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Autore: ArtemisiaSando    07/11/2017    1 recensioni
1873, Massachusetts.
Elle Winters, infermiera dal passato turbolento, finalmente libera dal giogo dell'ex-marito, si trasferisce nella stanza di un affittacamere alla periferia di Boston.
Qui incontra Lance Crawford, investigatore privato e cacciatore di taglie per la Pinkerton National Detective Agency. Un uomo con molti segreti, nato e vissuto nella violenza, che ha fatto di alcol e solitudine i suoi migliori amici.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Storico
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Never look back

«Si vive per anni accanto a un essere umano, senza vederlo.

Un giorno ecco che uno alza gli occhi e lo vede.

In un attimo, non si sa il perché, non si sa come, qualcosa si rompe una diga fra due acque.

E due sorti si mescolano, si confondono, e precipitano.»

Boris Pasternak


Elle Winters lasciò casa sua come una ladra.

Radunò, a tentoni nel buio, i suoi pochi averi e compresse la sua intera esistenza in una piccola valigia di pelle consunta che aveva ereditato dalla madre.

Poi si accomiatò silenziosamente dalle quattro mura che avevano assistito ai momenti più felici e più infelici della sua vita e lasciò un'ultima occhiata al grande letto in grezzo legno di pino.

Non provò nulla guardando quel bozzo scomposto, sotto la trapunta variopinta e scolorita, che un tempo era stato suo marito. L'uomo alto e forte che aveva stretto il suo braccio esile all'altare, ora giaceva molle e abbandonato come un grosso scarafaggio.

L'aveva odiato, l'aveva amato, l'aveva disprezzato e maledetto. Ora non sentiva più nulla, se non una vaga nostalgia, nel vedere la zazzera color topo fare capolino attraverso le lenzuola disfatte dall'uso della liscivia.

Respirava nel sonno con la pacatezza di un mantice, lo faceva sempre quando tornava soddisfatto e ubriaco dalle serate del poker, in cui perdeva più soldi di quanti riusciva a guadagnarne in una giornata in fabbrica.

L'odore della brina notturna filtrava deciso dalla finestra semiaperta, mascherando solo per poche ore il puzzo che la foresta di ciminiere in lontananza vomitava durante il giorno e che ricopriva i tetti di tegole cotte con una patina grigia che si perdeva all'orizzonte.

Fra poco meno di un'ora la luce del giorno avrebbe cominciato a tingere di un pallido rosa i comignoli, allargandosi sul panorama con la pazienza di un colore ad acquerello. Ma non ancora. 

Le stelle occhieggiavano diafane nella pece oltre la cornice della finestra, sospese come lumicini lontani sulla faccia di un mondo che sembrava allontanarsi insieme alla brezza gelida della notte.

Elle ringraziò mentalmente le ombre che sottraevano alle ire della belva sconosciuta sotto le coperte la sua fuga ed ai suoi occhi la propria immagine riflessa nella specchiera della toeletta sbeccata.

Non aveva bisogno di vedersi per sapere che un labbro era tumefatto e spaccato e lo zigomo destro si era gonfiato nelle ultime ore, sarebbe passato dal rosso al viola e poi al giallo come era successo tante altre volte.

Si sarebbe risparmiata la vista della donna patetica e sottomessa che era diventata. Il pallido fantasma della donna florida dai verdi occhi arabi che avevano portato ai suoi piedi più di un uomo, prima che le attenzioni ruvide e innamorate di suo marito l'avessero strappata alla solitudine.

Ricordare il suo nome avrebbe dato potere ai ricordi che aveva di lui, perciò non lo portò con sé. Nella misera valigetta di pelle usurata, oltre la divisa ben inamidata, l'unico paio di calze di seta che possedeva e la biancheria, non c'era più spazio per il rimorso, né per il perdono.

Inspirò per l'ultima volta l'odore del sigaro spento sul comodino, delle tende macchiate dall'umidità della sera e della familiare acqua di colonia mista ad alcol scadente che impregnava ormai le pareti scolorite.

Con l'audacia che si addiceva a migliori intenzioni, afferrò senza esitazione la valigia ed in punta di piedi si avviò verso la porta d'ingresso, le scarpe in mano e i piedi nudi come una zingara.

Trattenne l'impulso di spaccare una delle lampade all'acetilene che tenevano per le emergenze nello sgangherato stipetto in corridoio, accendere uno dei fiammiferi accanto alla stufa e lasciare che il passato si disfacesse nel fumo e nel calore del fuoco.

Invece uscì sul pianerottolo, con un misto di euforia e smarrimento per essere riuscita in quella scabrosa impresa, mentre la porta dell'interno 2 del numero 13 di Remington Street si richiudeva alle sue spalle con un sordo cigolio di cardini arrugginiti. Il primo rumore della sua nuova vita.

Con un sorriso ebete sotto il labbro gonfio, i lunghi capelli arruffati, completamente sola sul lastricato fangoso che s'immetteva sulla strada principale, si sentì di nuovo giovane.

Aveva ancora ventisette anni ed il mondo ai suoi piedi. Continuò a ripeterselo, mentre percorreva a testa alta il viale deserto fra due file di case identiche, squallide e prevedibili come lo era stata la sua vita fino a quel momento.

Dopo anni che si abita in un luogo, si finisce per confondersi al paesaggio. Niente di più vero. Era vissuta con la stessa volontà degli alberi, rinsecchiti e contorti, che incespicavano verso il cielo nelle aiuole di Remington Street.

Non bastava il sole a riportarli in vita, perché erano le radici ad essere marce, affondavano nella melma che si spargeva nel terreno dal sottosuolo delle fabbriche. Morivano in pieno giorno.

Così era successo a lei. L'unico modo per tornare a fiorire era piantare radici altrove, perché non era rimasto nulla per lei nel luogo che per troppo tempo aveva chiamato casa, senza accorgersi delle sbarre che bloccavano la luce.

Affrettò il passo, stringendosi nel cappotto nero, fino alla stazione dei treni. Il primo sarebbe partito solo da lì a quarantacinque minuti, quando l'aurora avrebbe cominciato ad aprire il cielo dissipando i terrori della notte, ma c'era ancora tempo.

La sbronza della serata del poker le avrebbe regalato ore a sufficienza per allontanarsi dalla città senza sentirsi braccata.

Si sedette su una delle panchine in legno del binario stingendo a sé la misera valigia, passò fra le dita i lunghi capelli neri da sirena, che un tempo erano stati il suo orgoglio e la sua vanità, per riguadagnare un aspetto civile e attese.

Attese finché il battito frenetico del suo cuore non si sovrappose alla corsa delle ruote d'acciaio sui binari e, mentre la notte moriva, un fischio sgraziato e assordante annunciò l'arrivo del treno per Boston.

   
 
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