Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: whitecoffee    08/10/2017    1 recensioni
❝«Ho sempre pensato che il cuore dell’uomo sia diviso in due metà esatte. Una felice, e l’altra triste. Come se fossero due porte, vicine. Le persone possono entrare e uscire da entrambe, non c’è un ordine prestabilito. Ovviamente, molto dipende dal carattere degli individui e dalle relazioni che vengono instaurate. Mi segui?» Domandò, e lei annuì. «Per TaeHyung, uno di questi usci è sprangato. Non si apre più. Costringendo chiunque a passare solo dalla parte riservata al dolore, non importa il tipo di rapporto che intercorra fra lui e gli altri. Perfino io, sono entrato da quell’unica porta. E mi sono rifiutato di uscirne, sebbene lui avesse più volte provato a sbattermi fuori»❞.
❝Tu devi sopravvivere❞.
- Dove TaeHyung impara che, rischiando, spesso si guadagni più di quanto si possa perdere.
assassin!TaeHyung | artist!JungKook | hitman/mafia!AU | boyxgirl
-
» Storia precedentemente pubblicata sul mio account Wattpad, "taewkward".
» Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=92wl42QGOBA&t=1s
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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XVIII.
skit: Kromer


The other realm, however, overlapping half our house, was completely different. A lout mixture of horrendous, intriguing, frightful, mysterious things, including slaughterhouses and prisons, drunkards and screeching fishwives, calving cows, horses sinking to their death, tales of robberies, murders and suicides.




 


It’s not like I believe it, I’m just bearing it. Because this is all I can do. I want to stay. I want to dream more. But it’s time to leave. Yeah, it’s my truth. I will be full of scars. But it’s my fate. Still, I want to struggle. Maybe I can never fly. Just like those flowers, just as if I had wings. Maybe I never will. Maybe I can’t touch the sky. But I still want to outstretch my hand, I want to run just a little more.



 
 
 

너는 너의 눈에서 나를 더 이상 볼 수 없니?

Can’t you see me in your eyes anymore? (Love’s Not Over)
 
 

«Fireball».
«Deadshot».
I due giovani si fronteggiarono in silenzio, alla luce azzurrata del lampione, nel vicolo deserto e malandato. A TaeHyung non capitava spesso di vedere il volto del suo responsabile, di colui che l’avesse raccattato in un anfratto di Daegu, una fredda sera di novembre.
All’epoca, egli aveva ancora i capelli lunghi che gli ricadevano sugli occhi, schermandoli quasi completamente dal mondo. Passeggiando per le stradine deserte, era riuscito a scovare una pistola abbandonata in terra, ancora carica. Così, aveva schierato tre bottiglie sulla stessa invisibile linea, issandole su delle casse di legno. Dopodiché, si era allontanato più che potesse da loro e, per divertimento, aveva chiuso un occhio, mirando ai contenitori di vetro. Li aveva distrutti con un unico colpo secco e pulito, uno dopo l’altro, praticando quattro fori perfettamente allineati nella parete retrostante. Poi, aveva lasciato cadere la pistola a terra, sinceramente colpito dalle sue stesse capacità. Era stato in quel momento che Min YoonGi era uscito allo scoperto, battendogli le mani con un sorriso divertito e proponendogli di debuttare come suo protégé. Gli aveva dipinto un futuro senz’altro più proficuo e promettente, di quello che si sarebbe procurato da solo, a brancolare per i vicoletti di Daegu.
TaeHyung aveva sedici anni appena compiuti ed era rimasto solo al mondo. Lontano dai suoi amici e costretto a vivere nel suo paese natale, giaceva relegato in una casa famiglia che non prestava attenzione alla sua presenza. Entrare nella Lega gli avrebbe permesso di non tornare più in quell’angusto palazzo, aveva pensato. A quanto sembrava, recidere i legami con quella che fosse la sua vita attuale, costituiva la sua unica aspirazione, dopo che i suoi compagni di scorribande fossero stati così bruscamente allontanati da lui. Così, i suoi piedi si erano mossi, seguendo quelli del giovane di fronte a sé. Egli compì dunque il primo passo verso una schiavitù che sarebbe durata cinque lunghi anni, che lo avrebbe reso la perfetta macchina assassina che tutti invidiavano a quell’organizzazione. Un salto nel vuoto dall’atterraggio non facile, che gli aveva lasciato parecchie sbucciature sui palmi delle mani ed altrettante cicatrici sul cuore. Una lezione mal riuscita di una scuola piuttosto spericolata di parkour estremo.
«Sei cresciuto, dall’ultima volta».
Il ragazzo non rispose, trincerandosi dietro la maschera di gelida indifferenza di cui si era servito per buona parte della sua vita. Min YoonGi era più grande di lui di tre o quattro anni. Era stato suo mentore e maestro, per tutto il tempo in cui avesse vissuto nei quartieri generali della Lega. Pelle candida come la luna, sottili occhi dal taglio felino, scuri e profondi come la notte. I suoi capelli erano tinti di biondo platino, gli ricadevano disordinatamente sulla fronte. Aveva una corporatura esile ed era abbigliato di nero da capo a piedi. Il suo soprannome derivava dalla dote innata che egli sembrava possedere per la piromania: le vittime da lui bruciate non sarebbero state mai più riconoscibili, nemmeno se passate sotto l’occhio attento dei medici legali più qualificati di CIA e KGB. Era un vero maestro, una palla di fuoco inarrestabile, introvabile come il vento e preciso come le lancette del Big Ben inglese. Min YoonGi era una figura temibile, all’interno della Lega, che non avrebbe potuto generare altro che un mostro altrettanto perfetto. L’automa mortale, con un’unica pecca: un cuore non del tutto inutilizzabile. Il suo unico errore.
«Sicuro di non volerci ripensare?» Gli chiese, ma il tonfo del pesante borsone che TaeHyung gli scaraventò ai piedi fu una risposta più che sufficiente. Il biondo sollevò un angolo delle labbra verso l’alto, annuendo in silenzio.
«Armi, auricolari, computer e cellulari sono tutti lì dentro. Non ho più nulla, con me. Ti ho reso anche la divisa» scandì il giovane, freddo come il ghiaccio. YoonGi si chinò, issandosi la sacca sulla spalla.
«Niente da eccepire» commentò, stringendosi nelle spalle. «Ora puoi dirmelo, però» gl’intimò. «Qual è il vero motivo?»
TaeHyung rimase in silenzio per qualche attimo. Dunque, aprì con mano ferma i bottoni del suo cappotto, per poi infilare le dita sotto il tessuto del maglioncino, tirando su. Scoprì la sua ultima ferita al fianco, ancora non perfettamente cicatrizzata, la quale si stagliava rosea sulla sua pelle ambrata. Era piuttosto vicina ad una serie di organi vitali. Un millimetro più in profondità, e sarebbe morto.
«Mi sono distratto» disse. Ed era vero. Era stato troppo occupato a cercare di portare a termine l’incarico quanto prima possibile per tornare a casa da Cyane e JungKook, che non aveva prestato sufficiente attenzione al sistema di difesa del boss del Lupo, rischiando di vedersela molto brutta.
«Capita a tutti» commentò YoonGi, sprofondando le mani nelle tasche. Ma TaeHyung scosse la testa.
«Non a me. E lo sai benissimo» ribatté, lasciando il tessuto del maglioncino, che scivolò silenziosamente sulla sua pelle, richiudendosi il cappotto. «Non potevo rischiare di gettare disonore sul nome della Lega, a causa di un mio fallimento. Ho preferito ritirarmi» ammise, pregando con tutto se stesso che suonasse abbastanza marziale e convincente, alle orecchie del biondo. Il quale annuì, in silenzio.
Il codice d’onore della Lega degli Assassini era molto rigido. Non era permesso commettere errori, ai suoi adepti. Ogni incarico doveva essere portato a termine in maniera pulita ed ineccepibile. Non potevano permettersi ritorsioni di alcun genere, venivano addestrati ad essere perfetti proprio per quel motivo. Un elemento che avesse messo l’organizzazione in cattiva luce con la propria condotta, sarebbe stato senz’altro eliminato immediatamente. Anche se molti, non giudicando di poter sopportare l’onta, procedevano a togliersi la vita da soli, prim’ancora che un sicario potesse piantar loro una pallottola nel cuore, proprio come i vecchi samurai del periodo edo giapponese. La cultura orientale era molto cara agli adepti della lega, soprattutto per quel che riguardasse l’arte della via della spada, e il Bushido.
YoonGi accettò le motivazioni di TaeHyung. L’aveva cresciuto sapendo fin dall’inizio che, prima o poi, da quell’unica crepa nel muro sarebbe sgorgato sangue a sufficienza da farlo crollare. Usava solamente chiedersi quando.
«Allora va’» gli disse, soltanto. «Sei libero» aggiunse. «Pur sapendo che la Lega ha gli occhi bene aperti su di te ed ascolta ogni parola che esce dalle tue labbra. Sta’ quindi attento a ciò che dici. E a chi lo dici» precisò. Lo vide annuire, incrociando le braccia al petto, non accennando a muoversi. Il biondo sorrise. In fin dei conti, l’aveva addestrato proprio bene: mai dare le spalle, anche in presenza di un alleato.
«Addio» scandì, e si volse, procedendo a passo misurato verso lo sbocco del vicolo, mostrandogli piena fiducia. Solo quando sparì dalla visuale di TaeHyung, il giovane ricominciò a respirare, avvertendo un insolito tremore attanagliargli le dita, mentre il rilascio d’adrenalina cominciava a renderlo ancor più cosciente dei rischi che avesse appena affrontato. Si volse verso l’uscita opposta del vicolo. E allora, cominciò a correre. A perdifiato, verso mete sconosciute. Non gl’importava dove sarebbe finito, avrebbe comunque ritrovato la strada di casa. In quel momento, voleva solo inseguire il vento.
Calde lacrime scivolarono giù dalle sue guance, spargendosi nella fredda aria notturna del Marzo a Seoul. Le aree pedonali risuonarono del rumore delle sue scarpe che calpestavano il pietrisco, mentre i pochi passanti che percorrevano quelle strade, lo guardavano. Chiedendosi perché un ragazzino, stretto in un lungo cappotto grigio, stesse correndo alle quattro del mattino, con le lacrime agli occhi. Non potevano sapere che quel giovane avesse appena guadagnato l’unica cosa che non era mai stata sua, da quando i suoi occhi si fossero aperti sul mondo: la propria vita.


 




   
 
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