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Autore: Betta7    15/10/2017    8 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 20.
CASETTA FUORI DAL MONDO.


Pov Sana.



Uscii dal bagno poco dopo, mi ero sistemata il trucco e avevo messo a posto il vestito. Mi guardai allo specchio: all'esterno tutto sembrava uguale, esattamente com'era prima che io varcassi quella porta, ma dentro ero in tempesta. Tutto mi sembrava assurdo, in mano a un destino che si divertiva a giocare con me.
Tornai al mio posto, sperando che nessuno notasse la tempistica della nostra uscita dal bagno; non avrei sopportato le battute o le insistenti allusioni degli altri ospiti sulla mia vita privata, resa già abbastanza pubblica dal mondo che mi circondava.
Mi accorsi che anche Akito era tornato al suo tavolo, strategicamente lontano dal mio, e solamente quando lo vidi alzarsi, prendere in mano una forchetta e avvicinarla al bicchiere, mi misi in piedi anch'io.
Il suo sguardo mi bloccò sul posto, poi il suo viso si rilassò e tornò a sedersi, capendo che avrei fatto io il brindisi al posto suo. Se non potevo renderlo felice potevo almeno salvarlo da quel discorso che sapevo sarebbe stato una tortura per lui.
“Sarò breve.” Iniziai. “Conosco Tsuyoshi e Aya da... praticamente tutta la mia vita. Devo dire che ho anche un po’ contribuito a formare questa coppia e per questo voglio prendermi il merito come personale Cupido.” Guardai la mia migliore amica che mi rivolse uno sguardo di complicità, sorridendomi.
“Scherzi a parte... scegliere la persona con cui decidiamo di passare il resto della nostra vita è una delle cose che più influenzerà il nostro futuro.”
Trovai gli occhi di Akito e mi concentrai su di lui, fissandolo insistentemente e profondamente, perché sapesse che non mi riferivo ad Aya e Tsu.
“Possiamo scegliere male, e rendere la nostra vita un inferno. Distruggerci fisicamente e psicologicamente a causa di questa scelta per poi rinascere quando decidiamo di abbandonare per sempre quel rapporto che può solo causarci dolore. Oppure possiamo scegliere bene, con cura, come se da quell’unica scelta ne dipendesse la nostra esistenza, e in realtà è così e lo sappiamo bene, e cercare la nostra anima gemella. Quella persona che ti completa, ti tiene stretta a se ma allo stesso tempo ti rende libera. Quella persona che sarà la tua compagna di vita.
A volte le scelte vengono date per scontate, ma non è così difficile prendere delle brutte decisioni. E io lo so bene...” . Mi bloccai per prendere fiato e spostai lo sguardo verso la sala, in silenzio e sconvolta dalle mie parole.
“Ciò che sto cercando di dire è che... che non è importante prendere delle giuste o sbagliate decisioni. L’unica cosa importante è trovare la persona che, anche se ne prenderai delle pessime, sarà sempre lì per te.
E io sono certa che sia Aya che Tsuyoshi saranno in grado di fare tutto questo, perché l’amore vero si riconosce a prima vista e il loro, credetemi, lo è.”
Alzai il calice verso gli sposi. “Ad Aya e Tsuyoshi.”
“Ad Aya e Tsuyoshi!” Ripeterono tutti dopo di me.
Rivolsi nuovamente lo sguardo verso
Akito. Se uno sguardo avesse potuto uccidermi, il suo lo avrebbe fatto sicuramente.
Volevo solo che capisse. Che mi comprendesse. E che mi lasciasse andare per sempre...
per il suo bene.

Pov Akito.
 

“Akito ma si puó sapere cosa cavolo stai cercando?”
Natsumi non si era ancora decisa a lasciarmi in pace, mi assillava tutti i giorni tutto il giorno dal matrimonio di Aya e Tsuyoshi, perché temeva che avrei avuto un crollo nervoso e avrei cominciato a distruggere casa da un momento all’altro.
In realtà la tentazione quella sera era stata tanta, sia durante che dopo la festa, ma mi ero contenuto principalmente perché non avrei potuto rovinare la serata a Tsu.
“Sto cercando la maledetta relazione sul progetto che ho fatto ad Osaka ma, ovviamente, l’avrò lasciata da Sana. Di nuovo.”
Mi sembrava di vivere un incubo che si ripeteva ancora e ancora, senza possibilità di scampo. Era un circolo vizioso, un cane che si mordeva la coda e quel morso lo sentivo tutto al centro del petto, mi stava dilaniando dall'interno e non riuscivo più a tenere tutto lì, sepolto da mille dolori, problemi, attimi che mi avevano spezzato.
Sarebbe stato facile ripetere lo stesso errore della volta scorsa, andare da Sana e ritrovarci di nuovo faccia a faccia. Ma non volevo. Non ero in grado di sopportare un altro confronto con lei, non dopo quello che era successo al matrimonio.
“Sei costretto ad andare a chiederglielo, lo sai vero?”. Natsumi non era d'aiuto.
“Lo so, Nat. Grazie dell'ovvietà.”
Uscii dalla camera di fretta e furia, presi le chiavi della macchina e lasciai Natsumi in casa con la bambina. Mi serviva quella relazione entro la fine della settimana o il mio professore avrebbe potuto anche non farmi superare il corso.
Arrivai davanti casa di Sana cinque minuti dopo, notai che la macchina non c'era esattamente come l'altra volta ma era molto probabile che il destino si beffasse di me, ancora.
Suonai il campanello più volte, aspettando che lei venisse ad aprirmi ma al quinto tentativo capii che non era in casa. Misi le mani in tasca e tiri fuori le chiavi di casa che ancora conservavo e che la volta prima Sana non aveva voluto indietro. Menomale, almeno avrei potuto evitare l'ennesimo confronto.
La casa era immacolata, come se lì non ci vivesse nessuno, come se Sana fosse solo un fantasma dentro casa. Sapevo come ci si sentiva nell'essere solo un'ombra, a non avere niente.
Il letto era disfatto, e per un secondo davanti ai miei occhi passò l'immagine di quella che era ancora mia moglie tra le braccia di un altro uomo. Ogni pensiero del genere fatto prima che diventasse mia era nulla a confronto. Prima potevo solo immaginare quanto fosse morbida la sua pelle, o i suoi gemiti mentre faceva l'amore, il suo modo delicato di muoversi, o la sua bellezza anche con i capelli scompigliati. Adesso tutto questo era una verità nella mia testa, era concreto, e immaginare che facesse tutto quello con qualcuno che non ero io mi faceva mancare la terra da sotto i piedi.
Svuotai tutti i cassetti della stanza, ma ero sicuro che non fosse lì. Non ricordavo dove l'avevo messo, forse nel mobile del salotto. Percorsi tutto il corridoio e continuai a cercare, premurandomi di lasciare tutto per come l'avevo trovato.
Cercai nei cassetti per almeno dieci minuti finché non trovai la relazione in mezzo a dei fogli pieni di frasi scritte da Sana, che avevo portato con me ad Osaka.
Le lessi tutte, una per una, e per ognuna mi scese una lacrima. Come avevamo potuto lasciare che quel sentimento appassisse così? Non eravamo stati capaci di proteggere il nostro rapporto, forse in parte era anche colpa mia. L'avevo lasciata da sola in un momento importante e delicato come la gravidanza. Forse non ero stato abbastanza attento.
Stavo quasi per distruggere tutti quei messaggi d'amore quando squillò il telefono. D'istinto mi alzai per andare a rispondere, quando arrivai davanti al cordless ricordai che quella non era più casa mia, e soprattutto che io non avrei dovuto essere lì in quel momento.
Presi le mie cose per andarmene ma scattò la segreteria e un po' per la voce di Sana che si propagò nella stanza, un po' per la curiosità di sapere chi stesse chiamando, rimasi lì ad ascoltare.
“Salve signora Hayama.”
Sentire Sana essere chiamata in quel modo mi fece sorridere. Odiava che il suo cognome venisse sminuito solo perché si era sposata.
“Sono la segretaria del dottor Saito. Mi dispiace disturbarla ma ho visto che ha saltato l'appuntamento di controllo e la invito caldamente a fissarne uno nuovo. Inoltre volevo dirle che il nostro studio offre gratuitamente un supporto psicologico per tutte quelle donne che, come lei, hanno subito un aborto, ed è esattamente con la stessa dottoressa con cui ha avuto un colloquio durante la prima visita. Comprendo che la sua situazione sia molto dolorosa e complicata, ma proprio per questo vorrei che accettasse la proposta.” La donna si schiarì la voce. “Richiami signora Hayama. Non è sola nel suo dolore, mi creda. A presto.”
Il messaggio vocale terminò e non appena calò il silenzio la mia testa fu invasa da mille domande.
Perché Sana avrebbe dovuto aver bisogno di un supporto psicologico? Lei stessa mi aveva detto apertamente che era contenta di aver abortito.
Tutte le tessere del puzzle che avevo minuziosamente costruito per odiarla si stavano lentamente distaccando. Non mi era mai stata completamente chiara quella situazione e ora le parole di quella donna mi avevano ulteriormente riempito di dubbi. Che Sana mi avesse mentito? O forse ero solo io che cercavo di giustificarla perché ero ancora innamorato di lei.
Camminai avanti e indietro per quel salotto per ore, attendendo che Sana tornasse a casa. Non potevo andarmene senza avere una spiegazione. Magari era tutto nella mia testa. Magari le sarebbe servito per affrontare le conseguenze fisiche dell'aborto e nostro figlio era solamente l'effetto collaterale del problema. Magari la mia testa stava cominciando a giocarmi brutti scherzi. Magari stavo impazzendo.
“E tu che cavolo ci fai qui?”
La voce di Sana mi colpì alle spalle come un pugno, mi voltai e lei era lì, completamente fradicia a causa del temporale di cui mi accorsi solo in quel momento. Sana buttò delle buste della spesa ai suoi piedi e cominciò a strizzarsi i capelli, aspettando una mia risposta. Ma anche la mia lingua sembrava restia a collaborare.
“Quindi? Akito ti senti bene?” mi incalzò lei, facendo un passo verso di me.
Piazzai le mani in avanti, intimandole di fermarsi, e lei lo fece.
Provai di nuovo a parlare. “Sono...”
Mi leccai le labbra cercando di riattivare la salivazione. “Sono venuto a prendere una cosa che avevo dimenticato...”
“Ancora?” mi interruppe. “Ti avevo detto di chiamarmi se...”
“Sta zitta Sana!” urlai, facendo si che smettesse di parlare. Scattai verso la segreteria e rimasi immobile lì. “Quando stavo per andarmene ha squillato il telefono e, non so perché, sono rimasto ad ascoltare il messaggio.”
“Nessuno ti dava il diritto!” gridò Sana, perciò cercai di sovrastarla con la voce.
“Era la segretaria del tuo dottore! Prima ha insistito perché tu tornassi per un controllo e poi… no, aspetta! Voglio fartelo sentire perché vorrei farti capire come mai sono rimasto così sorpreso!”
Schiacciai il pulsante play e riascoltai il messaggio insieme a lei. Sana non disse nulla per tutto il tempo. Si limitò ad abbassare lo sguardo e ascoltare in silenzio. La guardai attentamente, forse per la prima volta da quando ci eravamo lasciati: aveva le occhiaie e il viso scavato ed era inutile dire quanto fosse dimagrita.
Non sembrava affatto in salute.
Quando il messaggio finì smisi di fissarla e staccai la segreteria.
“Ora, Sana, vuoi spiegarmi perché questa donna sembra così maledettamente preoccupata per te? Perché dovresti avere bisogno di un aiuto psicologico se proprio tu hai gioito quando nostro figlio è morto!”
Sana cominciò a piangere ma cercava in tutti i modi di trattenersi.
“Spiegamelo!” urlai. “Perchè io proprio non ci arrivo!”
“Smettila! Smettila Akito!” urlò di rimando lei. “Vattene!”
Si avventò su di me e tentò di spingermi verso la porta, con scarso successo.
“Non me ne vado Kurata! Stavolta non puoi cacciarmi! Voglio sapere la verità!” dissi bloccandole i polsi all'altezza del viso.
“Non c'è nessuna verità!” disse strattonando le braccia in modo che la lasciassi. Fece un passo indietro.
“Forse la segretaria avrà pensato di farlo per poi vendere la storia ai giornali.”
“Oh! Andiamo Sana! Se avesse voluto guadagnare su questo scoop lo avrebbe già fatto!”
“Cosa vuoi che ti dica Akito? Cosa vuoi sentire? Dimmelo così possiamo farla finita!”
La guardai negli occhi e in un attimo capii che stava recitando. Come avevo fatto a non rendermene conto prima? Ero stato così cieco. “Voglio che tu mi dica la verità!”
“Non c'è niente da dire! Posso ancora confermarti di non volere figli...”
“Non ci credo!”
“… di aver odiato l'idea di aspettare un bambino.”
La voce di Sana si ruppe improvvisamente e una lacrima le scese sulla guancia sinistra.
“Non ci credo!” urlai.
“… e di essermi sentita sollevata quando ho scoperto di aver abortito!”
“Non ci credo!” ripetei urlando disperato per la terza volta.
Feci un lungo passo avanti e, non riuscendo più a trattenermi mi avventai sulle sue labbra come se fossero state la mia unica fonte di ossigeno. Le baciai le lacrime e in quel momento non mi importò più di nulla. Avevo solo bisogno di sentirla vicina. Avevo solo bisogno di respirare insieme a lei. Avevo bisogno di lei.
Sana non si allontanò, anzi mi saltò al collo cingendomi la vita con le gambe. Mentre continuavo a baciarla la spinsi contro il muro così da poterla spogliare nel frattempo. Il contatto con la sua pelle nuda mi diede alla testa e, mentre lei armeggiava con la mia cintura io le tolsi il reggiseno, lanciandolo chissà dove in salotto. Mi allontanai dal muro e mi fiondai sul divano. Non potevo più aspettare, dovevo entrare dentro di lei o il cuore avrebbe potuto scoppiarmi nel petto.
Non aspettai nemmeno di essermi liberato del tutto dei boxer: la penetrai con un affondo deciso e in quel preciso istante immaginai la solitudine di una vita senza di lei.
Sana capovolse le posizioni e vederla sopra di me, ondeggiante, con i capelli spettinati per i continui strattoni e gli occhi chiusi per il piacere, per poco non mi fece perdere il controllo.
Le toccai il seno con urgenza e Sana aumentò il ritmo dei movimenti.
“Ti prego, guardami.” dissi ansimando.
Sana aprì gli occhi immediatamente e lì capii davvero: forse la sua testa le imponeva di non dirmi nulla, ma quelle pietre nocciola urlavano tutt'altro.
“A… Aki!”
Sana si morse il labbro inferiore per trattenere i gemiti e di nuovo chiuse forte gli occhi. Mi alzai per baciarla, la morsi e succhiai le sue labbra ancora e ancora finché non diventarono rosse e gonfie.
Avrei dovuto essere pazzo per non innamorarmi di Sana.
I nostri occhi si unirono a fissare in basso, in quel punto di congiunzione che ci teneva legati e sembravamo ipnotizzati da quel movimento.
Emisi un gemito e poi distolsi lo sguardo, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Sana affondò le unghie nelle mie spalle e non appena la sfiorai leggermente sentii che il suo corpo tremava.
Era così bello guardarla che anche la mia eccitazione crebbe improvvisamente sempre di più ed entrambi crollammo, vinti da quel piacere che solo l'un l'altro sapevamo darci.



*

Un fastidioso raggio di sole mi svegliò improvvisamente e mi ci vollero almeno dieci secondi per rendermi conto di dove fossi e cosa fosse successo. Sana dormiva ancora appoggiata sul mio petto, una ciocca di capelli le copriva l'occhio sinistro perciò la spostai per guardarla meglio.
Sembrava così tranquilla, così in pace. Respirava così lentamente che per un attimo mi sembrò di non sentirne più il fiato.
Le accarezzai piano la schiena nuda per qualche minuto prima che anche lei si svegliasse. Strizzò gli occhi per cercare di abituarsi alla luce e poi prese fiato alzandosi leggermente.
“Buongiorno...” dissi avvicinandomi per baciarla.
Sana scostò il viso in modo che le mie labbra toccassero la sua guancia.
“Buongiorno.” ripetè lei, alzandosi del tutto e cercando con lo sguardo i suoi vestiti.
Raccolse la biancheria e la infilò.
“Dovresti andare.”
“Non farlo, Sana.” dissi, bloccandola prima che si mettesse in piedi. “Parlami. Perché non vuoi fidarti di me?”
“Ci risiamo, eh? Senti Akito… tutto questo è stato un errore. Non avremmo dovuto, stiamo divorziando. Soffriremmo di più.”
Afferrai i miei boxer e, dopo averli infilati, balzai in piedi davanti a lei.
“Perchè vuoi divorziare? E non dirmi che non mi ami più perchè chiaramente non è così! Perché stai male? Non puoi continuare a cacciarmi via come se io non ti conoscessi! Perché dovresti vedere una psicologa se la tua vita è perfetta così com'è? Io non me ne andrò finché non avrai risposto a tutte queste domande!”
Sana cominciò di nuovo a singhiozzare. “Akito, vattene finché sei in tempo!”. Si alzò dal divano improvvisamente e prese a passarsi le mani tra i capelli, come impazzita. “Tu non vuoi rimanere bloccato con me per sempre!”
Ero esasperato. “Smettila di decidere per me! Non è una tua scelta! E' la mia! Quindi ora dimmi la verità o giuro su Dio che non metteremo mai più piede fuori da questa casa!” urlai tutto d'un fiato, sperando che la finisse una buona volta di trattarmi come un bambino.
Il corpo di Sana crollò improvvisamente mentre veniva scosso dalle lacrime.
Mi gettai per terra accanto a lei.
“Io non posso più avere figli.”
Stavo quasi per urlare che lo sapevo già ma lei continuò a parlare.
“E non intendo emotivamente o psicologicamente. Il mio corpo non è in grado di portare a termine una gravidanza.” Prese fiato e poi continuò. “Volevo dirtelo… ma poi ho ripensato a quando mi hai raccontato tutte le tue fantasie sulla famiglia che avresti voluto e io… io non potevo farti questo. Sapevo che saresti rimasto con me in qualsiasi caso, quindi ho inventato tutte quelle bugie sul non voler più figli per la carriera. Pensavo che sarebbe stato più facile per te odiarmi invece che rimanere con me ed essere costretto ad un matrimonio senza senso.”
La bloccai non appena quelle parole assurde uscirono dalla sua bocca.
“Senza senso? Sana ma io non ho bisogno di un figlio per trovare un senso a questo matrimonio. Io ti amo!”
“E non dovresti, Akito! Ci sono migliaia di ragazze al mondo che possono renderti felice, che possono darti la famiglia che hai sempre desiderato.”
Le presi il viso tra le mani e asciugai le sue lacrime.
“Tu sei la mia famiglia, Kurata. Come hai fatto anche solo a pensare che io sarei potuto andare avanti con la mia vita senza di te?”
Sana fece un respiro profondo e abbassò lo sguardo. Odiavo che si vergognasse di se, odiavo che non riuscisse a percepire quanto la amavo e quanto poco mi importava di tutto quello che mi aveva appena detto.
“Ti rovinerai la vita, Akito.” sussurrò lei.
“L'unico modo in cui potrei rovinarmi la vita è perderti.”
Mi ritrovai a piangere anch'io senza rendermene conto, non che non mi dispiacesse rinunciare al progetto di una famiglia numerosa, ma avrei perso molto di più se avessi lasciato andare l'amore della mia vita.
Piangemmo abbracciati per un tempo che mi sembrò infinito, forse non era da me ma l'unica cosa che mi importava in quel momento era averla di nuovo con me.
Il resto era solo un dettaglio.



Pov Sana.


Raccontare tutto ad Akito era stata la cosa più difficile che avessi mai fatto. Mi guardava implorandomi di non lasciarlo all'uscuro, di non farlo soffrire ancora e non ce l'avevo fatta. Se aveva continuato a lottare per me, per la nostra storia, doveva pur significare qualcosa. E quel qualcosa era che io e Akito non eravamo in grado di stare lontani.
Non sapevo se la cosa fosse positiva o negativa, se il nostro amore ci avrebbe distrutto più di quanto non avesse già fatto ma ero certa che non ci sarebbe stato luogo o tempo in cui io e Akito avremmo smesso di amarci.
Sarebbe stato facile per lui odiarmi, mettermi in un remoto cassetto della sua mente ed etichettarmi come la donna che gli aveva fatto perdere fiducia nell’amore, eppure aveva fatto l’unica cosa che io, stupidamente, non ero riuscita a fare: lottare.
Dopo avergli detto la verità avevamo passato un paio di giorni chiusi in casa. Un po’ per recuperare il tempo perduto, un po’ perché l’idea di mettere piedi fuori, nella nuova realtà che si era creata attorno alle nostre vite, un po’ ci spaventava. Io, almeno, ero terrorizzata. Era come se mi fossi abituata al pensiero che la felicità non avrebbe più bussato alla mia porta che il solo immaginare di dovermi di nuovo immaginate come una donna sposata a tutti gli effetti mi aveva messo un po’ d’ansia.
Akito era andato a casa sua per prendere un po’ della sua roba, non avevamo ancora discusso sul ritornare a vivere sotto lo stesso tetto ma sapevo che lui aspettava solo una mia parola. Volevo davvero tornare alla normalità, ma temevo che una volta compiuto quel passo la nostra vita potesse risentirne. E se ad Akito fosse piaciuta di più la versione della sua vita senza di me? Mettendo da parte il dolore per la mia perdita, forse lui era stato felice senza di me e raccontandogli tutto lo avevo semplicemente costretto a tornare con me.
“Kurata sento i tuoi pensieri da qui.”
La sua voce mi piombó addosso, pensavo avrebbe impiegato più tempo ad andare e tornare.
Gli feci un sorriso quando passó accanto a me per andare verso la cucina. “Devi smetterla di pensare e ripensare. Non so dove trovi tutte queste energie.” Sorride sornione. “Io le mie le spreco tutte in camera da letto.” Concluse.
“Vorrei ricordarti, caro Akito...” mi alzai dal divano e mi avvicinai a lui, imprigionandolo davanti al bancone come avrebbe fatto lui a parti inverse. “.. che io sono una donna. E si sa che, a differenza di voi uomini, noi sappiamo fare più cose contemporaneamente.”
Akito sorrise e mi prese le mani portandosele sul petto. Il cuore gli batteva forte e sapevo che avrebbe potuto strapparselo per darlo a me. Si voltò di scatto e mi baciò.
Assaporai le sue labbra che sapevano di menta e subito dopo la sua pelle ruvida, per l'accenno di barba che portava da poco, e calda come se stesse andando in auto-combustione, mentre mi facevo strada verso il suo orecchio.
Lo desideravo da morire. Volevo sentirlo di nuovo, come prima, prima di tutto quel dramma, prima che il nostro rapporto avesse preso la strada verso il capolinea.
Volevo tornare ad essere il centro del suo mondo proprio come lui era sempre stato il mio.
Mentre approfondivamo il nostro contatto mi sembrò di essere tornata a casa dopo un lungo viaggio.
Akito mi pese per la vita, io allacciai le gambe ai suoi fianchi e mi portò verso il tavolo della cucina, spostò con una mano tutto quello che c'era sopra (non avevo idea di cose fosse rovinosamente caduto per terra) e da quel momento tutto diventò amore.
Ci spogliammo senza neanche rendercene conto e i nostri vestiti si ritrovarono sul pavimento insieme a tutto il resto.
Lo guardai intensamente, era bello da rischiare di morire mentre mi attirava a se' con fare sensuale, passandomi una mano sulla schiena.
“Tu mi vuoi morto.” sussurrò prima di avventarsi nuovamente sulla mia bocca in un bacio disperato. Sorrisi mentre inalavo il suo profumo con tutta la forza che avevo in corpo.
“Io ti voglio e basta.” dissi mentre lui entrava dentro di me e il suo respiro diventava sempre più corto.
Era così bello e immenso quello che provavo ogni volta che Akito e io facevamo l'amore.
Lui baciav le mie labbra insieme alle mie paure e proprio per quello lo amavo così profondamente che quasi mi faceva male.
E sapevo che era lo stesso per lui.


*


Parlammo con le nostre famiglie e i nostri amici qualche giorno dopo e, ovviamente, furono molto felici di vederci di nuovo sereni.
Avevamo organizzato una cena con tutti, Kaori non faceva altro che rincorrere Akito mentre lui cercava di intavolare una discussione normale con Gomi e Tsuyoshi. Fuka avrebbe dovuto invitare anche Takaishi ma il loro oscillante rapporto le aveva messo qualche dubbio e non potevo darle torto viste le ultime novità che mi aveva raccontato mentre mettevo i piatti nella lavastoviglie.
Noi ragazze ce ne stavamo in cucina mentre io sistemavo ad ascoltare le storie di Fuka e nessuna, nemmeno Aya, mi aveva chiesto nulla della vera motivazione per cui io e Akito ci eravamo lasciati. Sapevo che Natsumi ne era a conoscenza perché lo stesso Akito gliel'aveva raccontato e lei continuaca a guardarmi come per incitarmi a parlarne. Mentre loro discutevamo improvvisamente mi fermai e lo dissi.
“Ho perso un bambino.”
Il silenzio calò di colpo e le mie amiche mi rivolsero uno sguardo sconvolto.
Aya fu la prima a parlare. “In… in che senso, scusa?”
Abbassai lo sguardo e continuai a pulire una macchia che non voleva andare via da una maledetta padella. Fuka mi tolse tutto dalle mani bruscamente. “Adesso tu ti siedi e ci racconti che diavolo è successo.”
Feci come mi aveva ordinato e presi posto mentre anche loro si sedevano di fronte a me, come la giuria di un tribunale.
“In realtà era una bambina.” proseguii. Fuka si passò una mano tra i capelli, sconvolta.
“Adesso capisco tutto il discorso del non volere figli...” sussurrò Fuka.
“Già...” sospirai guardando i loro volti sorpresi. Natsumi mi sorrise per incoraggiarmi a continuare.
“Mi dispiace non avervelo detto prima, ma affrontare la cosa senza Akito era stato già abbastanza difficile… non volevo mettervi nella posizione di dovermi aiutare.”
“Non potevi fare errore più grande.”
Guardai Aya che mi rivolse lo sguardo più triste che avessi mai visto e poi versò qualche lacrime. Gli raccontai il resto e loro rimasero ad ascoltarmi con tranquillità. Fuka e Aya non batterono ciglio da quel momento in poi, Aya invece mi sembrava quella più provata. Quando gli avevo detto tutto ci guardammo a lungo. Le mie amiche mi erano state accanto per tutta la mia vita e io le avevo tenute all'oscuro della parte forse più importante di essa.
“Mi dispiace ragazze. So che avrei dovuto dirvelo… non ho giustificazioni.”
Mi abbracciarono tutte, Aya per ultima.
Mentre mi abbracciava pianse, forse per la mia bambina, forse perché le dispiaceva non essermi stata vicina quando ne avevo avuto bisogno, come ero certa che avrebbe fatto.



Pov Akito.

Sana stava finendo di sistemare la cucina quindi salutai di nuovo mia sorella e Kaori dalla finestra e andai da lei per darle una mano. Dopo mesi mi era sembrato di essere tornato alla normalità: la cena era andata bene e raccontare ai miei amici la verità era stato piuttosto semplice nonché liberatorio.
Entrai in cucina e trovai Sana che metteva a posto i piatti nella credenza perciò glieli presi dalle mani ed evitai che si alzasse sulle punte per qualcosa che a me non costava nessuna fatica.
Aveva uno sguardo triste, preoccupato… non era quello il modo in cui avrebbe dovuto sentirsi dopo quella cena.
“C'è qualcosa che non va?”. Mi avvicinai di nuovo a lei che nel frattempo era alle prese con gli avanzi da mettere in frigo.
Non rispose inizialmente perciò insistei. “Dovrai dirmelo o stanotte dormirai sul divano.” la provocai. Mi sorrise debolmente.
“Sai che questa frase è una prerogativa femminile?”
Mi posizionai alle sue spalle e la passai le mani sulla schiena, sentendola rabbrividire. “Non resisteresti una notte intera senza di me.”
“Presuntuoso.”. Mi fece una linguaccia e tornò ad occuparsi di ciò che stava facendo, pensando che avrei evitato l'argomento.
“Aspetto una risposta. Cosa è successo, Kurata?”
Sana mi guardò con aria sconfitta e poi cominciò a parlare.
“Credo che Aya non abbia preso bene il fatto che non le ho detto di… della bambina.”
Annuii, comprendendo le ragioni di Aya meglio di chiunque altro. Si era sentita tradita, sicuramente esclusa dalla vita della sua migliore amica, come se non meritasse di sapere.
“Puoi biasimarla? E' la tua migliore amica e tu sei sparita per cinque mesi.”
“Sento del risentimento nelle tue parole, o sbaglio?” disse Sana sorridendo. Ricambiai il sorriso e poi la tirai verso di me, abbracciandola.
“Quello che cerco di dire è che… devi darle del tempo. Avrebbe voluto aiutarti e tu non gliel'hai permesso. Le passerà… ma devi darle tempo. Fuka non ha battuto ciglio perché lei è una tosta, Aya è molto più sensibile, è normale che non si senta a suo agio in quella situazione.”
Sana annuì e io la strinsi più forte.
Mi dispiaceva per Aya, non meritava di essere tenuta all'oscuro ma mi dispiaceva anche per Sana che voleva solo creare il minimo disagio nella vita di tutti, persino nella mia.
Fingeva di essere invincibile, una supereroina… e in realtà era ancora la ragazzina spaventata dai cambiamenti che avevo ospitato a casa mia quando i giornalisti si erano rivelati fin troppo insistenti.
Quando capii che si era calmata sciolsi l'abbraccio e le impedii di tornare a lavoro.
“Andiamo a letto, Kurata.”
Quella notte dormii come non dormivo da cinque mesi.
Infinitamente sereno.



Pov Sana.

Io e Akito eravamo tornati alla normalità ma lui non era ancora tornato a vivere a casa mia (o meglio, casa nostra) e il fatto che non si fosse ancora trasferito ero certa dipendesse da me. Non che volesse una formale richiesta ma probabilmente temeva che io non volessi tornare alle vecchie abitudini così presto. In realtà era l'unica cosa che volevo. Perciò, per convincerlo a smetterla di avere paura, avevo organizzato una piccola sorpresa per lui, visto che era sempre lui quello ad inseguire me.
Non aveva fatto altro durante tutta la nostra vita: mentre io scappavo dall'amore e dalle responsabilità lui era alle mie spalle, aspettando il momento giusto per allungare la mano per prendere la mia e accompagnarmi nel mio cammino.
Akito era sempre stato una sorta di aiutante silenzioso, e io volevo fargli capire come ci si sente ad essere finalmente protagonisti della propria vita.
Lui aveva sacrificato tutto per la mia felicità e il mio unico obiettivo era portarlo alla consapevolezza che non avrebbe dovuto ma che gli ero immensamente grata per aver avuto pazienza e avermi compresa.
Gli avevo chiesto di passare a prendermi a casa di mia madre e di portare tutto l'occorrente per passare la notte fuori. Fine.
Akito aveva borbottato per un po' ma alla fine si era deciso a lasciarmi guidare.
“Dove stiamo andando?” chiedeva in continuazione guardando nervosamente fuori dal finestrino.
“Sei quasi più petulante di me, Hayama.” lo canzonai.
“Devo incontrare Naozumi fuori città e, ovviamente, volevo che venissi con me.”
Non era nei miei piani mentirgli inizialmente, ma poi l'idea di vederlo soffrire un po' mi aveva allettato troppo per lasciarmi sfuggire quell'occasione.
“Naozumi? E mi stai portando a vedere la persona che odio di più al mondo e non mi dai neanche la possibilità di investirlo
accidentalmente con l'auto? Sei davvero crudele.”
Scoppiai a ridere e quasi immediatamente il suono della risata di Akito si unì alla mia.
“E' proprio per questo che ti ho chiesto di farmi guidare. Non vorrei ritrovarmi in una puntata di CSI.”
“Non è proprio il mio genere, direi più Saw l'Enigmista.”
Passammo tutta la mezz'ora successiva così, ridendo su quali torture lui avrebbe inflitto al povero Naozumi, per una volta inconsapevole vittima in quella situazione, e su come avrebbe affrontato l'orda di giornalisti e la probabile pena di morte che nel nostro paese, purtroppo, era ancora in vigore.
Cercammo di sdrammatizzare anche su quello ma anche solo l'idea di immaginare uno scenario del genere mi rese triste per un po'.
Akito se ne accorse e mi accarezzò il viso dolcemente. “Ei… stai tranquilla: farmi giustiziare non è tra i miei progetti futuri.”
“Meglio, altrimenti ti ammazzo io, Hayama.”
Dopo quel piccolo momento di celato romanticismo non percorremmo ancora molta strada prima di arrivare.
Volevo che tutto fosse perfetto.
“Devi incontrare Naozumi in mezzo al bosco? Certo che voi attori siete stravaganti.”
Spensi la macchina quando eravamo quasi al posto, così da fare quattro passi.
“Si, bè… credo che Naozumi non ci raggiungerà per questa volta.” Akito mi rivolse un sorriso misto tra sorpreso e felice.
“Scendi, da qui proseguiamo a piedi.”
“Ai suoi ordini.”
Fece come gli avevo chiesto e ci incamminammo mano nella mano.
“Non stai cercando di uccidermi e farmi a pezzi nel bosco, vero?”
Gli sorrisi e lasciai che i fatti dessero risposta alle sue domande.


Pov Akito.

Dietro Sana c'era una rampa di legno con due lanterne per ogni lato che illuminavano il passaggio verso una casa che sembrava – anzi, lo era – letteralmente sospesa tra gli alberi.
“Benvenuto alla nostra casetta fuori dal mondo.”
Sana se ne stava lì, in piedi tra le due lanterne, probabilmente pensando di essere una normale donna che fa una sorpresa al suo uomo.
Non lo era.
La guardai sorridere mentre chiamava quel posto
la nostra casetta fuori dal mondo e non si rendeva conto che era la cosa più straordinaria che qualcuno avesse mai fatto per me.
“Io non… non so cosa dire.” balbettai avvicinandomi a lei.
“Non importa.” Mi prese le mani e le strinse forte. “So che forse ti sembrerà strano, di solito sei tu quello che compra una stella in mio onore, che ristruttura case solo per rendere la mia prima volta memorabile. Di solito sei tu a fare le grandi dichiarazioni d'amore… ma oggi no.
Oggi voglio essere io a dire qualcosa a te.
Per anni non ho fatto altro che scappare da te. Non perché non provassi per te ciò che sapevo tu provavi pr me – in effetti credo di amarti praticamente da sempre – ma perché avevo paura, e questa paura si è triplicata negli ultimi mesi. Temevo che tu non potessi amarmi così, con queste limitazioni o...”
Sbuffai e la fermai. “Smettila di dire...”
“Ti prego.” mi interruppe. “Lasciami finire.”
Annuii e la lascia continuare.
“Temevo che fosse colpa mia, che forse perdere la nostra bambina fosse stata una punizione divina per aver rifiutato per tanto tempo i miei sentimenti per te. Ho pensato a tanti, infiniti motivi per cui tutto questo è dovuto succedere proprio a noi. Poi sai cosa ho realizzato? Che non era colpa di nessuno.
Non mia o ancor meno tua, ma ho capito anche che uno di noi due aveva un grande merito e che quel qualcuno non ero io.”
Prese fiato e una lacrima le scese sulla guancia; prontamente gliel'asciugai e le diedi una carezza. Lei mantenne la mia mano sulla sua guancia e poi continuò.
“Grazie per avermi fatto capire che non devo colpevolizzarmi. Grazie per avermi messo al di sopra di tutti i tuoi sogni di una grande famiglia. Grazie per non aver perso la speranza, per aver lottato. Sei stato provvidenziale per me da bambina, oggi sei l'unica cosa che mi da motivo di respirare ancora.
Questo...” indicò con gli occhi la casa e poi tornò a guardarmi. “Questo è solo un centesimo di quello che tu hai fatto per me in tutto questo tempo. E' solo un luogo nostro dove possiamo venire o non venire… comunque sarà qui ad aspettarci. Un po' come me e te. Spero che saremo sempre il rifugio l'uno dell'altro. Spero che tu sarai sempre la mia casetta fuori dal mondo, perché ti giuro che io sarò sempre la tua.”
Forse avrei dovuto dire qualcosa, invece mi limitai a baciarla con tutta la forza che avevo, a stringerlaa me come se potessero rubarmela.
Non potevo rispondere a delle parole come quelle, erano troppo anche per me.
Quando il bacio finì rimanemmo fronte contro fronte per qualche minuto.
“Sana...”. Lei aprì gli occhi immediatamente. “Vorrei poter dire qualcosa di sensato in questo momento ma… la verità è che non potrei mai dire nulla che si avvicini neanche lontanamente a quello che hai detto tu. Forse la cosa più appropriata è anche la più semplice. Io ti amo, Sana Kurata. E voglio passare il resto della mia vita con te.”
Dire che fu una notte stupenda sarebbe stato superfluo.
Fu la notte più bella da quando stavamo insieme e non per il posto meraviglioso ma perché sapevamo che la nostra storia non poteva essere più scalfita da nulla, neppure dalle nostre più intime paure.








Eccomi qui... finalmente Sana e Akito hanno chiarito e le cose sembrano andare meglio. Finalmente Sana ha capito che anche Akito ha bisogno di attenzioni.
Vorrei precisare però che la storia non è ancora finita quindi non cantate vittoria. Come sempre vorrei ringraziarvi per i tantissimi complimenti che mi fate sempre, perchè mi supportate e sopportate, soprattutto quando si parla di attesa.
Grazie sempre!
Il prossimo capitolo è ancora tutto da scrivere, perciò mi sa che dovrete aspettare un po'... appena lo finirò lo posterò immediatamente.
Un bacio,
Roberta.

   
 
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