Golia che si ripeteva su un ring. 
Leyendecker, Zirzow e Frieda si erano bagnati come pulcini. I pugili sul quadrato avevano i corpi scintillanti, le donne nel pubblico apprezzarono di più quello spettacolo ora che quegli Adoni di marmo erano bagnati addosso.
I ricci di Rukeli gli si erano attaccati alla cute, un ricciolo ribelle scendeva tra gli occhi. L’acqua gli scendeva sul viso, gocciolando dal naso e dal mento, scivolando sul corpo e intrappolandosi nei pantaloncini attaccati alla pelle delle cosce.
La cintura del campione, sul tavolo dei giudici, era stata portata via. Radamm aveva già capito chi avrebbe vinto, la superiorità di Trollmann era evidente. Doveva comunque tentare di non farlo vincere.
Era indiavolato: non con l’avversario, ma con il Reich. Witt era suo avversario ma il Reich il suo nemico, mai dimenticarsi la distinzione tra queste due parole apparentemente simili. C’era un baratro di differenza tra nemico ed avversario, e Johann non colpiva questi ultimi come se fossero nemici. Non li colpiva come gli altri facevano con lui.
Era un uomo paziente, con pazienza stava portando avanti da undici round la sua opera di smantellamento del colosso. Non aveva alcuna intenzione di perdere e dargliela vinta alle SS. Questa era la sua occasione per riscattarsi come zingaro, come pugile “ballerino”, e restituire un po’ di dignità al suo popolo.

Trollmann al suo angolo, prima del dodicesimo round.
«Come va col fiato, ragazzo?» chiese Leyendecker, allargandogli le narici per far passare più aria.
«Non sono più il ghepardo di una volta.» ghignò.
«Avessi io venticinque anni, il tuo fisico e il tuo talento, farei tremare il mondo.» borbottò Zirzow.
«Sì, e magari di nome faresti Johann Trollmann?» lo canzonò Leyendecker, mentre asciugava il viso di Johann con un asciugamano.
Rukeli sorrise, guardò Frieda. Era zuppa dalla testa ai piedi. Il trucco delle ciglia si era sciolto, lei l’aveva pulito via. I suoi occhi indugiarono sulla camicia fradicia che le si era attaccata alla pelle, lasciando poco spazio all’immaginazione. Di nuovo, il knock-out di Trollmann.
«Ora puoi assestargli il colpo della buonanotte, se vuoi.» gli fece Leyendecker, riportandolo alla realtà.
«Gliene avrò assestati un migliaio, quello non cade. È una torre.» sputò nel secchio.
«Fuori i secondi!» urlò l’arbitro Griese.
«E date una coperta, un ombrello, o qualcosa, alla mia ragazza. Se si ammala me la prendo con voi.»
«Non ha voluto niente, quella è più testarda di te.» replicò Zirzow, strizzando via l’acqua dai bordi della giacca.
Leyendecker lo lanciò sul ring prima che potesse replicare. «L’ultimo sforzo. Sei stato incredibile, finisci il round e prenditi questo maledetto titolo. E attento a non scivolare.»

Dodicesima ripresa. L’ultima fatica di Ercole.
La pioggia era fitta ora, ma almeno non pioveva a vento. Quelli sotto al gazebo stavano all’asciutto.
I pugili sul ring avevano le ciglia zuppe, non inquadravano l’obbiettivo. Witt, col volto gonfio, tentò qualche colpo. L’ostinatezza di chi sa che non può perdere, per il bene della razza. Per il bene del Reich.
Johann schivò spostando il tronco, elastico. Sgrullò la testa, allontanando il ricciolo ribelle tra gli occhi. Ora inquadrava Witt. Sembrava un cieco, il sangue rappreso sulle ciglia e l’acqua lì incastrata non gli facevano vedere bene la situazione. Solo movimenti.
Ma l’incontro era quasi finito, mancavano una manciata di secondi. Gipsy lo colpì con una grandinata di colpi.
Zingaro campagnolo.
Miserabile figlio di circensi e giostrai, di musicanti e nomadi.
Pugile ballerino.
Sporco zingaro.
Ladro e mendicante.
Fenomeno da baraccone.
Scimmia.
Ballerina.

Un colpo per ogni insulto che aveva incassato nel corso della sua vita solo per le sue origini.
Non aveva mai dovuto dimostrare niente a nessuno, ma quelle parole si attaccavano ai vestiti come polvere e il pensiero di uno diventava quello di molti. Gente che l’aveva giudicato ancora prima di cercare di conoscerlo. Gente che non guardava oltre il colore della pelle e dei lineamenti, non riuscivano a tagliare i confini della somiglianza. Gente che lo aveva giudicato solo a causa della sgradevole etichetta che si era ritrovato attaccato. Non aveva scelto lui di essere zingaro, non era colpa di nessuno. Lui aveva scelto di non essere come quelli che rubavano, aveva scelto di diventare pugile e uscire allo scoperto dalle ombre dei sobborghi.
Alla fine Johann glielo assestò il colpo della buonanotte. Il montante sinistro, micidiale, lo mandò addosso alle corde, il gigante rimbalzò e cadde carponi.
Il round era finito. I due pugili ai rispettivi angoli.

«Bravo, hai vinto.» gli sorrise Leyendecker. Zuppo pure lui. I capelli grigi attaccati alla testa.
Zirzow era una statua di sale. La cintura non c’era. I giudici, l’arbitro e quello delle camicie brune si confrontavano.
Di solito in caso di vittoria schiacciante il verdetto non si faceva attendere. Eppure…
Richiamarono gli atleti sul ring.
Otto Griese al centro. «L’incontro è stato giudicato come no contest, il titolo non è assegnabile.»
Il silenzio totale, interrotto solo dal ticchettare della pioggia incessante sui teli dei gazebi.
L’occasione della vita, il titolo, il riscatto. Johann li vide scivolare via.
No contest.
L’incontro non era valido, come se non fosse stato disputato. Non contava niente. Non sarebbe apparso nei record.
Il tempo sembrò fermarsi. Il mondo attorno a lui farsi offuscato.
Conosceva la follia nazista, solo che non si aspettava che avrebbero negato l’evidenza di fronte a tutta quella gente.
No contest.
Trollmann con la bocca spalancata dallo stupore, Zirzow e Leyendecker paralizzati, Witt sorpreso da quel verdetto chiaramente disonesto, Frieda ammutolita.
I pugili vennero mandati nei rispettivi spogliatoi.
Zirzow faceva avanti e indietro per il ring, imprecava, urlava e minacciava, totalmente fuori di sé. Poi si fece mostrare i cartellini dei giudici, e tutti segnavano Trollmann come vincitore.

Johann Trollmann, venticinque anni, pugile professionista, candidato al titolo nazionale per i pesi mediomassimi. Zingaro.
Era nello spogliatoio, la faccia tra le mani e una coperta sulle spalle. I ricci che gocciavano acqua sul pavimento. Era solo. Piangeva sommessamente, le labbra umide erano ammorbidite dalle lacrime.
Era la sua grande opportunità, il suo schiacciante riscatto. Aveva vinto e non volevano assegnargli il titolo. Si accorse che quella gente non si fermava davanti a nulla: regole, lealtà, giustizia, tutto calpestato. Non poteva diventare campione tedesco, pur avendo la stoffa per diventare campione d’Europa come dimostrò contro Roth.
Alla porta bussò Frieda, timidamente. «Ehi.» sussurrò.
Rukeli alzò gli occhi su di lei. Grondava d’acqua, era appena entrata all’asciutto. I capelli fradici, la camicia bagnata che si attaccava alla pelle.
Si passò la mano sul viso, asciugandosi distrattamente le lacrime. «Vieni qui, per favore.»
Si avvicinò titubante. L’avvolse nella sua coperta. Non era bagnata, si era asciugato prima di coprirsi. Si appostò dietro di lei. Prese un asciugamano dal suo borsone sportivo, lo avvolse intorno ai suoi capelli biondi e li tamponò.
«Non ti hanno dato nemmeno un ombrello, mi fanno incazzare come una iena. Così ti ammalerai.» sussurrò, strofinando delicatamente quella chioma d’oro nell’asciugamano. La voce impastata dal pianto.
«Johann, andiamo fuori.» mormorò.
«E perché dovrei? L’incontro non è valido. Ho vinto e non mi assegnano il titolo. Sai perché? Sai che effetto farebbe se uno zingaro vincesse il titolo di campione di Germania nel pugilato, sport amato dal cancelliere?»
Frieda non riuscì a dire nulla, sentendo che la voce di Johann veniva nuovamente spezzata da un singhiozzo. Lui si andò a sedere di nuovo sulle panche, il viso tra le mani e le spalle scosse dal pianto.
Non l’aveva mai visto così. Il cuore le si strinse in una morsa di dolore. Lui che era sempre così ottimista e giocherellone, stava piangendo come un bambino e nonostante cercasse di mantenere una certa dignità, non riusciva a trattenersi.
Una lacrima rigò il viso di Frieda, consapevole di quanto importante fosse per lui quel titolo e quella vittoria. Si avvicinò piano, gli passò le mani tra i capelli e lo strinse a sé. Johann affondò il viso nel petto della ragazza, e si lasciò andare alle sue lacrime senza più curarsi della dignità che tentava di esibire di fronte a lei. Doveva spurgare tutto la tensione del momento, tutte le cattiverie gratuite che aveva subìto nel corso degli anni solo per la sua etnia.
«Io sono orgogliosa di te e di tutto quello che hai fatto.»

Dopo interminabili momenti, Zirzow entrò furioso dentro lo spogliatoio. Fece allontanare Frieda con un’occhiata truce. Afferrò il pugile e fece uscire un Trollmann disperato, sotto la pioggia, e lo costrinse a salire di nuovo sul ring.
Il manager aveva distribuito alla folla i cartellini dei giudici, che davano lo zingaro come vincitore.
Il gerarca e presidente della Federazione Pugili Tedeschi, Georg Radamm, era rosso di rabbia. Era lui che aveva fatto portare via la cintura, lui aveva deciso il no contest.

La folla era in rivolta: erano volate lattine, scatole di mentine per l’alito, persino una scarpa. Ma non tra di loro. Erano furiosi con i giudici e le camice brune, tutti gli oggetti che erano volati erano finiti su di loro.
Johann lasciò il suo corpo fluttuare nelle onde di quel momento. Il tempo dilatato. Vedeva i volti, uno ad uno. Uomini furiosi che inveivano contro i truffatori, donne che si accanivano.
Era per lui tutta quella solidarietà. Il pubblico, il suo pubblico, amava la boxe a prescindere dalle origini di chi saliva sul ring. Amavano lui, amavano lo zingaro. E non sopportavano le ingiustizie o gli incontri truccati.
Qualcuno salì sul ring. Gente che lo abbracciava, che lo baciava, qualcuno gli alzò le braccia al cielo in segno di vittoria.
La commissione sportiva si riunì e in fretta discussero di ciò che era meglio fare. Alla fine, George Radamm e i suoi si avviarono verso l’uscita, per evitare il linciaggio.
Il presidente della federazione incrociò gli occhi di Rukeli per un momento, prima di dileguarsi.

Griese salì sul quadrato scivoloso. Witt aveva messo l’accappatoio e il cappuccio sulla testa, il viso gonfio, irriconoscibile. Trollmann a petto nudo, i calzoncini bianchi attaccati alle cosce, i capelli ricci attaccati alla cute, il ricciolo ribelle tra gli occhi. La pelle nocciola lucida sotto i lampioni, bagnata dalla pioggia. Gocce d’acqua che scendevano dal naso, dal mento.
«I giudici hanno sbagliato il verdetto finale. – annunciò Griese. – C’è stata un’incomprensione.»
Il pubblico, che si era quietato, ruggì di nuovo. A bassa voce, battendo i piedi, era cominciato il coro.
Ru-ke-li.
Ru-ke-li.
Ru-ke-li.

«E vince il titolo di campione nazionale dei pesi mediomassimi… - marcò ogni parola, enfatizzandola al massimo. – JOHAAAAANN… RUKELIII… TROLLMANN!»
Gli sollevò il braccio in aria.
La folla esplose. Si riversò sul quadrato, sollevarono Johann tenendoselo in spalla e portandolo come se fosse su una portantina. Il pugile teneva le braccia in aria, il volto verso il cielo. Lacrime di gioia gli rigarono le guance, stavolta, e non sapeva se essere commosso per la vittoria o per la solidarietà e affetto dimostratogli. Lacrime calde come sangue, sofferte, agognate. Persino con la pioggia si poteva capire che il campione stava piangendo. Le donne gli lanciavano baci, qualcuna lo accarezzava mentre passava, gli uomini gli davano pacche sulle spalle e gli urlavano complimenti.
Gli avevano lanciato una ghirlanda di fiori al collo, e altrettanti petali e fiori bagnati di pioggia venivano lanciati sul pugile per festeggiarlo alla grande. Gli avevano dato la cintura, il suo nome inciso sopra.
Aveva avuto il suo riscatto, come gitano e come pugile “ballerino”. Aveva dimostrato una volta per tutte di valere qualcosa, di essere al pari dei pugili ariani. Era uscito dall’ombra dei sobborghi poveri e li aveva affrontati tutti guardandoli negli occhi, senza paura, da uomo. Aveva vinto.
Johann Trollmann era immortale, in quel momento più che mai.
Lo zingaro aveva vinto sul ring degli ariani.

 


Otto Griese conta il knock-out. Johann Trollmann è in piedi, Adolf Witt a terra.
9 giugno 1933, Birreria Bock, Berlino. Incontro per il titolo nazionale, categoria mediomassimi.

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: EffyLou