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Autore: heliodor    06/11/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Leggenda

Il fresco della sera la sorprese. Era ancora accaldata per il bagno e rabbrividì, ma continuò a camminare.
C'erano altre tende distanti una trentina di passi da quella di Darran. Erano più piccole e modeste. Davanti a ognuna di esse vi erano uno o due soldati di guardia.
Altri uomini armati stazionavano ai confini del campo, dove c'erano anche dei cavalli legati a dei pali infissi nel terreno.
L'oscurità era squarciata solo dalle torce accese a intervalli regolari e dai piccoli falò accesi dai soldati, attorno ai quali si riunivano per mangiare e chiacchierare.
A uno di questi era seduto proprio Darran.
Joyce si avvicinò quasi in punta di piedi.
"... e con un colpo solo riuscii a decapitare lo scorpione" stava dicendo mentre mimava un fendente con la spada.
Parlava ad Alil e agli altri ragazzi, che lo ascoltavano con espressione rapita.
Darran si accorse di Joyce e si alzò di scatto. "Vedo che hai trovato un vestito di tuo gradimento."
Joyce si strinse nelle spalle.
"Spero non sia troppo largo" disse Darran.
Magari se ci pensavi prima di mettere su tutti quei muscoli, pensò Joyce. Splendidi muscoli, se vogliamo essere precisi. "Andrà benissimo" si affrettò a dire. "C'è posto anche per me?"
Darran le indicò lo spazio vicino al suo. "Siedi con noi."
Joyce sedette cercando una posizione comoda.
Darran prese un piato pieno di frutta e pezzetti di carne. "Sono datteri e stufato di capra" disse porgendole il piatto. "Non è un pranzo principesco, ma è buono."
Joyce lo accettò.
Al suo fianco, Darran ogni tanto le rivolgeva un'occhiata fugace. "Ora capisco perché ti chiamano la strega rossa." Indicò Alil e i ragazzi che parlavano tra di loro. "Dicono che ti sei battuta contro un gigante di ferro, nelle viscere della montagna."
Joyce si lisciò i capelli. Non aveva avuto il tempo di rifare la treccia e ora giacevano sciolti sulle spalle. "È solo un nomignolo un po' stupido."
"Io lo trovo molto bello. E anche adatto."
"Grazie" rispose sorridendogli.
"È vera la storia del gigante di ferro?"
Joyce annuì. "Hai visto con i tuoi occhi i ragni."
Darran annuì. "Proprio come dicono le leggende."
Joyce lo fissò perplessa.
"Da dove vieni, se posso domandartelo?"
"Valonde" si affrettò a dire.
"È molto lontano da qui."
"Mi piace viaggiare."
Darran sorrise.
Doveva proprio farlo in quel modo così delizioso?, pensò Joyce.
"Anche a me piacerebbe viaggiare" disse lui.
"E cosa te lo impedisce?"
"Io sono il principe ereditario" disse Darran. "Non mi è concesso lasciare queste terre. E se mi allontano dal palazzo, devo farlo con la mia scorta."
"Posso capirti."
"Davvero?" chiese lui perplesso.
"Stavi parlando di una leggenda" si affrettò a dire Joyce.
Darran annuì. "Zanihf era uno dei maghi supremi."
"Questo lo sapevo già."
"Allora saprai anche che era uno dei più potenti. E temuti" proseguì Darran. "Negli ultimi giorni della grande guerra, lui e i suoi accoliti prepararono un vasto esercito di automi e lo nascosero nella montagna. Il loro piano era di far arrivare l'esercito nemico e poi coglierlo di sorpresa. Ma l'attacco non avvenne mai."
"Perché?"
"Gli uomini di ferro entrarono nella montagna ed eliminarono Zanihf. Fu uno scontro epico."
"Gli uomini di ferro?"
"All'epoca non erano ancora dei mercenari al soldo del migliore offerente. Il loro comandante, Alban, aveva giurato vendetta contro Zanihf perché aveva distrutto la sua città natale, uccidendo tutti i suoi amici e parenti. Fu lui stesso ad eliminare il mago supremo, se vogliamo credere alla leggenda."
"Quindi Alban è il cavaliere senza macchia e senza paura che uccise Zanihf?"
"Se la leggenda è vera..."
"Quei mostri meccanici erano veri" disse Joyce.
Darran annuì. "Ed è quello che mi preoccupa. Non può essere un caso che Kwame e gli albini stiano scavando proprio lì sotto."
"Credi che stiano cercando qualcosa?"
"L'esercito di Zanihf" disse Darran. "Farebbe gola a molti, Malag in testa."
Il nome dell'arcistregone ricordò a Joyce che era in corso una guerra. Le ultime notizie che aveva appreso a palazzo dicevano che Malag si nascondeva sul vecchio continente.
Forse non era molto distante da dove si trovava lei in quel momento.
Quell'idea le provocò un brivido spiacevole alla schiena.
"Tranquilla" disse Darran con tono rassicurante. "Senza il compendio magico di Zanihf, l'esercito non può essere attivato. Non corriamo alcun rischio."
Joyce si ricordò del libro che avevano trovato nella fortezza. Lo aveva ancora con sé, anche in quel momento, al sicuro in una tasca del vestito.
Forse doveva parlarne con Darran? Per il momento decise di tacerglielo. Aveva un'altra idea per la testa.
"Bene" disse il principe alzandosi. "Direi che è ora di andare a dormire." Richiamò l'attenzione di un soldato con un cenno della mano. "Mosi, metti i ragazzi in una delle tende. Che siano sorvegliati, non si sa mai."
Mosi fece un leggero inchino e portò via Alil e i ragazzi.
"Sibyl, vorrei fare due chiacchiere con te" disse Darran. "In privato."
"Certo" disse Joyce cercando di non mostrarsi troppo entusiasta.
Lui la guidò fino alla tenda. Quando furono dentro, chiuse il velo che li separava dall'esterno.
"Siedi pure" disse indicando una delle sedie.
Joyce ubbidì.
"Oggi mi hai visto usare la stregoneria."
Era una questione che Joyce voleva risolvere, ma non aveva osato fargli domande in presenza di altre persone. "Stavo per chiederti la stessa cosa."
Darran annuì. "Lo so. E ti ringrazio per aver taciuto la cosa davanti ai miei uomini. Nemmeno loro sono al corrente del mio segreto."
Joyce si fece più attenta. "È per via del fatto che solo gli albini hanno i poteri qui a Mar Qwara?"
"Vedo che sai molte cose di noi."
"Ho imparato qualcosa."
"Mi piace. Voglio dire, è una buona cosa. In verità siamo in pochi a nascere con i poteri. I non albini, intendo. Alcuni riescono a nascondersi per tutta la vita. Altri invece prima o poi commettono un errore e vengono scoperti. È allora che iniziano i guai."
"Capisco" disse Joyce prudente.
"Spero di non aver commesso un errore che mi costerà la vita." Darran si avvicinò, lo sguardo che puntava dritto verso di lei.
Joyce lottò contro la tentazione di allontanarsi. Ma voleva davvero farlo? O al contrario era attratta da quegli occhi profondi come la notte e quelle labbra che sembravano fatte solo per baciare?
"Il tuo segreto è al sicuro, con me." Ed era vero. Non l'avrebbe mai tradito. Darran in fondo era come lei: mostrarsi per quello che era veramente, uno stregone, poteva costargli la vita. Si sentiva più vicina a lui di quanto si fosse mai sentita a chiunque altro e in quel momento si rese conto di quanto doveva sentirsi solo e disperato.
Darran si fermò, il suo viso a mezzo palmo di distanza da quello di Joyce. "Devo sapere se posso fidarmi."
"Hai la mia parola."
"Perché se non posso fidarmi..."
Joyce sentì la tensione salire. Stava per alzarsi a fuggire via, quando lui si allontanò e rise.
"... allora sarò costretto a fuggire in esilio."
Joyce respirò di nuovo.
"Ma non da solo" aggiunse il principe. "Tu verresti con me."
"Io?" Ecco, ora sì che sono sorpresa, si disse.
"Sì, tu. Se dovessi fuggire lontano da qui, non vorrei nessun altra al mio fianco."
Joyce non sapeva se essere lusingata o terrorizzata. "Io credo che..."
"È dal momento che ti ho vista mentre lottavi contro quel ragno meccanico che ho capito chi eri."
"Davvero?"
Darran annuì. "Tu sei il mio destino, Sibyl di Valonde."
 
"Due anni fa" disse Darran con tono grave. "Un'indovina si presentò alla mia porta. Fino ad allora avevo sempre pensato che fossero solo dei ciarlatani, ma quella vecchia conosceva troppe cose di me. Fatti che non avevo mai confessato a nessuno. Lei mi predisse il futuro e poi scomparve."
Joyce trattenne il fiato.
"L'indovina" proseguì Darran. "Disse che avrei incontrato una ragazza. Nata dalla roccia e dal fuoco, proveniente da terre lontane. Quella ragazza, mi disse, sarà la donna della tua vita."
"Bene" disse Joyce. "Ma io sono nata in un piccolissimo villaggio" mentì alla disperata ricerca di una via d'uscita. "E non c'erano né rocce né incendi. Fu una bellissima giornata a detta di tutti."
"È una profezia, Sibyl. Non va interpretata in maniera letterale."
"Certo ma..."
"Tu sei venuta fuori dalla montagna. Sei nata dalla roccia" disse Darran. "Vieni da una terra lontana, ben oltre il mare che divide i nostri continenti. E per quanto riguarda il fuoco... non sono i tuoi capelli rossi come un incendio?"
Joyce si arricciò una ciocca di capelli. "È vero ma..."
"Niente ma, Sibyl" disse Darran prendendole le mani tra le sue. "È il destino che mi ha fatto incontrare quell'indovina. E il destino ti ha portata da me. Niente accade per caso. Io e te siamo destinati a stare insieme."
"Io credo che..."
"Da quel giorno non ho fatto altro che pensare a te. Mi sono allenato in previsione di questo incontro. Ho affrontato mille pericoli e bestie pericolose per essere degno di te. Il mio corpo è ricoperto di cicatrici che lo dimostrano. Vuoi vederle?" Si scoprì la parte superiore della tunica, mostrandole il petto.
"Oh, no, no, ti credo" si affrettò a dire Joyce coprendosi gli occhi con una mano. Tuttavia non resistette alla tentazione di gettare un'occhiata a quegli addominali scolpiti color dell'ebano. C'era una cicatrice a forma di stella proprio sopra la spalla sinistra e un'altra che correva lungo il fianco e puntava verso il basso, dove, dove...
Darran rimise a posto la tunica. "Devi essere mia moglie. Domani, oppure oggi stesso. Posso far venire un sacerdote, se vuoi."
"Forse stiamo correndo un po' troppo. In fondo ci conosciamo soltanto da un giorno." Anche di meno, si disse.
"Sono anni che ti aspetto" disse Darran avvicinandosi di nuovo.
"Io non so che dire" balbettò Joyce. "Il fatto è che proprio non mi sento pronta per il matrimonio. Sai, ho avuto delle brutte esperienze in ambito matrimoniale..."
Questo sembrò fermare il principe per qualche istante. "Sei stata già sposata?"
"No, no" si affrettò a dire lei. "Il fatto è che la prima volta c'è stato quasi un colpo di stato. E la seconda un massacro."
Lui la guardò perplesso.
"Non sono molto fortunata in fatto di matrimoni."
"Niente matrimonio allora. Fuggiamo insieme, lontano da questo orribile posto. Andremo ovunque tu voglia."
L'unico posto dove voleva andare era Valonde e dubitava che Darran sarebbe stato felice di riconsegnarla nelle braccia di Vyncent o di chiunque altro lei volesse.
E lei nemmeno era certa di quali braccia avrebbe scelto per farsi stringere in quel momento.
"Non posso andarmene senza prima aver dato una mano a Faiza e Alil. Mi hanno salvato la vita. E poi c'è Chare..."
"Chare" disse Darran pensoso. "Se non fosse stato per suo marito e la sua orribile madre..."
"Cosa?"
Darran scosse la testa. "Niente. È vero, hai ragione. Dobbiamo aiutare quelle persone. Il tuo animo è nobile e puro, dovevo immaginarlo. Gli dei sono stati generosi con me."
"Bene" disse Joyce, contenta di aver guadagnato del tempo. "E ora che facciamo?"
"Ti porto al palazzo. Lì sarai al sicuro e io potrò proteggerti."
"Bene. E Alil e i ragazzi?"
"Torneranno a casa. Li farò scortare da Mosi, così nessuno oserà fare domande."
"C'è ancora una cosa.."
"Il mio fiore del deserto deve solo chiedere e io ubbidirò."
"Faiza e le donne che lavoravano per Obasi. Non sono al sicuro."
"Ci penserò io. Domani stesso manderò i soldati a prelevarle e le farò portare in un luogo sicuro."
"Devono tornare a casa."
"Non è così semplice."
"Ma tu sei un principe" protestò lei. Occhi languidi, pensò. "Tu puoi tutto, no?"
"Lo vorrei" disse Darran. "Ma la verità è che Obasi è il figlio di Dafina e tra di noi non corre buon sangue. Se si venisse a sapere che ho aiutato le sue servitrici a scappare..."
"Sono schiave" disse Joyce. "Non hanno scelto di lavorare per Obasi."
Darran sospirò. "Vedrò quello che posso fare. È una promessa."
Se non poteva ottenere di più si sarebbe accontentata. Per il momento. Almeno Alil e i ragazzi sarebbero tornati a casa.
"So io cosa fare."
 
Tornarono nello spiazzo dove Darran aveva abbattuto il ragno metallico. La carcassa del mostro era ancora lì.
Evocarono un globo luminoso ciascuno e si misero a cercare nei dintorni.
"Siete usciti da lì" disse Darran indicando la parete di roccia. Il passaggio era nascosto ma, avvicinandosi, divenne visibile.
Solo da una distanza ravvicinata era visibile.
"Aspettami qui" disse il principe infilandosi tra le rocce.
"Sei sicuro di volerci andare?" chiese Joyce preoccupata.
"Non stare in pensiero per me, amore mio" disse Darran. "Sarò di ritorno presto."
Joyce sospirò rassegnata. "Non toccare niente. E se vedi qualcosa che si muove, scappa."
"Il principe Darran non fugge davanti al pericolo" rispose lui baldanzoso. "Se lo facessi poi non sarei più degno di te."
Joyce sedette su una delle rocce. Poteva accompagnarlo, ma non aveva intenzione di tornare in quel luogo terribile. Una sola volta le era bastata.
L'attesa fu lunga. Alle prime luci dell'alba Darran non era ancora riemerso dalla grotta e stava iniziando a preoccuparsi.
Forse si era perso o era stato attaccato da qualcuno di quei mostri meccanici. Chissà quanti ce n'erano ancora sepolti nelle viscere della montagna. Darran aveva parlato di un esercito.
Non doveva farlo andare da solo. Ora si sentiva in pena per lui. Era sciocco pensarlo, ma in fondo era colpa sua se era sceso nella montagna. Voleva impressionarla e convincerla a sposarlo. Che idiozia.
Ma non erano tutti così gli uomini?
No, non tutti.
Vyncent non era così. Lui agiva per scopi più nobili che impressionare la ragazza alla quale aveva giurato eterno amore.
E anche Oren sembrava spinto più dalla lealtà e dall'onore che dal desiderio di fare bella figura con lei.
Se almeno fosse stato meno idiota e testone...
Udì delle voci provenire dalla caverna.
Si sporse con prudenza  per udire meglio.
"... da questa parte" disse una voce femminile.
"Siamo vicini?" chiese una maschile.
Non era quella di Darran.
Joyce si ritrasse di scatto e andò a nascondersi dietro una roccia, appiattendosi più che poteva sulla superficie.
Sporgendosi vide due albini che sbucavano dal passaggio.
Uno, la donna, non l'aveva mai vista. Indossava la solita veste nera con ricami dorati.
L'altro l'aveva visto poche ore prima quando era scesa con Chare nella montagna. Era Kwame.
 
L'albino si guardò attorno come alla ricerca di qualcosa. "Qui non c'è niente."
"Darran non può essere venuto da solo" disse l'albina. "Non esce mai dalla città senza la sua scorta."
Quindi avevano trovato il principe. Joyce sperò che stesse bene.
"E allora troviamola" disse Kwame impaziente. "La strega rossa e quei dannati ragazzini saranno lì per forza."
"Se tu non lo avessi colpito così forte..." disse l'albina.
"Se lui non avesse usato i suoi poteri contro di me" la interruppe lui. "A proposito, tu lo sapevi?"
L'albina scosse la testa. "Nessuno ne era al corrente."
"Eppure sei in buoni rapporti con Rafiki."
"Lui non mi dice tutto" rispose lei.
I due si allontanarono esplorando la spianata.
Joyce decise che quello era il momento migliore per andarsene. Kwame e l'albina non ci avrebbero messo molto a scoprire le tracce lasciate da lei e Darran e andare al campo.
Poteva precederli e tentare di fare qualcosa.
Divenne invisibile e uscì dal suo nascondiglio. Per evitare i due albini fece un giro più largo del dovuto correndo a perdifiato tra le dune del deserto. Riuscì a ritrovare il sentiero giusto e si gettò di corsa verso il campo.
I soldati che non erano di guardia stavano uscendo dalle tende stiracchiandosi e sbadigliando.
Quelli che invece avevano montato la guardia ciondolavano assonnati vicino ai fuochi che languivano.
Joyce li ignorò tutti e cercò Mosi.
Trovò il guerriero davanti a una tenda, intento a guardarsi attorno.
Joyce divenne visibile all'improvviso, facendolo sussultare. "Scusa" disse. "Non volevo spaventarti."
"Scuse accettate strega rossa" rispose lui.
"Ti chiami Mosi, vero?"
Lui annuì.
"Devi farmi un favore."
"Se posso aiutarti lo farò."
"Mi servono dei cavalli. Non per me, ma per i ragazzi che sono nella tenda. Devono andare via subito."
"Il principe Darran non mi ha dato ordini al riguardo."
"Credo che il principe sia in pericolo" disse Joyce. Ogni tanto guardava in direzione dell'orizzonte e temeva di veder spuntare Kwame e l'albina da dietro una duna.
Mosi si irrigidì. "Cosa? Dov'è ora?"
"Nella montagna, credo. Senti, stanno arrivando degli albini e non credo abbiano buone intenzioni."
Mosi prese una lancia infissa nel terreno. "Quegli albini hanno preso il principe?"
Joyce annuì. "E ora stanno venendo qui per prendere me e i ragazzi."
"Allora devi fuggire."
"No" disse Joyce, anche se desiderava farlo. "Da soli non resisterete contro gli albini, ma io posso aiutarvi."
"Noi siamo guerrieri" disse Mosi orgoglioso. "Non temiamo gli albini."
"Bene, ma ora dimmi dove sono i ragazzi e prepara quei cavalli."
Alil e gli altri erano nella tenda. Si erano appena svegliati quando Joyce entrò. "Vestitevi" disse con tono perentorio. "Andate via."
I ragazzi si scambiarono delle occhiate perplesse.
"Svelti" li esortò Joyce.
Mosi tornò con quattro cavalli. "Sono bestie docili e resistenti" disse.
"Sapete andare a cavallo?" chiese Joyce ai ragazzi.
Alil e gli altri montarono senza problemi.
"Torna al villaggio e restaci" disse Joyce. "Fai un giro lungo in modo da confondere le tracce." Non aveva idea se avrebbe funzionato, ma quel consiglio lo leggeva spesso nei romanzi d'avventura. Di solito il protagonista riusciva a seminare i suoi inseguitori quando non puntava dritto verso la sua destinazione. Sperò che funzionasse anche in quel caso.
"Tu non vieni?" chiese Alil.
"Ho altro da fare." Gli diede il compendio di Zanihf. "Nascondilo in un posto sicuro e non dirlo a nessuno. Quando sarà tutto finito tornerò a prenderlo."
Alil prese il libro e lo infilò in una tasca. Insieme agli altri tre galoppò verso le dune.
Joyce li seguì con lo sguardo finché non sparirono dietro un'altura.
Nel frattempo Mosi e gli altri guerrieri si erano armati e schierati al centro del campo. Joyce ne contò venti, quasi tutti giovani.
Indossavano armature lucenti che coprivano petto e gambe ma lasciavano scoperte le braccia. Almeno hanno un elmo, pensò Joyce.
Uno stregone esperto li avrebbe abbattuti in pochi colpi.
Ogni guerriero era armato di lancia e scudo rotondo, oltre che di una spada ricurva assicurata al fianco.
"Hai mai combattuto contro degli stregoni?" domandò Joyce a Mosi.
"Io no e tu?"
"Qualche volta. E anche contro un troll."
"Non ho idea di cosa sia."
"Ti auguro di non vederne mai uno."
"E io ti auguro di non vedere mai un nafrico" rispose Mosi.
"E che cosa sarebbe?"
"Un serpente delle dune."
"E come mai è così orribile?"
"Non lo è. È molto piccolo e sembra innocuo, ma il suo morso può ucciderti in pochi minuti."
"Piccolo ma letale."
"Quasi tutto nel mare di fiamme lo è."
Joyce si limitò ad annuire. Mosi gli stava simpatico e si augurò che sopravvivesse a quello scontro.
Kwame e l'albina apparvero dietro a una duna come aveva previsto.
Mentre i soldati e Mosi si schieravano, Joyce si piazzò dietro una delle tende, in una posizione dalla quale poteva vedere senza essere vista.
L'albino avanzava in testa con fare baldanzoso e non sembrò accorgersi dei soldati schierati finché non raggiunse i confini del campo.
L'albina invece lanciava occhiate nella loro direzione e aveva un'espressione cupa. Disse qualcosa a Kwame che le fece segno di tacere.
"Voi dell'accampamento" disse l'albino. "Siete soldati della scorta del principe Darran?"
Nessuno rispose.
"Voglio solo parlare."
Ancora silenzio.
"Chi è che comanda qui?" domandò Kwame spazientito.
Mosi si staccò dagli altri guerrieri e fece un paio di passi avanti. "Sono Mosi e questi uomini sono al mio comando."
"Bene" disse l'albino. Sollevò la mano e lanciò un dardo contro Mosi, colpendolo al petto.

Prossimo Capitolo Mercoledì 8 Novembre

Ps: da domani risponderò a tutte le recensioni. Scusate per l'assenza
  
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