Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: whitecoffee    14/10/2017    2 recensioni
❝«Ho sempre pensato che il cuore dell’uomo sia diviso in due metà esatte. Una felice, e l’altra triste. Come se fossero due porte, vicine. Le persone possono entrare e uscire da entrambe, non c’è un ordine prestabilito. Ovviamente, molto dipende dal carattere degli individui e dalle relazioni che vengono instaurate. Mi segui?» Domandò, e lei annuì. «Per TaeHyung, uno di questi usci è sprangato. Non si apre più. Costringendo chiunque a passare solo dalla parte riservata al dolore, non importa il tipo di rapporto che intercorra fra lui e gli altri. Perfino io, sono entrato da quell’unica porta. E mi sono rifiutato di uscirne, sebbene lui avesse più volte provato a sbattermi fuori»❞.
❝Tu devi sopravvivere❞.
- Dove TaeHyung impara che, rischiando, spesso si guadagni più di quanto si possa perdere.
assassin!TaeHyung | artist!JungKook | hitman/mafia!AU | boyxgirl
-
» Storia precedentemente pubblicata sul mio account Wattpad, "taewkward".
» Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=92wl42QGOBA&t=1s
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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XIX.
REFLECTION, pt. I


You must not give way to desires which you don't believe in. I know what you desire. You should, however, either be capable of renouncing these desires or feel wholly justified in having them. Once you are able to make your request in such a way that you will be quite certain of its fulfillment, then the fulfillment will come. But at present you alternate between desire and renunciation and are afraid all the time. All that must be overcome.



 
 

In the darkness, people look happier than the day. Everyone else knows where they’re supposed to be, but only I walk without purpose. Still, blending in with them is more comfortable. Dduksum, which has swallowed up the night, hands me an entirely different world.
I want to be free.
I want to be free from freedom.
Because right now I’m happy but I’m unhappy.
I’m looking at myself.

 





 
 
You need to survive.
 

I wish I could love myself (LIAR)
 
 
 

I suoi piedi lo condussero in un luogo che egli conosceva fin troppo bene. Non seppe se a portarlo lì fosse stata un’azione meccanica dovuta alla frequente abitudine, o se si fosse trattato un bisogno del suo inconscio. Eppure, egli arrestò la sua corsa proprio di fronte al basso muretto che delimitava l’ingresso del cimitero. Rimase ad osservare la parete intonacata di calce bianca, ansimando. Il suo respiro si tramutò in nuvolette di condensa, ascendendo verso il cielo ad intervalli regolari. C’era silenzio attorno a lui, interrotto solamente dal rumore del suo violento alternarsi fra l’inspirazione e l’espirazione. La luna era ancora alta nel cielo, gettando la sua luce argentea sullo spiazzo abbandonato, il cancelletto in ferro battuto e ciò che ci fosse dietro di esso. Quella scena sembrava quasi surreale. Il frammento di un sogno agitato, dalle ignote sorti. TaeHyung si chinò su se stesso, artigliandosi le ginocchia con le dita. Continuando a prendere fiato, cercando d’immettere quanto più ossigeno potesse, all’interno dei suoi polmoni. Chiuse gli occhi.
Dopo quell’interminabile corsa, era giunto proprio lì. Un considerevole cammino, sapendo che l’autobus di linea impiegava ben venti minuti per collegare la fermata poco lontano da casa sua a quel luogo. In quanto tempo ci era arrivato? Non aveva minimamente fatto caso al susseguirsi delle lancette sul suo orologio da polso. A giudicare dalla posizione degli astri, e dalla lieve sfumatura rosata appena intuibile all’orizzonte, l’alba non doveva essere lontana. Il giovane inspirò profondamente per l’ultima volta, e poi si tirò su. Premendosi le mani sui lombi e stringendo i denti, mentre i muscoli protestavano per l’eccessivo sforzo a cui fossero stati improvvisamente costretti a collaborare. In tutti quei mesi con Cyane e JungKook, aveva accantonato le sue abitudini ginniche mattutine. E quello era il risultato.
Sospirò, guardandosi attorno. Non era la prima volta che arrivava lì ad un simile orario. Passeggiò per un breve tratto, fino a ritrovare la vecchia parte crollata di muretto, considerevolmente più bassa rispetto alla norma. Con un salto, si appese all’estremità scalcinata, ancorandovi per bene le dita. Si dondolò per qualche momento, per poi fare perno sulle mani ed issare un piede sul bordo del tramezzo parzialmente distrutto. Con un agile balzo, scavalcò la parete, atterrando sul consueto terriccio umido di rugiada, all’ombra di uno dei numerosi cipressi che popolavano il circondario. Con il respiro ancora irregolare, sprofondò le mani nelle ampie tasche del cappotto grigio chiaro, e s’incamminò all’interno del cimitero, passando accanto a cappelle di famiglia e lapidi a lui sconosciute. Le cui superfici di marmo scintillavano, alla luce della luna, come se gli rivolgessero dei muti cenni di saluto col capo, rispettosamente. Ormai, i suoi piedi si muovevano in maniera autonoma, seguendo un percorso fin troppo dolorosamente familiare, per lui. Ricordò le nottate passate a vagare per quel luogo, con la vista appannata e un buco all’interno del petto. Il dolore delle sue nocche, la cui pelle si fosse ormai scorticata, a forza di prendere a pugni il terreno. Il freddo che s’impossessava dei suoi arti, quando si addormentava all’ombra dei cipressi, rifiutandosi di andarsene prima che sorgesse il sole.
Le sue scarpe si arrestarono a pochi centimetri da un mazzo di gigli bianchi dall’aspetto piuttosto fresco, deposto sul manto erboso, proprio dinanzi alla rettangolare struttura marmorea incassata nel terriccio. TaeHyung rimase lì, fissando la lapide. Il suo sguardo si perse sui caratteri dorati incisi nella pietra. Kim SeokJin. Erano passati mesi, dall’ultima volta in cui egli fosse passato a visitarlo. Poco prima di ricevere l’incarico su Cyane. Intuì che NamJoon dovesse essere andato lì prima di lui. Quei fiori erano da sempre stati il segno distintivo del suo passaggio. Sapeva quanto il loro comune amico li amasse. Ogni volta che il loro percorso incrociava accidentalmente quello di un fioraio, il ragazzo rimaneva sempre indietro, rispetto ai suoi compagni. Preso ad osservare la bellezza di quelle candide infiorescenze, così eleganti e signorili, proprio come lui.
TaeHyung protese una mano e sfiorò la superficie gelida della pietra. Due anni dopo l’atto di rappresaglia che l’aveva coinvolto, portando via la vita al suo caro amico, egli non aveva ancora superato il trauma. In alcuni momenti, il senso di mancanza che avvertiva nei suoi confronti era così grande, da spezzargli il respiro. Costringendolo ad arrestarsi sul posto, artigliandosi il petto. Mentre all’interno del suo torace si diffondeva un sinistro gelo, e la presa sulla realtà si allentava precipitosamente. SeokJin era stato il padre che lui non aveva mai avuto, con il sorriso gentile dipinto sulle labbra, mentre gli posava una mano sulla spalla, chiedendogli come stesse. I sospiri esasperati che lasciava andare, ogni volta che lui o NamJoon ne combinassero una delle loro. L’accortezza con cui si assicurava che, di notte, nessuno di loro soffrisse il freddo, passando nelle stanze a stendere un plaid in più sulle coperte. Una lacrima rotolò silenziosamente giù dalla guancia di TaeHyung. La quale rimbalzò silenziosamente s’uno dei petali dei candidi gigli, facendolo tremare al contatto.
«Santo cielo».
Il giovane si voltò, sorpreso. E vide il suo amico osservarlo con le mani sprofondate nelle tasche, in piedi alle sue spalle. Stava sorridendo divertito. Candido come sempre, dai lineamenti rilassati e distesi, lo sguardo benevolo e le labbra carnose dipinte con gli angoli sollevati verso l’alto. Era proprio lì. Immutato di una virgola, nonostante i due anni ormai trascorsi. Il ragazzo asciugò la salata scia gelida lungo la sua guancia con la manica del cappotto, tirando su con il naso.
«Quante volte ti ho detto di non piangere? Sei un uomo o un ragazzino?» Lo rimbeccò SeokJin, incrociando le braccia. «Che vuoi, TaeHyung? Sei passato a dirmi qualcosa?» Chiese allora, guardandolo con dolcezza, nonostante il tono un po’ brusco delle sue parole. Il giovane annuì, e una seconda lacrima cadde lungo l’altra gota.
«Non posso crederci!» Esclamò l’altro, sinceramente sorpreso. «Hai una ragazza» decretò. «Ed è anche molto bella. Sapevo che avresti fatto prima di JiMin, sei sempre stato un teppistello promettente» chiocciò, proprio come una madre affettuosa, annuendo soddisfatto fra sé e sé. TaeHyung cadde in ginocchio, ormai incapace di riuscire a controllare il flusso delle proprie lacrime. Le quali continuavano a strabordare dalle sue palpebre inferiori, proprio come acqua all’interno di un catino ormai saturo.
«Basta frignare, guarda come ti sei ridotto. Sei bruttissimo, quando piangi. Ti si accartoccia il volto, come una lattina usata di Pepsi. Prega affinché Cyane non ti veda mai così» commentò, scuotendo la testa. «Ah, no. Troppo tardi. Beh, se non è ancora scappata dopo un simile spettacolo, conviene che tu te la tenga stretta» aggiunse, sospirando. Poi, mosse qualche passo verso il suo amico ormai scosso dai singhiozzi. Si accovacciò di fronte a lui, mentre egli tirava nuovamente su con il naso, inutilmente.
«Ti darei un fazzoletto, ma sai bene che noi non possiamo donare nulla a quelli come te» gli disse, cercando di rincuorarlo come meglio poteva. «Ti ho visto, prima. Già so cosa sei venuto a dirmi. Adesso sei libero, TaeHyung. Hai finalmente imparato a recidere quei legami che continuavano a tirarti giù nell’abisso. Stai lentamente risalendo a galla. Cominci ad imparare cosa voglia dire vivere per davvero. Proprio come quando avevi sedici anni, ed io dovevo venire sempre a rimediare per le sciocchezze che tu e NamJoon facevate di continuo» ricordò, sorridendogli gentilmente. «Va’ via, TaeHyung. Questo posto non ti appartiene più. Sei vivo come la luce del sole che penetra fra le foglie degli alberi, ed è con essa che devi rimanere. Non c’è posto per te, in mezzo a queste pietre immobili. Sono felice che tu sia comunque passato a rendermi parte di un evento così importante. Ma ora è tempo che tu ritorni ai luoghi che ti spettano davvero. Hai capito, testone? Non lo voglio più vedere, il tuo muso di Daegu, qui nei dintorni. Almeno per qualche mese. Alzati, su. Ecco, bravo. Asciuga quelle lacrime. Dio, che schifo, soffiati il naso. Ottimo. Testa alta, spalle dritte» gli ordinò, mentre il più giovane seguiva a bacchetta ciò che lui gli dicesse. «Ci vediamo, piccolo Tae. Vedi di starmi bene, e sappi che sono proprio qui» e sfiorò il petto del ragazzo, in corrispondenza del cuore. «Sempre».
In quel momento, TaeHyung aprì gli occhi. E scoprì di essersi assopito, appoggiandosi con le spalle alla lapide. Il sole era ormai rinato da qualche tempo, a giudicare dal suo rosseggiare ad oriente. Batté le palpebre, confuso. Aveva parlato con SeokJin. Era stato lui, proprio lì, non poteva averci fantasticato sopra, né immaginato. Rovistò con la mano nella tasca del cappotto, alla ricerca del fazzoletto ormai appallottolato ed inutilizzabile, ma non trovò nulla. Le sue dita afferrarono il vuoto, sfiorando solamente la stoffa e la fodera interna di quella porzione di tessuto. Eppure, ricordava precisamente di essersi soffiato il naso, come il suo amico gli avesse ordinato di fare. Un brivido di freddo gli corse lungo la spina dorsale, strappandolo alle sue elucubrazioni solitarie. Possibile che si fosse davvero addormentato, e che quell’incontro fosse stato solo il frutto di un sogno? Si sollevò in piedi, barcollando appena. Pulì il cappotto e il retro dei pantaloni dai residui di rugiada ed erba con le mani. I cui colpetti risuonarono chiari e limpidi nel silenzioso ambiente circostante.
“Va’ via TaeHyung. Questo posto non ti appartiene più”.
Le parole del suo amico gli riecheggiarono nella mente. Lanciò un’ultima, confusa occhiata alla lapide, e s’incamminò fuori dal cimitero. Scavalcando lo stesso muretto impiegato per entrare, ed atterrò sull’asfalto con un unico, sonoro tonfo. Si guardò alle spalle solo una volta. Poi, sollevò il cappuccio del cappotto sulla sua testa, e si allontanò. Pensando ai gigli bianchi. Al loro profumo dolciastro e a come i petali si aprissero elegantemente, quando i fiori sbocciavano.
“Grazie, Jin. Grazie di tutto”.



 




   
 
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