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Autore: heliodor    27/10/2017    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il gigante

La spada si abbatté al suolo, spaccando in due la pietra dove la lama color bronzo la colpiva. Un secondo prima Joyce era nello stesso punto. Ora si era spostata di lato e guardava l'armatura che si rialzava e riprendeva a muoversi.
"Non è possibile" si disse. C'erano macchine che potevano essere mosse con funi e ingranaggi. Una volta suo padre aveva acquistato da un mercante del vecchio continente un orologio che funzionava a molla. Era un aggeggio molto complicato e interessante, che Joyce aveva osservato a lungo cercando di comprenderne il funzionamento, prima di annoiarsi. Segnava le ore del giorno e della notte, teneva traccia delle stagioni e delle eclissi lunari.
In un altra occasione degli artisti girovaghi avevano inscenato uno spettacolo per la corta utilizzando dei manichini animati dietro le quinte. Joyce ricordava di aver passato più tempo a osservare gli attori che manovravano i pupazzi che lo spettacolo vero e proprio.
Ma quell'armatura non assomigliava a niente del genere.
Non c'erano molle o ingranaggi ad animarlo e nemmeno fili o altri trucchi. Il guerriero di metallo sembrava vivere di vita propria, animato da un'energia misteriosa che lo faceva agire.
E sembrava avercela con lei.
Il guerriero le agitò contro la spada come in segno di sfida, poi prese ad avanzare verso di lei con passo pesante.
Joyce indietreggiò e alzò le mani, due dardi che brillavano nei palmi. Li lanciò entrambi verso il mostro di metallo, colpendolo al torace e alla gamba. I proiettili esplosero con un suono metallico.
Il guerriero di metallo continuò ad avanzare come se niente fosse.
Joyce allora scartò di lato all'ultimo secondo evitando di essere investita in pieno da quella furia.
Il guerriero fece altri due passi e si arrestò. La sua testa bitorzoluta ruotò di mezzo giro. Una delle protuberanze, notò Joyce, era puntata su di lei.
Il corpo del guerriero ruotò su se stesso, mettendosi in posizione d'attacco.
Joyce, accovacciata in un angolo, si lanciò verso l'uscita della sala. Scavalcò con un balzo la lapide nel momento in cui al spada le sfiorava la testa e rotolò verso l'uscita.
Passò sotto l'arco mentre il guerriero di metallo si rimetteva al suo inseguimento.
La creatura sfondò la pietra proiettando pezzi di roccia in tutte le direzioni.
"Andate via" gridò Joyce rivolta ad Alil e agli altri ragazzi.
Ma non ce nera bisogno. Le attenzioni del mostro sembravano rivolte tutte a lei. Infatti ignorò Alil e si gettò al suo inseguimento.
Joyce puntò i piedi e alzò le braccia. Dai suoi palmi scaturì il raggio magico colpendo il mostro al torace. Il guerriero si arrestò per qualche attimo, poi riprese ad avanzare.
"Vediamo se questo ti ferma."
Joyce levitò fino alla piattaforma, atterrando con i piedi sulla dura roccia. Il mostro si voltò di scatto facendo roteare la spada nella sua direzione. Lei saltò giù prima che la lama colpisse la piattaforma, spaccandola in due.
La spada affondò a metà, infilandosi nella pietra. Il mostro cercò di tirarla fuori, ma qualcosa si opponeva.
La spada era incastrata.
Joyce corse nella direzione opposta, girò attorno alla piattaforma fino a trovarsi alle spalle del mostro e lo colpì con una coppia di dardi magici.
Nessuno di essi sembrò impensierire il guerriero metallico.
Il gigante intensificò gli sforzi per estrarre la spada. Sbuffi di fumo uscirono dalle giunture e un rumore di ingranaggi che gemevano e stridevano tra loro l'assordò.
E fu allora che vide la gemma.
Somigliava a una pietra preziosa, che passava dal verde all'azzurro cangiante assumendo toni viola e rosso cupo. Era incastrata tra le scapole, all'altezza del cuore, se quella macchina ne avesse avuto uno. Era grande quanto il pugno chiuso di un essere umano.
Ruotava su sé stessa compiendo molti giri al secondo. Ogni volta che il guerriero compiva uno sforzo, la gemma aumentava la velocità di rotazione.
Forse era la gemma ad alimentare il guerriero. Se trovava il modo di rimuoverla...
Con un ultimo sforzo il mostro estrasse la spada dalla roccia con un frastuono assordante.
Joyce si posizionò su di un lato della sala e puntò i dardi verso il torace del mostro. Li lanciò uno alla volta cercando di prendere la mira, ma colpì la superficie esterna.
Le costole d'acciaio del mostro vibrarono e assorbirono il colpo.
Il guardiano di metallo riprese a sbuffare e avanzare verso di lei roteando la spada.
Joyce sapeva di non poter scappare per sempre. Presto o tardi avrebbe esaurito le forze e per lei sarebbe stata la fine.
Doveva colpire il mostro al cuore e per farlo doveva avvicinarsi.
Raccolse tutto il suo coraggio e si gettò di corsa verso il gigante che avanzava con passi pesanti. Lui alzò la spada pronta a colpirla ma lei prima scartò di lato e poi mormorò la formula della levitazione prima di darsi una spinta con entrambe le gambe.
Volò sopra la testa del gigante e con un colpo di reni virò verso il basso, atterrando tra il poderoso colle e la spalla.
Il mostro si arrestò, come sorpreso da quella mossa improvvisa. Agitò la spada nell'aria mentre ruotava il torace a destra e sinistra cercando di farla precipitare.
Con una mano Joyce si aggrappò alla spalla e infilò l'altra tra due costole di metallo del gigante. Esplose tre dardi magici in rapida successione, colpendo un paio di volte la gemma.
Il mostro gemette e vibrò come un animale ferito che si contorce per il dolore.
Il contraccolpo fu così forte che Joyce perse la presa e volò al di sopra della spalla del gigante. Per fortuna l'incantesimo di levitazione era ancora attivo e planò sul pavimento come una piuma.
Nel frattempo il mostro si agitava e sbuffava vapore da ogni giuntura.
Nell'agonia andò a sbattere contro la parete della sala, spaccandola. Infine si abbatté al suolo in un tremendo frastuono di metallo che si piegava e spezzava.
Joyce, respirando a fatica, si tenne alla larga dal mostro. Solo dopo alcuni minuti trovò il coraggio di avvicinarsi.
Tra le costole del torace la gemma era ora una pietra nera con solo qualche venatura cangiante che virava dal verde al blu.
Alil e i ragazzi riemersero nella sala e si avvicinarono al gigante abbattuto. I loro occhi pieni di stupore andavano dal guerriero metallico a lei.
"E ora che facciamo, strega rossa?" chiese uno di loro.
Ancora quello stupido nomignolo, pensò Joyce. "Non so voi, ma io qui non ci voglio restare un minuto di più. Cerchiamo una via d'uscita e andiamocene."
 
Tornarono nella sala con la lapide di pietra e si misero a cercare un passaggio che li portasse fuori di lì.
Fu Alil a scoprirlo.
Dietro la nicchia che aveva ospitato il gigante di metallo il muro era crollato rivelando un ambiente oltre di esso.
Joyce e i ragazzi rimossero le pietre e si arrampicarono per passare dall'altra parte.
Oltre il muro c'era una stanza rettangolare, lunga circa il doppio della larghezza. Lungo le pareti di nuda roccia erano allineate delle forme.
Avvicinandosi, Joyce notò che erano di metallo. Nella penombra intravide dei corpi sferici con delle protuberanze che fuoriuscivano dalla parte sottostante.
I ragni raffigurati nel libro, pensò subito.
Alcune di quelle creature avevano una pietra incastrata sulla sommità e tenuta ferma da un rivetto di metallo.
Era una versione più piccola della gemma che aveva alimentato il gigante di metallo. Queste erano grandi quanto un pollice o poco più.
Erano tutte nere con leggere venature colorate. Tutte a parte due o tre.
Joyce deglutì a vuoto. "Cercate di non fare rumore" disse ai ragazzi.
Quasi in punta di piedi si avviarono verso la parte opposta della stanza rettangolare. Nel muro si apriva quella che sembrava una grotta.
Non appena passarono di fronte a uno dei ragni, questi agitò le sei zampe metalliche e si staccò dal muro.
Joyce notò subito che la gemma aveva iniziato a ruotare nel suo alloggiamento e ad emettere scintille che andavano dal giallo al verde e all'azzurro.
Come la gemma che aveva alimentato il gigante di metallo.
Dunque anche i ragni funzionavano allo stesso modo. Quelle creature dovevano essere i guardiani di quel sotterraneo, lasciati lì dal loro padrone per dare la caccia agli intrusi.
L'improvvisa consapevolezza la inorgogliva, ma al tempo stesso l'atterriva. Quante di quelle creature c'erano in quel sotterraneo?
I suoi incantesimi erano limitati e si sentiva già piuttosto stanca.
Nonostante ciò mirò contro la gemma del ragno e sparò un dardo magico.
La gemma luccicò come se fosse diventata incandescente. Il ragno sbuffò e fischiò emettendo un getto di vapore e poi stramazzò al suolo.
La gemma sulla sua sommità era diventata nera.
Un secondo ragno si animò all'improvviso e balzò dalla parete verso di lei, colpendola alla schiena. Il contraccolpo la sbilanciò in avanti, facendola cadere. Si graffiò man e ginocchia nel tentativo di attutire la caduta.
Nel frattempo il ragno avanzava con le sue zampe protese verso di lei. Solo allora notò le pinze con cui terminavano le due zampe anteriori.
Era un'arma rudimentale ma non aveva voglia di assaggiare il morso di quel ragno.
Si rialzò e puntò le mani verso la creatura. Il primo dardo colpì una delle zampe alla giuntura con il corpo sferico, staccandola di netto. Il secondo centrò la gemma staccandola dal supporto.
La pietra rimbalzò lontana mentre il ragno si accasciava al suolo come un burattino al quale erano stati tagliati i fili.
Uno dei ragazzi raccolse la pietra prima che potesse dirgli di non farlo.
"Dalla a me" disse Joyce.
Il ragazzo ubbidì.
La pietra era fredda al tacco e liscia. Joyce se la infilò in tasca e riprese a muoversi verso il fondo della stanza.
Altri due ragni si animarono e si staccarono dalla parete di roccia, e sbuffando vapore si diressero verso di loro.
Oltre la parete di fondo della stanza si apriva un cunicolo scavato nella roccia. Joyce non aveva idea di dove portasse, ma non aveva tempo per pensarci. Spinse Alil e gli altri attraverso l'apertura e vi si infilò lei stessa.
Corsero senza voltarsi indietro, ma Joyce sentiva lo strusciare delle zampe metalliche dei ragni contro la roccia, ed era sempre più vicino.
Il cunicolo terminò all'improvviso e si ritrovarono all'esterno, in una spianata deserta antistante una parete di roccia. Il sole era basso all'orizzonte e le ombre della sera si allungavano nella direzione opposta.
Per quanto tempo sono rimasta lì dentro?, pensò Joyce. Aveva perso del tutto la cognizione del tempo al buio.
I ragni li seguirono fuori dall'apertura e si diressero verso di loro.
"Ma perché ce l'hanno con noi?" domandò Alil.
"Si vede che non siamo i benvenuti." Joyce lanciò due dardi contro uno dei ragni e lo abbatté.
L'altro balzò in avanti e la colpì al torace, mandandola al tappeto.
Joyce stava per rialzarsi quando sentì un dolore atroce alla caviglia. Guardò in basso e vide una delle tenaglie strette attorno alla sua gamba.
Scalciò per liberarsi da quella presa me era ferrea. Il dolore era così atroce che non riusciva a pensare.
Per fortuna Alil e gli altri erano ancora in grado di muoversi. Raccolsero delle pietre e iniziarono a tempestare di colpi il ragno meccanico.
Questi però non lasciò la presa e anzi inizio a indietreggiare trascinando Joyce con lui.
Lei cercò di aggrapparsi al suolo, ma non trovò una appiglio.
Una volta, ma non ne era certa, aveva letto di ragni che catturavano le loro prede e poi le trascinavano nelle tane per divorarle con calma.
Era anche quello il suo caso?
Che tana poteva avere un ragno di metallo?
Era un pensiero così assurdo che bastò a ridarle la lucidità necessaria per decidere che cosa fare.
Colpì il ragno con un dardo magico e gli staccò di netto la zampa con la quale le aveva artigliato la caviglia. Quindi si rialzò per avere una visione migliore della situazione.
Il ragno stava per tornare alla carica, quando due dardi lo raggiunsero alla sommità, facendo saltare via la pietra che lo alimentava. Il mostro di metallo si afflosciò al suolo e lì rimase.
Joyce, esausta e dolorante alla caviglia, lottò per restare in piedi e voltò la testa verso il punto da cui erano provenuti i dardi.
Un giovane dalla pelle scura avanzò sicuro verso il mostro metallico e lanciò una lunga occhiata alla creatura che giaceva nella polvere. Indossava una lunga veste di velluto rosso ricamata con decorazioni in oro e argento, legata in vita da una cintura marrone dalla quale pendeva una spada corta dalla lama ricurva. I capelli erano neri come la notte e gli occhi scuri grandi e luminosi.
"E voi chi siete?" domandò a Joyce. "Non dovreste essere qui."
Lo straniero aveva lineamenti delicati, labbra carnose dalla piega armoniosa e una voce calda e penetrante. Sotto la veste si intuiva un corpo aitante e atletico.
Lei si sforzò di sorridere. "Io mi chiamo..." Le parole le morirono in gola. Perché non riusciva a staccare lo sguardo da quegli occhi neri come la notte? All'improvviso si sentì debole e inerme.
"Me lo dirai dopo" disse lo straniero prendendola per il braccio. "Ora venite con me."
"Sì" disse, forse troppo in fretta.
 
La tenda apparve dietro una duna. Era una costruzione semplice e al tempo stesso sfarzosa. Il tessuto stesso era prezioso e abbellito da ricami che raffiguravano scene di lotta e di caccia. Joyce notò che quelle attività erano svolte da uomini e donne nudi e nessuno di loro sembrava a disagio.
Per fortuna i tempi sono cambiati, pensò mentre lo straniero dagli occhi di tenebra la trascinava nella tenda.
L'interno era decorato con le stesse scene viste all'interno. L'unica luce era quella di un grosso candelabro d'oro. C'erano bauli aperti dai quali traboccavano vestiti dall'aria preziosa, spade e armature gettate per terra, un tavolino sostenuta da dei cavalletti, un letto a baldacchino e persino un arco con una faretra.
"Aspettate qui. E non muovetevi" disse lo straniero mentre usciva dalla tenda.
Joyce, Alil e i ragazzi attesero per alcuni minuti. Quando lo straniero tornò non era solo.
Con lui c'era un albino con la veste nera e i ricami in oro. Sembrava più giovane dello straniero ma Joyce ancora non era molto brava a valutare la loro età. Non appena li vide sgranò gli occhi. "Li hai portati qui, Darran? Davvero hai fatto questa follia?"
Lo straniero si strinse nelle spalle. "Non potevo lasciarli lì fuori."
"Dovevi" disse l'albino.
I due parlavano come se Joyce e gli altri non esistessero. Solo allora si rese conto che il trucco di Afua era quasi del tutto scomparso rivelando la sua vera identità. Ciocche di capelli rossi le cadevano sulle guance e il collo dove si appiccicavano. Doveva avere un aspetto terribile.
"Suvvia, Rafi. Non potevo abbandonarli al loro destino" disse Darran.
Rafi, l'albino, gli scoccò un'occhiata torva. "Non chiamarmi con quel nome. Io sono Rafiki."
Darran fece spallucce. "È uguale."
Rafi grugnì qualcosa, poi si voltò verso Joyce e sembrò accorgersi della sua esistenza per la prima volta. "Chi sei? E che cosa ci facevi lì fuori?"
"Mi chiamo Sibyl" disse Joyce. "E sono andata alla montagna per liberare questi ragazzi." Indicò Alil e gli altri.
"Liberarli?" chiese Darran.
Joyce annuì. "Erano prigionieri. Insieme a molti altri."
"La montagna è dove teniamo i prigionieri" disse Rafi. "Liberandoli hai commesso un crimine molto grave."
"E imprigionare dei bambini e costringerli a scavare nelle grotte non è un crimine?" protestò Joyce.
Darran fece segno a Rafi di fare un passo indietro. "Sibyl ha ragione, Rafi. Kwame e Dafina mi devono delle spiegazioni."
"Dovranno darle anche a me" disse l'albino. "Non mi hanno mai parlato di questo" aggiunse indicando Alil.
"Prima però dobbiamo dare dei vestiti puliti a Sibyl e ai ragazzi" disse Darran. "E qualcosa da mangiare. Sembrate affamati."
Sibyl lo era. E anche Alil e i ragazzi sembrarono sollevati quando Darran parlò di cibo.
"Vi farò portare subito qualcosa" disse Darran. "Poi andremo alla torre."
"Non so ancora i vostri nomi" disse Joyce prima che uscissero.
Darran sorrise. Uno splendido sorriso, radioso come un mattino d'estate, pensò Joyce. "Io sono il principe Darran della casa regnante degli Ofemi" disse esibendosi in un leggero inchino. "E questo" aggiunse indicando Rafi. "È Rafi della nobile casa dei Runako. Mio fedele consigliere e guardia del corpo."
"Rafiki" disse l'albino spazientito.
Il viso di Joyce si illuminò. "Runako? Per caso conosci un'albina di nome Chare?"
"È mia sorella maggiore" disse Rafi. "Le è successo qualcosa?"
"Non ancora" disse Joyce. "Ma potrebbe succederle. Lei mi ha aiutato a entrare nella montagna e a quest'ora potrebbero averla scoperta."
"Dove l'hai vista l'ultima volta?" le chiese Rafi.
"Stava parlando con Dafina."
"La madre di quell'odioso Obasi" disse Darran. "Tua sorella non doveva sposarlo."
"Non lo avrebbe fatto se tu non..." iniziò a dire Rafi.
Darran lo azzittì con un gesto della mano. "Non ricominciare con quella storia."
"Devo andare subito alla torre" disse Rafi. "Forse sono ancora in tempo a evitare il peggio." Se ne andò senza attendere di essere congedato.
"Vi faccio portare qualcosa da mangiare" disse Darran.
"Ci sarebbe la possibilità di fare un bagno?" chiese Joyce.
Darran indicò la vasca nell'angolo più lontano della tenda. "Ti faccio portare dell'acqua calda, ma dovrai cavartela da sola, a meno che tu non voglia che sia io a versartela addosso."
Joyce arrossì.
Darran ridacchiò. "Stavo scherzando, Sibyl. Non oserei mai."
Davvero?, pensò. Perché allora quel pensiero non le dispiaceva poi così tanto? In fondo a palazzo era abituata ad avere le ancelle che le preparavano il bagno, mentre lì aveva la possibilità di avere un principe in carne e ossa e tutto il resto a sua disposizione.
Darran era ancora in attesa di una risposta.
"Vada per l'acqua calda" disse ricomponendosi. "E me la caverò benissimo da sola. Sono abituata a farmi il bagno senza essere aiutata."
"Bene, provvedo subito. Voi" disse rivolto ai ragazzi. "Venite con me. Lasciamo a Sibyl un po' di intimità."
Darran tornò un'ora dopo con dei valletti che lo aiutarono a portare delle otri piene d'acqua fumante che depositarono vicino alla vasca.
"Lì ci sono dei vestiti" disse il principe indicando un baule. "Non sono molto femminili e forse non saranno della tua misura, ma basta poco per adattarli."
"Grazie. È molto gentile da parte tua."
Darran sorrise. "Allora ti lascio al tuo bagno."
Lui e i valletti se ne andarono.
Joyce andò all'ingresso della tenda e si assicurò che non ci fosse nessuno lì attorno, quindi andò alla vasca e versò l'acqua delle otri finché non fu piena a metà.
C'era anche un otre colma d'acqua fredda che usò per mitigare la temperatura. Quando fu soddisfatta sospirò e si preparò per il bagno.
Passò l'ora successiva a crogiolarsi nel caldo abbraccio dell'acqua. Sciacquò più volte il viso e i capelli per far andare via il trucco di Afua.
Quando uscì si asciugò e poi andò al baule che Darran le aveva indicato.
C'erano molti vestiti, ma quasi tutti seguivano la stessa moda. Lunghe tuniche dai colori sgargianti e dai ricami raffinati.
Ne prese una rossa che tendeva al viola e la indossò, quindi la legò in vita con una cintura di pelle color ocra. Non era il massimo ma poteva andare. Infilò gli stivali e si ravvivò i capelli davanti a uno degli specchi che aveva trovato nel baule.
Aveva un aspetto appena passabile. Il sole le aveva provocato delle leggere scottature lì dove la pelle era più esposta, al viso e alle braccia. Ma era ancora lei, la solita Joyce col naso sbarazzino, gli occhi chiari, le lentiggini e le labbra imbronciate che a Oren non piacevano.
Quel pensiero le provocò una fitta spiacevole allo stomaco. Anche a migliaia di miglia di distanza e con tutto quello che stava succedendo non riusciva a togliersi dalla mente il suo corpo sepolto dalle macerie.
Sospirò e uscì dalla tenda.

Prossimo Capitolo Lunedì 6 Novembre

Nota:
Purtroppo devo rimandare di molto la pubblicazione del prossimo capitolo per gravissimi problemi famigliari.
  
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