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Autore: Samy Piperita    28/10/2017    3 recensioni
Non avrebbe saputo dire in quale momento Misty fosse riapparsa a tempo pieno nei suoi pensieri. Forse quando aveva respinto Serena, senza capire esattamente perché lo stesse facendo. Forse quando aveva visto in TV quello speciale sulle palestre del Kanto e fra i personaggi intervistati era apparsa proprio Misty, un imprevisto che lo aveva lasciato boccheggiante. Forse era per via dell’atmosfera distesa, riflessiva, quasi intima che si respirava sull’Isola di Maverick, come alcuni dei suoi compagni di corso avevano ipotizzato. In effetti, da quando vi abitava, aveva una vita molto più organizzata, aveva tempo per ragionare su di sé, su ciò che voleva nel suo futuro e come muoversi per raggiungerlo. Non che avesse abbandonato il sogno di diventare Pokémon Master, era andato a studiare sull’isola proprio per questo, ma forse cominciava finalmente a intuire che ciò non poteva rappresentare il cento percento della sua vita. Di certo, in ogni momento in cui non poteva impegnare la mente in un’attività manuale, ricordava gli anni passati con Misty, convincendosi sempre di più che fossero stati i migliori.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ash, Brock, Gary, Misty, Nuovo personaggio | Coppie: Ash/Misty
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Premessa
 
A differenza di tutti gli altri, questo capitolo è dal punto di vista di Misty, perché in origine lo avevo pensato come una one-shot a sé stante. Poi “I maestri della Maverick Academy” ha preso forma e ho deciso di unire le due cose in un unico lavoro. Avevo poi pensato di dividerlo in due, perché è decisamente lungo rispetto agli altri, ma poi ho optato per lasciarlo così com’è nato.
Spero sia romantico ma anche divertente, in certi passaggi può essere anche demenziale, se non proprio surreale. Comunque, mi auguro che sia una lettura piacevole.
 
*
 
Festa a casa di Gary
 
Per l’ennesima volta, mi tolgo la penna di bocca, resistendo alla tentazione di scagliarla contro il muro. Me lo sono imposta come esercizio mentale, non mordicchiare la penna mentre curo la contabilità della palestra. Esercizio in cui sto, come sempre, fallendo miseramente, mentre la contabilità pare dilatare invece di ridursi.
Poso la penna sulla scrivania e schiaccio il viso contro il palmo della mano, sporco dell’inchiostro dei timbri. Immagino che la mia povera testa stia fumando e l’orologio non segna ancora le 17:00!
Che giornataccia!
La mattina è stata una sfida continua, purtroppo contro una serie infinita di bambocci e bambocce, che non hanno la più pallida idea su come si allenano i Pokémon e si presentano qui pensando di battermi facilmente. Sono occorse ore per far rilassare i Pokémon della palestra, infastiditi da tanto pollaio. Per potermi dedicare alla contabilità ho dovuto rimandare due lezioni private molto redditizie. Maledizione, ogni tanto quelle sfaticate delle mie sorelle potrebbero darmi una mano! Ma no, cosa vado a pensare? Queste incombenze da servi della gleba spettano a me, la stacanovista di famiglia, la schiavetta di casa, la socialmente inutile Misty.
La zitella irrimediabile.
Non ho mai sentito pronunciare queste parole in diretta, ma so che molti, quando non sono presente, mi definiscono così. Forse anche fra i miei affezionati dipendenti, c’è qualcuno che mi chiama in quel modo. Non che mi manchino altri soprannomi, ben più altisonanti e celebrativi, come l’imperatrice di ghiaccio o l’invincibile sirena d’acciaio. Peccato che non li trovi divertenti e non mi rendano più orgogliosa di ciò che faccio. C’è stato un tempo in cui ho pensato che dirigere questa palestra sarebbe stato il massimo. Ora ho spesso il dubbio che non possa esserci una vita più vuota di quella che sto conducendo.
Mi distendo sullo schienale imbottito della poltroncina, carezzando l’idea di mandare a quel paese la contabilità, almeno per questo pomeriggio. Ad ogni modo, ciò che lascio in sospeso la sera mi attende la mattina dopo. Però non è da me, le abitudini ferree che mi sono imposta prevedono che tutto sia perfettamente in ordine, quando chiudo.
Una vibrazione improvvisa mi permette di rimandare per qualche momento il dilemma. Getto un’occhiata svogliata al cellulare, abbandonato sul piano della scrivania. Probabilmente qualcuno da casa vuole sapere quando rientro per preparare la cena, come se non avessi un orario fisso e loro non lo sapessero. Come non potessero prepararsela da soli, la cena!
Gary?
Sembra impossibile ma proprio quel nome brilla sul display.
Rimango a dir poco interdetta, da quanto non sento Gary? Sicuramente più di un anno, da quando il nostro improbabile tentativo di relazione è naufragato senza scampo.
Ricordo bene l’ultima volta in cui abbiamo scambiato più di dieci parole, è stato quando lui mi ha lasciata, impartendomi una lezione di vita di quelle importanti.
Devo dire che Gary non è un damerino vanesio e innamorato di se stesso, in quel periodo mi ha dimostrato di essere un buon conoscitore dell’umana natura. Quando mi ha messo con le spalle al muro, demolendo ogni mio argomento con mortificante facilità, non ho potuto fare altro che mandare a spasso il mio orgoglio femminile e dargli ragione.
Non fai altro che lavorare in modo ossessivo, hai rinunciato a vivere per occuparti al centoventi percento della tua palestra. Basterebbe affidare più mansioni ai tuoi collaboratori, ma non lo farai mai perché tanto accanimento ti serve per non pensare a lui.
Semplice, diretto, senza giri di parole e terribilmente vero, per essere un ragazzo è parecchio sveglio. La nostra relazione non è mai iniziata davvero, alla fine mi sono addirittura scusata per avergli fatto perdere tempo.
Raccatto il telefono e accetto la chiamata.
“Pronto?”
“Parlo con l’instancabile capo palestra di Celestopoli?” Domanda con affettuosa ironia la voce vellutata di Gary.
“Così pare.” Gli concedo, sorridendo mio malgrado.
“Bene, vengo subito al dunque.” Scandisce lui. “Siccome a giorni dovrò partire per un viaggio di lavoro, ho pensato di fare una rimpatriata con alcuni vecchi amici, stasera, a casa mia. Niente di speciale, ordiniamo una pizza, guardiamo un film e alla fine pigiama party per chi vuole rimanere a dormire. Scusa per il poco preavviso ma è l’unica sera utile prima di partire.”
Boccheggio di fronte a quell’invito torrenziale, improvviso e del tutto inaspettato. Me l’ha scagliato addosso come se avessimo smesso di sentirci il giorno prima.
“Io… non so…” Balbetto. “È molto gentile da parte tua invitarmi, ma…”
“Sì, certo.” Mi interrompe sbrigativo, quasi sgarbato, sicuramente infastidito. “C’è qui una persona che ti convincerà sicuramente.”
A quelle parole sento il cuore sprofondare.
Non sarà mica…
“Come sta la più grande allenatrice di Pokémon d’acqua del mondo?” Domanda qualcuno di famigliare, sebbene non chi mi aspettavo, che temevo.
Questa voce…
Mentre la riconosco, sento un bizzarro miscuglio di sollievo e delusione.
“Non è possibile!” Esclamo. “Brock Peters!”
“Proprio io!” Sento rispondere con l’entusiasmo per cui lo ricordo con tanto affetto. “Allora, ci vieni alla festa o vuoi farti pregare?”
“E me lo chiedi, a che ora si comincia?”
“Sulle otto direi che va bene, giusto, Gary?”
Immagino l’interpellato confermare con un gesto sbrigativo.
“Ti aspettiamo, non vedo l’ora di riabbracciarti!”
“Siamo in due, puoi starne certo!”
“Perfetto, a dopo!”
La telefonata s’interrompe così bruscamente, da lasciarmi il dubbio che sia avvenuta davvero. Per diversi secondi rimango immobile con il cellulare sollevato.
Il caro Brock, mi sono commossa a sentire la sua voce dopo tanto tempo, al punto che devo soffocare un nodo alla gola. Poi sento un brivido che mi percorre la schiena, che avrei fatto se invece di Brock mi avessero passato…
Ferma, Misty!
So che è sbagliato, che mi faccio soltanto del male.
Come se non me ne fossi già fatta abbastanza.
La mano destra corre automaticamente al primo cassetto della scrivania, incurante delle grida disperate della coscienza.
Il primo cassetto è una sorta di sancta sanctorum personale, ci sono solo tre oggetti. Il primo è una vecchia Pokéball ormai inutilizzabile, un tempo appartenuta a Ash. Il secondo è il cappello dell’Esposizione Ufficiale della Lega Pokémon, per cui Ash mandò più di un milione di cartoline e che ha sempre indossato negli anni che abbiamo trascorso in viaggio. È vecchio e malandato, pieno di strappi, Delia l’avrebbe buttato se non le avessi chiesto di regalarmelo, tutto all’insaputa di Ash. Il terzo è una fotografia.
Non ricordo di preciso quando e dove è stata scattata, ritrae me e Ash in una splendida giornata di sole, durante uno dei nostri viaggi. È la sola foto in cui siamo soltanto noi due, senza Pokémon, l’unica in cui ci teniamo per mano.
Dove sei, cretino?
Non prendo nemmeno la foto in mano e richiudo il cassetto di scatto, mentre soffoco un altro nodo alla gola, ben più forte del precedente.
Stop, Misty!
Non ci devo pensare, come dice spesso Daisy, devo smetterla di farmi del male in questo modo. Per quanto io possa aspettarlo, Ash non tornerà, gli anni passati dimostrano che per me non ha mai provato niente di più forte dell’amicizia. Il mio amore per lui, però, è ancora qui, integro, intenso, totale.
E fa malissimo.
Cerco di aggrapparmi alla prospettiva di rivedere Brock, di mettere il naso fuori di casa per un motivo che non sia il lavoro, stento a ricordare l’ultima volta in cui è capitato. Mando definitivamente al diavolo la contabilità, non ripongo nemmeno i fogli, li lascio disposti sulla scrivania, anche se non c’è pericolo che qualcuno faccia questo lavoro per me. Chiudo la palestra in fretta e furia, anche se non è ancora l’orario ufficiale. Non ho mai fatto un simile strappo alla regola, da quando sono capo palestra, ma per rivedere Brock farei questo e altro.
 
La grande villa in cui abita la famiglia di Gary mi sembra più grande, più sontuosa, forse anche più curata di come la ricordo. Anche nel breve periodo in cui siamo stati insieme, mi sentivo a disagio quando venivo qui. Per questo preferivo vederlo in palestra o a casa mia, quando era libera da presenze invadenti. Nel parcheggio antistante al grande cancello ci sono molte macchine e moto, ma quanta gente ha invitato? Attraverso il vialetto che conduce all’ingresso, facendo attenzione che l’erba bagnata non mi sporchi il vestito.
Non so nemmeno perché mi sono messa così elegante, indossando un abito lungo che Daisy non utilizza più perché fuori moda, dice lei. A me piace un sacco, trovo che mi si addica, sebbene sia praticamente la prima volta che lo indosso.
Il portone d’ingresso è aperto e non c’è nessuno ad accogliermi, ma conosco bene la disposizione della casa quindi non è un problema. Sento un gran numero di voci che chiacchierano allegre in soggiorno. Questa non è una serata con alcuni vecchi amici come ha detto Gary, pare piuttosto un ricevimento in grande stile. Sento un primo impulso a voltarmi e andarmene, all’improvviso l’idea di mischiarmi a tutta quella gente mi mette più a disagio della villa.
Mi fermo sulla soglia del grande soggiorno. I lampadari spandono una luce calda e piacevole, la sala è piena di persone vestite in modo sportivo che chiacchierano con in mano semplici bicchieri di plastica, sgranocchiando popcorn e salatini. Picchierei la testa nello stipite della porta, sono l’unica cretina che si è vestita elegante! L’impulso a far finta di niente e andarmene diventa più forte, poi la mia mente traditrice comincia a passare in rassegna i presenti.
Ci sono molti amici di Gary, alcuni me li ha presentati quando stavamo insieme. Non oso immaginare che idea possono essersi fatti di me al tempo della nostra rottura, né cosa penseranno vedendomi lì. Riconosco Drew e May e non posso fare a meno di pensare che formino davvero una bella coppia, soprattutto per il fagottino che lei stringe amorevolmente fra le braccia. Brock sta discutendo animatamente con Gary, forse su qualcosa che non gli sta bene nella disposizione del buffet. Poi ci sono Tracey e Dawn, che chiacchierano con…
Sento il cuore che mi finisce nelle dita dei piedi, lo stomaco pare voler cambiare posizione.
Calma, Misty! Calma!
L’impulso di allontanarmi alla chetichella si trasforma in desiderio di fuggire a gambe levate in preda al terrore. Eppure rimango congelata nella posizione, osservo incapace di distogliere lo sguardo dalla sua figura.
Niente panico!
È diventato più alto, probabilmente più di me, com’è possibile? E che fisico che ha messo su! Ha forse passato gli ultimi anni in sala pesi? Indossa un completo blu elegantissimo, con tanto di cravatta e un lucente distintivo verde e oro appuntato sul cuore. Il fatto di non essere l’unica cretina in ghingheri non mi consola, le gambe tremano e il cuore pare volermi uscire dal petto. Lui appare perfettamente a suo agio, nonostante tutti quelli che lo circondano abbiano pantaloni corti, magliette e scarpe da ginnastica, chiacchiera addirittura con le mani in tasca. È disinvolto e affascinante, così diverso dal ragazzino che ricordo.
È diventato un giovane uomo!
Stringo i denti al pensiero che l’ha fatto senza di me.
Sento il cuore che si frantuma una volta di più, se fossi nell’intimità della mia stanza da letto, una considerazione del genere mi farebbe piangere fino a consumarmi.
“Misty!”
Sussulto, ho perso la possibilità di fuggire, che idiota patentata! Brock attraversa la sala quasi di corsa e mi stringe in un abbraccio stritolatore, seguito subito da Tracey, non meno entusiasta. Mi tempestano di domande ma non capisco una parola, il mio povero cervellino pare aver fatto le valigie. L’abbraccio di Gary è più rapido, mi bacia sulle guance in modo fin troppo cerimonioso, poi viene il suo turno.
Niente panico!
Sembra impossibile, ora la mia testa gli arriva ad altezza del torace e che enorme apertura di spalle! Ash si prende il tempo necessario per osservarmi, vuole forse torturarmi? I miei pensieri sono come impazziti e non ce n’è uno che abbia una parvenza di senso. Nonostante ciò, trovo la lucidità per riconoscere il distintivo che lui porta sul petto, è quello della Maverick Academy.
Mi sembra di precipitare.
Ash, il mio Ash, è iscritto alla Maverick Academy, una delle scuole Pokémon più importanti ed esclusive del mondo!
Pur nella confusione, il cuore mi si riempie di orgoglio, forse non sono mai stata tanto fiera di qualcuno.
Lui continua a considerarmi, mi squadra da capo a piedi, non ho idea di quali siano le emozioni che passano nei suoi occhi. Alla fine mi abbraccia a sua volta.
Ok, panico!
Il suo abbraccio è molto diverso da quello di Brock e Tracey, anche da quello di Gary. C’è qualcosa di meccanico, i suoi movimenti sono contratti, sembra avere paura di sbagliare qualcosa. Forse anche lui è sulle spine, sebbene non quanto me.
È il fattorino della pizza che suona il campanello a salvarmi. Percepisco diversi che si precipitano a recuperare il cibo, mentre io e Ash ci stacchiamo. Lui mi osserva per un altro lungo momento, non scambiamo una parola, ma sa il cielo quante ce ne sarebbero da dire. Ancora, mi perdo nella profondità dei suoi occhi scuri, senza riuscire a leggerne le emozioni.
È passato troppo tempo.
E vorrei scoppiare in singhiozzi lì dove mi trovo.
Perché mi hai lasciata?
Vorrei urlare.
Perché ti ho lasciato andare con tanta tranquillità?
 
Durante la cena, io e Brock ci raccontiamo gli anni di lontananza, ma è difficile, quasi impossibile, non cercare lo sguardo di Ash. Si è seduto in un’altra zona della grande tavolata. Lo vedo chiacchierare poco e concentrarsi molto sulla sua pizza, ne ha ordinata una per due persone, non ho dubbi che la farà fuori da solo. Almeno in questo non è cambiato, penso con un sorriso. Però è scuro in volto, pensieroso, la tranquillità che aveva prima del mio arrivo pare svanita, cosa può significare? Potrei impazzire e cominciare a sbattere la testa nella mia pizza ai frutti di mare, per un quesito del genere.
La cena scorre via senza che Ash volga lo sguardo una sola volta verso di me, forse anche lui non si aspettava di vedermi qui. È contento? Indispettito? Infuriato? Come faccio a capirlo se rimane chiuso in quell’immobilità surreale, così in disaccordo con il ragazzino casinista e fracassone che ricordo?
Dopo aver sparecchiato, Tracey propone un film in dvd che ha portato da casa, L’armata delle tenebre di Sam Raimi. Non ho idea di cosa sia, ma mi pare di capire che si tratti di un horror di serie B con risvolti demenziali. Quasi tutti gli amici di Gary sono entusiasti e si complimentano con Tracey per l’ottima idea, in pochi minuti ci troviamo seduti sui divani di fronte al megaschermo, in quella che Gary definisce sala di ricreazione.
Mi chiamo Ash e sono uno schiavo. Se non sbaglio, dovrebbe essere l’anno domini 1300 e mi hanno condannato a morte.
Il film inizia con questa frase e l’attore Bruce Campbell che si trascina in catene. È sufficiente a farmi cominciare a ridere in modo nervoso, come una perfetta deficiente. Immagino gli sguardi incerti rivolti al mio indirizzo, mentre il film, per mia fortuna, si dipana, divenendo la cosa più assurda, tamarra e divertente che io abbia mai visto. Il protagonista si trova ad avere a che fare con dei cavalieri medievali che lo gettano in un pozzo, dove è costretto a combattere con i morti viventi, poi con stregoni, folletti, strane presenze in agguato nel bosco, il tutto con surreale nonchalance, pose da macho ed estemporanee frasi a effetto. Non sono più la sola a ridere, ma lo faccio con più gusto degli altri, perché quel tamarro senza paragoni si chiama Ash, come ama ricordare più volte durante il film. A un certo punto si sdoppia addirittura nelle sue due parti, Ash buono e Ash cattivo, con il risultato che la carica demenziale del film raddoppia. Di seguito assistiamo alla ricerca di un libro maledetto, al risveglio dei morti causato, guarda caso, dalla stupidità di Ash, a una battaglia epocale e priva di ogni logica contro un esercito di scheletri. Non ricordo quando è stata l’ultima volta in cui ho riso tanto, probabilmente ero in compagnia di Ash, ma non quello del film. Ok, Sam Raimi e Bruce Campbell sono i miei nuovi idoli indiscussi, penso che domani andrò in videoteca a cercare il dvd, oppure chiederò a Tracey di farmene una copia.
 
Terminata la visione, molti degli invitati si congedano. Rimaniamo una decina e quasi magicamente compaiono delle chitarre. In un primo momento penso che cantare insieme sarà piacevole, ma un’amica di Gary si offre di cominciare e senza preamboli intona Montagne verdi.
Calma, Misty! Calma!
Me lo ripeto come un mantra, ma non serve, quanto odio quella canzone! Ogni volta che mi capita di ascoltarla piango come una fontana.
Poi un giorno mi prese il treno, l'erba, il prato e quello che era mio, scomparivano piano piano e piangendo parlai con Dio. Il mio destino è di stare accanto a te, con te vicino più paura non avrò e un po' bambina tornerò.
Grazie, cazzo, proprio quello che ci voleva! Non poteva cantare la sigla dei puffi?
Mi ricordo montagne verdi quella sera negli occhi tuoi, quando hai detto: "Si è fatto tardi, ti accompagno se tu lo vuoi". Nella nebbia le tue parole, la tua storia e la mia storia, poi nel buio senza parlare ho dormito con te sul cuore.
Canta pure bene questa stronza, con gran sentimento! Quanto la prenderei a schiaffoni!
Io ti amo mio grande amore, io ti amo mio primo amore, quante volte ho cercato il sole, quante volte ho cercato il sole.
Spero che nessuno lo noti, ma sto lottando strenuamente per non sciogliermi. Il piacere un po’ folle datomi dal film è già scomparso.
Il mio destino è di stare accanto a te, con te vicino più paura non avrò, e un po' più donna io sarò, montagne verdi nei tuoi occhi rivedrò.
Per fortuna è breve, l’applauso che segue all’esecuzione mi fa tirare un sospiro di sollievo. Non riesco a credere di aver ascoltato quella maledetta canzoncina nella stessa stanza in cui si trova Ash, benché lui si ostini a far finta che io non ci sia. Vorrei esplodere, oppure che una voragine piena di morti viventi si apra sotto di me e m’inghiotta, li farei a pezzi con il puro nervoso, senza bisogno di fucili o motoseghe.
Appena l’applauso cessa, Brock si fa consegnare la chitarra, ciò mi rincuora. Sono certa che il mio amico non mi tradirà, non tirerà fuori un brano in grado di uccidermi come Montagne verdi, ma quando lui si lancia con tutto se stesso nell’interpretazione di Un giorno insieme, capisco che non c’è pietà per la povera piccola Misty.
Cielo grande, cielo blu, quanto spazio c’è lassù. Cammino solo è non ti sento più. Cielo grande, cielo blu, al mio fianco c’eri tu e il giorno che nasce cancella ogni segno di te.
Dalla padella alla brace, in questo momento sono certa di odiare profondamente Brock.
Un giorno insieme, a lanciar sul fiume sassi e poi, capire cosa siamo in fondo noi.
Cerco di nuovo lo sguardo di Ash, ma lui è sprofondato, quasi disteso in una grande poltrona e non riesco a vedere il suo viso.
Amica mia, so che forse tu non capirai, ma un uomo no, non è contento mai.
Questo è vero, gli uomini non si accontentano mai e, quel che è peggio, non capiscono mai un accidente!
Cielo grande, cielo blu, quanto spazio c’è lassù. Cammino solo è non ti sento più.
Finalmente Brock conclude e l’applauso per lui è più lungo del precedente, non si può negare che ci abbia messo l’anima, mentre la mia vorrebbe tanto darsi all’eremitaggio sulle montagne più sperdute del pianeta.
È il turno di Gary, possibile che in questa casa siano tutti bravi a suonare e cantare? Cerco di fulminarlo con il mio sguardo più feroce.
Non osare!
Le mie speranze nella clemenza del mio ex crollano, quando lui attacca con Ritornerò.
Allora sei proprio un bastardo!
È forse una congiura? Si sono messi tutti d’accordo per farmi stare male? Tre brani su tre in grado di massacrarmi, questo va ben oltre la premeditazione!
Ti ho cercata in mezzo ai volti che vedevo intorno a me, più credevo di trovarti più eri inafferrabile, ogni tanto m'illudevo fossi veramente tu, e sentivo la tua voce anche se già non c'eri più. Ritornerò, ritornerò.
Poi una sera d'estate ho aperto gli occhi ed eri lì, le nostre giovani vite quasi indivisibili, forse è stato il troppo amore o l'incoscienza dell'età, aprendo quella porta hai detto tutto si sistemerà. Ritornerò, ritornerò.
Ed il tempo se ne andò con te, tra i rimpianti e le lacrime, e i ricordi e la felicità, a l'Amore che non tornerà, che quando si perde è perso ormai. Chissà un giorno se mi rivedrai, ti batterà il cuore per un po', solamente per un attimo.
Gary canta davvero bene, occorre dargliene atto, ma io ne ho abbastanza. Mi alzo di scatto con la scusa di andare in bagno e mi lascio alle spalle la piccola congrega quasi di corsa. Faccio appena in tempo a sedermi sulla tazza del water senza sollevarne il coperchio, l’uso che intendo farne non è quello tradizionale. Scoppio in lacrime senza ritegno, senza preoccuparmi che qualcuno possa sentirmi, la sala è lontana e gli altri, ignari del dolore che mi hanno causato, vanno avanti a cantare. Possibile che delle semplici canzoni riescano a ridurre in questo stato l’imperatrice di ghiaccio, o l’invincibile sirena d’acciaio? Me lo chiedo più volte, mentre consumo il rotolo di carta igienica per asciugarmi le lacrime e soffiarmi il naso. Non sono le canzoni, è lui, la sua presenza, non avrei mai dovuto accettare l’invito a questa serata.
Non so per quanto tempo rimango in bagno a singhiozzare, forse dieci minuti, forse un’ora, di certo non intendo tornare dagli altri se prima non mi sono calmata. In questo lasso di tempo, nessuno mi viene a cercare, forse hanno capito oppure sono semplicemente fortunata. Mi sciacquo la faccia e mi sforzo di riassumere un aspetto umano, ma gli occhi sono gonfi e arrossati, paiono due prugne. Il trucco, anche se leggero, ormai è un disastro. Ora potrei essere io il morto vivente, considero davanti allo specchio. Pazienza, dirò che non mi sento bene e ne approfitterò per andarmene, ponendo fine a questa serata allucinante.
Spenta la luce del bagno, l’oscurità mi avvolge piacevolmente, i miei passi non fanno rumore sulla moquette mentre attraverso il corridoio. Mi immobilizzo in fondo ad esso, nella stanza che devo attraversare c’è una persona, ma non si è accorta del mio arrivo.
Al tenue bagliore notturno che entra dalle finestre riconosco Ash, sebbene mi dia le spalle. Sono subito tentata di tornare in bagno, ma poi resto immobile a osservarlo.
Mi chiamo Ash, Reparto Ferramenta.”
Al sicuro da sguardi indiscreti, almeno così pensa lui, fa finta di avere in mano un fucile e cerca di imitare la voce e le pose di Bruce Campbell.
Devo chiederle di uscire da questo negozio.”
Non riesco a soffocare in tempo la risata che mi sale spontanea e lui si volta verso di me imbarazzato. Pur nel buio, sono certa di vedere i suoi occhi spalancati. Mi sorge il dubbio che anche lui ne avesse abbastanza di quelle canzoni, che mi stesse aspettando appostato in quella stanza. D’altra parte, sapeva dov’ero e dove sarei dovuta passare.
Frena, Misty!
Che vado a pensare? Di sicuro stava cercando il bagno e non è pratico della casa. Ricordo a me stessa, come ho fatto milioni di volte, che non ci vediamo e sentiamo da anni, che di sicuro lui ha la testa e il cuore altrove. Chissà con quante ragazze più belle e interessanti di me è stato! Ecco, ora magari esagero, ci sta che sia cresciuto ma anche latin lover… dai, si tratta pur sempre di Ash!
Il mio Ash…
Purtroppo il cinismo autodistruttivo del mio subconscio non conosce confini.
Non sapendo che altro fare e dovendo in qualche modo rompere quella stasi, decido di reggergli il gioco.
Ti succhierò l’anima!” Esclamo indicandolo, cercando di imitare la voce dell’orrenda strega che compare alla fine del film. D’altra parte è questo che devo essere sempre stata per lui, un’orrenda strega.
Ash fa il gesto di caricare il suo fucile immaginario.
Vieni a prenderla!” Mi sfida.
Eccome se verrei a prenderla! Anima, corpo, Pokémon e tutto prenderei di lui, peccato che… Il cuore mi rimbalza in gola, quando è lui che viene a prendere me. In pochi passi copre la distanza che ci separa e mi abbraccia, con una decisione e un trasporto che mi fa rimanere ancora una volta senza fiato. È molto differente dall’abbraccio di inizio serata, in questo non c’è niente di forzato, è dolce e caldo e pieno di affetto. L’abbraccio che mi aspettavo, che speravo di ricevere da lui fin dall’inizio. Sento di nuovo le lacrime premere, quando capisco, è questo il momento in cui ci rincontriamo davvero, Ash ha voluto attendere che fosse quello giusto.
“Misty.” Sussurra al mio orecchio.
Credo di non aver mai sentito il mio nome pronunciato in quel modo, anche lui è sull’orlo delle lacrime. Mi stringe forte, mi fa quasi male ma non ha importanza.
“Mi sei mancata da morire.” Aggiunge.
Se non fossi così stretta fra le sue braccia, sento che potrei svenire.
“Anche tu mi sei mancato, tanto.” Riesco a esalare, ma non posso evitare che la voce si spezzi per l’emozione.
Ash mi fa sedere su un piccolo divano che non avevo nemmeno notato, stringe le mie mani, mi osserva con attenzione, sembra indeciso su come cominciare. Ho tempo di pensare a quanto è cambiato, quanto appaia più maturo.
“Misty.” Scuote la testa, mi sorride. “Puoi perdonare questo grandissimo coglione?”
“Di cosa ti dovrei perdonare?” Chiedo con un filo di voce, presa ancora alla sprovvista.
Ce n’è a bizzeffe di cose per cui dovrebbe farsi perdonare. Peccato che quelle per cui io dovrei farmi perdonare siano quasi altrettante.
“Di essere tornato solo ora a cercarti.”
Sbaglio, o ha detto che è tornato per cercare me? Deve essere tutto un sogno e presto mi sveglierò, scoprendo che non mi sono mossa dal mio ufficio e che mi sono addormentata con la testa sulla contabilità.
“Di averci messo una vita.” Continua lui implacabile. “A capire che i miei viaggi non mi davano più la stessa soddisfazione, perché mancava la persona più importante. Di essere stato così lento e ottuso nel capire cosa provavo, di averti fatta aspettare tanti anni.”
Da dove prende tutta questa tranquillità? A me potrebbe esplodere il cuore in ogni momento e ad ogni sua parola! E quanto ci avrà messo a preparare questo discorso? Oppure gli è venuto spontaneo? Non ha importanza, le lacrime tornano prepotenti ad offuscarmi la vista.
“Misty, no!” Esclama subito lui. “Non volevo farti piangere! Non di nuovo…”
Sento la sua mano carezzarmi la guancia, la punta del pollice che asciuga le lacrime.
“Sto piangendo di gioia, stupido.” Riesco a dire.
“Ecco, così va meglio, la Misty che mi offende la riconosco.”
Ash ridacchia, io rido e piango, non so più che sto facendo. Non so nemmeno come riesco a fare uscire la voce.
“Non sai quante volte ho sognato di sentirti dire queste cose. Tu puoi perdonarmi per averti lasciato andare tanto a cuor leggero?”
Per tutta risposta, Ash mi fa stendere sul piccolo divano, tenendomi abbracciata, mi culla come farebbe con una bambina. Mi abbandono completamente alla sua presenza e ho la dolcissima impressione che gli anni in cui siamo stati separati siano svaniti di colpo. Ci osserviamo a lungo, riempiendoci lo sguardo e la mente dell’altrui figura.
“Adesso come diceva il tizio nel film?” Mi chiede lui dopo un po’, anche per alleggerire la situazione. “Ah sì, dammi un po’ di zucchero, baby!”
E finalmente le sento, le sue labbra sulle mie, calde, piacevoli, mi restituiscono in un attimo tutta la vita che ho perso in questi anni.
Dopo il bacio ci osserviamo a lungo, increduli. L’abbiamo fatto davvero? Lo stringo, come per accertarmi che non vada via di nuovo. Ci baciamo ancora, con più ardore, forse per renderci conto che sta accadendo nella realtà, non in un film o nell’ennesimo sogno. Sento le mie lacrime mischiarsi a quelle di Ash.
E in una pausa, mentre stringo il mio amato e mi sforzo di riprendere fiato, intravedo Brock e Gary che ci osservano dalla porta rimasta socchiusa. Il mio ex ha un’espressione soddisfatta, come se fosse riuscito in un’altra delle sue imprese. Brock sorride felice, ha gli occhi lucidi per la commozione. Si stringono la mano con atteggiamento complice, allora capisco, quei due erano d’accordo fin dall’inizio, hanno architettato tutto! Forse hanno anche detto a Ash che lo stavo ancora aspettando, ciò spiegherebbe tanta scioltezza nel dichiararsi.
Mi rannicchio nell’abbraccio di Ash, mentre lui continua a darmi piccoli baci sulla testa.
Ora l’Armata delle Tenebre può farsi avanti. Sono fra le braccia della persona che amo da sempre, in una casa piena dei migliori amici che si possano avere.
Non temo più niente.

 
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Spazio autrice
 
L’armata delle tenebre è un film del 1992 diretto da quel fottuto genio di Sam Raimi, considerato da molti un cult fra i cult per la sua totalmente sregolata e assolutamente spettacolare stupidità. Mi ha dato l’input per questo capitolo quando l’ho rivisto e i miei amici si sono messi a imitare le pose e le frasi di Bruce Campbell. L’omonimia dei protagonisti e alcune immagini crossover trovate su internet sono state un grosso aiuto nel creare le situazioni. Se volete, a questo link trovate la scena finale, quella che Ash e Misty recitano verso la chiusura del capitolo.
 
https://www.youtube.com/watch?v=B3oMblOA_sk
 
Le canzoni citate sono “Montagne verdi” di Marcella Bella (1972), “Un giorno insieme” dei Nomadi (1992) e “Ritornerò” di Max Pezzali (2008). Le ho inserite perché hanno un grosso significato per me e perché mi sembrano adatte alla situazione di Misty.
 
Mi scuso per la lentezza con cui sto pubblicando, vi assicuro che le mie intenzioni iniziali erano ben altre.
 
A presto
Samy

 
   
 
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