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Autore: Civaghina    21/10/2017    1 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mercoledì, 13 giugno 2012

Mamma non c'è più.

È come se il mio cervello si rifiutasse di convincersene.

È come se tutto il mio essere si rifiutasse.

Il suo corpo è ancora lì, freddo, in una fredda stanza di ospedale, ma lei non c'è più.

Ieri non ho voluto vederlo e non voglio vederlo nemmeno oggi.

Non voglio vedere il suo corpo se lei non c'è più.

Devo lasciarla andare.

Credevo di averlo già fatto quando alla fine mi sono deciso a staccarmi dal suo corpo, ad alzarmi dal suo letto, e me ne sono andato.

E invece no.

O forse sì.

Forse l'ho già fatto.

Forse è vero che l'ho lasciata andare, ed è per questo che adesso sto così male.

Perché l'ho lasciata andare.

E quindi l'ho persa davvero.

Per sempre.

Mi sembra di stare delirando.

Forse sarà la febbre.

Forse sarà il dolore.

Questo maledetto dolore alla gamba che mi sta facendo passare la notte insonne.

E quest'altro maledetto dolore, da qualche altra parte che non so definire, che non mi fa smettere di piangere.

Mamma non c'è più.

Ed io non sono pronto.

Me lo sentivo che non sarebbe stata con me ancora a lungo.

Lo avevano detto i dottori.

Me lo aveva detto pure lei stessa.

E più di ogni cosa me lo diceva il mio istinto.

Eppure era come se mi aspettassi che da un momento all'altro qualcuno mi dicesse che ci stavamo sbagliando, tutti quanti: che non era vero che il nostro tempo insieme stava per scadere, che lei sarebbe guarita e che sarebbe tornata qui, a casa con me.

E invece no.

E invece non c'è.

Non c'è più.

Ed io non riesco a sopportarlo.


Vengo svegliato dalla voce di Asia che entra nella mia stanza e tira su la tapparella della finestra: “Leo, sono le nove e un quarto”; quando mi sono addormentato, nella stanza filtrava già la luce dell'alba, quindi devo aver dormito a malapena quattro ore. “Vieni a fare colazione, c'è anche papà”.

Dormirei ancora, per non so quante ore, ma alle 10:30 c'è il funerale, quindi, anche se non vorrei, mi alzo; non ho per niente voglia di andarci: non mi reggo in piedi, e poi detesto l'idea di tutta quella gente che ci sarà e che si sentirà in dovere di dirmi qualcosa o, peggio ancora, in diritto di sapere come mi sento.

Non posso mancare però; mamma lo capirebbe se non ci andassi, ne sono sicuro, ma papà ed Asia hanno bisogno che io ci sia, perciò vado in bagno a lavarmi la faccia con l'acqua ghiacciata e poi cerco di presentarmi in cucina con l'aria migliore possibile.

Buongiorno” dico sedendomi a tavola dove ci sono già Asia e papà intenti a fare colazione.

Ciao Leo”; mi risponde papà accennando un sorriso tirato; ha gli occhi molto stanchi e non si fa la barba da due giorni; a guardarlo sembrano molti di più, ma gli cresce così in fretta... Chissà se anche la mia sarà così: al momento non ce n'è nemmeno l'ombra, anche se ogni tanto mi esercito lo stesso ad usare il rasoio.

C'è il caffè freddo” dice Asia avvicinandomi la moka.

No, grazie”; la sola idea del caffellatte stamattina mi nausea. “E questa quando l'hai fatta?” le chiedo, sorpreso, prendendo una fetta di crostata alla marmellata.

Stanotte. Ma prendi un piatto!”

No, non serve...”.

Stanotte.

A quanto pare anche lei ha fatto fatica a dormire.

Do un morso alla crostata e comincio a masticarla svogliatamente; faccio davvero fatica a mandarla giù e mi sembra quasi senza sapore.

Dopo due bocconi non ne ho più voglia.

Mi dà la nausea.

Provo con lo yogurt, ma è ancora peggio, e lascio anche quello.
“Non hai più fame?” mi chiede papà stupito.
“No” rispondo scuotendo la testa.

Leo, sei praticamente digiuno” osserva Asia con apprensione.

Va bene così.”

Mi fai preoccupare... Finisci di mangiare, dai!”

Non sono libero di non avere fame, adesso?!” le domando alzando la voce.

Lascialo stare, Asia” interviene papà. “Nemmeno io ho molto appetito.”

Ma papà! Ieri non ha mangiato niente!” esclama lei per poi rivolgersi a me: “Vuoi cadere a terra svenuto?!”.
Io mi stringo nelle spalle e tengo lo sguardo basso sul tavolo.

Non riesco a guardarla negli occhi: così rossi, lucidi di lacrime, stanchi.

Come quelli di papà.

Come i miei.

Non riesco a guardare nemmeno la sedia vuota dove si sedeva sempre mamma, e dove ormai non tornerà più.

Non tornerà più.

Mamma non c'è più.

Non riesco ancora a crederci.

Non voglio crederci.

Mi tornano in mente i suoi occhi, di cui i miei hanno preso il colore, la forma, la grandezza.

Il modo in cui mi guardava.

Quelle sere seduti a questo tavolo, quando papà era al lavoro e Asia chiusa in camera a studiare, e noi ce ne stavamo qua, lei col suo decaffeinato, io col mio succo di frutta o con la cioccolata calda, a raccontarci com'era andata la giornata.

Non potrò più farlo.

Non potrò più sedermi qua, di fronte a lei, e raccontarle la mia giornata.

Non sentirò più la sua voce.

Non posso accettarlo.

Cerco di trattenere le lacrime.

Stringo i pugni.

Chiudo gli occhi.

Niente da fare, non riesco a trattenerle: cominciano a scendere e a bagnarmi il viso.

Non posso trattenermi.

Chino la testa sul tavolo, la nascondo tra le braccia conserte e comincio a piangere forte.

Sempre più forte.

Tremo.

Dopo qualche minuto sento la mano di papà accarezzarmi la testa e poi scendere piano dalla nuca al collo: “Leo, ma tu scotti!” esclama allarmato.

Sì...” dico sollevando la testa e asciugandomi gli occhi con le mani. “Credo di avere la febbre.”

Anche ieri sera?” mi chiede Asia che intanto si è alzata e si è avvicinata a me.

Sì” sospiro io.

Asia mi tocca la fronte: “Sembra molto alta..., prendo il termometro”.

No” la fermo io alzandomi. “Adesso dobbiamo prepararci. Non è importante sapere a quanto ho la febbre, adesso.”

D'accordo” cede lei. “Ma appena torniamo..., vai subito a letto. Vado a vedere se abbiamo l'antipiretico”.


La pastiglia fa effetto: sto meglio e mi sembra che la febbre sia scesa; speravo attutisse anche il dolore alla gamba ma quello continua a tormentarmi, prepotente.

Mi chiedono due volte se sono sicuro di non volerla vedere, prima che chiudano la bara, ed io rispondo di no entrambe le volte; la prima educatamente, la seconda un po' meno.

Rimango ad aspettare fuori dalla camera ardente e poi seguo, insieme a papà ed Asia, quegli sconosciuti che trasportano la bara fino al carro funebre.

La chiesa è piena di gente; praticamente tutti i posti sono occupati, tranne uno dei primi banchi che hanno lasciato libero per noi; ci sono i nostri amici di famiglia (compresa Eleonora, più bella che mai), i colleghi di papà, i compagni del corso di fotografia di mamma, gli amici di Asia e qualche suo collega dell'università, i miei compagni di scuola coi loro genitori, persino qualche professore; e c'è Giulia, insieme a tutti i miei amici; quando passo accanto a lei, vorrei prenderla per mano e portarla a sedere vicino a me ma non lo faccio: credo che la metterei terribilmente a disagio.

Mi sento fuori posto.

Alienato.

È come se fossi altrove.

Guardo quella bara lucida e proprio non ci riesco, a convincermi del fatto che lei sia lì dentro.

Lei non è lì.

Il suo corpo è lì.

Ma lei no.

Guardo Asia, coi suoi capelli raccolti e gli orecchini che le ho regalato io: ha un'aria così adulta.

Guardo papà: l'espressione contrita di chi sta trattenendo a tutti i costi le lacrime e il viso liscio, pulito; si è rasato la barba e si è anche tagliato i baffi, che ormai portava da qualche anno: sembra più giovane senza, ma allo stesso tempo sembra invecchiato di colpo; è una strana sensazione.

Guardo di nuovo la bara e, ancora una volta, penso che lei non sia lì.

Alla mia sinistra c'è Asia, alla mia destra c'è papà, ma quella là di fronte a me, nella bara..., non è mamma.

Mamma non c'è più.


Il corteo funebre fino al cimitero è per me una pena: mi dà fastidio tutta questa gente intorno a me, mi danno fastidio le loro facce, mi danno fastidio le loro lacrime e mi dà fastidio pure la mia gamba; anzi, quella mi fa proprio male. Giulia mi tiene per mano mentre camminiamo in silenzio e ogni tanto mi lancia qualche occhiata apprensiva: dev'essersi accorta che zoppico.

Più ci avviciniamo al cimitero, più crescono la mia ansia e il mio malessere e, quando arriviamo davanti al cancello, è come se mi bloccassi all'improvviso: non riesco più a muovere un passo; proprio non ce la faccio ad entrare; lo so che dovrei, so che dovrei accompagnare papà ed Asia fino alla fine di tutto questo, ma proprio mi è impossibile. Mi fermo di colpo e Giulia si ferma con me, senza chiedermi niente.

Papà si accorge che mi sono fermato e si volta verso di me; ci guardiamo negli occhi e credo che lui mi capisca; credo che anche lui farebbe a meno di entrare là dentro; accenna un sorriso e prosegue, insieme ad Asia, seguito poi da tutta la gente, mentre io e Giulia restiamo in disparte ad aspettare che la folla defluisca; ci raggiungono Mattia e gli altri e si fermano anche loro, probabilmente in attesa che io mi decida a dire o a fare qualcosa; la verità è che io non ne ho proprio idea. In questo momento è come se non mi importasse di niente: potrei starmene fermo qui, senza dire e fare niente per tutto il giorno e non me ne importerebbe.

Ti va di fare un giro?” mi propone Mattia ad un certo punto.

Ho male alla gamba” rispondo sospirando.

Abbiamo gli scooter vicino alla chiesa” dice Daniele. “Li andiamo a prendere”.

Giulia rimane con me mentre tutti gli altri vanno a piedi fino alla chiesa a recuperare gli scooter; una fitta improvvisa mi attraversa la gamba e istintivamente le stringo più forte la mano.

Come stai?” mi domanda accarezzandomi il viso. “A parte la gamba, intendo.”

Non lo so.”

Non vuoi parlarne?”

No, è che davvero non lo so”.

Non lo so come sto.

Non lo so davvero.

Frastornato: forse è il termine che riassume meglio come mi sento.

Dove andiamo?” mi chiede Mattia quando salgo sullo scooter, dietro di lui.

Andiamo in spiaggia” gli rispondo senza pensarci troppo.


Non so perché io sia voluto venire proprio qui; forse per circondarmi di tutta questa bellezza.

È una splendida giornata di sole ma c'è un leggero venticello fresco che non fa soffrire il caldo.

Spero che il mio funerale sia in un giorno di sole”.

Quando le sentii dire quelle parole, ricordo che la guardai malissimo e quasi mi arrabbiai con lei: come le veniva in mente di dire una cosa del genere?! Lei aveva riso e mi aveva spiegato che già i funerali sono una faccenda poco simpatica, se poi ci metti pure le nuvole o la pioggia, che magari ti inzacchera le scarpe eleganti e che ti fa venire freddo ai piedi, la faccenda peggiora di gran lunga. Io non avevo riso, non avevo neanche sorriso, e con aria molto seria le avevo detto che era ora che la smettesse di farsi di morfina, che non le faceva mica bene. E lei aveva riso, aveva riso tanto, e alla fine aveva contagiato pure me.

Sarai contenta mamma, oggi c'è il sole.

Sorrido pensando a lei, ma immediatamente un nodo mi stringe la gola e le lacrime mi riempiono gli occhi.

No..., non voglio piangere qua, davanti a tutti; non voglio.

Guardo dritto davanti a me e fisso lo sguardo su un punto lontano dell'orizzonte.

Riesco a trattenermi.

Ricaccio indietro le lacrime.

Nessuno parla; probabilmente temono di dire la cosa sbagliata, ma almeno nessuno di loro mi dice stupide frasi di circostanza.

Giulia mi accarezza distrattamente la schiena ed io rimango fermo ad osservare l'orizzonte.

Mi mancherà la sua torta ai lamponi!” esclama all'improvviso Alberto.

Mi volto verso di lui e faccio in tempo a vedere Riccardo che gli dà uno scappellotto e tutti gli altri che lo guardano allibiti.

Anche a me” gli dico, accennando un sorriso per rassicurarlo sul fatto che non ci sono rimasto male per quello che ha detto.

Alberto mi sorride: “Mia madre ha provato a rifarla tante volte, usando la sua ricetta, ma non c'è proprio paragone!”

A me mancherà il suo tifo alle partite del campionato” dice Mattia mentre afferra la sabbia e se la fa scivolare tra le dita. “Era la più scatenata di tutte le madri!”

Sì, è vero” rido io. “Anche troppo! Delle volte sarei voluto sprofondare sott'acqua!”.

Io mi ricordo quella volta che stavamo guardando Iron Man 2, a casa tua...” mi dice Cecilia. “E i tuoi sono rientrati all'improvviso e hanno portato il gelato per tutti, ma io e Mattia stavamo pomiciando sul divano e non ce ne siamo accorti, finché lei non ha detto: Toh! Calmatevi i bollenti spiriti! E ci ha messo in mano le coppette col gelato!”.

E poi c'è Daniele che si ricorda di quella volta che mamma gli ha riparato la ruota della bici e Riccardo che racconta di quando andavamo in seconda media e lei per farci capire meglio il ciclo arturiano ci fece vedere il film Excalibur.

Che figata quel film!” sospira Mattia.

Che figata la scena che tua madre si era dimenticata che ci fosse!” esclama Daniele guardandomi e scoppiando a ridere. “Io me la ricordo ancora!”

Che scena?” chiede Arianna incuriosita.

Io rido e mi passo una mano in mezzo ai capelli: “Quella che ci ha turbato i sogni per un mese!”

Seee, un mese, fai pure un anno!” ribatte Riccardo dandomi un pugno leggero su una spalla.

Sto meglio.

È stato bello sentire come loro la ricorderanno.

È stato bello ripensare a tutte queste cose di lei.

È stato bello ricordare tutto quello che lei è stata.


Rientrato in casa vengo invaso da un prepotente odore di cibo che non riesco a definire bene: troppi odori mescolati; il piano da lavoro della cucina è pieno di vassoi e vaschette usa e getta con ogni sorta di pietanza possibile e immaginabile.

Apri un ristorante e non me l'hai detto?” domando ad Asia che sta apparecchiando. “Quando l'hai fatta tutta 'sta roba?!”

Non l'ho fatta io” mi risponde lei guardandomi. “È tutta opera di Sandra, Simona e Grazia”.

Mi ero dimenticato di questa usanza di sommergere di cibo chi ha appena avuto un lutto; quando è morto il nonno, siamo andati avanti per tre giorni a mangiare la roba preparata da quelle lì; all'epoca ricordo che avevo accolto con entusiasmo tutta quell'abbondanza, ma adesso solo l'odore mi fa venire la nausea.

Ho lo stomaco completamente chiuso.

Come ti senti?” mi chiede papà toccandomi la fronte.

Bene” mento io sfregandomi un occhio; l'effetto dell'antipiretico dev'essere finito e credo che la febbre stia tornando su, e il dolore alla gamba non mi ha lasciato tregua nemmeno per un attimo.

Mh... a me sembri caldo. È meglio se dopo ti metti a letto”.

Non ho fame.

Mangio un pezzo piccolo di focaccia e mi sento già pieno; e dire che di solito devono togliermela con la forza se no sarei capace di mangiarne una intera; assaggio un po' di burrata e poi mi alzo dicendo che me ne vado a letto.

Prova la febbre” mi dice Asia mentre esco dalla cucina cercando di non far vedere loro che cammino male; quando mi tolgo i jeans e guardo la gamba, rimango impressionato per quanto è gonfia; cazzo, eppure oggi non è che l'abbia sforzata troppo.

Non ho voglia di provarmi la febbre, voglio solo dormire; mi tolgo la camicia, indosso un paio di pantaloncini e poi mi butto sul letto; presto, però, comincio ad avere freddo come ieri notte e mi copro con lenzuolo e coperta.

Tremo.

Scotto.

Tremo.

Il sonno tarda ad arrivare.

Penso a mamma, alla sua torta ai lamponi che non mangerò più, alla sua risata che non sentirò più, al suo bacio della buonanotte, alla sua ironia, alla sua testardaggine, alla sua forza, al vuoto che ha lasciato in tutte le cose.

E anche a tutto quello che lei ha dovuto lasciare, anche se non avrebbe voluto.

Noi.

I suoi amici.

La sua casa col balcone sul porto che le piaceva tanto.

Le sue fotografie.

I suoi fiori.

È insopportabile.

Tutte le lacrime che per ore ho trattenuto arrivano all'improvviso, senza chiedere permesso.

Non mi lasciano scampo.

Mi invadono.

Mi sommergono.

Mi tolgono il respiro.

   
 
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