Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Ordinaryswan    29/10/2017    1 recensioni
Aria è una ragazza dolce ma chiusa. Aria ha paura del mondo esterno da quando suo padre l'ha abbandonata, anzi ha abbandonato lei e sua madre. Entrambe si fanno forza a vicenda ma l'unico pensiero della vita di Aria è quello di studiare e rendere orgogliosa sua madre. Forse non l'unico pensiero da quando una compagnia di ballerini americani piomberà in città e lei ci finirà dentro con tutte le scarpe (a punta).
Dal primo capitolo:
“Vuole forse ammalarsi il primo giorno di lavoro?” Girandomi notai solo quegli occhi di ghiaccio che mi stavano nuovamente fissando quasi arrabbiati. 
“Non mi ammalerò, mi lasci andare .. me la so cavare”
“Non mi sembra visto che non sa mettere nella borsa neanche un ombrello per ripararsi, sa com'è l'inverno.. lo conosce?” Faceva davvero ironia con me?
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dividendo e divisore

Avevo smesso di pranzare in mensa. Non avevo voglia di mangiare davanti ad una persona che mi riteneva una distrazione per lui e per gli altri. Non ero un oggetto sessuale e non volevo essere vista in quel modo. L’unico modo plausibile per lavorare al meglio era non essere più partecipe della vita privata della compagnia. Avevo abolito la mensa, il lunedì sera da Maria e anche i passaggi in macchina.
“Signorina Aria, posso parlarti?” Newman mi venne incontro. Avevo il caffè in una mano e la telecamera nell’altra. Alzai lo sguardo verso la sua direzione.

“Non vorrei criticarti, ma mi sembri assente. Le prime settimane eri così vivace, piena di voglia e passione e mi hai consegnato tutti i lavori anche in anticipo, voglio dire, anche ora sei puntuale, attenta e precisa ma manchi di entusiasmo e questo non mi piace. Se le cose non cambiano dovrò fare una nota all’università. Ho bisogno davvero del tuo aiuto, te l’ho detto, ho scelto un tirocinante come montatore perché volevo freschezza non farmi pentire della scelta sennò dovrai fare solo l’addetta alle telecamere e questo mi dispiacerebbe molto.” Il discorso fu molto serio e Newman mi parlava con sincero affetto. Probabilmente l’indifferenza l’avevo trasferita nel lavoro invece che su Jaime. Dovevo far qualcosa, aveva ragione.

“Ha perfettamente ragione, ci tengo tantissimo al lavoro e al suo lavoro … farò del mio meglio per recuperare” parlai veloce, nervosa.

“Andiamo a pranzo, è tardi”

“Voglio continuare a lavorare, poi ho già il pranzo con me … La ringrazio” e liquidai il regista che invece si diresse verso la mensa.

Riguardai il mio lavoro, effettivamente non stavo valutando bene quello che stavo facendo. Era tutto confuso, come la mia testa. Uscii dal teatro e mi diressi su una panchina per mangiare il mio panino. Erano giorni che facevo così, mi rifiutavo di affrontare la situazione e Jaime era sopportabile solo quando ballava e io ormai per i corridoi giravo poco.

Sentii il legno della panchina piegarsi al peso di un’altra persona ma continuai a guardare la mia bottiglietta d’acqua che avevo in mano.

“Aria, perché sei qui da sola?” Maria mi offrì uno yogurt.

“Avevo bisogno di starmene per conto mio” presi lo yogurt.

“È per qualcosa che abbiamo fatto?” La sua voce suonò come quella di una bambina.
“Nono assolutamente, voi siete fantastici con me… Dovevo solo pensare” le feci un sorriso per tranquillizzarla e rientrai con lei.
Il pomeriggio lo passai in sala di regia a seguire le indicazioni del regista per non deluderlo, fu molto lento ma almeno non dovevo vedere nessuno.

 

Pov Jaime

“Maria, you’re late” la rimproverai. Presi il cappotto e uscii di casa senza di lei, eravamo indipendenti è vero ma di solito uscivamo insieme da casa per andare a teatro. Quel mattino ero così irascibile. Erano giorni che a teatro era tutto uguale, noioso e ripetitivo. Stavamo riprovando lo stesso atto dall’inizio della settimana solo perché Julia e Mark non riuscivano ad eseguire alcuni passi perfettamente a tempo. Il tempo mi aveva sempre tormentato. Ero sempre preciso, curato e nel tempo giusto. Stentavo la perfezione. Pretendevo la perfezione soprattutto sul tempo. Organizzavo la mia vita, secondo per secondo e anche il mio corpo rispondeva al ritmo e ai miei tempi. In quei giorni però, questo, poco valeva. La mia bocca aveva tradito il mio tempo. Avevo pronunciato parole dettate dall’istinto e non dalle regole. Istinto, poi, no, non si trattava di quello. Ero nervoso per colpa di Aria, mi faceva un effetto strano. Mi faceva perdere il tempo. Mi distraeva e questo non doveva capitare. Anche se tutto di me voleva che capitasse, e non solo lo stimolo fisico.

Arrivai al teatro puntuale e andai a cambiarmi. Intravidi Aria parcheggiare la sua bici, indossava un cappellino di lana alla francese che lasciava che i capelli le incorniciassero quel viso pallido. Prese il suo zainetto e si diresse all’entrata sul retro. Non voleva proprio vedermi, anzi era proprio sparita tra il suo lavoro e il suo silenzio.

Preparai le punte e cominciai a scaldarmi. Mi sentivo troppo irrequieto quel giorno e la situazione sul palco non era delle migliori. Erano tutti nervosi e stressati per la nuova coreografia che era particolarmente difficile.

A metà mattinata fummo interrotte dal telefono di Newman che trillò diverse volte, alla fine il regista decise di prendere la chiamata. Sentivo bisbigliare qualcosa su Aria ma non capivo.

“Aria?” Newman chiamò la ragazza e prima che lei potesse anche inspirare continuò “È urgente” e le passò il telefono. Smisi anche di muovermi sulle punte perché ora la ragazza aveva tutta la mia attenzione.

Si allontanò dietro le quinte e tornò due minuti dopo con una faccia sconvolta e ancora più pallida. Tremava?

In automatico mi avvicinai al proscenio.
“Avrei bisogno di un permesso per andare via se non è un problema” ma dicendo quello si appoggiò su una sedia della platea per non crollare. Le tremavano le gambe. La sua voce era isterica ed io ero estremamente preoccupato.
Dove voleva andare in quelle condizioni?

Scesi dal palco e parlai col coreografo. Io ero in pari con la coreografia. Potevo accompagnarla. Ovunque dovesse andare. Dovevo. E dovevo rimediare alle mie parole. Non intendevo quello che avevo detto. Era ovvio sì che ci fosse attrazione fisica ma se fosse stato solo quello sarebbe passato immediatamente. Davo sfogo alle mie esigenze almeno una volta a settimana quando uscivo in qualche locale, ma da quando avevo litigato con Aria non riuscivo neanche più a pensare di uscire con altre. Ero infastidito da questo, ma il fastidio passò appena vidi la sua faccia così triste. Il coreografo mi diede il permesso e corsi dalla ragazza.

“Ti prego fatti accompagnare” mi imposi bloccandole l’uscita.

“Con le punte?” Un velo di ironia le era rimasto ma cercò di sfuggirmi.

“Dammi due minuti, per favore, e poi ti porto ovunque tu debba andare” aspettai trepidante una risposta.

“Mia mamma … ha avuto un incidente. Io non so neanche come raggiungerla, che figlia egoista che sono. Non lavoro e faccio pesare il mio studio sulle sue spalle e ora che lei ha bisogno di me io non posso neanche raggiungerla, capisci? Quanto posso fare schifo.” Le presi il volto fra le mani a quelle parole e presi col pollice una lacrima. Io non potevo neanche immaginare cosa volesse dire rinunciare a qualcosa per dei problemi. Ero così viziato in confronto a lei.

Si placò per poco e corsi a cambiarmi.

La ritrovai alla porta con gli occhi spalancati ma nessuna lacrima. Si fece trasportare in macchina.

“Tua madre starà bene, Aria, ascoltami, starà bene” si girò a guardarmi ma il suo sguardo era così assente. Avrebbe voluto essere consolata ma non da me probabilmente.

“Sono una delusione per mia madre, dovrei lavorare anche io ed aiutarla e sto invece a teatro dalla mattina alla sera pensando di poter un giorno diventare brava in quello che faccio” continuava a blaterare frasi denigranti verso se stessa.
L’ospedale era lontano, in bici si sarebbe persa, in qualsiasi altro modo si sarebbe persa perché si era già persa dentro i suoi sensi di colpa. Ogni tanto cercavo di dire qualcosa per farla stare meglio ma mi sembrava tutto inutile.

Arrivati all’ospedale Aria sfuggì dalla mia visuale e dalla macchina. Entrò nell’edificio lasciandomi alle sue spalle.

 

Pov Aria

 

L'ultima volta che mi ero trovata in ospedale avevo 9 anni ed avevo la tonsillite. Mi ero scordata di quanto l’ospedale odorasse di disinfettante. Secondo piano, corridoio a destra, stanza 7, me lo ripetevo nella testa mente salivo le scale. Ero senza fiato, i pensieri e le preoccupazioni si accavallavano una sopra l’altra facendomi girare la testa. Non capivo perché doveva essere tutto sempre così difficile.
Ero pure scappata da Jaime che ancora una volta si era mostrato premuroso, ma con quale scopo? Scacciai via il pensiero, anzi quello era l’ultimo dei miei pensieri. Volevo vedere mia madre.

Quando raggiunsi la stanza vidi mia nonna con un viso teso e corsi ad abbracciarla.

“Nonna?” La mia voce uscì rotta dal pianto.

“Tra poco uscirà il medico, ma è stabile Aria, non è grave .. ti prego calmati”
“L’università mi ha chiamato d’urgenza, ho avuto paura nonna” le risposi cercando di regolare il mio respiro. Dietro di me arrivò Jaime, aveva anche lui il fiato corto. Il ballerino si era scomposto per una volta.

Non so cosa mi fece scattare, forse il sollievo, ma gli corsi incontro e lo abbracciai. Volevo solo sprofondare nelle sue braccia e dimenticarmi tutta la paura provata. Io ero provata. Avevo pensato al peggio.

Lui appoggiò le sue labbra sulla mia fronte facendomi sentire la sua fisicità ma nel modo più dolce possibile. Muoveva le sue mani dietro la mia schiena lentamente.

Il dottore uscì e io mi sentii quasi male ad abbandonare il calore delle sue braccia. Cosa mi era preso?

Il dottore si rivolse prima a mia nonna e poi a me e spiegò la situazione. L’incidente era avvenuto sul lavoro, mia madre aveva la gamba rotta, e aveva battuto la testa ma il colpo era stato attutito dalle mani e quindi non era niente di grave. Doveva riposare. Il mattino dopo l’avrebbero dimessa.

“Aria, resti tu con tua madre?” Mia nonna era stanca e voleva tornare a casa, come biasimarla.

“La riaccompagno io, Teresa” Jaime si intromise e si rivolse a mia nonna. “Torno a prenderti domattina” mi accarezzò la guancia. Pensava che fosse tutto risolto così, per una gentilezza.

“Domani devi andare a teatro Jaime, prenderemo un taxi” dissi fredda e mi staccai dal suo tocco per poi chiudermi in stanza con mia madre che stava dormendo.

 

Il pensiero dell’abbraccio di Jaime continuava a tormentarmi profondamente mentre ero nella stanza di ospedale a passare una notte insonne per stare vicino a mia madre.

Quell’abbraccio mi aveva fatta sentire bene, protetta e scaldata. Ero tranquilla che Jaime portasse mia nonna a casa, e non sapevo come ero riuscita a donargli questo grado di fiducia ma questo non toglieva il fatto che fosse stato uno stronzo ed io e lui dovevamo parlare.

Avevo bisogno di chiarire prima che il mio cervello esplodesse dalle paranoie.

La mattina seguente riaccompagnai in taxi mia madre e la lasciai riposare a letto, avrei avuto anche la mattina libera ma non riuscivo a stare a casa con i sensi di colpa. Stavo scappando.
Sapevo benissimo che la scelta di fare l’università sarebbe stata un problema in caso di necessità. In questo caso era andata bene, e mia mamma era in malattia e continuava a guadagnare … ma se fosse successo il peggio?

Non ci dovevo pensare ma ero tormentata da questa cosa.

Essendo venerdì, Newman mi aveva concesso l’intera mattinata per riprendermi dal giorno prima e decisi quindi di andare a perdermi in biblioteca. Avevo bisogno dell’odore dei libri e di leggere tante altre storie, il più possibile lontane dalla mia.

Mentre ero nella mia bolla di felicità temporanea mi arrivò un messaggio, pronto a distruggerla.

 

Hello, parliamo. Please. Pranza con me. Jaime

 

Avevo un debole per la lingua inglese e questo non aiutava la mia situazione. Voleva parlare ed anche io. Il fatto che mi avesse scritto lui per primo mi faceva ben sperare anche se era molto difficile capire cosa passasse nella mente di quel ragazzo.

 

Ciao, va bene. Dimmi dove e l’ora e ti raggiungo. Aria

 

Mi rispose indicandomi un ristorante poco lontano dal teatro. Dopo aver terminato qualche altra pagina di Io prima di te mi avviai.

Ero tesa ma quella tensione che solitamente mi portava ad essere diplomatica e sicura di me stessa.

Quando arrivai davanti al portone del ristorante trovai Jaime con indosso la tuta e sulla spalla il borsone di danza.
Si avvicinò a salutarmi e mi diede un leggero bacio sulla guancia prima di farmi strada al ristorante.
Ci fecero accomodare. L’ambiente era molto informale, avrei detto quasi quotidiano.

“Come è andata questa mattina a teatro?” Domandai per rompere il ghiaccio, cosa che lui al momento sembrasse non riuscire a fare.

“Meglio di ieri, forse riusciamo ad andare avanti con la coreografia oggi pomeriggio” mi sorrise e cominciò a versare l’acqua nel mio bicchiere. Sorrisi di rimando. Un’altra gentilezza.
Fummo interrotti dal cameriere che ci disse quali erano i piatti del giorno ed entrambi optammo per del branzino.

“Tu come stai? Hai le occhiaie” pronunciò inclinando il capo ed avvicinandosi leggermente come a studiare meglio il mio viso.

“Io … mia mamma sta meglio e anche io” il mio nervosismo a quella domanda però mi tradì e il mio corpo gesticolando diceva tutt’altro.

“Non hai dormito, dimmi la verità, per favore” mi sussurrò cercando la mia mano

“Anche se volessi, non ti meriti la verità … Come posso aprirmi con te?” Mi scagliai contro di lui sottovoce. Poi arrivarono i piatti e finsi un sorriso.

“Lo so, quella sera io non volevo dire quello. Io non penso quello di te. Ero stanco e nervoso, insoddisfatto”

“Tu insoddisfatto? Intendi sessualmente insoddisfatto? Mi sembrava di vederti spesso con delle ragazze in macchina” alzai le spalle terminando quella accusa. Jaime prese un respiro e si appoggiò allo schienale. Non avevo torto allora.

“È vero, ma non da quando sono interessato a te e non sessualmente, cioè anche … Ma vorrei conoscerti, frequentarti.”

“E non sono più una distrazione per l’etoille?” Stavamo arrivando al punto centrale. Si prese qualche secondo.

“Quando mi ignori, quando non ci sei, io ballo peggio” si confessò ancora sottovoce ma stavolta guardandomi dritto negli occhi. Tutta la prepotenza dei giorni passati insieme era sparita come anche la tensione, era crollato un mattone del suo muro.
Feci un mezzo sorriso e lasciai che mi prendesse la mano e giocasse con le mie dita. L’appetito stava scomparendo ma cominciai a mangiare quel piatto ormai freddo e così fece lui. Volevo dargli una risposta.
“Vorrei anche io, esserci, non ignorarti e frequentarti. So di essere complicata però, but so do you

“Da quando conosci la mia lingua?” Mi prese in giro ma stavolta in modo tenero “Penso che tu mi piaccia proprio perché sei rare, e poi hai gli occhi più belli che io abbia mai visto” A quella frase, però, mi misi a ridere scuotendo la testa. Mr. perfezione aveva visto in me gli occhi più belli? Ma si era visto allo specchio?

“La tua lingua mi affascina”

“Anatomicamente parlando?” Mi interruppe prima che potessi finire la frase e lo guardai male.

“Stavo dicendo, lingua a parte, che ricambio il pensiero, soprattutto quello degli occhi visto che mi pare che tu non ti sia visto allo specchio per dire che i miei sono più belli” ci alzammo per dirigerci al teatro. Jaime mi teneva una mano sulla schiena e riuscivo a sentire tutto il calore anche attraverso il cappotto primaverile.

“Beh effettivamente i miei sono degli occhi stupendi soprattutto se mi permettono di ammirare i tuoi” mi bloccò sul marciapiede costringendomi a girarmi. Non ero pronta. Troppe cose tutte insieme, troppi sentimenti ed emozioni in pochi giorni. Ci guardammo negli occhi per minuti interi o così mi era sembrato. Le sue iridi chiare erano contornate da un cerchio più scuro. Ci stavamo completamente perdendo nei nostri sguardi fino a che l’imbarazzo non prese piede e distolsi lo sguardo andando a cercare la sua mano. Forse era esagerato da parte mia prenderlo per mano da subito ma mi sentivo protetta.

A teatro arrivammo mano nella mano, erano tutti dentro in mensa e concordai con Jaime che era veramente troppo presto per mostrare qualcosa in pubblico visto che non c’era niente da mostrare per ora. Era tutto un grande forse.

Era venerdì e mi sentii sollevata che quella settimana stava finendo e finendo così bene.

Lavorai tranquilla nel pomeriggio mentre i ragazzi e le ragazze continuavano le prove. Erano davvero bravi. Il sabato successivo ci sarebbe stato un evento di beneficenza dove i ragazzi ballavano direttamente alla mia università ed ero molto felice di questo, avevo invitato anche le mie due donne.
A fine pomeriggio salutai tutti e sorrisi a Jaime prima di uscire e tornarmene a casa in bici.

Una volta a casa, sistemai tutte le faccende domestiche mentre controllavo ogni dieci minuti mia madre. Dal giorno seguente avrebbe avuto le stampelle così da poter essere indipendente.

Stava meglio, aveva anche ripreso un po’ di colore.

Presi il cellulare dopo ed andai in camera da letto. Ero stanchissima e volevo solo dormire.

 

Ero caduta in un sonno profondissimo appena toccato il letto e quando mi svegliai trovai dei messaggi su whatsapp.

 

23.14 Hello darling

00.03 Okay, forse sei andata a dormire, eri così stanca. Buonanotte in questo caso, o buongiorno visto che leggerai questo messaggio domattina. Volevo sapere se domani ti andava di accompagnarmi a fare shopping.

00.11 Nel pomeriggio se puoi, so che hai da studiare e devi dormire. Dimmi tu l’ora.

 

Sorrisi come una scema nel letto. Rilessi almeno tre o quattro volte per capire se avevo inteso bene.

Cercai di avere la lucidità necessaria per scrivere parole con un senso logico in italiano ed inviai.

 

10.03 Scusa per l’attesa, ero tra le braccia di Morfeo. Buongiorno. Alle 15?

 

10.05 Sto invidiando la tua figura retorica. Alle 15 ti passo a prendere allora.

 

Studiare non era mai risultato così difficile in preda all’ansia da appuntamento, che poi non era neanche un appuntamento.

Quando scesi a dirlo alle mie due donne mi sembrò di tornare alla seconda liceo al mio primo appuntamento col mio primo ragazzo. Anche se quella volta andò male, ma ero anche più piccola.

 

Alle 15 ero alla finestra aspettando la sua macchina che puntuale parcheggiò davanti casa mia. Sorrisi ed uscii dal portone. Jaime mi aprì lo sportello della macchina dal lato del passeggero e mi baciò la mano prima di farmi accomodare.

Se era così gentile solo togliendo un mattoncino dal suo muro non volevo sapere come fosse se le mura avessero ceduto.

Arrivammo al centro commerciale, era più pratico in questo modo che girare per i negozi della città anche se non mi sarebbe dispiaciuto passeggiare insieme a lui in qualunque altro posto.

“Cosa ti ha fatto cambiare idea su di me?” domandai mentre scendevo dalla macchina. Esitò per qualche secondo raggiungendomi per poi andare insieme all’entrata.

“Tu, cioè per una volta ho voglia di provarci davvero con te. C’è qualcosa … Comunque in ordine ho bisogno di biancheria intima, delle magliette, uno smoking e le punte” mi prese la mano mentre ci dirigevamo verso il negozio di intimo. Non volevo fargli troppa pressione perciò apprezzai anche quel poco.

“Uno smoking? Posso chiederti per cosa?”

“I miei genitori dovrebbero venire a trovare me e Maria, una di queste sere” Annuii cercando di capire se potevo entrare nel tema genitori.

“Cosa fanno i tuoi?” Domandai ed intanto il ragazzo aveva abbandonato la mia mano per guardare un paio di boxer bianchi.

“Mio padre è un medico e mia madre dirige una rivista di moda molto importante in America, e così posso permettermi la vita che faccio”

“Capisco” gli sorrisi, era notevole da parte sua esserne consapevole ma generalmente Jaime non aveva mai ostentato ricchezza.

“Queste vanno bene?” Chiese prendendo in mano delle mutande blu, feci cenno di sì con la testa mentre ero abbastanza in imbarazzo. Non ero sicura di poter dare pareri sulla biancheria maschile.

“Posso chiederti perché vivi solo con tua madre? Sono separati?” Mi chiese appena fuori dal negozio tornando a tormentare la mia mano.

"Non proprio, mio padre se ne è andato quando avevo appena un anno. Credo di non essergli mai piaciuta o forse voleva un’altra vita. Ha abbandonato me e mia madre. Siamo state costrette a vivere con i miei nonni" mi tormentai il labbro dicendo ciò, speravo non se ne accorgesse ma mi diede una carezza sulla guancia.

“Mi dispiace, tua madre è adorabile e tu sei sopportabile, non siete state voi il problema” Si rivolse con tono scherzoso per stemperare la situazione ma poi riprese serio “È per questo che preferisci spesso startene per conto tuo?” Entrammo in un negozio di abbigliamento casual per le maglie.

“Sì, le persone tendono ad andarsene e a volte preferisco tenerle lontane … Sarà anche per questo che non ho mai avuto un ragazzo” mi sotterrai nel mio maglione dicendo ciò e lui annuì senza indagare ulteriormente sul mio passato o su quello che provassi.

Andò a provarsi diverse maglie ma tutte gli calzavano a pennello. Era inutile dirgli che stava bene, perché effettivamente stava bene con tutto. Era difficile capire come poter trovare qualcosa che potesse stonare addosso a lui. Forse i colori pastello. Non sembrava uno da maglie arancioni o rosa chiaro. Approvai ogni cosa in adulazione.

Lo step successivo fu trovare il negozio per le punte, lo smoking doveva aspettare perché Jaime non aveva troppa voglia di cambiarsi continuamente.
Andammo al piano superiore e una volta comprate le punte, Jaime mi offrì il caffè mentre lui prese una camomilla. Diceva che serviva a distendere i muscoli.

Presi nota delle sue scelte sul benessere del corpo. Avevo davvero voglia di conoscerlo oltre la coltre fredda che si creava intorno a sé.

Il negozio in cui voleva comprare lo smoking era uno di quei tipici negozi di abbigliamento in cui tutto è ordinato perfettamente, colore, taglia e tessuto. C’era la parte dedicata agli uomini e dal lato opposto quella alle donne.
Jaime mi trascinò con sé nella scelta del colore dello smoking. Optai per il grigio che a mio parere faceva risaltare il colore dei suoi occhi ed il suo fisico muscoloso ma snello.

Entrò nel camerino con diverse giacche, camice e pantaloni così nell’attesa andai a curiosare qualche vestito rimanendo a distanza perché non mi potevo permettere neanche un filo di quei vestiti. In ogni caso essere così elegante non era mai stato il mio genere, ero cresciuta in altro ambiente.
“Come here” mi fece cenno di avvicinarmi al camerino “Come ti sembro?”

“Ti preferisco con il tulle rosa, in giacca e cravatta potrebbero scambiarti per una persona seria” cercai di farlo ridere e per una volta rise con me.
Si rivestì per poi infine andare alla cassa.

“Ti piaceva qualcosa in particolare?” mi chiese mentre ci allontanavamo dal negozio.

“No, non credo di star bene con un abito del genere”

“Io penso che tu ti sottovaluti, ragazzina” continuò a tenermi la mano per tutto il tempo e la cosa stava diventando troppo naturale per potermene staccare facilmente.

“Stasera Maria vuole uscire con quel Filippo, e non mi piace che vada con dei ragazzetti da sola a giro. Se ti va puoi accompagnarmi al Panic per una birra e per tenerla d’occhio” sorrisi per la premura nella sua voce.

“Posso darti conferma più tardi, dovrei capire come sta mia mamma” mi morsi il labbro e cercai di fargli capire che ci tenevo ad andare ma che dovevo vedere la situazione a casa.


Rientrata a casa sistemai tutti i lavoretti che dovevo fare in giardino e dentro casa. Preparai velocemente la cena e a tavola chiesi il permesso per uscire.

“Ti piace davvero eh?” il tono gongolante di mia madre mi fece capire che la più anziana della casa le aveva detto quanto era successo all’ospedale con Jaime.

“Potrebbe” risposi solo accennando un sorriso. Era vero, poteva essere finalmente la conoscenza giusta. Qualcuno con cui potermi aprire e stare bene.

Inviai un messaggio a Jaime che avrei potuto accompagnarlo. Il Panic era un locale tutt’altro che elegante. Vi suonavano spesso band indie e sarebbe stato interessante vedere Jaime all’interno di quel posto lontano da lui ma molto più vicino al mio genere e probabilmente vicino al genere di questo Filippo che piaceva Maria.

Arrivai al locale a piedi per quanto fosse vicino a casa mia, non volevo altri passaggi per la giornata se non il ritorno che obbligatoriamente Jaime mi imponeva. Sedemmo ad un tavolino non molto lontano da Maria ma alla fine Jaime non tenne gli occhi puntati su di lei tutta la serata.
“Birra? Sul serio?” dissi appena il cameriere andò via. Il ragazzo aveva appena ordinato due birre, una per lui ed una per me. Non faceva male al suo essere costantemente un ragazzo in splendida forma?

“Ogni tanto posso godermi la vita anche io, con una bella donna e della -quasi- buona musica” scoppiai a ridere non tanto per la frase in sé che aveva anche senso ma su quel “bella donna” doveva seriamente scherzare.

“E con questa -quasi- buona musica pensi che potresti far ballare me?” Prese un sorso di birra scrutandomi attentamente.

“Ti dovrei insegnare le basi prima che tu definisca ballare quello che fai, o meglio lo spettacolo che hai dato sul tavolino qualche sera fa”

“Insopportabile. E lo spettacolo, ovvero il ballo, ti è piaciuto pure” sottolineai l’ultima frase facendo la finta offesa ma poi scoppiammo a ridere.

La serata trascorse tra frecciatine e qualche contatto fisico che svelava qualcosa di più delle parole. Una volta terminata la birra, Jaime mi prese la mano per alzarmi e ballare ma in quel momento Maria se ne andò nel parcheggio col ragazzo. Fu quello il momento in cui uscì tutto il lato protettivo di Jaime.

Lo rincorsi praticamente nel parcheggio e lo trovai a fare una ramanzina alla sorella. Il succo del discorso era che dovevano comportarsi bene ed essere responsabili. Era la prima volta che Maria andava in macchina con un altro ragazzo che non fosse Jaime probabilmente. Io anzi ero pienamente soddisfatta della ragazza mentre ero altrettanto in imbarazzo perché ero da sola nel parcheggio con un Jaime un po’ alterato.

“È tardi, ti va di dormire a casa mia?” Mi presi qualche secondo di troppo per ripassarmi la frase in testa ma prima che potessi dire qualcosa aggiunse “Non dobbiamo dormire together, ma resta con me” quello mi fece cedere ed annuii. Era tardi effettivamente e io avevo solo voglia di stendermi nel letto.

“Okay, ma non ho un pigiama” sorrise e mi trascinò alla macchina

 

Entrati nel suo appartamento, Jaime mi mostrò dove poter trovare tutto e mi diede una sua maglietta per dormire. Preparò il divano che poteva diventare un comodo divano letto ma mi fece ben intendere che non era affatto per me e che non dovevo obiettare. Io avrei dormito nel suo letto. La cosa mi imbarazzava da una parte mentre dall’altra non vedevo l’ora di immergermi in quel calore, anche se platonico delle lenzuola dove lui stesso aveva dormito.

Ci stava andando piano con me e questo lo apprezzavo più di ogni altra cosa. Stava rispettando i miei tempi anche se a breve questo timore avrebbe avuto la data di scadenza. Era timore di finire troppo dentro e troppo in fretta in una cosa troppo grande. Avevo bisogno di realizzare la cosa. Non ero capace ad instaurare una relazione, dovevo imparare e solo non buttandomi a capofitto potevo evitare di risultare una quattordicenne alla prima cotta.

Nel bagno trovai tutto ciò di cui avessi bisogno e così anche nella sua camera.
“Grazie per essere qui, con me” si fermò sulla porta mentre io mi ero appena infilata la sua maglia. Mi girai, e con solo la maglia e le mutande indosso, mi avvicinai leggermente.

“Mi stai facendo diventare accondiscendente” ridacchiai mentre lui si avvicinò a me.

“Accondicosa?”
“Lascia fare, buonanotte Jaime” gli sorrisi cercando di avvicinarmi alla sua guancia ma lui mi fermò e mi diede un bacio sulla fronte e poi sulla guancia, e ancora un altro vicino alla palpebra.

“Buonanotte Aria, il nuovo pigiama ti dona” uscì dalla stanza e chiuse dietro di sé la porta.
Mi lasciò sola come aveva detto. Quasi mi dispiacque.

 

Aprii gli occhi, disorientata per almeno i primi 5 secondi. Avevo avuto un incubo e mi ero svegliata. Realizzai di essere nel letto di Jaime e provai inutilmente a riaddormentarmi. Come mi era venuto in mente di accettare di dormire a casa sua, separati?
Presa da un momento di sonnambulismo o appannamento della realtà andai alla ricerca di Jaime nel salotto. Dormiva sotto il piumone. Mi chiesi se era giusto svegliarlo per la mia incapacità di rimettermi a letto normalmente, ma saperlo nell’altra stanza di certo non aiutava. Anzi, non aiutava per nulla.
Cercai dolcemente di stendermi accanto a lui ma non appena alzai la coperta si girò strusciandosi gli occhi.

“Aria?” mugugnò aprendo le braccia per accogliermi. Mi infilai in quell’abbraccio e mi resi conto che quello era un posto dove potevo stare veramente bene.
“Non riuscivo a dormire” sussurrai così vicina alle sue labbra. Mi fece un mezzo sorriso e mi strinse a sé.
Sleep” e mi diede un bacio a stampo richiudendo gli occhi. Per qualche minuto lo fissai mentre dormiva, pensando solo a quel tocco morbido e dolce. Dopo un po’ crollai pure io e l’unica cosa che mi fece risvegliare il mattino dopo fu il vuoto, ma un dolce profumo di caffè.



Ciao! Perdonate l'enorme ritardo, e grazie per la pazienza se state leggendo questo :')
Spero con questo capitolo di essermi fatta perdonare! Ho aggiunto anche il Pov di Jaime perché lo ritenevo necessario, fatemi sapere. 
Grazie, grazie ancora. 
Cri

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Ordinaryswan