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Autore: Cheonefer86    11/10/2017    0 recensioni
Per leggere questa storia bisogna necessariamente leggere “Black Smoke” e “Dark Lovely Sea” di cui è continuo e fine (e se volete anche “I rumori della lontananza”, anche se non è necessario visto che è soltanto un brevissimo intermezzo che completa il quadro).
Severus se n’era andato lontano dal suo passato e da Harry, lo aveva fatto perché la loro storia era difficile e non voleva rovinargli ancora la vita.
E come ogni anno Halloween tornava per riportarlo indietro nel tempo, nel dolore dei ricordi, ma sarebbe sempre stato così, o qualcosa sarebbe cambiato?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Severus Piton | Coppie: Harry/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Bitter Journey to Life'
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Secret Halloween

 

«Cos’è questo posto?»

Erano tornati indietro velocemente e avevano oltrepassato il ponte in pochi minuti, nonostante Harry si fosse fermato spesso a guardarsi intorno arrancando poi per mantenere il passo.

Cos’era quel posto? Non lo sapeva neppure lui con esattezza.

Era un po’ la fortezza della sua anima, un invalicabile scudo in cui sciogliere il proprio cuore, mura e piante dove poter essere semplicemente se stesso.

«È il mio posto.»

«Scusa. Non volevo invadere i tuoi spazi.»

«Ma lo hai fatto. Come al solito fai solo quello che ti passa per la testa credendo che sia tutto giusto.»

«Beh, ma questo mi ha comunque portato al Ministero della Magia.» Quanta nostalgia aveva avuto della sua risata. Quelle labbra che si schiudevano scoprendo appena i denti e quel suono che sapeva acquietargli lo spirito come nessun altro, gli erano mancate come pioggia nel deserto, e quante volte aveva spezzato quel suono con le proprie labbra, afferrandogli il respiro con il proprio.

E lo desiderava anche in quel momento, desiderava quella bocca e ogni sua parola e cellula, ma cercò di trattenersi, di portare il pensiero altrove mentre con violenza stringeva i pugni conficcandosi le unghie nella carne.

«Non ci trovo nulla di divertente, è risaputo che al Ministero è passata gente dall’intelligenza non proprio spiccata.»

Harry smise di ridere e lo fissò – falsamente – irritato, piegando le labbra in quello strano modo che lo aveva sempre fatto diventare matto, soprattutto quando si perdevano sulla propria pelle, facendo scemare quell’irritazione in respiri sul collo.

Era dannatamente difficile averlo così vicino e non pensare di stringerlo di nuovo a sé, togliersi ogni desiderio di dosso come pioggia dai capelli.

E per un attimo gli tornò alla mente quello stesso giorno di un anno prima.

Ricordando ogni singola parola che era stata detta su quella dannata Torre, e ricordando ogni gesto, ogni immorale gesto che avevano compiuto su quella pietra intrisa di sangue e umori e, forse, persino d’amore.

 

 

*

 

La pioggia cadeva furente sopra Hogwarts infrangendosi con tutta la sua rabbia sulle finestre, il vento soffiava altrettanto forte e sferzava i grossi alberi come se fossero stati dei fragili ramoscelli.

I rumori della natura ovattavano persino la musica e le voci, ma sembravano donare maggiore allegria ad ogni presente, come se fossero stati semplice abbellimento per Halloween, un’atmosfera cupa e minacciosa creata appositamente per la festa.

Ma fuori il cielo continuava a fare come voleva e dentro anche lui si sentiva come pioggia cadente destinata ad evaporare, e più guardava Harry insieme a Ginny e più il vento distruggeva la sua anima come una lama affilata che si abbatteva più e più volte su di una mela abbandonata.

E scappò.

Un codardo qualunque che non reggeva più quella vista, e corse via da lì, come un animale ferito. Un amante distrutto.

Come il nulla che si sentiva di essere sempre stato e che sempre gli sarebbe appartenuto.

Lui non avrebbe mai potuto avere niente. Lo sapeva.

E allora aveva continuato a correre con gli occhi fissi ai suoi piedi senza sapere davvero dove sarebbe andato, e corse per poi fermarsi e camminare, lento, e correre di nuovo, con il sorriso del giovane mago che non riusciva a cancellare.

Si fermò di nuovo e per un istante tra i battiti del proprio cuore sentì ancora una volta il desiderio improvviso di tornare nella Sala e scostare tutti fino ad arrivare da lui e dalla sua bocca, per afferrarla con la propria davanti a tutti e risucchiare dentro di sé tutto l’amore che aveva dentro.

Ma era scappato.

Aveva stretto i pugni con rabbia – e con dolore – ed era corso via per ritrovarsi in quel luogo dannato che ogni volta sembrava chiudersi intorno a lui come una gabbia e via via sempre più stretta fino a disintegrarlo tra le sue mura e il suo vuoto, e persino guardarlo da lontano gli aveva sempre procurato quella sensazione, ma d’altronde non poteva aspirare a nulla di diverso.

Né lo meritava.

Lì era stato ancora una volta un assassino.

Lì aveva mantenuto la sua promessa, ma era morto insieme al vecchio Dumbledore, e ogni volta che tornava lassù, si sarebbe sempre sentito meno vivo. Sempre un omicida.

«Sei sparito.»

Rimase in silenzio per un po’, non volendo parlargli né guardarlo, poi lo ruppe: «Volevo prendere un po’ d’aria.»

«Qui ce n’è un po’ troppa, mi sembra.» Il vento, lassù, sembrava essere più rabbioso che altrove. «E moltissima acqua» aggiunse, mentre prendeva la bacchetta e lanciava un incantesimo sopra di loro, e la pioggia cambiò direzione, come deviata da un invisibile tetto.

Snape sorrise, continuando a guardare la notte oltre la balaustra, quella pioggia che continuava a cadere incessante persino sopra di lui, senza avere alcuna intenzione di smettere, e si beò del suo profumo, facendosi penetrare da ogni goccia di acqua e umidità che c’era nell’aria.

«Non ti ho chiesto di seguirmi.»

«No» e fece alcuni passi avanti finché non gli fu vicino. «Certo che no.»

Il suo odore si confuse con quello della pioggia e per un attimo chiuse gli occhi, immaginando di essere entrambi là sotto, con l’acqua che avrebbe lavato via ogni sbaglio e ogni dolore.

«Non ami molto questa festa, vero?»

«No.»

«Né questo luogo. Eppure vieni qui spesso. E

«Già.»

«Non si era detto basta con il passato?»

«Sì.»

«E allora?»

«E allora niente. Non è il passato che mi preoccupa» e mi fa male, ma questo non lo disse. «Ma il presente.»

«E il futuro?»

«Il futuro non esiste.»

Harry sospirò, non era in grado di ribattere a quell’affermazione, in cuor suo era consapevole che non ci fosse nessuna risposta, lo sapevano entrambi.

«Allora viviamo il presente.»

Snape strinse con forza – e rabbia – le mani alla pietra, facendole diventare ancora più bianche, si sporse un po’, oltre l’invisibile copertura, e l’acqua lo colpì sul viso stanco e per un istante sembrò risvegliarlo, togliersi di dosso quel torpore dall’anima, ma continuò a mantenere il controllo di sé e non si voltò a guardarlo, neanche a sfiorarlo appena con gli occhi. Rimase immobile, impassibile e imperscrutabile.

«Qui. Adesso» Harry continuò a parlare incurante della sua freddezza, non facendosi neppure scoraggiare dal suo ignorarlo.

«Viviamo di momenti io e te. Siamo momenti. Siamo degli angoli strappati di un libro che s’incontrano tra la spazzatura.»

«Io non ci considero per nulla spazzatura!» sentì il malumore di Harry crescere come una nube di densa ira che avrebbe scaricato grandine su un tappeto di fiori delicati pronti a morire, ma fissò ancora il vuoto davanti a sé, uno due tre secondi, poi cinque finché non si sentì strattonare con decisione. E si ritrovò a fissare gli occhi verdi del giovane mago, scuri di speranze ormai del tutto vane.

Lo osservò con attenzione e rise. Rise forte.

«Cos’hai da ridere?»

«È meglio ridere che piangere, non trovi?»

«Trovo che lei sia un emerito cretino, Severus Snape!» E rise ancora, con l’acqua che continuava a gocciolare dai suoi capelli e dai vestiti.

«Puoi cancellare dalla mia anima il dolore che provo ogni volta che vengo qui? Estirparlo dai miei pensieri e bruciare il ricordo dalla mia mente come fosse carta straccia? Puoi farlo, Harry?» e alzò gli occhi al cielo per guardare la pioggia di fine ottobre scendere per accogliere l’inizio del nuovo mese, sorridendo amaramente.

E per un attimo gli parve che tutto si fermasse, le parole, i respiri, e persino la pioggia sembrava immobile nell’aria come se un altro incantesimo l’avesse colpita.

I due uomini non si guardavano neppure, uno fisso al buio e l’altro al nulla.

Poi tutto tornò a muoversi, ma i loro occhi rimasero distanti dall’altro anche se i loro corpi si reclamavano iniziando ad urlare la necessità che avevano di consumare quei pochi momenti di solitudine senza perdersi in voci e pensieri. Per consumarsi a vicenda e ricordarsi quegli attimi quando sarebbero rimasti da soli.

«Allora, puoi farlo?» domandò di nuovo mentre per un attimo tornò a guardarlo.

«Non voglio cancellare i tuoi dolori, così come non cancellerei mai i miei. Siamo quello che siamo grazie a loro, e non ti vorrei diverso da quello che sei.»

Harry gli sfiorò appena le dita con le sue, timorose, come se avesse avuto paura di non sapeva bene cosa neppure lui, e lo fissava come se avesse potuto compiere qualsiasi gesto, come se avesse voluto che lo facesse.

Il volto di Harry rimase fisso ancora per qualche secondo ad esse, poi alzò il mento ai suoi occhi neri e sorrise, quel sorriso che amava tanto, quello che sapeva strappargliene uno anche a lui. Quello che spesso desiderava sul suo petto.

«Posso regalarti un ricordo nuovo» e lo baciò senza dire nient’altro, ma Snape si scostò, facendo un passo indietro. «Posso darti un Halloween nuovo» e il giovane mago, invece, fece un passo avanti, verso di lui.

«Non… non sarebbe giusto.»

«Cosa? Sovrapporre l’amore all’odio? La felicità al dolore?»

«Qui ho ucciso!»

«Vivi. Ama.»

«Non posso.»

«E allora lascia che lo faccia io. Che seppellisca la morte con le mie mani e la bocca e il mio respiro. Con la mia pelle sulla tua.»

«Harry…» non erano molte le volte che lo chiamava per nome, lo faceva solo quando era completamente se stesso, quando le emozioni più profonde prendevano il sopravvento. «Non qui» ed era sincero. Desiderava il giovane mago anche in quel momento, era vero, voleva stringerlo a sé più che poteva, ma quel posto continuava ad essere un fantasma del suo passato, un dolore che sarebbe stato sempre un ricordo dei suoi errori.

Harry, però, si fece più vicino e poté sentire il calore del suo corpo sul proprio, ma rabbrividì come un castello smosso dalle fondamenta; provò ad allontanarlo ancora una volta da sé, chiuse gli occhi e si figurò le proprie mani che lo spingevano via, ma quando lì riaprì le braccia erano immobili, così come le gambe e ogni altro muscolo, e il giovane era sempre più vicino, stoffa contro stoffa a disintegrare ogni autocontrollo.

E poi, prima che aprisse la bocca per dire altro, Harry lo abbracciò, gli strinse le braccia dietro la schiena e poggiò la fronte sulla sua spalla, ma Snape rimase ancora fermo, le mani tese – quasi rabbiose – sui fianchi ed un senso d’impotenza opprimente, come se non fosse stato capace di parlare o di muoversi, di scostarlo o di stringerlo a sé.

«Torniamo in Sala Grande. Gli altri si staranno domandando che fine hai fatto,» ma provò lo stesso con tutte le forze a distruggere quel momento.

A scappare anche da lì.

Il ragazzo rimase muto, poi, semplicemente, si sollevò e rispose con un bacio, e poi un altro e uno ancora sulle guance, sul mento, sul collo e poi sugli occhi e sulle orecchie. Su ogni parte di sé.

«Harry… no,» ma in realtà non desiderava altro.

«Shhh

Fu quando il giovane mago intrecciò le mani con le sue che perse ogni ragione e ogni controllo – e ogni ricordo di dolore –, e poi lo strinse a sé, lo abbracciò con forza, con un bisogno quasi primordiale.

E gli Halloween passati cominciarono via via a nascondersi, a pesare sempre di meno, e più Harry lo stringeva, più le sue braccia li seppellivano uno ad uno, spostando dolori e tristezze nel buio più profondo.

Sarebbe durata per sempre quella sensazione?

Soltanto pochi giorni o per quegli attimi e basta?

Lì, su quella torre, ognuno nella braccia dell’altro, non avrebbe saputo trovare una risposta né gli interessava farlo, desiderava soltanto che il tempo cementificasse quel momento rendendolo immortale, e si sarebbe trasformato egli stesso in una statua se fosse servito a vivere per sempre quelle sensazioni.

E Halloween andava avanti mentre loro rimanevano fermi in quell’abbraccio.

Poi si mossero, le mani sull’altro, le bocche a toccarsi e a risucchiare l’anima, e null’altro esisteva intorno a loro, né il loro passato né ciò che sarebbe stato.

Harry sorrise e gli slacciò uno dopo l’altro i bottoni della casacca, rapido e tremante, per poi sfilarla senza dire una parola, e fece lo stesso con la camicia senza, però, togliergli la sciarpa nera che portava sempre al collo, lasciò soltanto che gli angoli gli pendessero sul petto, su quella porzione scoperta di pelle che cominciò a baciare e toccare senza mai fermarsi.

E le sentiva le sue labbra e la sua lingua su di sé, e ogni muscolo si fece più teso e ogni nervo più sensibile.

«Mi sento così sacrilego. Un peccatore di blasfemia nei confronti di questo luogo.»

«La tua è solo una percezione di ciò che realmente è questo posto.»

Snape sorrise. «Qui ho ucciso Albus Dumbledore. Realmente. Nessuna proiezione di una mia fantasia.»

«Per me, qui, è dove hai fatto ciò che andava fatto. Lo è per tutti.»

«Non la pensavi così quando mi hai visto farlo.»

«Non conoscevo la verità. Puoi biasimarmi?»

«No. Certo che no.»

Non poteva biasimare nessuno per averlo creduto un traditore assassino, e non riusciva a farlo neppure con chi ancora lo credeva, ormai era un’abitudine con la quale conviveva e basta, come alzarsi la mattina o fare colazione.

Vide il volto di Harry mutare e un velo di tristezza scendergli addosso. «Non essere triste per me.»

«Non ho mai capito niente di te, sempre a farci la guerra, ad odiarci.»

«È stata una cosa reciproca. E… passata» e per la prima volta parlò del passato come se non portasse con sé nessun peso addosso, il suo tono di voce era calmo, libero, e il giovane Potter in qualche modo se ne accorse e sorrise, uno dei sorrisi più ampi che gli aveva visto fare.

E allora Severus lo strinse al proprio corpo sentendone il calore invadergli la pelle fredda per il vento che continuava a soffiare forte sulla torre, lo strinse con tutte le sue forze e Harry fece altrettanto: un abbraccio che aveva tutto il sapore della leggerezza, e rimasero di nuovo immobili per lunghi minuti, interminabili, a confondere i loro odori e i loro respiri sotto quell’acqua che cadeva senza neppure colpirli.

Un istante dopo, però, l’incantesimo cessò e la pioggia comincio a scivolare su di entrambi.

E allora si baciarono nell’acqua per stringersi ancora e di nuovo baciarsi, afferrarsi, sfiorarsi e toccarsi mentre dita andavano su altre dita e sulla carne lasciata scoperta dagli abiti ormai gettati a terra come stracci inutili e ingombranti.

«Potrebbe salire qualcuno.»

«Che vedano pure, così la finiamo con questa segretezza come due criminali.»

«Non dire idiozie, sarebbe un disastro.»

«Un disastro, professor Snape, sarebbe sprecare ancora questo momento a parlare» e lo spinse con rabbia verso la pietra ruvida che gli graffiava la pelle nuda, e Severus sorrise, lasciandolo fare, lasciando che facesse ciò che voleva, riempiendo quegli attimi in qualsiasi modo desiderasse come pioggia che s’infilava in ogni crepa della torre e in ogni pezzo di terra intorno a loro.

Come la sua bocca che riempiva ogni frammento di sé.

E la sentiva dargli sollievo dove prima i denti si erano stretti sulla carne umida di lui e di pioggia, e più scendeva a baciarlo e più tirava la sciarpa ormai zuppa, ci si aggrappava come ad un’ancora di salvezza e in quel momento anche lui desiderava aggrapparsi a qualcosa, alla ragione, al giusto, ma le sue dita si strinsero malamente soltanto alla pietra dietro di lui; quella pietra che in quegli attimi non si portava dietro alcun ricordo, soltanto le immagini di quegli istanti, di Harry che lo toccava.

E non c’era nient’altro che lui e tutto l’amore disperato che aveva attaccato addosso come pioggia e come lacrime che sgorgavano senza che lui potesse fare qualcosa per fermarle.

Quel senso di nulla svanì tra i fulmini che cadevano lontani e vicini.

«Che succede?» Harry si accorse del suo turbamento e si sollevò di scatto, prendendogli il viso tra le mani, preoccupato. «Ho fatto qualcosa di sbagliato?»

«Non sei tu il problema.»

Harry si alzò sulle punte, sorrise, e gli baciò gli occhi, uno ad uno, e in quel gesto seppe che aveva capito ogni cosa senza il bisogno di dire altro, e in quel momento non sarebbe riuscito a farlo, a pronunciare alcuna parola.

Nel loro essere corrotti e a brandelli si conoscevano più di quanto davano a vedere, anche negli anni dell’odio forse si erano conosciuti senza mai svelarsi l’un l’altro, in fondo le loro vite erano state così legate da sembrare una sola, con i dolori che attraversavano entrambi in una sorta di linea infinita che apparteneva ad ognuno di loro.

E più imparavano l’uno dell’altro, e più si capivano, senza neppure il bisogno di parlare.

«Torniamo giù» parlò Harry per entrambi, quelle parole che a lui non riuscivano ad uscire.

Aveva rovinato ogni cosa, lo sapeva. Salendo lassù era piombato nuovamente nella morsa di quel passato che non gli faceva vivere a pieno il presente e gli negava ogni futuro.

Futuro…

Che futuro poteva mai esserci per lui? Per loro?

«Finalmente vi ho trovati!»

Si erano da poco rivestiti quando Ginny apparve sulla torre, la bacchetta stretta alla mano per lanciare un incantesimo che la riparasse dalla pioggia.

Entrambi si voltarono cercando di sembrare solamente due vecchi amici – o nemici – che conversavano, e sorrisero entrambi alla ragazza e lei ricambiò, con solarità.

«È bello vedervi parlare, ma siete spariti da così tanto tempo che ci eravamo preoccupati.»

«Ero solo venuto a prendere un po’ d’aria e quello stupido di tuo marito ha voluto seguirmi.»

«L’impulsività non gli è mai mancata, professore» e sorrise di nuovo mentre puntava la bacchetta verso i due uomini per asciugarli.

«Ma siete comunque due idioti. Non mi sembra né il clima né il luogo adatto per prendere una boccata d’aria e conversare.»

E continuarono a parlare come se i vecchi amici fossero stati tre, ma il senso di malessere continuò a crescere in Snape: per il luogo, per il vederli così felici insieme – erano poi davvero felici? –, ma soprattutto per se stesso, per quanto si sentiva veramente un idiota a stare in mezzo a tutto quello.

Ma cosa avrebbe potuto fare? Non era così facile come combattere con qualcuno nascondere e seppellire i propri sentimenti, lo aveva fatto per lungo tempo ma non era servito a nulla.

Ogni volta si riprometteva di smettere e ogni volta gli bastava anche solo vederlo per cedere completamente.

Era uno stupido, aveva ragione Ginny.

Era uno stupido con un cuore a pezzi.

Uno stupido con un cuore che batteva forte.

Continuava a guardarli mentre una stretta invisibile gli serrò la gola, una morsa che lo distrusse pian piano, e desiderò soltanto sparire.

 

*

 

«Allora…» Snape cambiò tono. Cambiò pensieri. E tornò al presente, con quella stessa morsa alla gola, in quella casa persa in un giardino che aveva raccontato di lui più di quanto aveva fatto egli stesso.

«Hai detto che dovevamo parlare. Bene, parla» e lo invitò a sedersi, ad iniziare, mentre lui accendeva il fuoco nel camino per riscaldare quelle mura da troppo tempo fredde e solitarie. Non che lui si fosse concesso spesso un po’ di tepore né che fosse stato un’ottima compagnia.

Harry, però, non sembrava intenzionato a pronunciare alcuna parola, non sapeva per quale motivo, se fosse soltanto timore o semplicemente non sapesse da dove iniziare.

Per un attimo tornò di nuovo indietro nel tempo, facendo scorrere nella sua mente gli Halloween degli anni già trascorsi, uno ad uno come se fossero libri di un archivio da consultare, un archivio fatto di molto dolore e persino paure, ma cercò di trovare dei momenti felici in quella melma che era il suo passato, anche uno soltanto, un frammento che spazzasse via il resto.

E ne riportò alla mente uno di quando era piccolo e sua madre lo teneva per mano mentre passeggiavano per alcune stradine nascoste di Londra.

Poi prese una sigaretta e l’accese con un tizzone ardente nel camino, non volle guardare Harry che continuava a rimanere in silenzio, ma fissò il fuoco aspirando fumo e ricordò.

Ricordò di quando era bambino, troppo ingenuo per capire fino in fondo cosa succedeva a casa sua e troppo piccolo per lasciarsi ferire da un insulto che aveva iniziato una bella giornata per lui e per la sua famiglia.

«Almeno questa sera potete confondervi tra le altre maschere di mostri. Potremmo persino sembrare una famiglia normale e felice.»

Rammentava ancora con esattezza quelle parole, il preciso momento in cui suo padre le aveva pronunciate proprio davanti al suo sorriso dopo che la madre era entrata in camera sua e gli aveva afferrato le mani per farlo uscire dall’armadio, da quelle vecchie assi di legno dove si rifugiava spesso per non sentire le urla e i pianti.

«Andiamo, tesoro mio, questa sera mamma ti compra un sacco di dolci!» gli aveva detto con quella sua voce quasi sempre spezzata, in un sorriso che gli era sempre sembrato forzato e fasullo, per far finta che tutto andasse bene, ma aveva sorriso anche lui, felice perché per una volta avrebbe potuto trascorrere quella festa come tutti gli altri bambini della sua età. Trascorrerla con la sua famiglia.

E avevano camminato per quelle stradine di Londra, insieme, e ogni tanto aveva sentito persino suo padre ridere tra tutte quelle maschere e dolci e colori, e cantare una qualche vecchia canzone che lui non conosceva.

Ricordava di avergli chiesto di insegnargliela: «Ti prometto che una sera di queste lo faccio» gli aveva risposto, lui, però, non aveva mai imparato quella canzone né nessun’altra, aveva finito persino per odiarla ogni volta che sentiva qualcun altro cantarla, e aveva odiato ancora di più suo padre che non aveva mantenuto nessuna delle sue promesse.

E lo aveva abbandonato pur rimanendogli accanto, donandogli una presenza che non c’era, un’assenza nella loro stessa casa.

Non sapeva perché avesse scelto proprio quel ricordo tra tanti, forse perché in quei passi compiuti in mezzo ai suoi genitori c’era qualcosa di bello, un momento che era stato felice, uno soltanto, un attimo in qui la sua vita famigliare era stata normale. Un attimo come tanti che tante famiglie vivevano.

Si voltò a guardare per pochi secondi il giovane mago e tornò di nuovo al fuoco, a quelle fiamme che sembravano aver impresso in esse quelle immagini che cercava di tenere nella memoria. E poi bruciare.

E avrebbe voluto bruciare quei pezzi di passato di entrambi, ma lo fissò ancora per un poco e sorrise, un po’ amaro un po’ soddisfatto, pensando che aveva avuto ragione Harry su quella Torre, erano diventanti gli uomini che erano anche grazie a ciò che avevano vissuto, trovando la forza in ogni difficoltà che avevano incontrato lungo il loro cammino.

«Severus, per favore, non scappare da me. Sei un uomo forte. Non scappare.»

Quelle parole erano sempre lì, nella testa, e allora ricordò ancora.

Ricordò quella notte in cui Albus lo aveva legato ancora una volta alla promessa fatta e lui era fuggito, dalle stanze del preside, dal vecchio mago e persino da se stesso e si era rifugiato lì, in quella stessa casa dove stava ancora aspettando le parole di Harry.

Dove attendeva la fine di tutto.

E aveva corso per miglia e miglia per togliersi tutto dai pensieri, per far evaporare ogni dolore come fiato che si spezzava ad ogni passo, e aveva continuato ad avanzare per arrivare in quel dannato giardino e strappare tutto con le mani fino a farle sanguinare, ma quando si era trovato davanti a quelle piante e fiori, tutto era cambiato di nuovo.

Neppure aveva memoria di quello che ci fosse stato prima, ma nel momento esatto in cui aveva arrestato la corsa, con il fiato ancora corto, distese di fiori erano mutati, trasformandosi in un manto di rose bianche che venivano sostituite da quelle nere, come se le stessero inghiottendo una ad una, e sembravano urlare tutto l’odio che poteva esistere nel mondo mentre quell’oscurità azzannava famelica ogni traccia di purezza, di umile e remota purezza, e per istanti interminabili, quasi infiniti, aveva riversato quel disprezzo negli occhi azzurri di Dumbledore e poi nel proprio cuore.

E aveva sentito l’odore della morte sprigionarsi dai loro petali, il profumo dell’addio che fuoriusciva in fili sottili ed invisibili da ogni loro foglia, e li aveva sentiti, li aveva percepiti come schiaffi sul viso e colpi allo stomaco, e si era voltato per scappare anche da lì, ma piccoli fiori avevano iniziato a sbocciare davanti ai suoi piedi, investendolo del loro aroma.

Un aroma buono che lo attraversò di solitudine come mai si era sentito, e avrebbe voluto piangere e bruciare ogni cosa, e più la rabbia era aumentata più il dolore lo aveva cinto come una catena troppo stretta, e non sarebbe servito a niente scappare, lo aveva saputo fin da subito. Aveva saputo che il suo destino sarebbe stato nient’altro che quello.

E allora si era allontanato di pochi passi e si era gettato a terra e aveva iniziato a piangere.

«Severus…» quella voce dannata lo aveva raggiunto anche lì, tra le lacrime e gli umori che gli ostruivano occhi e parole, e mentre il vecchio preside si era piegato per sfiorargli il viso con la mano annerita, papaveri avevano iniziato a sbocciare intorno ai due uomini.

Snape li aveva osservati a lungo, continuando a piangere, e più li aveva guardati e più le lacrime erano aumentate, perché niente, niente avrebbe potuto consolarlo dalla mancanza di Albus e niente avrebbe potuto riempire il buco di dolore che gli avrebbe causato la sua morte. Il doverlo ammazzare come un nemico qualunque.

Ricordava di aver pianto a lungo tra le braccia di Albus, come un bambino tra le braccia del padre. Maledizione stretta ad un’altra maledizione. Consolazione che non c’era.

L’ennesimo abbandono nella sua disastrata vita.

E ritornò in quella stanza, davanti a quel camino, in attesa di un altro definitivo abbandono. Di un altro dolore.

«Sto aspettando.» Cancellò tutto quello che aveva riportato alla mente fino a quel momento e si voltò a guardarlo, a fissare i propri occhi nei suoi. «Devo entrarti nella mente e facciamo prima?»

«No no! Certo che no. Stavo solo cercando le parole giuste.»

C’erano parole giuste per dire a qualcuno che era finita? Esisteva un modo peggiore o migliore per chiudere dei sentimenti in una scatola e gettarli in un mondo irraggiungibile?

Le parole, lo sapeva, potevano essere onde alte che distruggevano ogni cosa davanti a loro.

E lui ne aveva dette di parole avvelenate che avevano avuto il potere di far esplodere tutto.

Sanguesporco. Un altro ricordo.

E per un attimo la propria voce gli rimbombò di nuovo in testa riportandolo davanti a quella porta come non gli capitava da tempo.

L’ennesimo abbandono.

Si guardò le mani pallide, pulite e curate, ma sotto la pelle vide tutto ciò che nel tempo aveva avvelenato, allontanandolo per sempre da sé.

«Dillo e basta.»

Si è mai pronti al dolore della fine?

 

 

   
 
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