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Autore: heliodor    25/10/2017    4 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il Santuario

Mano a mano che scendeva incontrava operai intenti a scavare nella roccia viva e guardie che li tenevano d'occhio con sguardo severo. Nessuno osò sbarrarle il passo anche se più di uno gli rivolsero delle lunghe occhiate piena di curiosità. La galleria non procedeva dritta come nei livelli superiori ma si diramava in decine di direzioni diverse, ognuna delle quali veniva scavata fino a un certo punto e poi abbandonata.
Contò una ventina di cantieri aperti prima di stancarsi. Stavano cercando qualcosa?
Lindisa aveva parlato del compendio di Zanihf. Se questi era stato un mago supremo, cosa avrebbe potuto contenere il suo libro d'incantesimi?
Niente di buono, si disse.
Un motivo in più per prendere Alil e portarlo fuori di lì.
Avvicinò un paio di operai quando non era vista dalle guardie. "Avete visto un bambino? Si chiama Alil."
Nessuno sapeva risponderle.
"Io ho visto un bambino" disse una delle operaie, una donna dalla schiena curva e l'espressione sofferente.
"Dove?"
"L'hanno portato al pozzo."
"Sì, al pozzo" le fece eco un uomo. "È lì che portano quelli più piccoli."
Con quell'ultima informazione proseguì dirigendosi verso il fondo della lunga galleria. L'ultimo tratto era stato scavato da così poco tempo che c'erano ancora dei detriti sparsi in giro.
I lavoratori trasportavano fuori a spalla le pietre staccate durate le opere di scavo e in quel momento non sembrava essere in corso altra attività.
A parte quella che riguardava il pozzo.
Joyce lo raggiunse dopo altri minuti di cammino e dopo aver superato la zona dove si era scavato più di recente.
"Forza, sbrigatevi. Attaccate il prossimo" stava dicendo un albino.
Due guardie sorvegliavano una dozzina di operai affaccendati attorno a un enorme foro nel pavimento.
Alcuni di essi manovravano una specie di argano al quale erano collegate delle corde e una carrucola. Il sistema era simile a quello dei pozzi d'acqua, solo che al posto del secchio in quel caso veniva calata una persona.
Joyce scrutò nella semioscurità ed ebbe un tuffo al cuore quando vide Alil.
Il bambino era accucciato in un angolo, l'espressione spaventata. Era insieme ad altri tre ragazzini dall'aspetto minuto.
Joyce puntò subito verso di loro, approfittando del fatto che le guardie e l'unico albino erano impegnati con il pozzo.
"Alil" disse sottovoce.
Il bambino sollevò la testa di scatto. "Che vuoi?"
Gli altri ragazzini sembravano più spaventati. Dovevano aver visto di che cosa erano capaci gli albini in quelle miniere.
"Sono io. Sibyl."
Alil sgranò gli occhi. "La strega rossa?"
Joyce annuì.
"Ma tu non sembri..."
"Lo so, è una magia. Sono pur sempre una strega, no? Sono qui per portarti via."
Joyce rivolse una veloce occhiata al pozzo. Nessuno badava a lei, non ancora almeno, ma era certa che tra poco qualcuno si sarebbe chiesto chi era quell'albina sconosciuta che stava parlottando con quei ragazzini.
"Dobbiamo fare in fretta" disse Joyce. "Alzatevi e stringetevi attorno a me."
I ragazzi si guardarono perplessi.
"Avanti, svelti. Non c'è tempo da perdere."
I ragazzi ubbidirono. Prima Alil e poi gli altri le si strinsero attorno, abbracciandola.
"Tu" disse una voce alle sue spalle. "Per tutti gli dei, che cosa stai facendo?"
Joyce mormorò la formula del richiamo e attese che la miniera sparisse sostituita dal sicuro rifugio dove Faiza e le altre donne la stavano aspettando.
"Ti ho fatto una domanda."
Joyce ripeté la formula.
"Allora?"
"Non ha funzionato" disse Joyce. Era per via di quello che aveva detto Dume? Lì sotto la magia non funzionava bene come all'esterno? Forse erano le rocce a bloccare il richiamo, ma lei aveva usato quel trucco per fuggire da Vanoria per ben due volte.
L'albino si avvicinò. "Mi spieghi cosa sta succedendo qui?"
Sono nei guai, pensò Joyce. Sono in guai tremendi. La sua mente lavorava frenetica, ma non le veniva in mente una risposta.
L'albino fece un cenno a una delle guardie. "Vai a chiamare il soprintendente Gyasi. Qui c'è qualcosa di strano."
Joyce sciolse l'abbraccio dei ragazzi e sollevò un braccio verso l'albino. Nel suo palmo brillava un dardo magico.
L'albino la guardò stupito. "Che cosa fai?"
"Ti ucciderò se non te ne vai subito" disse col tono più minaccioso che poté. "Vi ucciderò tutti se non ve ne andate."
Ma avrebbe avuto il coraggio di farlo sul serio? Sperò di non doverlo scoprire.
L'albino fece un passo indietro. "Qualunque cosa tu voglia fare, sappi che non uscirai viva da qui dentro" disse allontanandosi verso l'uscita della grotta. Le guardie e gli operai lo seguirono.
Joyce continuò a puntargli contro il dardo magico finché non sparì alla vista.
Appena soli perse i ragazzi e li trascinò verso il pozzo. "Dove porta?" chiese ad Alil.
"Non lo sappiamo. È buio lì sotto."
Joyce evocò un globo luminoso. "Andiamo" disse stringendoli a sé. "Non lasciate la presa per nessun motivo, capito?"
Tra poco l'albino sarebbe tornato con i rinforzi e per loro sarebbe stata la fine. L'unica via d'uscita era lì sotto.
Mormorò la formula per la levitazione e si calò di sotto, i ragazzi stretti attorno a lei.
La discesa fu rapida, aiutata dal peso che doveva trasportare. Le pareti del pozzo si restringevano mano a mano che scendevano, facendosi più vicine.
A un certo punto si avvicinarono così tanto da sfiorarla. Si ferì il braccio strisciando su una roccia appuntita ma mantenne la presa sui ragazzi.
Sopra la sua testa udì delle voci concitate. Sembravano decine, oppure era l'eco che rimbalzava sulle pareti di roccia a moltiplicarle.
Il pozzo scendeva ancora più giù e lei non ne vedeva ancora il fondo. In compenso le voci si affievolirono. Udì solo una lontana eco, poi qualcosa esplose sopra la sua testa provocando una pioggia di piccole pietre.
Altre due esplosioni scheggiarono le rocce disseminando altri detriti.
Qualcuno stava sparando dei dardi verso di loro. Joyce annullò il globo luminoso e proseguì la discesa al buio, senza sapere quanto in basso e quanto stretto diventasse il pozzo.
La pioggia di detriti continuò, ma stavolta meno intensa.
Quanto ci avrebbero messo a scendere nel pozzo? Di sicuro avrebbero atteso solo qualche minuto, giusto il tempo di trovare qualcuno in grado di usare la levitazione come lei.
Toccarono il fondo all'improvviso. Nell'oscurità più totale, a Joyce bastò allungare una mano per toccare le pareti di roccia. Erano in uno spazio così angusto che le riusciva difficile persino girarsi.
Erano in trappola.
 
Pensa Joyce, pensa, si disse.
C'era un motivo se gli albini calavano le persone in quel pozzo. Stavano cercando un'entrata, un passaggio. Doveva essere lì, ne era certa.
"Alil" disse. "C'è un passaggio scavato nella roccia qui sotto?"
Fu uno dei ragazzi a rispondere. "Sì, vostra grazia, ma è molto stretto."
"Io mi sono infilato tre volte dentro un tunnel" disse un altro ragazzo. "Ma non sono riuscito a vedere dove arriva."
"Ed è molto stretto?" chiese Joyce.
"Io ci passo appena, vostra grazia." Il ragazzo si posizionò davanti al foro.
Nell'oscurità, Joyce ne saggiò i bordi. Era davvero stretto. Forse ci passava a malapena. "D'accordo, entriamo." Si rivolse a uno dei ragazzi. "Tu che sei già entrato andrai per primo. Poi gli altri. Alil, tu per ultimo e io sarò dietro di te."
I ragazzi si infilarono le foro uno alla volta. Quando giunse il suo turno, Joyce guardò in alto. C'era una luce che brillava in cima al pozzo, ma da quella distanza si scorgeva appena.
Avevano già trovato qualcuno in grado di calarsi nel pozzo? Non voleva starsene lì ad aspettare.
Si chinò ed entrò nel buco.
Strisciò lungo le pareti graffiandosi sulle rocce appuntite. Ogni ferita la faceva gemere ma si trattenne dal lamentarsi troppo. Non voleva spaventare Alil e gli altri.
Il foro diventava sempre più stretto e lei riusciva a passarci a stento. Per fortuna non aveva forme generose o sarebbe rimasta incastrata.
Deliza non sarebbe riuscita a passare lì dentro, pensò. A quel pensiero improvviso le scappò da ridere.
Sto scappando da un gruppo di stregoni albini che mi vogliono uccidere, incastrata in un tunnel che potrebbe non avere un'uscita, pensò. Che ci sarà di divertente?
Eppure non riusciva a smettere di pensare a Deliza incastrata nel buco.
Anche Bryce, che non era abbondante come l'amica ma aveva forme più generose delle sue, avrebbe rischiato grosso.
Oh, smettila, si disse.
L'ultimo tratto fu il più difficile da superare. Era così stretto che si scorticò le braccia e le gambe, coprendosele di graffi e abrasioni. Il trucco che con tanta cura Afua e le donne e avevano applicato fu raschiato via e il suo vero colore apparve.
Mise fuori la testa da un foro così stretto da non riuscire a respirare. "Datemi una mano" disse con voce mezza soffocata dalla fatica.
Con un ultimo sforzo, aiutata anche da Alil e un altro ragazzo, si tirò fuori dal buco.
Il suo primo istinto fu di respirare a pieni polmoni. Il secondo fu di evocare un globo luminoso per capire dove erano sbucati.
Si trovavano in un'ampia grotta scavata nella roccia. Le pareti erano troppo lisce per essere un prodotto della natura. Qualcuno aveva rimosso la pietra con dei picconi per creare quello spazio.
Grazie al globo luminoso vide le colonne che sostenevano il soffitto, anch'esse scolpite nella roccia viva chissà quanti secoli prima.
Su tutto l'ambiente aleggiava un silenzio innaturale. Per quanto ne sapeva erano i primi a violare quel luogo dopo millenni.
Se Lindisa e Dume avevano ragione, l'ultimo era stato il mago supremo conosciuto col nome di Zanihf.
"E ora dove andiamo?" chiese Alil.
Joyce indicò lo spazio tra le colonne. "Da quella parte."
"Si esce da lì?"
"Non lo so, ma tanto vale dare un'occhiata, no?"
Lei si avviò seguita dal globo luminoso, con Alil e gli altri ragazzi che la seguivano e si guardavano attorno.
Oltre le colonne si apriva una sala quadrata. Ogni lato misurava due o trecento passi, con una piattaforma rialzata al centro, anch'essa quadrata. Tutto era stato ricavato dalla roccia.
Joyce si avvicinò alla piattaforma e la esaminò. C'erano delle iscrizioni in una lingua che non conosceva. Anche i simboli usati le erano sconosciuti. C'erano animali stilizzati, o almeno quelli che sembravano degli animali e simboli geometrici come triangoli e quadrati.
Si arrampicò sulla piattaforma usando le rientranze nella roccia. Arrivata in cima, si guardò attorno.
Nell'angolo opposto a quello del colonnato c'erano della scale.
Joyce ridiscese e le raggiunse. Anche queste erano scolpite nella roccia e a giudicare dall'usura, erano state usate a lungo.
Chissà quali erano stati i pensieri di chi era passato da quelle parti migliaia di anni prima.
Salirono le scale e giunsero in una sala ottagonale. Al centro esatto vi era una lapide di pietra nera con delle iscrizioni. Lungo le pareti correvano scaffali di legno marcito. Avvicinandosi notò i libri ormai in polvere di cui restavano solo i dorsi delle copertine.
Provò a prenderne uno ma si dissolse tra le sue mani quando cercò di aprirlo.
"Cos'è questo posto?" chiese Alil.
"È una biblioteca. Non toccate niente" disse avvicinandosi alla lapide.
Le iscrizioni erano le solite figure geometriche. Qui dominavano le spirali e i cerchi, che si fondevano diventando catene che attraversavano la superficie da sinistra a destra e dall'alto in basso.
Chiunque avesse scolpito quelle figure doveva avere uno scopo ben preciso in mente.
"Guarda" disse uno dei ragazzi indicando il lato opposto della sala.
Lì, in una nicchia scavata nella roccia, si ergeva una figura dall'aspetto umano.
Spinta dalla curiosità Joyce si avvicinò per guardarla meglio.
La figura si rivelò essere una strana armatura di color giallo opaco. Era alta almeno il doppio di lei.
Toccandola, notò che la superficie era liscia e fredda e ancora levigata. Non c'erano i segni del tempo. Per quanto ne sapeva, il metallo di cui era fatta poteva essere stato forgiato il giorno precedente e poi assemblato lì un'ora prima che arrivassero.
La testa dell'armatura non somigliava a un elmo. Aveva delle protuberanze e sembrava poter girare su se stessa.
Il torace era ampio ma non abbastanza da accogliere una persona al suo interno. All'interno vi era qualcosa di simile a una gemma opaca di colore verde. Al fianco dell'armatura vi era una spada che sembrava fatta dello stesso materiale.
Joyce la studiò con espressione interdetta. Quell'armatura era troppo grande per una persona normale. Era alta più di qualsiasi uomo o donna avesse mai visto.
Forse sarebbe calzata bene a un gigante, se ne fosse esistito uno.
Forse, ai tempi di Zanihf i giganti abitavano il mondo, ma di loro non doveva esserci più traccia da millenni.
O forse lo stesso Zanihf era un gigante.
Tornò indietro verso la lapide. Alil si era chinato sotto di essa e aveva infilato il braccio in uno spazio angusto tra la pietra e il pavimento.
"Stai attento" disse Joyce preoccupata dal fatto che potesse farsi male.
"C'è qualcosa" disse Alil con voce rotta dallo sforzo. "Non riesco a raggiungerla..."
"Lascia perdere..."
"Eccola" esclamò il ragazzo. Tra le sue mani c'era un libro.
La copertina di pelle chiara non aveva iscrizioni.
Joyce prese il libro e lo aprì. Le pagine erano vergate in una calligrafia elegante, ma le lettere e i simboli le erano sconosciuti.
Qualunque fosse quella lingua non assomigliava al valondiamo o qualsiasi altro idioma a lei noto. Forse era una delle lingue antiche e in quel caso non aveva alcuna possibilità di tradurla, per il momento.
C'erano anche dei disegni che raffiguravano strani animali e persone viste di profilo. In una c'era il disegno di una donna che cullava un bambino e subito dopo quello di una creatura dal corpo rotondo e otto zampe.
Un ragno, pensò Joyce.
Ma i ragni hanno gli occhi e quell'essere ne sembrava sprovvisto. Il corpo rotondo sembrava lucido e non erano dei bulloni quelli che gli ricoprivano la schiena?
Presa dallo studio del libro, Joyce non si accorse che qualcosa era cambiato nella grande armatura.
La gemma all'interno del torace si era illuminata e aveva iniziato a ruotare su se stessa. C'era stato un impercettibile tremore nella struttura dell'armatura. Le dita di metallo delle mani si erano mosse, piegandosi e allungandosi. Un piede aveva vibrato, seguito subito dopo dalla gamba a cui era attaccato.
Joyce non si era accorta di questi piccoli movimenti, ma non poté ignorarli quando l'armatura mosse un pesante passo sopra il pavimento producendo un rumore metallico.
Sollevò la testa di scatto e vide l'armatura uscire dalla nicchia prima con passo incerto e poi con movimenti sempre più decisi.
La guardò affascinata, mentre Alil e gli altri ragazzi si ritraevano nell'angolo opposto.
La testa dell'armatura ruotò in tutte le direzioni, come se si stesse guardando attorno, poi puntò verso di lei.
Joyce ebbe la sgradevole sensazione di essere diventata un bersaglio.
L'armatura estrasse la spada dal fodero e la brandi con due mani come avrebbe fatto un guerriero prima di attaccare il suo bersaglio.
Affascinata da quella visione Joyce si rese conto a malapena che l'armatura aveva sollevato la spada e ora stava avanzando verso di lei.

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