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Autore: heliodor    11/10/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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 Gran Finale / 1

Il giorno delle nozze arrivò più in fretta di quanto pensasse.
La sera prima si concesse una cena leggera.
È l'ultima che consumerò qui a palazzo, si disse. Almeno per un po'. Contava di fare visita spesso alla madre, almeno nei primi mesi, quando Vyncent sarebbe stato via per dare la caccia a Malag.
La regina aveva pensato a tutto e sembrava esausta, ma felice. E anche affranta. Ogni tanto si concedeva un leggero pianto quando era convinta che Joyce non la vedesse.
"Perché sei triste?" le chiese un giorno.
Sua madre si asciugò le lacrime. "Vorrei che i tuoi fratelli fossero qui. Andrei io stessa a cercarli, se potessi."
Joyce sapeva che in gioventù Marget di Valonde era stata la strega più abile e potente della sua generazione.
D'altronde Bryce aveva preso tutto da lei: la bellezza, l'eleganza, il portamento e l'abilità. A Joyce erano rimaste poche cose, ma cercava di farsene una ragione.
Era ancora la strega più forte della sua generazione? Joyce lo pensava. La regina Marget sarebbe stata capace di farsi strada fino a Malag in persona per salvare i suoi figli, ma in quel momento ne aveva altri tre da accudire, lì al palazzo. E un regno, dopo che suo marito sarebbe partito per il vecchio continente nella speranza di dare il colpo di grazia al loro nemico.
Dopo che Persym l'aveva imprigionata, era diventata più prudente e guardinga. Non si sarebbe fatta cogliere di nuovo di sorpresa.
Ma soprattutto aveva il matrimonio della sua figlia più piccola da organizzare.
"Sai" le aveva detto. "Non pensavo che saresti stata la prima ad andare via di casa. Ero sicura che sarebbe stato Roge. O Razyan. Ma non tu. Forse perché ti ho sempre vista come la mia piccola, tenera Joyce." Ed era scoppiata di nuovo in lacrime.
Il giorno delle nozze era arrivato e anche le damigelle e le ancelle addette alla sua vestizione. Per l'occasione si era trasferita nelle stanze private della regina, più spaziose della sua camera da principessa. Almeno nessuno avrebbe messo le mani nelle sue cose.
Aveva nascosto il compendio e gli abiti di Sibyl in un baule. Poteva tornare in un'altra occasione e disfarsene. Era sicura che nessuno sarebbe andato a curiosare tra le sue cose.
C'era tempo.
E invece il tempo stava finendo.
La mattina delle nozze venne svegliata dalle ancelle che le prepararono il bagno. Quindi iniziò la lunga fase della vestizione. Scoprì che il suo vestito andava indossato a strati e ogni fase richiedeva un lavoro preciso per evitare di danneggiare i delicati ricami di cui la stoffa era intessuta.
Sua madre era tornata quella di prima, energica e decisa che dava ordini precisi a destra e sinistra. Voleva che tutto fosse perfetto per il matrimonio della sua piccolina.
Joyce era felice e sapeva di non poter desiderare di più, eppure c'era qualcosa che la tormentava. Si chiese per l'ennesima volta se sposare Vyncent ed essere solo Joyce era quello che voleva davvero.
Essere Sibyl la faceva sentire viva, più di quanto lo fosse mai stata prima di allora.
Ma Vyncent non avrebbe mai amato quella parte di lei, lo sapeva bene. La magia impura era un ostacolo troppo grande e insuperabile. Doveva accettare quella cosa e conviverci.
A meno che non avesse trovato qualcuno disposto ad accettare quella parte di sé oscura e nascosta.
Forse Oren avrebbe amato Sibyl anche sapendo che era una maga, ma l'avrebbe amata lo stesso sapendo che in realtà era sempre stata Joyce?
Quel pensiero le ricordò il libro. La notte dei templari era ancora lì, tra il Principe Stregone e la Principessa Florel. Non l'aveva aperto dalla sera che Oren gliel'aveva regalato.
Sapeva che non l'avrebbe mai fatto, perché le avrebbe sempre ricordato ciò che aveva perso, a cui aveva rinunciato.
Lì dentro c'erano Sibyl, la sua libertà, il suo desiderio di essere di più, di fare di più. E c'era anche qualcos'altro che non riusciva ad ammettere nemmeno a se stessa.
Certe cose non si fanno per amicizia, le aveva detto Vyncent.
Basta, ti prego, si disse.
Le ancelle l'aiutarono a indossare la lunga e vaporosa gonna, aggiungendovi poi una quantità spropositata di fiocchi e altri ritocchi.
Sua madre dirigeva le ancelle come un direttore d'orchestra. Joyce sapeva che era stanca. Aveva fatto tutto da sola.
"Se almeno Bryce fosse qui" aveva detto una volta. "Ma lei è così impegnata al circolo con i preparativi della guerra..."
Ma Joyce sospettava che il motivo della sua assenza fosse un altro. Non si erano parlate più dal giorno in cui avevano litigato.
"Tu credi che verrà?" chiese Joyce alla madre.
"Certo che sì" rispose la regina. "Ti pare che Bryce si perda il matrimonio della sua sorellina? Tra poco sarà qui con uno splendido vestito."
Ma lei ne dubitava. Sua madre non sapeva le cose terribili che le aveva detto, le accuse che le aveva rivolto e il modo in cui si era congedata da lei.
Se l'avesse saputo...
Le ancelle diedero gli ultimi ritocchi al vestito. Fuori, in lontananza, si udirono le campane che suonavano. Un rintocco per ogni ora che mancava alla cerimonia.
Joyce ne contò cinque.
Mancava davvero così poco?
Bryce non sarebbe mai venuta, era ovvio. A meno che non fosse stata lei a fare il primo passo. Chiese a un valletto di portare un messaggio al tempio. "Bryce, ti prego, ti chiedo perdono per quello che è successo. Non lasciarmi da sola in questo giorno. Joyce."
Il valletto andò e fu di ritorno in meno di un'ora. Bryce non era al circolo. Nessuno sapeva dove fosse andata. Era uscita la mattina presto e non era ancora rientrata.
Questo la fece stare ancora più male. Adesso si sentiva in colpa per quello che stava succedendo. Non poteva andare sull'altare senza di lei, non ce l'avrebbe mai fatta.
Doveva trovarla e avere la possibilità di dirle di persona quelle parole, ma non poteva andare a cercarla di persona.
Ordinò a un valletto di chiamare Oren.
Il ragazzo arrivò in pochi minuti. "Vostra altezza mi ha fatto chiamare?" Indossava la stessa uniforme da parata dello zio. In quel momento sembrava la sua copia perfetta.
"Oren non ho il tempo di spiegarti. Devi trovare Bryce."
"La principessa non è al tempio?"
"No e nessuno sa dire dove sia andata. Puoi trovarla e portarla al tempio dell'Unico in tempo per la cerimonia? Te ne sarei debitrice per sempre."
"Ci andrò subito" disse prima di uscire dalla stanza.
 
***
 
Le campane suonarono tre rintocchi.
Oren, mescolato alla folla che si era riversata nelle strade, girava per la città da due ore. Per fortuna era stato abbastanza avveduto da lasciare il cavallo a un posto di guardia e proseguire a piedi, altrimenti a quell'ora sarebbe rimasto intrappolato nella calca.
Era incredibile la quantità di gente che si era riversata in città. Molti provenivano dai villaggi o dai regni vicini. E più si avvicinavano al tempio dell'unico più aumentava la folla.
Era stato folle accettare quell'incarico, ma che altro poteva fare? Non aveva idea di dove potesse trovarsi la principessa Bryce.
Dove poteva andare la strega più forte del mondo conosciuto? E perché non era alla cerimonia come tutta la sua famiglia?
Oren aveva sentito di un litigio con la sorella, ma di solito non prestava ascolto alle chiacchiere dei valletti e delle guardie.
Forse avrebbe dovuto essere più attento.
Aveva escluso a priori il tempio dell'Unico e il Circolo della stregoneria. Quali altri luoghi restavano?
In città c'erano locande e altri luoghi pubblici dove poteva rifugiarsi una persona che voleva restare sola, ma questo non poteva valere per Bryce.
Lei era troppo famosa, la sua faccia troppo nota ai cittadini di Valonde e a molti stranieri, per passare inosservata.
Se avesse alloggiato in una locanda l'avrebbero riconosciuta. Se si fosse messa a passeggiare per la città o in uno dei parchi, la gente se ne sarebbe accorta.
Questo a meno che non usasse l'invisibilità o la trasfigurazione come Sibyl.
In quel caso sarebbe sfuggita a ogni ricerca da parte di una persona senza poteri come lui.
Poteva anche aver lasciato la città. In quel caso la sua ricerca era inutile e lui si stava perdendo la cerimonia.
Non che gli importasse più di tanto. Trovava noiose quelle feste dei nobili e l'ultima alla quale aveva partecipato, a Taloras, l'aveva messo solo nei guai.
Quel giorno sembrava che tutto dovesse andare liscio, a parte il fatto che la principessa Bryce non si trovava da nessuna parte.
Provò a rifare l'elenco dei posti dove potesse essere andata. Il mausoleo di Bellir? Anche quello era un luogo affollato. Uno dei templi minori disseminati per la città? Erano pieni di fedeli in preghiera.
Il porto?
Era un posto come un altro, ma se uno voleva allontanarsi dalla città senza usare una delle porte principali dove sarebbe stato di sicuro riconosciuto, poteva solo imbarcarsi su una nave. Ce n'erano molte ancorate ai moli e alcune provenivano da luoghi così lontani che era possibile mescolarsi tra la gente comune senza farsi riconoscere.
Forse Bryce meditava di prendere una di quelle navi e andarsene?
Oren non lo sapeva ma provare non gli costava niente.
Quando raggiunse il porto la campana fece risuonare un solo rintocco. Ormai mancava davvero poco e dubitava di tornare in tempo per la cerimonia.
Si mise a passeggiare lungo il molo assaporando la leggera brezza che spirava dal mare. Rabbrividì stringendosi nell'uniforme. Faceva freddo lì, non era come al villaggio dove il clima era mite anche d'inverno.
Oren aveva sentito parlare di luoghi peggiori, come Krikor dove dominava un'estate torrida e perenne o Elyon, la terra immersa in un inverno perenne dove il mare era sempre ghiacciato.
Per lui erano solo dei nomi senza molti significati, ma ogni tanto si chiedeva se avrebbe mai visto quei luoghi così esotici. Nei pochi mesi che era rimasto a Valonde aveva viaggiato e visto più posti di quanto avesse fatto quando era al villaggio.
Sarebbe stata dura riprendere la vecchia vita una volta tornato a casa. Ma ormai la decisione era presa. Il suo lavoro lì era finito, Sibyl era tornata a casa e si trovava chissà dove, anche se sperava che stesse bene.
Il pensiero di non poterla rivedere mai più gli procurava una fitta spiacevole allo stomaco. Anche prima non aveva alcune certezza che l'avrebbe rivista, ma almeno poteva sperare. Dopa che lei quella notte era venuta a fargli visita aveva perso anche quella speranza. Non avrebbe mai più incontrato una come lei, fosse vissuto anche mille anni ed esplorato tutto il mondo, ne era certo.
Immerso in quei pensieri si rese conto a stento della figura femminile che, seduta sul bordo della banchina, fissava il mare con espressione assorta.
Oren notò il profilo familiare, i capelli biondo oro accarezzati dal vento e i lineamenti dolci e perfetti del viso.
La principessa Bryce era davanti a lui e guardava il mare con i suoi occhi azzurri.
Si avvicinò con passo lento, quasi in punta di piedi nel timore di disturbarla. Si fermò, indeciso se fare un altro passo avanti o richiamare la sua attenzione restando a una certa distanza.
"Dì la verità" disse ad alta voce Bryce. "Chi ti ha mandato? Vyncent?"
Oren sussultò. Come aveva fatto ad accorgersi di lui? Si schiarì la gola. "Vostra altezza, in verità mi ha mandato vostra sorella."
"Avvicinati" disse dopo qualche istante di silenzio.
Oren ubbidì e la raggiunse.
Bryce sedeva con le gambe oltre il bordo della banchina, sospesa a qualche metro dall'acqua grigiastra.
"Ti ha mandato lei?"
"Sì vostra altezza."
Bryce sospirò. "Potresti chiamarmi solo Bryce, per favore? Sai, ormai sono abituata così e mi suona strano che mi chiamino vostra altezza o vostra grazia."
Oren annuì. "Vostra.. Bryce, devo restare qui o vi accompagno al tempio?"
"Non ci andrò a quella dannata cerimonia, nemmeno se mi ci trascini per i capelli."
Oren impallidì.
Bryce rovesciò la testa all'indietro e rise. "Scusa, stavo scherzando."
Oren si rilassò.
"La cerimonia sta iniziando" disse Bryce continuando a fissare il mare. "Tra meno di un'ora le campane suoneranno venti rintocchi e sarà finita."
Oren sospirò e fissò il mare. Il golfo attorno al quale sorgeva la capitale era disseminato di navi che non erano riuscite a trovare un molo per attraccare. Si chiese se tra di esse ci fosse anche quella che l'avrebbe riportato a casa.
Bryce tirò su col naso. "Puoi andare via se ti stai annoiando."
"Avevo l'ordine di trovarvi."
"Mi hai trovato. Sei stato bravo. Ora puoi andare. Torna alla cerimonia o in qualunque altro posto tu voglia andare."
Oren si strinse nelle spalle.
"Ti sto congedando, Oren" disse Bryce rivolgendogli un'occhiata divertita.
Oren capì. Voleva restare sola e lui la stava disturbando. "Col vostro permesso."
Bryce scrollò le spalle.
Oren si allontanò con passo lento.
Mentre si voltava notò che il molo si era affollato. Una coppia di amanti si stava baciando a non più di una ventina di passi da lui. Ogni tanto la ragazza, che aveva gettato le braccia al collo dell'amato, distoglieva l'attenzione da lui per guardarsi attorno.
Due figure passarono accanto a lui sfiorandolo. Indossavano dei pesanti mantelli grigi coi cappucci alzati a nascondere il viso. Oren urtò la spalla di uno dei due. "Chiedo perdono" disse voltandosi.
Il tizio col mantello grugnì qualcosa e proseguì dritto.
"Ho detto..." fece Oren e si arrestò a metà della frase. Nella mano del tizio che aveva urtato brillava qualcosa.
Aveva già visto quell'incantesimo. Era un dardo magico.
Anche nella mano dell'atro brillava un dardo.
Si guardò attorno. La coppia aveva sciolto l'abraccio e ora gli amanti erano rivolti verso Bryce. Qualcosa brillava nelle mani di entrambi.
Il tizio che l'aveva urtato sollevò il braccio e lo puntò verso Bryce, ancora voltata di spalle.
Oren mise la mano sull'elsa della spada e urlò: "Bryce. Attenta." Nello stesso momento estrasse la lama dal fodero.
L'uomo al fianco di quello che aveva urtato si voltò di scatto e lo fissò con espressione torva. Oren non attese oltre e alzò la spada.
Ebbe la fugace visione di lampi che si accendevano e spegnevano e grida che si alzavano per poi venire soffocate un attimo dopo. Poi non riuscì più a pensare.

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