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Autore: heliodor    09/10/2017    4 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Solo un libro

Prima di uscire divenne Sibyl e indossò il mantello nero col cappuccio. Era diventato il simbolo stesso del suo ristretto circolo.
Ormai conosceva bene la strada per l'ala orientale. Sapeva quali corridoi usare senza essere notata dalle guardie che pattugliavano il castello giorno e notte.
Non era cambiato molto dall'ultima volta che era uscita di notte per avventurarsi nelle sale silenziose del castello.
Passò per i magazzini evitando un posto di guardia e si ritrovò nell'ala riservata agli inservienti che lavoravano al castello.
Conosceva bene la strada e trovò subito quello che stava cercando.
Con sua viva sorpresa la porta era socchiusa. Una lama di luce tagliava in due il pavimento. Dall'interno giungevano delle voci ovattate. Accostandosi all'uscio non riuscì a capire che cosa stessero dicendo.
Aveva visite?
Da parte di chi?
Per un attimo fu tentata di andarsene e tornare più tardi.
O mai più, pensò.
No, si disse. Sei venuta qui per un buon motivo e ci resti.
Doveva scegliere. E per scegliere doveva sapere se poteva fidarsi.
Con Vyncent non poteva essere sia Joyce che Sibyl, ma con Oren poteva. Lui non era uno stregone, non era così terrorizzato dall'idea che potesse essere una maga.
Se gli diceva la verità e l'accettava per ciò che era...
Poteva correre quel rischio? Se lui non avesse capito, se l'avesse odiata per ciò che era diventata...
Scosse la testa. No, loro due ne avevano passate tante insieme. Poteva farcela.
La porta si aprì.
Joyce fece appena in tempo a rendersi invisibile. Una figura maschile restò come in attesa sulla soglia.
Nella luce tenue che proveniva dall'interno della stanza la riconobbe. Era uno dei valletti del palazzo.
"Grazie per avermi riportato le mie cose" stava dicendo Oren.
"È stata pura fortuna. Il vostro cavallo non è scappato via insieme agli altri e siamo riusciti a recuperare tutto quello che trasportava."
Il valletto si congedò con un inchinò e andò via.
Oren si voltò per rientrare. Nello stesso momento, Joyce entrò nella stanza mentre era ancora invisibile e lo spinse in avanti.
Lui gridò e si voltò di scatto.
Joyce uscì dall'invisibilità.
"Sibyl" esclamò Oren sorpreso. "Mi farai prendere un colpo un giorno di questi."
Joyce chiuse la porta con un calcio. "Ti disturbo? Stavi riposando?"
"Stavo per andare a letto. Mi spieghi l'altra sera cosa ti è preso? Sei andata via così di fretta..."
"Mi dispiace, avevo degli impegni."
Oren annuì. "Ma ora sei qui."
"Ero venuta per dirti una cosa."
"Allora dilla" disse Oren. "Ti ascolto."
"È una cosa che riguarda me" disse cercando le parole giuste. "E un'altra persona che conosci."
"Chi?"
Joyce sospirò. "La principessa Joyce."
"La principessa è in pericolo?" chiese Oren allarmato.
Ora ti preoccupi per lei?, pensò Joyce. "No, no, sta bene." Forse poteva cambiare tattica. "Anzi, sembra che tra poco si sposi. Che pensi?" Se non ti smuove questo...
Oren non parve sorpreso. "È solo un altro matrimonio. È almeno la terza volta che le capita."
"Che?"
Oren scrollò le spalle. "L'ultima volta era quello stregone, Persym, che la voleva dare in moglie a uno dei suoi alleati. Prima ancora c'era quel principe di Taloras. Sembrava così convinta, ma poi ha deciso di andarsene via, anche dopo aver dato la sua parola."
"Sì ma..."
"Mi sembra un po' frivola."
"Frivola?"
"Sì, insomma, chi accetta una proposta di matrimonio così in fretta e poi ci ripensa altrettanto velocemente?"
"Frivola" ripeté Joyce incredula.
"E invece la cosa che riguarda te?"
Joyce lo afferrò per il bavero. "Ti farò una domanda e devi essere sincero. Tu non provi proprio niente per la principessa Joyce? Dimmi la verità."
"Mi soffochi" protestò Oren.
"Dilla."
"No" disse Oren. "Non provo niente."
Joyce lo lasciò andare.
"Ammetto che è meno peggio di quanto pensassi all'inizio" disse Oren sistemandosi il bavero. "Ho anche accettato di leggere quei libri per farla contenta. Mi sono piaciuti, è vero, ma è tutto qui."
"Quindi non provi niente per lei."
Oren si strinse nelle spalle. "Ma certo" esclamò. "Ora tutto mi è chiaro. Credo di aver capito."
"Cosa?"
"Come ho fatto a non arrivarci prima? Era così ovvio. Devo essere proprio uno stupido..."
"Hai capito che...?" Joyce non osava sperarci. Quello avrebbe reso le cose più semplici.
Oren annuì. "Tu sei gelosa" disse con un mezzo sorriso. "Tu sei gelosa della principessa Joyce."
"Io?" Era così incredibile che non aveva la forza di ribattere.
"Ma non hai niente da temere" proseguì lui. "Io non provo assolutamente niente per lei."
"Assolutamente."
"Niente" ribadì lui.
Stupido, testone, idiota, pensò Joyce. Questa non è la soluzione, ma il problema. Se le cose stavano così non c'era speranza.
Mettici una pietra sopra, si disse. Non poteva essere Joyce e Sibyl allo stesso tempo. Nessuno dei due l'avrebbe accettato. Ma poteva continuare ad essere la vecchia Joyce. Per questo doveva eliminare Sibyl una volta per tutte.
Almeno adesso sapeva cosa fare e come farla. "Oren" disse seria. "Sono venuta per dirti addio. Torno a casa, nel vecchio continente."
Oren annuì. "Lo sapevo che sarebbe successo prima o poi. Ora che la guerra è finita torni al tuo circolo, vero?"
"In un certo senso..."
"Perché non resti qui?"
"Vorrei ma..."
"Potresti chiedere ospitalità al circolo di Valonde" suggerì Oren. "Non ho idea di come funzioni la cosa, ma Vyncent sembra averti preso in simpatia. Lui metterebbe una buona parola per te, ne sono sicuro."
Certo, pensò. Tutti amano la bella e spregiudicata Sibyl, mentre la piccola Joyce è solo debole, patetica e... frivola.
Sentì la rabbia montarle dentro. Insieme alla tristezza e alla rassegnazione.
Joyce scosse la testa. "Devo proprio andare, mi spiace."
"Pensavo che noi..."
"Oren, non esiste alcun noi. Non è mai esistito e non esisterà mai." Ed è tutto per colpa tua, aggiunse.
"È vero, scusa. Quindi andrai via subito?"
"Stanotte stessa. Lascio Valonde per sempre."
Oren sospirò. "Se ti capita di passare da queste parti..."
Potrebbe succedere, pensò.
"... vieni a salutarmi."
"Lo farò" disse Joyce.
Oren aprì le braccia.
Joyce lo guardò con diffidenza. "Vuoi che ci abbracciamo?"
"Dalle mie parti si usa così."
"Non tenterai di baciarmi di nuovo, vero?" Perché se lo fai non so se...
"Quella volta è stato un errore che non capiterà mai più, promesso."
Si strinsero in un abbraccio. Joyce appoggiò la testa sulla sua spalla e si lasciò cullare dalla stretta di lui, decisa e delicata al tempo stesso. Come quella volta nel vicolo, quando lo aveva stretto a sé per salvargli la vita. O quella volta a Vanoria, quando l'aveva presa in braccio e portata via dal pericolo.
Smettila adesso, si disse.
Sciolse l'abbraccio e disse: "Ora devo proprio andare."
Oren si limitò a fissarla mentre usciva dalla stanza. Appena fuori divenne invisibile e si allontanò di corsa.
Aveva le lacrime agli occhi mentre rientrava nella sua stanza.
 
Il processo a Deliza si tenne due giorni dopo. Tutto si svolse al tempio e Joyce seppe del verdetto solo a cose concluse. Suo padre partecipò come giudice. Oltre a lui c'erano altri due membri del consiglio del circolo. A loro spettava dare il verdetto.
Joyce pregò suo padre di portarla al processo, ma lui rifiutò. "I membri estranei al circolo non sono ammessi."
"Ma Oren?" Lui era stato convocato.
"È un testimone e deve essere ascoltato."
Anche Vyncent era un testimone.
Avrebbe dovuto esserci anche Sibyl, lei avrebbe potuto dire qualcosa a favore di Deliza, ma era impossibile che la convocassero.
Vyncent le aveva detto che il consiglio a stento credeva a quella storia. Gli davano credito solo perché lui era uno stregone famoso e nessuno osava mettere in dubbio la sua parola.
"Che cosa dirai?" chiese Joyce.
"La verità" rispose lui. "Tutti noi la diremo."
In seguito seppe come si era svolto il processo per sommi capi. Il consiglio aveva chiamato a testimoniare prima Vyncent e poi Oren. I due avevano difeso Deliza accusando Mirka e la sua banda di aver cercato di attaccare la città risvegliando un mostro.
I giudici quindi interrogarono una dozzina di membri del circolo, tra i quali Bryce ed Elvana. Entrambe confermarono che Deliza era una strega affidabile e rispettosa delle regole.
Non bastò.
Per i giudici il fatto che avesse rianimato una creatura estinta era già un motivo più che sufficiente per una condanna.
A nulla valsero le parole dei testimoni e il fatto che avesse usato i suoi poteri per salvare Oren.
Quando Vyncent e Oren tornarono quella sera erano entrambi scuri in volto. "I giudici hanno votato per l'esilio" disse lo stregone senza tanti giri di parole.
"Non è giusto" disse Joyce.
"Almeno abbiamo evitato Krikor, che era la cosa peggiore."
"E adesso?"
"Domani stesso Deliza verrà imbarcata su una nave e farà ritorno al vecchio continente. Da lì potrà scegliere dove andare, ma se tornerà a Valonde o in uno dei regni dell'alleanza, verrà catturata e uccisa. La sentenza è inappellabile."
Joyce non riusciva a credere a quelle parole. Quella sera stessa ne parlò con suo padre a cena.
"Joyce" disse il re. "Non dovremmo parlare di cose che accadono al circolo. Sono riservate."
Come le tue riunioni segrete? Si disse. "Sto solo dicendo che è ingiusto."
"È la legge."
"Ma tu sei il re. Puoi cambiare la legge."
"Il mio compito è farla rispettare, la legge. Se mi mettessi a cambiarla a mio piacimento non sarei diverso da un tiranno."
"Ma Deliza non voleva fare del male a nessuno."
"Ha violato una regola millenaria."
"Lo ha fatto per salvare la vita di Oren."
"Non importa. Resta il fatto che ha sbagliato" disse re Andew con tono spazientito. "Perdonami, è stata una giornata lunga e sfiancante. Ho già avuto questa discussione con gli altri giudici e io sostenevo la tua tesi. Tutto quello che ho ottenuto è stato l'esilio per quella povera ragazza. Di più non potevo fare, credimi."
"Io non capisco. Una volta mi dicesti che i poteri sono un dono degli Dei."
"È vero."
"E che non bisogna usarli per fare del male agli altri o per il proprio interesse."
"Anche questo è vero."
"E allora Deliza cos'ha fatto di tanto sbagliato? Era tutto quello che poteva fare, in quella situazione."
"Poteva scegliere di non usare la rianimazione."
"Ma Oren sarebbe morto."
"Ciò non toglie che abbia violato una regola fondamentale. La negromanzia non deve essere usata per rianimare ciò che è morto."
"Ma se è un dono che le hanno fatto gli Dei..."
Re Andew scosse la testa. "Sono le regole. È così da sempre."
"Quindi Deliza è colpevole di essere nata con quel potere?" Come io sono colpevole di essere nata senza?
"Noi non giudichiamo le persone, ma solo le loro azioni" disse il re. "Grysor, uno dei membri anziani del consiglio, è un negromante. Lo sanno tutti. Ciò non gli ha impedito di diventare uno stregone forte e rispettato. Il dono non porta solo onori, ma anche responsabilità."
Gli è bastato nascondersi per tutta la vita, pensò.
Joyce non aveva altro da aggiungere, per cui decise di ritirarsi nelle sue stanze.
Mentre rientrava notò che qualcuno era in attesa davanti alla porta.
Era Oren. E in mano aveva qualcosa.
Non appena la vide si irrigidì. "Vostra altezza."
Com'era diverso in sua presenza. Se fosse stata Sibyl si sarebbe comportato in maniera opposta, ne era certa.
Lo salutò con un cenno della testa.
"So che avete molto da fare" disse Oren. "Perciò vi ruberò solo qualche minuto."
"Non c'è problema" rispose incuriosita.
Oren le mostrò quello che aveva in mano. Era un libro. "Deliza e io pensavamo di darglielo il giorno prima delle nozze, ma dopo quello che è successo e sapendo che domani lei dovrà partire, abbiamo deciso di anticipare il tutto. Così sarà come se anche lei fosse qui a darle il regalo."
"Regalo?" chiese Joyce sorpresa. Ecco una cosa che non si aspettava proprio.
Oren annuì. "Sì usa anche a Valonde fare un regalo alla sposa prima delle nozze, giusto?"
"Certo" disse imbarazzata.
Oren le porse il libro.
Joyce lesse il titolo impresso a caratteri dorati sulla copertina. "La notte dei templari." Fu come se un globo infuocato le fosse esploso nello stomaco. "La notte dei templari" esclamò a voce più alta. "Ma questo è... questo è..."
Oren annuì soddisfatto. "Un manoscritto originale."
Joyce lo sfogliò con mani tremanti. "Ma come... ma dove..."
"Un'amica ce lo ha donato e abbiamo pensato che sarebbe stato un regalo perfetto."
"Io non so che dire..." Era davvero senza parole. L'avrebbe abbracciato, l'avrebbe baciato se... se non fosse stata Joyce, in quel momento. Invece riuscì a ricomporsi e a dire: "È un regalo bellissimo. Grazie. Davvero."
Oren sembrò rinfrancato da quelle parole.
"Tu... tu l'ha già letto?"
"Non ne ho avuto il tempo."
"Ma devi" disse lei. "Così potremo discuterne, no?"
Oren si strinse nelle spalle. "Sì, sarebbe molto bello ma..."
"Ma cosa?"
"Avrei trovato un passaggio su di una nave. Salpa il giorno dopo il vostro matrimonio. Non credo che avremo il tempo di parlarne."
Ecco, mai una volta che potesse godersi un momento di felicità. "Ma devi partire per forza? Non puoi restare qualche giorno, una settimana?"
"Non ho idea di quando arriverà la prossima nave" si giustificò lui.
Per un attimo, solo per uno, fu tentata di dirgli di non partire, di implorarlo in ginocchio, se necessario. Sarebbe stato uno spettacolo patetico, ma forse avrebbe funzionato. Forse se gli avesse detto subito quello che voleva, senza pensarci troppo...
"Ora dovrei andare" disse Oren. "È stata una giornata pesante e mi sento davvero stanco. Col vostro permesso."
Joyce si limitò ad annuire.
Entrò nella stanza e chiuse la porta a chiave. Sedette sul bordo del letto, gli occhi umidi, il libro poggiato sulle gambe.
Per qualche minuto non fece altro che leggere e rileggere il titolo.
Quante volte aveva desiderato quel libro? Quante volte aveva sognato di poterlo leggere? E ora che l'aveva tra le sue mani, riusciva solo a pensare che gli sarebbe rimasto solo quello di Oren, dopo che lui fosse partito.
Solo un libro.

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