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Autore: Hikari_Sengoku    30/10/2017    1 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fuga a Marineford


Arrancavano lentamente nella neve, che turbinava gelida sui loro corpi praticamente nudi alle intemperie. Era poco meno di un’ora che stavano lì, e Cori sapeva che Bashe non poteva resistere ancora a lungo in quelle condizioni. Le punte delle mani e dei piedi stavano diventando di un bel blu cobalto, mentre il ragazzo si trascinava esausto nella neve ghiacciata e dura con la coda quasi inerte. Per pura fortuna si erano imbattuti in una casupola mobile di cera, che li proteggeva un minimo, ma che non avrebbe potuto salvarli dalla morte per assideramento o fame. In lontananza, sentivano distintamente il latrato aggressivo dei lupi bianchi a guardia del livello. Erano tutti assembrati in circolo, quasi in attesa del loro turno di spezzare le ossa al povero malcapitato, e ululavano terribilmente, scuotendo l’animo giá instabile dei due ragazzi. Le loro fauci stavano presumibilmente colando sangue sulla coltre immacolata e assassina. I loro occhiacci carichi di rabbia sembravano ciechi ad ogni altra cosa. Il loro candido pelo elogiava la loro crudele superiorità su quelle insignificanti creature rosacee, vulnerabili e prive di qualsiasi difesa. Una sembrò saltare per azzannare alla gola di un uomo massiccio. Da lontano, vedevano soltanto un’alta figura a torso nudo. Non avevano idea del perché quell’uomo fosse in grado di rimanere in piedi in quelle condizioni, ma si batteva sempre più disperatamente coi famelici lupi. Quando erano a poche decine di metri, l’uomo – che si accorsero essere pesantemente truccato – indossava una maglia di denso sangue scuro, mentre con secchi calci abbatteva i lupi in estrema superiorità numerica, gridando di dolore ad ogni morso che le crudeli bestie gli infliggevano.
Cori lo riconobbe e sussurrò nell’orecchio di Bashe: “Quello è Mr.2 della Baroque Works!”.
“E cosa ci fa qui?” tossì la mezza-serpe. Ma Cori non gli rispose, perché di fianco a Mr. 2 si era alzata con grande sforzo la sagoma di un ragazzo. Era curvo e macilento, con una zazzera di capelli neri striati di ghiaccio e sangue gelato, ma Cori l’avrebbe riconosciuto ovunque. Era Rufy! Storto, debole, ricoperto di veleno, ma vivo. Non si sarebbe aspettata di rivederlo tanto presto, e di sicuro non in quelle condizioni. Lo sentì sussurrare qualcosa di impercettibile, e poi urlare con tutta l’aria che doveva essergli rimasta nei polmoni: “STATE LONTANI DA BON-CHAN!”. Un’onda improvvisa li travolse con una potenza spaventosa, come se una mazza di metallo fosse stata calata da un gigante sul loro petto, tanto che smisero di respirare e rimasero immobili, attoniti, mentre qualche goccia di sangue cadeva dalla bocca di Cori spinta da un conato di vomito. Poi, in un solo tonfo, Rufy e i due ragazzi esausti crollarono a terra con la faccia nella neve.


Quando si svegliò, la prima cosa che sentì fu il sollievo del calore delle coperte. Poi vide sopra di lei la faccia stanca ma felice di Bashe, che la rassicurò con poche parole festose: “L’abbiamo trovato! Ce l’abbiamo fatta!” strozzate dall’euforia. Girò gli occhi. La stanza era avvolta in una cortina di fumo di sigaro, e nella nebbia si aggiravano poche figure, strane e allampanate. Sembrava che il locale fosse stato abbandonato di fretta dopo una festa: Sul pavimento dove era sdraiata avvolta nelle coperte vi erano i resti di un festino: Bottiglie vuote, bicchieri accartocciati, festoni strappati, stelle filanti e coriandoli luminosi. Sul fondo, si intuiva la forma di un palco con lunghi drappi porpora, abbandonato anch’esso, poi banconi del bar, tavolini, sediole… si sentivano anche deboli alcune voci acclamanti: “Tieni duro!”, dicevano. Non appena provò a muoversi , un milione di spillettate la trafissero mentre il sangue tornava in circolo. Gemette. Le ferite ripresero a bruciare. Chiese a Bashe: “Dov'è Cappello di Paglia?”.
Bashe sembrò esitare: “Si sta riprendendo, almeno spero. È chiuso da dieci ore in una stanza, dove sta guarendo grazie agli ormoni di Iva”.
“Lo immaginavo” sospirò issandosi sui gomiti. Non poteva fare di più: Le piaghe sul petto trasformavano ogni movimento in agonia. All’improvviso le voci tacquero, sostituite dopo pochi secondi da un poderoso urlo: “CIBO!!!” e da esclamazioni festose. Una quantità spropositata di gente attraversò la sala, irrompendo nelle cucine e trafugando il trafugabile e anche l’intrafugabile. Bashe e Cori si appiattirono sulla parete, sperando di non venire schiacciati. Bashe le spiegò che gli abitanti di quel piano erano tutti Trans-formati, e che anche se erano disposti ad ospitarli non sembravano particolarmente interessati ad offrire loro un’assicurazione sanitaria a titolo gratuito. Uno di loro gli aveva risposto con sufficienza che se cercavano un’ente di beneficienza avevano sbagliato posto. Le rivelò che erano stati Iva ed il suo vice Inazuma a salvarli da morte certa, probabilmente perché si trovavano vicini ai due eroi di Impel Down, e che Bashe aveva pensato bene di rendersi invisibile agli occhi del temibile Regino di Kamabakka nascondendosi con lei in un angolino buio della stanza dove tutti, troppo concentrati su Cappello di Paglia, avevano finito per dimenticarsi di loro… Ahi, che male! Pensò ricadendo nelle coperte, stanca. Non aveva forze, ma la sola idea di mangiare le dava il voltastomaco.
“Ehi, tutto bene?” le chiese Bashe preoccupato. Intorno a loro, enormi quantità di cibo venivano fatte sparire a gran velocitá. Cori lo guardò senza vederlo. Il suo sguardo era spento, stanco.
Affianco a Bashe apparve all'improvviso la grossa testa di un donnone sui quarant’anni. Sul collo massiccio vi era un volto dai tratti marcati, con un accenno di baffetti. Aveva gli zigomi molto pronunciati e la bocca piccola, una fessura scura di rossetto viola. Gli occhi erano straordinariamente grandi, quasi parodici, di un azzurro così piatto da sembrare dipinto, con lunghe ciglia dritte e nere. I capelli, stopposi fili di paglia contornavano il viso squadrato raccolti in uno chignon disordinato da lavoro. Indosso portava un grambiale, che copriva con maestria le zampogne pelose che aveva al posto delle gambe, e due grossi guanti pesanti da lavoro, di dura pelle.
“Come sta la tua amica? Vedo che si è svegliata!” tuonò il suo vocione baritonale.
“Si Anja, si è svegliata. Cori, ti presento Anja, il mio vecchio compagno di cella!” sorrise Bashe. Cori accennò un saluto.
Un signore molto distinto (non fosse stato che gli mancavano i pantaloni) spalancò la porta urlando: “Ragazzi, che fate ancora qui? Si è svegliato!”. Anja lo guardò di sottecchi e poi propose loro: “Ragazzi aspettatemi qui, vi ci porto io. Non vorrete mica perdervi l’evento dell’anno?” ammiccò correndo via. Cori notò solo allora delle grosse scaglie ossee sulla sua schiena, come enormi denti aguzzi e neri che spuntavano dalla sua spina dorsale. Ed ecco spiegato perché stava al Dipartimento!
Il donnone tornò di corsa con una cesta vuota sulle spalle. L’ex-carcerato li afferrò sotto braccio e corse verso l’evento dell’anno che gridava “SONO TORNATO!”. Quando arrivarono, Ivankov era in preda allo shock per aver scoperto che Rufy era il figlio di Dragon.
Anja smontò. Cori non era in grado di muovere un muscolo, e anche Bashe sembrava esausto, anche se meno di prima. Mentre Iva urlava ai quattro venti la sua volontà di salvare Ace e fuggire da Impel Down, Rufy li vide, e corse verso di loro.
“Cori!!!” urlò col suo stridulo tono di voce.
“Si, sono io” rispose lei fissandolo dal pavimento.
“È strano vederti qui!” esclamò quasi pensando a voce alta il giovane Capitano.
“In effetti, non era esattamente quello che intendevo quando ho detto che volevo scrivere il mio destino!” commentò amara.
“Se Chopper fosse qui ti potrebbe aiutare” borbottò il Capitano osservando il deplorevole stato in cui versava.
“Non preoccuparti, adesso non ha importanza, devi salvare tuo fratello. Vai!” lo spinse via. Parlargli le dava uno strano fastidio. Sapeva già che Ace sarebbe morto, ma non poteva certo dirglielo!
“Mi occupo io di loro, figlio di Dragon” intervenne Anja. Rufy la scrutò per qualche istante, poi esplose in un: “Ci pensi tu, allora! Ci vediamo!” e corse via. Iva divise la sua gente tra chi sarebbe rimasto e chi avrebbe tentato la fuga, Anja era tra loro e aveva promesso di aiutarli. Attesero tanto tempo da sembrare infinito, finché non udirono lo scalpiccio delle ciabatte di Rufy, i tacchi di Iva e le scarpe piatte di Inazuma rimbombare lungo le scale, insieme ad un fruscio di sabbia e ad un altro scalpiccio. Tutti si riversarono sulle scale, dando il via ad una folle corsa per la vita. Anja, caricateseli come sacchi di patate, diede gas e partì come un razzo. “Stringetevi forte!” urlò.
Bashe le urlò a sua volta nelle orecchie “Grazie!”, ma dovette ripeterlo piú volte, e alla fine il donnone rispose stizzoso: “Non farmi perdere tempo!”.






Qualche tempo dopo, tutti riposavano esausti sul ponte della nave rubata alla Marina. Cori e Bashe in particolare facevano di tutto per essere confusi con l’impiantito del ponte. Anja si era subito ripresa dalla fatica e ora faceva parte dell’equipaggio attivo della nave, pur promettendo ai suoi amici di aiutarli almeno all’arrivo a Marineford, per il resto non poteva promettere. Bashe aveva l’unica speranza che il suo Capitano, per caso o per interesse, bazzicasse la zona e potesse in qualche modo prestargli soccorso, perché per quanto gli dispiacesse ammetterlo, nelle condizioni fisiche attuali e con un peso morto a rimorchio, non sarebbe stato in grado né di sostenere quanto di evitare una battaglia di qualsiasi entità. Purtroppo il suo, per il momento, altro non era che un vago desiderio, per il quale la sua mente aveva già previsto l’esito: Una disgraziata, perfida sconfitta nella quale lui non avrebbe avuto voce in capitolo.
Rufy, che durante tutto il viaggio era stato assorto nella contemplazione di passate avventure, scese ad un tratto dalla polena della nave e si sedette affianco a Cori contro l’albero maestro. La ragazza dormiva, ma appena sentì il tonfo di un corpo affianco al suo, aprì di uno spiraglio le palpebre, dando modo al bizzarro ragazzo di rivolgerle un gaio saluto: “Ehi, Cori! Come mai sei qui?”
“Sono finita prigioniera un po’ di tempo fa, uno del villaggio di Lurichiyo mi ha tradito.” Ricordò con una smorfia. “Ti presento Bashe, che mi ha aiutato a fuggire” continuò indicando il giovane addormentato al suo fianco, tutto raggomitolato nelle sue spire come un bambino nella culla. “Ah, e grazie per averci salvato” gli disse poi quasi sovrappensiero.
Rufy si aprì in uno dei suoi classici sorrisi a trentadue denti, rispondendole con la sua nota stridula: “Non sono stato io. È stata Iva-chan!”, memore della traversata a bordo della gonfia chioma viola.
Un gelo improvviso ghiacciò l’aria, e con orrore gli astanti si resero conto che i marosi erano diventati un unico blocco di ghiaccio in foggia d’onda, sulla cui cresta giaceva immobile la nave. Per diversi minuti fu lo sgomento a far da padrone, ma ben presto l’ingegno dei neopromossi comandanti della nave diede i suoi buoni frutti, e con un ultimo sforzo la nave venne spinta nel baratro, con gran dispiacere del restante equipaggio. Tutti infatti gridarono, chi in preda al terrore, chi all’eccitazione. Cori e Bashe scivolarono lungo il ponte della nave, sbatterono contro la ringhiera di legno e caddero nel vuoto, privi di ogni genere di appiglio. Davanti a loro, una vasta distesa di ghiaccio disseminata di uomini simili a formiche, dietro, il cielo azzurro e la nave in caduta libera. Furono istanti infiniti, prima che la grossa mano di Anja li afferrasse entrambi e li stringesse al suo petto, dando la schiena al buco nel ghiaccio. L’impatto fu violento, ma Anja fece loro da scudo, e riemersero, senza fiato ma anche senza danni evidenti, dall’acqua gelida.


Nuotarono fino alla banchina di ghiaccio e si issarono a fatica. L’unica speranza di salvezza era barricarsi nelle retrovie delle navi alleate di Barbabianca, anche se pure quella opzione avrebbe potuto rivelarsi molto pericolosa. Anja si sfilò i grezzi guanti e le enormi zattere piatte che aveva ai piedi, dando mostra di quattro splendide appendici nere e artigliate d’acciaio. La pelle era cuoio nero, e le unghie si allungavano in artigli anche sulla falangetta, quasi come una corazza. Tutte le ossa erano affilate come stiletti, e sporgevano dalla spessa pelle nera. Con un singulto, anche la schiena cominciò a mutare, allungandosi e storcendosi nella sinuosa curva di un dorso animale, allungando, rompendo e scurendo la pelle sotto gli abiti stracciati. Anche le articolazioni si erano storte, costringendola in una posizione semi-piegata.
Bashe e Cori storsero il volto in un’espressione orripilata e compassionevole insieme. “Che cos'è, un frutto del diavolo?” esclamò il ragazzo.
La voce fuoriuscì distorta dalla bocca di Anja piegata in una smorfia di dolore: “No” ghignò amaramente. “Questo è permanente”. Poi, con un guaito sofferente, aveva allungato di nuovo la schiena, assomigliando ad una triste sfinge priva di ali, mentre gli stopposi capelli biondi ricadevano ai lati del volto vitreo, quasi immobile. “Salite su. Scappiamo” aveva detto, con la voce spezzata.
I ragazzi, in rispettoso silenzio, obbedirono, montando sul dorso a malapena coperto dai brandelli di abito che ancora le pendevano dal corpo. Sotto, la pelle era spessa, liscia e nera, come quella delle mani. I due attaccarono il ventre al dorso solido della bestia, che partì. Lo stomaco sobbalzava ad ogni balzo che la sfinge compiva per atterrare i nemici con una zampata. La traversata durò meno di quanto si sarebbero potuti aspettare, perché nel giro di due minuti avevano addosso la quantità di marine necessari per mandare tutti e tre all’altro mondo. Anja si scrollò di dosso i due ragazzi, sovrastando con tutta la sua statura quel plotone di mantelli bianco-azzurri. Con due zampate la bestia si liberò delle prime due ondate d’attacco, ma non riuscì a schivare il proiettile del bazooka, che la colpì alla spalla. Indietreggiò di due passi tremuli, artigliandosi la spalla ferita e ruggendo di dolore, mentre i corpi dei marine cadevano loro addosso, macigni di carne e sangue. Presto sulle schiene di Bashe e Cori apparve un’allegra montagnola, che li schiacciò. I due sulle prime non capirono il comportamento di Anja, ma poi compresero: Malaticci com’erano, nessuno si sarebbe preso la briga di andare a controllare se erano effettivamente morti. Tristi, si abbandonarono sul ghiaccio gelido, lasciando solo gli occhi aperti sullo strazio che avevano davanti. Anja con un balzo formidabile agguantò un marine e con un morso gli tranciò la carotide, poi si avventò sul seguente, e poi su quello dopo ancora, in un vortice di sangue e brandelli di carne. Il secondo venne sgozzato, il terzo aperto come una trota, al quarto si riaprì la fontanella in uno schizzo di sangue misto a materia cerebrale sui capelli neri. Il quinto si fece esplodere sullo stomaco di Anja, che con l’ennesimo ruggito si chinò su se stessa. Con la forza della disperazione, l’enorme bestia caricò il resto del plotone, finché una katana non la attraversò da parte a parte lo stomaco, uscendo dalla schiena con uno strappo ed uno schiocco. Anja sputò sangue, mentre la sua espressione si congelava in un’indifferenza stranamente piena di ferocia. I capelli, quasi bianchi, sfiorarono il pavimento di ghiaccio, poi il marine estrasse la spada con lo stesso schiocco, più viscido, le ginocchia dell’ex-carcerato si piegarono, e con una lentezza assurda il pesante corpo ricadde sul mare ghiacciato. Il marine diede una scossa alla katana, liberandola da parte del sangue in una pozza vermiglia a pochi passi da loro. Era di un rosso vivo. L’uomo non si soffermò neanche per un istante a guardare la montagnola dei suoi deboli sottoposti, e si allontanò arcigno, inseguito da un leccapiedi che continuava a gridargli dietro “Capitano! Capitano!”, che Cori non si sarebbe sorpresa di sentire l’uomo dire: “Si, Spugna?”, per poi piegare il braccio e mostrare l’uncino d’argento, anzi d’oro per l’occasione. Ma fu la sensazione di un momento, perché Anja rantolò, scavando lunghi solchi nel ghiaccio. Vomitò sangue mettendosi carponi. Con uno sguardo vitreo, immobile, indifferente, li fissava da sopra la spalla. Nonostante ogni espressione fosse scivolata via dal suo volto e si fosse infranta al suolo come una maschera di vetro, i due ragazzi ebbero l’impressione di vedere le labbra viola tendersi sui denti. Con estrema lentezza, Anja si girò verso di loro, si allungò, finché non cadde distesa. Attorno al suo corpo si allargò una chiazza rossa. I suoi occhi piansero un’unica lacrima di sangue, e si chiusero. Bashe scoppiò in un pianto convulso, Cori sentiva il suo petto contrarsi, vide il suo braccio soffocare i singhiozzi. Il ragazzo cominciò a battere i pugni sul ghiaccio e a dire frasi interrotte dal pianto: “Non è giusto… non è giusto… perché… maledetto!...”. Sulle guancie di Cori non c’era una lacrima. Non era mai stata una da pianto, e aveva già dato tutte le sue lacrime. Afferrò delicatamente il pugno di Bashe, che la fissò con gli occhi gonfi e rossi di pianto. La ragazza aveva la faccia contratta. Il mento era teso all’indietro, quasi per controllare il pianto, così come le palpebre, ma i suoi denti erano scoperti in un ringhio silenzioso. Strappò il mantello ad un giovane marine con pochi gesti decisi, e lo indossò insieme al berretto. Bashe la imitò in silenzio, sciogliendosi i capelli sulle spalle e sul viso, per nascondere gli occhi. Cori vedeva solo il profilo aguzzo, pallido e tremulo del suo mento dietro la cortina d’ebano.
Non conosceva Anja da abbastanza tempo per provare tanto dolore. Sentiva un forte bisogno di rivalsa, e un’immensa rabbia che le saliva su dallo stomaco. Quei bastardi infami! Li avevano assaliti, quando era chiaro che Anja non aveva nessuna cattiva intenzione nei loro confronti! Stava solo portando due feriti! Ma anche se l’avesse gridato, pensò, non sarebbe cambiato nulla. Erano crimini di guerra, a chi mai poteva interessare della morte di un innocente sul campo di battaglia? Lì si muore e basta, e non ha importanza da che parte tu sia, anche se non stai da nessuna parte. Ok, magari erano tutti e tre filopirateria, ma non stavano combattendo! Ma poi, a chi voleva darla a bere? Era solo incazzata a bestia perché qualcuno aveva ucciso Anja sotto i suoi occhi. “Dobbiamo seppellirla” gracchiò Bashe.
Si trascinarono con le braccia fuori dal cumulo di cadaveri e moribondi. Coprirono Anja con un mantello, avvolgendoglielo intorno al corpo come i pirati un tempo facevano con le amache quando moriva un membro dell’equipaggio. Rovesciarono il corpo sulla schiena, con delicatezza lo composero e chiusero le estremità in un nodo, inserendo il proiettile del bazooka sotto i suoi piedi. Strisciarono tirando il corpo per qualche metro, ma capirono di non poter andare aventi. Un Pacifista aveva esploso un colpo di fronte a loro. Una pioggia di sangue e brandelli di carne cadde loro addosso, e adesso piangevano anche loro lacrime vermiglie. Un piede cadde sopra la testa di Cori, una katana con il braccio ancora attaccato quasi mozzò la punta della coda di Bashe. I due si guardarono attorno, orripilati. Ormai mancava una cinquantina di metri all’entrata della baia, ma sembrava se possibile più lontana di prima. Cori era di nuovo esausta, sentiva i morsi della fame da giorni e non riusciva a stare in piedi. Le faceva male tutto, ogni singolo centimetro quadrato di pelle. Ansimò con la fronte sul ghiaccio freddo. Bashe le passò una mano sulla schiena e si rimisero a strisciare, ma la strada era irta di punte di ghiaccio e altri ostacoli. Quei cinquanta metri sembravano non passare mai. All’improvviso, il ghiaccio cominciò a sciogliersi in un brodo caldo. Dai confini della baia si ersero alte barriere d’acciaio impenetrabili, mentre l’unico ghiaccio apparentemente solido sembrava rimanere solo affianco adesso. Il corpo scivolò nell’acqua e scomparve. Cori fece il segno della Croce e mormorò l’Eterno Riposo, poi ripartirono mentre mancava l’appiglio sotto di loro. Quanto erano lunghi cinquanta metri sulle braccia! “Ce la fai?” le chiese. Annuì soltanto in risposta, troppo stanca per aprire bocca. “Vuoi salire sulla mia schiena? Se andiamo lenti, ce la faccio” miagolò. Cori stavolta scosse la testa, anche se il suo corpo sembrava urlare il contrario. Ma non era il momento per appoggiarsi e piangersi addosso.


Dopo tante fatiche, arrivarono alla fine alla banchina intatta, accostandosi alla sparuta truppa di Buggy il Clown che andava giusto sciogliendosi. Dall’altra parte, Oars si risvegliava, e con un ultimo colpo di reni portava la sostituta della Moby Dick sulla piazza.
Erano allo stremo. Davanti agli occhi volteggiavano senza troppi problemi frotte di puntini neri. Le grida invasero ogni anfratto della base, e il loro eco riverberò a lungo nelle orecchie, finché un urlo spaventoso non fece ribollire la pelle di Cori come se fosse acqua per la pasta. Emanava un calore tremendo. Un’ondata di potere puro li travolse, avvolgendo Cori nell’ombra. Il suo corpo esplose in una compatta colonna nera che saliva fino al cielo. Quando si diradò, Bashe notò che la sostanza che ricopriva Cori come petrolio adesso era uno strato sottile, e mostrava in pieno l’orrore di quella scena. La ragazza era in ginocchio, quasi incatramata in quel buio solidificato, aveva la testa rivoltata all’indietro, e la bocca spalancata in un grido silenzioso e irreale che faceva vibrare l’aria.


Poi le dita si mossero piano piano. La mezza-serpe non era sicura che fosse Cori a muoverle. Infatti, il cervello di lei aveva avuto un black-out per lo shock, ma questo lui non poteva saperlo. Dopo istanti infiniti, la bocca si richiuse e la testa si ripiegò.
Lei non si era quasi accorta di quel che era successo. Nel momento in cui era esplosa, la sua coscienza era stata proiettata in alto, senza preavviso, provocando uno shock non indifferente. Al ritorno, e menomale che c’era stato un ritorno, ci era voluto un po’ per riprendere il controllo di un corpo debilitato. Quando aprì gli occhi, dapprima fu assalita da una miriade di immagini, poi la vista cominciò a stabilizzarsi. Cori, dentro la corazza, vedeva distintamente una miriade di sagome colorate più o meno accese. Accanto a lei c’era il verde di Bashe, una nota lieve, quasi delicata, un po’vacillante. Più in là, le sagome marroncine, grigie degli ex-carcerati, tra cui spiccava l’azzurro carta da zucchero di Buggy, poco vivido ma vivace. Molto lontano, vedeva lampi di tutti i colori. Il naso era assalito da una quantità di odori tale da darle la nausea. Sentiva l’odore di erba bagnata di Bashe, il bizzarro odore di zucchero filato di Buggy coperto da quelli più o meno forti dei suoi compagni: Cacao, caffè, cannella, metallo riscaldato, legno vecchio, cuoio fresco… uno sopra l’altro, facevano a botte nel suo cervello, che non riusciva a processarli tutti. Fuori da quegli odori e da quelle luci, non c’era niente. Il buio più totale. E sembrava che comunque quella capacità trascendesse ad un altro livello rispetto a quella macchia oscura, come se fosse il suo spirito a percepirle, e non i suoi occhi, ciechi come quelli di un gattino cresciuto al buio.
Spinse lo “Sguardo”, quella straordinaria percezione che adesso sembrava possedere, lontano, verso il patibolo. Sopportare tutti quegli odori stava diventando un’impresa molto ardua, ma lì, in lontananza, erano cinque le luci più brillanti: Quella gialla accesa di Kizaru (nessun altro poteva essere così veloce), quella rossa carminio di Akainu (la stazza di quella bestia si notava a chilometri di distanza), quella di un tenue color lavanda, quasi bianco, di Aokiji dalla parte dei cattivi, il rosso veneziano di Rufy con le sue buone fiammate incostanti e quella bianca traslucida, quasi gonfia, di Barbabianca dalla parte dei buoni. Le altre, seppur potenti, non attiravano l'attenzione quanto le loro. Finalmente, il lampo di un’assurda aura bicolore (si mescolava in curiose volute di fumo bianco e arabeschi aranciati) sembrò svoltare la situazione. L’aura gonfiata, quasi troppo gonfia per sembrare vera, di Garp fece la sua imponente comparsa con il suo rancoroso bordeaux, ma con uno sbuffo quasi ridicolo, si ridusse ad una triste luminescenza sul fondo della piazza. La brillante sagoma di Rufy arrivò in cima, dando un’allegra fiammata. Dopo poco, si riaccese quella che fino ad allora non era stata che una fiammella: Le fiamme vive, di un acceso arancio, dell’aura di Ace, che esplose in un eccesso di libertà (fin da lì poteva sentire l’odore dei falò nella notte). Le due sagome fiammanti si lanciarono in una corsa contro il tempo, e, ahiloro, la nera signora di Samarcanda. Cori giá lo sapeva, ma trattenne comunque il respiro quando il braccio carminio di Akainu attraversò come burro la sagoma di fiamme arancioni di Ace.


E il mondo stette a guardare.


Vedere una persona reale morire sotto i tuoi occhi è completamente diverso dall’assistere alla morte di un personaggio. La vera morte ti scuote nel profondo, ti toglie l’appiglio, e saperlo non cambia le cose. É… scioccante. Non puoi far altro che restare a guardare, mentre Ace ‘Pugno di fuoco’ muore, come fanno tutti i fuochi: Raffreddandosi lentamente. E non ti frega delle incongruenze (cacchio, ma quando mai s’è visto il magma che spegne il fuoco!), ne del mondo intorno a te, e rimani a guardare l’uomo che muore. Lo vedi soffiare nell’orecchio del fratello le sue ultime parole, anche se non lo puoi sentire, in realtà non sai neanche se stia parlando, lo immagini. Lo vedi spegnersi con un ultimo guizzo, e sparisce, per sempre.


La sagoma di Rufy si immobilizzò, il suo odore (caucciù, misto a qualcosa di indecifrabile) all'improvviso scomparve. Tutte le luci degli altri corpi svanirono davanti alla rabbia infinita, bianca traslucida di Shirohige che sembra invadere il mondo, penetrare nelle sue pieghe e spaccarlo. Lo vide infilarsi nelle crepe dell’aria e aprirle, mentre un fortissimo odore d’ozono invadeva l’aria, tanto forte da indurle conati di vomito. Ma non era abbastanza. La sagoma carminio di Akainu sparì nel baratro, ma subito si presentò ai suoi occhi una nuova minaccia. Sul patibolo si stagliava, come un sole in eclissi, Marshall D. Teach. Di lui si vedeva solo il contorno, un alone luminoso intorno al suo cuore nero, di fianco a lui quella marmaglia di traditori che si ostinava a chiamare ciurma. Quella bestia infame! Avevano ragione a dire che era diverso: Non aveva odore, e quando con quelle sue luride manacce afferrò Barbabianca, anche il penetrante odore di ozono svanì, insieme all’enorme aura. Gli infami seguaci di Barbanera crivellarono di colpi l’enorme corpo. La luce di Edward Newgate si era spenta per sempre, il suo corpo profanato. L’aura bianca intorno a Teach si allargò, mentre con pochi colpi delle mani riapriva quei varchi che Barbabianca aveva creato. Mentre Sengoku il Buddha si allargava in un’ampia massa dorata, Akainu si dava da fare per diventare il Marine più odiato dell’intera Grand Line e Aokiji e Kizaru decidevano di comune accordo di sterminare ciò che i Dalek non avevano giá sterminato, Cori, o meglio, ciò che la rivestiva, cominciò a dare segni di instabilità, ribollendo e ritirandosi. Cori rimase per qualche attimo immobile, con la testa piegata all’indietro e la bocca di nuovo spalancata per respirare, prima di riprendere totale coscienza del suo corpo. Come se qualcuno stesse alzando l’audio, la bolla di silenzio che l’aveva avvolta si spezzò, rivelando l’orrore e lo strazio al di fuori. L’accanimento con cui i Marine davano la caccia ai pirati inermi, le loro grida di giubilo, le mani lorde di sangue e le migliaia di corpi riversi a terra. Ognuno di loro aveva una famiglia dalla quale non sarebbe più tornato. L’orrore… non era nemmeno più il tempo di pensare per parole. Morte. Orrore. Aiuto. Qualcuno mi aiuti. Che cacchio sta succedendo? Sono bloccata. Qui tutti muoiono e io sono bloccata. Bashe si accorse dello stato di shock in cui versava e la scosse.
“Ehi. Ehi, Cori, sveglia! Dobbiamo andarcene! Presto, ora che si è aperto il varco!” gridò osservando l’enorme spaccatura nelle mura. Sosteneva Cori tenendosi il suo braccio sulle spalle. Vide un marine sfrecciargli di fianco. “Ehi tu! Aiutami!” gli ordinò.
“Subito Maggiore!” accorse il Marine sostenendo la ragazza dall’altra parte. Sembrava a malapena cosciente di quello che stava facendo, fissava la baia con gli occhi vuoti. Quando arrivarono al mare, dai flutti fece la sua comparsa lo yellow submarine di Trafalgar Law. Bashe gioì e si liberò dell’altro marine, e appena fu fuori tiro liberò entrambi dai mantelli e dai berretti della Marina, si sbracciò per farsi notare dal suo Capitano. Le sue preghiere erano state esaudite! Erano salvi! Dalla fine della corta banchina di ghiaccio bastavano appena una decina di metri al sottomarino. Si tuffò nelle gelide acque, portandosi appresso Cori. Lui, appartenendo allo stadio evolutivo tra l’essere umano ed il rettile, non aveva alcun problema con le temperature, e al contrario di quello che molti pensavano, le sconvenienti modifiche genetiche non impedivano loro di nuotare! Appena furono in acqua, sentirono Law emanare un paio di ordini secchi, e due loro compagni scesero alla chetichella dal sottomarino e li recuperarono. Quando ricaddero sul ponte metallico, Bashe provò a parlargli (“Capitano!”), ma lui lo bloccò all’istante. “Ci sarà tempo dopo per le spiegazioni. Portateli dentro!”. Quelli furono gli ultimi momenti che la coscienza del ragazzo, tenuta su fino ad allora dall’adrenalina, fu in grado di registrare. Poi fu il buio.












Ehilà, mi scuso per il ritardo, ma ho finalmente iniziato l'università, e l'orario è una specie di incubo. Trentadue ore! Ma bando alle ciance, mi piacerebbe sapere come vi è parso questo capitolo. Siamo ormai alla fine del mio slancio sadico, quindi ho cercato di ricompormi. Mentre scrivevo il capitolo (adesso, tra l'altro, sto vedendo per la prima volta la serie di Marineford, quindi vi lascio immaginare) ascoltavo in continuazione questa canzone (https://m.youtube.com/watch?v=izQAo6gh5Fs), e devo dire che mi ha aiutato un sacco, dopo la trentesima volta che la ascoltavo. Come vi è sembrata Anja? Un po' raffazzonata, forse? Di sicuro la fuga apparrà molto fortunata, e magari un po' incongruente con le condizioni fisiche dei due evasi (sono abbastanza sicura che non ci siano incongruenze con la storia, invece, ci sono stata particolarmente attenta). Ditemi cosa ne pensate, sono aperta alle critiche, tanto più che dal prossimo capitolo comincerà quella che penso sia per adesso la parte più interessante della mia storia, se sarò capace di raccontarla. Grazie per l'attenzione che continuate a dedicarmi! Sempre Vostra,
Hikari_Sengoku


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