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Autore: heliodor    15/10/2017    5 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Gran Finale / 3

Vyncent la spinse dietro l'altare. "Resta qui" le urlò prima di voltarsi e andarsene. Lo vide scendere i gradini due a due mentre in entrambe le mani aveva un dardo magico.
Joyce ubbidì e rimase immobile, non sapendo cos'altro poteva fare. Da una parte voleva unirsi a quelli che stavano combattendo, dall'atra quello avrebbe significato svelare a tutti il suo segreto.
Magia impura. Morte assicurata.
Tanto valeva stendersi lì a terra e aspettare di essere calpestati da qual mostro.
Si accorse solo allora che l'Alto Sacerdote giaceva a terra riverso nel suo stesso sangue. Uno dei primi dardi lanciati dagli attaccanti lo aveva colpito al petto.
Si sporse per osservare la battaglia.
Tre mostri grandi come palazzi si muovevano all'interno della navata colpendo e schiacciando tutto quello che si muoveva. Streghe e stregoni del circolo le bersagliavano con dardi, lance di fuoco e raggi magici. I mostri reagivano con ferocia a ogni attacco ma i difensori li stavano contenendo.
Poi cominciarono a piovere proiettili magici anche su di loro. Provenivano da varie direzioni ed erano lanciati da streghe e stregoni che si erano mescolati tra il pubblico che aveva assistito alla cerimonia.
Da quanto tempo erano lì? Da quanto preparavano quell'attacco? Forse da giorni, settimane.
Vide suo padre ed Elvana combattere fianco a fianco contro uno di quegli esseri e poi dividersi quando una palla di fuoco esplose a pochi metri da loro.
Joyce trattenne il fiato finché non li vide riemergere sani e salvi da una nuvola di fumo e detriti.
Un soldato che si era avvicinato troppo a uno dei mostri venne afferrato dalle possenti zampe a tenaglia e sbatacchiato nell'aria. Le urla del poverino coprirono i suoni della battaglia per un istante e poi si spensero all'improvviso.
Joyce chiuse gli occhi come a voler tenere lontano quell'orrore. Era come il giorno del ballo, ma moltiplicato per dieci. Anche allora c'era Vyncent al suo fianco a proteggerla, ma era apparso subito chiaro che la vittoria sarebbe stata la loro. In quel caso la battaglia poteva finire in qualsiasi modo.
Joyce riaprì gli occhi e fece vagare lo sguardo lungo la navata, dove la gente comune cercava scampo dall'orrore ammassandosi lungo le pareti. Una delle creature impediva loro di fuggire verso l'unica uscita, il grande arco che era crollato all'inizio dell'attacco.
Fu lì che intravide una figura maschile farsi largo tra i corpi e i detriti.
All'inizio non riusciva a credere ai suoi occhi, ma più guardava in quella direzione più le sembrava di riconoscere Oren.
Poi la figura sollevo la testa e lei fu certa che si trattava proprio di lui ed ebbe un tuffo al cuore.
Che cosa ci faceva lì dentro? Perché non era rimasto al sicuro fuori dal tempio?
Possibile che fosse così stupido e al tempo stesso coraggioso da venire lì dentro per... per salvarla? Stava venendo da lei?
Senza pensarci due volte uscì dal suo nascondiglio e caracollò giù per le scale. Gli sarebbe andato incontro e l'avrebbe portato via di lì, al sicuro. Non poteva sopportare l'idea che morisse per salvare proprio lei.
Oren si stava dirigendo verso la scalinata. L'aveva vista? Forse, ma non ne era certa. Aveva raccolto uno scudo e la balestra e stava correndo verso il fondo della navata cercando di evitare di essere schiacciato dai mostri.
Una figura emerse alle sue spalle. Joyce riconobbe subito i capelli chiari e il naso aquilino, anche se l'aveva visto una sola volta prima di allora.
Era Rancey, il messaggero mandato da Malag per trattare con lady Gladia. Se era lì, voleva dire che quello era opera dell'arcistregone. Forse era lui che guidava di persona l'attacco, l'ultimo disperato tentativo di vincere quella guerra.
Joyce stava per gridare a Oren di stare attento alle spalle, quando si sentì afferrare il collo.
"Ma guarda chi si vede" disse una voce piena di rancore.
Dita che sembravano d'acciaio le artigliarono la gola e la spalla, facendole male.
"Non sai ce dispiacere mi hai dato quando ho capito che non mi avresti invitata al matrimonio" disse Wena.
La strega indossava un abito verde limone con ricami d'argento. I capelli erano corti e il trucco pesante, tanto che faticò a riconoscerla subito.
Joyce sgranò gli occhi alla sua vista. "Tu sei morta."
"Ti piacerebbe, vero?" disse la strega.
Joyce si sentì trascinare via senza che potesse opporsi. La strega doveva aver lanciato qualche incantesimo per aumentare la propria forza. Non era in grado di opporsi a lei. "Lasciami" gridò.
Wena le serrò le dita sulla gola. "Se dici un'altra parola ti taglio la lingua e me la mangio. O forse te la mangio prima di tagliarla." Rise. "Tu che cosa preferisci?"
La trascinò oltre una porta e non perse tempo a richiuderla. Mentre si addentravano nelle viscere del tempio l'eco della battaglia si affievoliva e ne rimaneva soltanto una lieve traccia, appena un sottofondo.
Joyce lottò con tutte le sue forze, ma non riuscì a liberarsi della stretta di Wena. La strega si fermò un una sala di preghiera circolare. C'erano panche allineate lungo le pareti dove i monaci si riunivano per le loro abluzioni.
Wena prese da una tasca un disco d'argento e lo gettò al centro della sala. Il disco si ruppe e da esso scaturì un bagliore. Nel giro di pochi attimi un vortice di energia pulsava al centro della sala.
Joyce non faticò a riconoscere uno dei portali che Robern usava per mandarla dove voleva.
"Il tempo che si stabilizzi" disse la strega. "E andremo da Lord Malag. Quell'uomo smania dalla voglia di vederti. Mi chiedo cosa ci trovino in te gli uomini. Insomma, tu hai due fidanzati, con il damerino di Taloras che voleva sposarti fanno tre. Persino Persym voleva darti in moglie a uno dei suoi protetti. Tu hai la fila davanti alla porta e io fatico a trovare un uomo decente. Cos'hai tu più di me? Forse sono quegli occhi languidi? Eh? Rispondi."
Ci risiamo, pensò Joyce.
"Ancora qualche minuto..."
"Lasciala andare" gridò Oren puntando la balestra nella loro direzione. Aveva ancora lo scudo che usava per proteggersi.
"Il fidanzato numero due è arrivato" disse Wena. "La vuoi? Avanti, lancia quel dardo, vediamo se la tua mira è buona."
"Oren, scappa" gridò Joyce. "Ti ucciderà."
"Puoi scommetterci, bellezza" disse Wena. "Almeno ridurrò un po' la lista. Dovresti ringraziarmi."
Oren ripose la balestra ed estrasse la spada, quindi alzò lo scudo e si lanciò di corsa verso di loro.
"Questo sì che è vero amore" esclamò Wena divertita.
Joyce venne scagliata via da Wena e atterrò sul fianco.
La strega sollevò le braccia ed esplose i dardi in rapida sequenza. Tutti centrarono il bersaglio, infrangendosi sullo scudo.
Oren continuò ad avanzare, la spada che roteava in tutte le direzioni.
Wena lo attese e scartò di lato all'ultimo momento.
Oren la seguì con lo sguardo e si voltò, parando un altra coppia di dardi lanciati dalla strega con lo scudo sollevato.
Il contraccolpo lo fece indietreggiare.
Wena si lanciò contro di lui e lo colpì con un calcio, mandandolo al tappeto.
Joyce ne approfittò per balzarle sulla schiena. Lottarono per qualche secondo, poi Wena le afferrò le braccia e la scagliò lontano.
Joyce atterrò sulla schiena gridando per il dolore.
Oren sollevò la balestra e scagliò il dardo, che si conficcò nella spalla sinistra di Wena.
La strega gridò per il dolore, alzò il braccio e colpì Oren con un raggio magico.
Lui alzò lo scudo e deviò il raggio, che colpì il soffitto, facendolo esplodere. Grandi massi squadrati si staccarono precipitando verso il basso.
Oren alzò lo scudo prima di essere investito da quella pioggia.
 
"No" gridò Joyce quando lo vide sepolto dai massi.
Wena aveva ancora il dardo conficcato nella spalla e guardava soddisfatta le macerie.
Joyce evocò i dardi magici uno per mano e li scagliò contro la strega.
Lei sollevò lo scudo magico e li deviò. "Tiri fuori gli artigli per difendere il tuo uomo? Così mi piaci."
"Maledetta" gridò Joyce tempestandola di colpi. Ogni dardo spingeva Wena verso la parete di mattoni senza darle il tempo di reagire. La strega doveva essere esausta per la battaglia e la ferita alla spalla.
Joyce esplose l'ennesimo dardo e poi la colpì con il raggio magico.
Wena si piegò sulle gambe mentre cercava di resistere a quella furia. Infine lo scudo cedette e venne scagliata contro il muro, rimbalzando a terra.
Joyce corse verso di lei, il dardo già pronto a colpirla.
"Avanti" disse Wena sollevano la testa a fatica, un rivolo di sangue che le colava dall'angolo della bocca. "Fallo."
Joyce le puntò il dardo verso il viso. Da quella distanza non avrebbe mancato il bersaglio.
"Non c'è l'hai il coraggio di finirmi, mostro? Avanti" la incitò la strega.
Joyce respirò a fondo, poi annullò il dardo e si voltò. Corse verso il fondo della sala, dove Oren era ancora sepolto sotto quintali di pietre. Cercò di spingerne via una, ma non ci riuscì. Era troppo pesante per lei.
Riusciva a intravedere solo una gamba e un braccio sotto le pietre.
"Oren" gridò. "Di' qualcosa, ti prego."
Wena si rialzò e si diresse barcollando verso il portale, poi sembrò ripensarci e si chinò verso la spada di Oren, la prese e si avvicinò a Joyce, ancora piegata sulle macerie.
"Sai che ti dico? Che vada agli inferi Malag" disse Wena alzando la spada sopra la testa. "Io ti..."
Non ebbe il tempo di finire la frase. Due dardi le aprirono altrettanti fori nel petto. La strega ricadde al suolo, gli occhi spalancati e senza vita.
"La dovevi portare da Malag, non ucciderla" disse Rancey. "Erano questi gli ordini." Si chinò verso Joyce e l'afferrò per la spalla.
"No" gridò lei cercando di opporsi. "Non posso lasciarlo qui."
"Andiamo" gridò lui sollevandola quasi di peso.
"Ti prego, farò tutto quello che vuoi, andrò dove vuoi, ma aiutami a salvarlo" lo implorò mentre la trascinava verso il portale ancora aperto.
Rancey la stava per scaraventare verso la luce pulsante, quando dal fondo della sala giunse un grido.
"Rancey."
Joyce si voltò e vide sua sorella Bryce in piedi sotto uno degli archi di pietra. Perdeva sangue da almeno tre ferite e si teneva un braccio, ma era viva.
"Troppo tardi" disse Rancey lanciandola verso la luce pulsante.
Joyce vide sua sorella scattare in avanti come una furia e Rancey prepararsi per riceverla e poi tutto scomparve.
Precipitò per quella che le sembrò un eternità.
Non fu come le volte precedenti e la transizione le sembrò durare diversi minuti. Durante tutto il tempo galleggiò in un lucore biancastro, con solo i suoi pensieri a tenerle compagnia.
Immagini le passarono davanti. Catene montuose imponenti, deserti solcati da dune, vaste distese di ghiaccio che si perdevano all'orizzonte, una torre che svettava verso il cielo e poi caverne con strani macchinari che emettevano sbuffi di vapore.
Poi le immagini scomparvero e si ritrovò a precipitare.
L'impatto improvviso col suolo la fece gridare di dolore e stupore. Respirò polvere e sabbia che le si infilarono nel naso e nella gola.
Tossì rannicchiata su di un pavimento di roccia durra e fredda, gli occhi chiusi.
Quando li riaprì si accorse di essere immersa nel buio. Si aspettava di veder apparire da un momento all'altro Rancey o sua sorella. O Malag o Vyncent. Chiunque, ma non Oren.
L'aveva lasciato sepolto sotto migliaia di pietre, senza sapere se fosse vivo o morto.
Dei vi prego, fate che sia ancora vivo, pensò. A quel pensiero scoppiò in un pianto dirotto. Restò a lungo distesa sulla pietra a singhiozzare e a maledirsi di non aver fatto di più per lui. Se lo avesse aiutato prima, ora forse sarebbe vivo...
Quando le fu chiaro che nessuno sarebbe emerso da un altro portale per portarla via da quel posto, si mise a sedere.
Indossava ancora il suo bel vestito nuziale, ma era rovinato dagli strappi e dalla caduta. La corona di fiori intrecciati era scomparsa e si era liberata dello strascico quando ancora si trovava nella navata del tempio.
I suoi capelli dovevano essere un disastro e sentiva il trucco che le colava sul viso per le lacrime e per il sudore.
Lì dentro il calore era quasi insopportabile. Le sembrava di essere in un forno.
Si strappò di dosso gli strati più superficiali del vestito, restando con gli indumenti intimi e poco altro.
Non sapendo cosa farsene lo gettò in un angolo.
Evocò un globo luminoso per guardarsi attorno. Era in una sala ottagonale. Pareti di solidi mattoni di pietra la circondavano da ogni lato. C'era una sola uscita che dava su di un corridoio.
Anche se era esausta non intendeva rimanere lì dentro un minuto di più. Forse Bryce e gli altri la stavano cercando.
Doveva trovare una via d'uscita da quel posto. Si rimise in piedi e uscì dalla sala. Il corridoio procedeva dritto e in salita. Non essendoci altra strada da seguire si avviò nella stessa direzione.
Durante il cammino si imbatté in molte altre sale ottagonali, quasi tutte spoglie. In una c'era un altare e in un'altra quello che sembrava un sarcofago scoperchiato, ma non osò indagare.
In una sala più ampia al centro vi era la statua di una donna che era crollata chissà quanto tempo prima. Il volto era a malapena riconoscibile e i caratteri le sembrarono strani: erano più marcati di quelli a cui era abituata, con labbra carnose e zigomi alti. E gli occhi non erano rotondi ma obliqui.
Che posto era quello? E a che popolo apparteneva la donna raffigurata?
Joyce non ne aveva idea e non le interessava più di tanto.
Proseguì fino a raggiungere un'ampia grotta il cui soffitto era sorretto da un colonnato scolpito nella roccia viva. Tra una colonna e l'altra c'erano numerose statue che raffiguravano donne, bambini, mostri dotati di zanne e corna e animali. Quella più strana raffigurava un essere umano dalla cui testa spuntavano delle corna simili a quelle di un toro.
Joyce sapeva che i popoli antichi adoravano divinità per metà umane e metà animali, ma quei culti erano quasi tutti scomparsi a Valonde e nel grande continente. Le uniche tracce che restavano si trovavano nei libri.
Attraversò il colonnato dirigendosi verso l'unica fonte di luce. Mentre procedeva sentiva il calore aumentare, come se si stesse avvicinando alla sua fonte.
L'entrata era sormontata da un arco alto trenta metri scavato nella roccia. La luce del sole l'abbagliò per qualche istante mentre metteva i piedi fuori dalla grotta.
Quando gli occhi si abituarono alla luce intensa, vide la sabbia che si estendeva in tutte le direzioni, le dune modellate dal vento e il cielo azzurro e limpido, senza una nuvola.
Non c'era altro da vedere.
Soltanto sabbia in ogni direzione.
Non esisteva un luogo simile a Valonde né nel grande continente. Non era a casa. Non era nemmeno vicina a casa. Il portale stavolta l'aveva portata chissà dove.
Nessuno sarebbe mai venuta a cercarla in quel posto. Né Vyncent, né Bryce, ne suo padre. Né tantomeno Oren, che in quel momento poteva anche essere morto.
Era sola come mai prima di allora.
 
***

"Siamo così vicini" disse Lindisa.
Galef la strinse a sé. Da giorni dormivano in una tenda spoglia, priva di qualsiasi comodità. L'oro che si erano portati dietro era quasi finito e tra poco avrebbero dovuto vendere i pochi gioielli di lei per sopravvivere.
Però non gli importava. Ciò che contava davvero era che fossero insieme, anche se Lindisa non era d'accordo.
"Dobbiamo separarci" disse la ragazza una mattina. "Tu andrai a Varduhi, io a Mar Qwara."
"Perché proprio lì?"
"Nazihf" disse lei.
"Devo venire con te."
"No."
"È per via degli albini. Sono inaffidabili. Persino mio padre non si fidava a trattare con loro per l'alleanza."
"Gli albini non saranno un problema."
"Lindi..."
"Gal, tu devi trovare la chiave. Senza la chiave sarà stato tutto inutile."
"Non so da dove cominciare."
"Inizia dalle cose semplici, ne abbiamo già parlato."
"Ci ho provato, ma non ci riesco. Quei versi continuano a essere un enigma per me."
"Allora trova qualcuno che li traduca. All'accademia dovresti riuscirci. Lì è pieno di eruditi che saranno ben felici di aiutarti."
"Finché non scopriranno 'cosa' stanno traducendo."
Lei gli rivolse un sorriso affabile. "E allora tu non farglielo capire."
Così si erano separati. Lei si era diretta verso il deserto, lui aveva proseguito lungo la costa e poi, arrivato al delta di un grande fiume, aveva deviato verso l'interno.
Varduhi era una grande città fortificata che sorgeva su uno degli isolotti che formavano il delta.
Usò parte dei pochi soldi che gli erano rimasti per corrompere una guardia ed entrare nella città, altrimenti vietata agli stranieri.
Girando per le vie anguste e fangose scoprì che molti parlavano della guerra che gli stregoni stavano combattendo contro Malag. Anche se il circolo di Verduhi non si era schierato, molti temevano che prima o poi sarebbe accaduto.
In una locanda dove aveva preso alloggio seppe da un avventore che Malag era stato sconfitto e costretto a ritirarsi da qualche parte sul vecchio continente, dove stava preparando la sua riscossa.
Al tempo stesso l'alleanza guidata da Valonde aveva radunato una flotta e aveva solcato il mare delle tempeste, sbarcando sulle coste orientali del continente per abbattere una volta per tutte l'arcistregone.
Questo rinfrancò Galef. Se Malag era così in difficoltà, forse la guerra sarebbe finita presto e lui sarebbe potuto tornare a casa. Lui e Lindisa non avrebbero dovuto continuare quella folle impresa.
Suo padre l'avrebbe mai perdonato per la sua diserzione? Non ne aveva idea, ma poteva sempre provare a chiedere la sua clemenza. In fondo non aveva ucciso né tradito nessuno e non si era schierato con Malag e i suoi accoliti.
Uno degli avventori era in vena di chiacchiere quella sera. Era appena sbarcato da una nave proveniente dal grande continente e aveva storie fresche da raccontare.
"Dicono che la strega suprema abbia affrontato Malag in un duello magico insieme al suo compagno, lo stregone dai capelli dorati."
Di chi stavano parlando?
"Lo hanno quasi ucciso, ma lui si è trasformato in un falco ed è volato via."
Quella frase aveva sollevato parecchie risate. Quando si erano calmate il marinaio aveva aggiunto: "In un porto ho sentito che Londolin è stata distrutta. Completamente rasa al suolo."
Quella storia l'aveva già sentita altrove. Era molto dispiaciuto per quello che era successo. Vyncent era di quelle parti. Loro due non erano mai diventati amici, anche se avevano combattuto insieme in un paio di scontri.
Piaceva a sua sorella Joyce. E anche a Bryce, anche se lei non l'avrebbe mai ammesso.
Ricordare la piccola Joyce e la combattiva Bryce gli provocò una fitta dolorosa allo stomaco.
"Raccontaci qualcosa di divertente" disse un avventore. Le notizie provenienti da Londolin avevano messo di cattivo umore un po' tutti.
"Divertente?" chiese il marinaio con voce impastata. Galef aveva contato almeno quattro boccali di birra trangugiati dall'uomo. "Quando sentirete questa morirete dal ridere. Pare che la figlia di un re dovesse sposare un certo principe di Valork o Tardos o qualcosa del genere, ma il giorno del matrimonio la ragazza ha sputato in faccia al suo promesso sposo, ha affondato una nave ed è fuggita con un cavaliere che le faceva da scorta. Tutto in un solo giorno. Ora in tutti i porti la chiamano la furia scarlatta."
Quell'ultima frase fece scoppiare delle risate fragorose.
"Alla furia scarlatta" disse uno degli avventori sollevando un boccale pieno di vino.
"Alla furia scarlatta" disse un altro.
Galef non prestava mai ascolto alle chiacchiere dei marinai ma quel racconto lo incuriosì. Si domandò quanto fosse vero e quanto inventato in quella storia.
Però era divertente e brindò anche lui alla furia scarlatta, chiunque fosse.
La mattina dopo si mise alla ricerca dell'accademia di Varduhi. Trovò il complesso dopo qualche ora di ricerca.
Ciò che restava dell'accademia era un singolo edificio diroccato. Mura perimetrali contenevano un giardino devastato dall'incuria dove cresceva una piccola foresta fatta di una enorme varietà di alberi, molti dei quali erano stati portati lì da tutto il continente. Riconobbe persino delle piante che crescevano a Valonde.
Si inoltrò nel bosco uscendone a ridosso dell'edificio. 
Da vicino sembrava messo anche peggio. Le pareti non erano solo scrostate ma divorate dal tempo e dall'incuria vaste sezioni erano crollate rivelando l'interno. Riconobbe aule con i banchi disposti a formare un semicerchio attorno alla cattedra rialzata, i dormitori ormai vuoti e i corridoi silenziosi.
Un uomo vestito con una tunica azzurra si avvicinò. "Che cosa cerchi?"
Galef cercò di nascondere la sua sorpresa. "Aiuto per una traduzione."
"Non non ne troverai" rispose l'uomo. "Ormai non c'è più nessuno qui. L'accademia è in declino da un secolo ormai."
"Cos'è successo?"
"Varduhi ha perso importanza" spiegò l'uomo. "E con essa sono diminuiti i traffici e i visitatori. L'accademia ne ha risentito così tanto che è stata abbandonata prima dagli allievi e poi dai docenti."
"E dove sono andati?"
L'uomo scrollò le spalle. "Luska, principalmente. Ma anche Naragzar, Lendoras e altri posti che non ricordo."
Galef non aveva mai sentito parlare di quei luoghi, tranne il primo. "Luska è molto lontana?"
"Cinquecento miglia verso nord."
"Tu vivi qui?"
"Mi chiamo Boghos e sono il custode. Ma come vedi non c'è molto da custodire, solo macerie e sassi."
"E avete libri?"
Boghos si accigliò. "Nella biblioteca ci sono ancora dei volumi."
"Vorrei consultarli."
"Posso chiederti perché?"
Se te lo dico poi dovrei ucciderti. "Sono alla ricerca di antichi testi."
"Quanto antichi?"
"I più antichi in assoluto."
Boghos annuì. "Sei un erudito?"
"Una specie."
"Posso farti consultare i volumi che vuoi. Qui non viene mai nessuno e un po' di compagnia non mi dispiace. So anche cucinare un'ottima zuppa. Ne vuoi un po' mentre cerchi i tuoi libri?"
Galef annuì. "Mi farà molto piacere assaggiare la tua zuppa, Boghos. A proposito, io mi chiamo Galef."

Come avrete notato di solito non metto note alla fine dei capitoli, ma per questo ho dovuto fare un'eccezione.
Infatti con questo capitolo siamo giunti alla fine di questo magacapitolo. Era così lungo che ho dovuto spezzarlo in tre parti. Se siete arrivati/e fin qui, complimenti: avete terminato la prima parte di Joyce.
Il wordcount si è fermato a circa 160,000 parole, per poco più di 500 pagine dattiloscritte. Mi guardo indietro e mi chiedo come ho fatto a scrivere tutte quelle parole. Poi guardo avanti e vedo che dovrò scriverne altrettante per mettere la parola fine a questa avventura e un po' le mani mi tremano.
Nei miei piani originali, questo evento chiudeva il primo Libro della saga e davo appuntamento a un prossimo Libro II dove leggere il resto della storia. L'idea era di far passare sei o sette mesi prima di proseguire, ma visto che la seconda parte è praticamente già scritta per un terzo, perché farvi aspettare?
Infatti Joyce prosegue nelle sue avventure e già nel prossimo capitolo saprete dove è capitata e cosa l'aspetta: nuovi amici, nuovi luoghi da esplorare, nuovi misteri, nuovi nemici e (forse) nuovi baci in posti improbabili e puzzolenti :)
Detto questo, prima di darvi appuntamento al prossimo capitolo, voglio ringraziare tutti quelli che hanno commentato, quelli che seguono senza postare e quelli che leggono e basta: grazie! Senza di voi non so se andrei avanti. È bello sapere che qualcuno lì fuori sta provando qualcosa leggendo le mie follie preserali e notturne (nella maggior parte dei casi :) ).
Alle prossime 500 pagine!
 
Prossimo Capitolo Martedì 17 Ottobre

 
  
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