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Autore: LynxRubra    10/11/2017    0 recensioni
[Dark Souls III]
Forse Sylvia non lo sa, ma c'è qualcuno che la ama alla follia, tanto da dedicarle queste due modeste poesie.
Genere: Angst, Poesia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altri
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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INTRODUZIONE

Questo è il secondo e ultimo componimento della raccolta. La struttura, lo stile e le tematiche trattate dovrebbero assimilare la poesia al genere dell’ode a me, tuttavia, mancano il coraggio e la presunzione di definirla tale. Non segue un particolare schema metrico, sebbene i versi tendano, per ampi tratti, ad agglomerarsi attorno ad una struttura simile a quartine di ottonari o novenari.

Nello scritto vediamo Sylvia in veste di invasore. La nostra protagonista non è però spinta dalla sete di sangue o di potere, bensì, rimasta colpita dall’affetto dei Principi di Lothric, ha deciso a suo tempo di non affrontarli, rivolgendo invece le sue armi contro le Fiamme Sopite che si inoltrano nell’Archivio Centrale. Il suo intento è quello di convincere i suoi avversari a compiere la sua stessa scelta: smettere di ascoltare la brama di anime indotta dal Fuoco per assecondare sentimenti più intimi e nobili. Nel dipanarsi della narrazione questi fatti vengono a mala pena accennati, invece si può immediatamente capire che le vicende non si svolgono secondo le speranze di Sylvia. Infatti, la cacciatrice si trova ad affrontare più avversari da sola in uno scontro mortale. Ciononostante la guerriera non riesce ad estraniarsi dallo struggimento amoroso causato dal suo legame con la Guardiana, così alla predominante tematica “bellica” si alterna quella sentimentale.

La poesia presenta inoltre una marcata vena ironica che emerge fin dalla scelta titolo. Infatti un’espressione gergale, e per giunta inglese (quale abominevole vilipendio del nostro nobile idioma!), stona fortemente con il carattere volutamente ermetico ed evocativo del componimento. Tale contrasto viene rimarcato poi da un utilizzo più tradizionale della figura retorica dell’ironia. Tra i versi si possono infatti individuare diversi termini apparentemente contraddittori utilizzati per definire sia Sylvia che i suoi avversari, con il plateale intento di sottolineare il coraggio della prima e la viltà dei secondi.

Il testo è senza dubbio di difficile comprensione (fidatevi, è anche colpa delle mie scarse abilità di scrittore) e procede perlopiù mediante riferimenti e analogie legate all’universo di Dark Souls. Perfino gli stessi sentimenti della protagonista sono descritti in modo assai vago. È proprio nella sua imperscrutabilità che la poesia, secondo i miei modesti intenti, dovrebbe acquistare spessore. Nella sua scrittura non mi sono preposto l’intento di far emergere chiaramente il contenuto fin dalla prima lettura, bensì, senza lesinare l’utilizzo di termini crudi e volgari, ho tentato di circondare il personaggio di Sylvia di un’aura di epicità e mistero.

 

GANK SPANK

 

            Di ardenti ossa al tepore
                porgi le membra provate,
                ma la tua mente distrutta
                giammai troverà il suo ristoro.
5          Così, nei viluppi dorati
                di quel flebile fuoco, rivedi
                di lei la candida chioma
                in cui brami smarrire le mani,
            di lei la cui anima oscura
10            ‘sì grande forza t’ha dato,
                di lei dalla pelle di seta
                al tuo laido sfiorare negata.
            Quand’ecco che senti tremare
                nel pugno il globo scarlatto,
15            dal suo occhio ti senti spogliata
                della tua essenza carnale
            e in un mondo a te estraneo mandata.
                Un mondo in cui cenere vuole
                di Lorian e Lothric spezzare
20            il tenero abbraccio divino.
            Tu, ora spirito oscuro,
                odi il silenzio proibito
                di quelle stanze violato,
                in quell’Archivio in cui, Sylvia,
25        di cacciatrice tue gesta
                il nome ti hanno donato.
                Così alla battaglia t’appresti
                cogliendo un profondo sospiro,
            poi cerchi impaziente il nemico
30            da anello di nebbia celata
                ed ecco che vedi quei prodi
                accorsi con foga nell’atrio.
            Di quella sala il selciato
                di densa cera è coperto
35            che magica e antica straborda
                da ampia e magnifica vasca.
            Sta accanto ad essa un fantasma
                di pietra opaca vestito
                con quella corazza strappata
40            al mesto campione di Carim.
            Lo spettro bianco brandisce
                massiccio e inumano spadone,
                con esso sicuro protegge
                colui che reca la brace.
45        Quest’ultimo è poco distante,
                coperto d’acciaio modesto,
                la sua armatura s’addice
                a un non troppo degno guerriero.
            Poi spada e scudo possiede
50            dei cavalieri che al Principe
                e a questa sua terra natale
                son ben oltre la morte devoti.
            Quando ti mostri al nemico
                questi beffardo s’inchina,
55            tu sollevi il cappello,
                e offri il capo a tal guisa.
            Appena ultimato il saluto
                ti vedi obbligata a schivare
                rabbioso il fendente nemico
60            che il suolo fa quasi tremare.
            Tu pure sguaini il tuo ferro,
                striscia leggera e sottile,
                e con fiera perizia trapassi
                la lama e la lorica ostile.
65        L’altro ti guarda pugnare,
                lontano, tranquillo e difeso,
                ma in breve alla lotta lo invita
                l’amico arrancante ed offeso.
            Ti trovi da colpi assediata
70            che a stento riesci a evitare,
                di loro ora attendi costretta
                la breve apertura fatale.
            Un’eco improvvisa a quel punto,
                le ampie pareti sferzando,
75            annuncia l’arrivo d’un servo
                a Luna Oscura votato.
            Costui, da mago capace,
                fermo s’accinge a punire
                con retta sentenza tue colpe
80            di avido e infame invasore.
            ‘Sì tende alla volta il bastone,
                e, senza neppur rivelarsi,
                la sua anima contro ti scaglia
                con l’arte del Bianco Dragone,
85        serbata in quei stessi scaffali
                che incombon su quella tenzone,
                dai quali tu, vile puttana,
                agli inermi tendi i tuoi agguati.
            Dal cristallo alle terga colpita
90            a riprender coscienza fatichi,
                e, dischiuse le palpebre, gridi:
                “Fanculo bastardi, crepate!”
            Questo tuo empio parlare
                piega con ghigno ferale
95            le bocche di tutti gli astanti.
                Esso il tuo accento deride,
            deride la lingua impacciata
                che erra a lambire il palato,
                deride il destino segnato
100          di te sola e spacciata.
            Adesso non puoi che fuggire,
                cerchi nel buio riparo
                e attingi da ampolla lucente
                di nuovo il vigore privato.
105      L’ansioso stregone ti segue,
                vuole a sé onore recare,
                dunque isolato prosegue
                tentando il tuo orecchio tagliare.
            Questi però non s’avvede
110          suoi incanti il bersaglio mancare,
                allor la tua mano provvede
                gran serie di affondi a infilare.
            Prima che scappi il ferito,
                fai d’ambra lo stocco brillare,
115          di fulmini splende il tuo viso
                prima del balzo letale.
            Smette il fugace bagliore
                del freddo metallo affilato,
                con slancio veemente lo estrai
120          dal debole e vinto costato.
            Così, fatto il marmo macchiato
                del sangue d’indegno avversario,
                degli altri, rimasti in disparte,
                cessa l’ingenua baldanza.
125      Il primo, da dietro il pavese,
                aizza il secondo alla lotta
                e subito d’ira s’infiamma
                ‘l suo aureo spadone istoriato.
            Spinto in avanti il suo peso,
130          muove violenta spazzata,
                ma questa sol polvere leva,
                e lui, con la vista oscurata,
            tua abile mossa non nota,
                non nota te alle sue spalle,
135          non nota il tuo ferro spietato
                che adesso gli cinge la gola.
            Soltanto il gelo distingue
                che le sue vene recide,
                da esse poi un fiotto sgorgando
140          t’insozza di rosso le vesti.
            Così, mentre avanzi decisa
                verso l’armato rimasto,
                trasuda la lunga visiera
                che le fattezze tue oscura,
145      dell’abito pregni i ricami,
                così come guanti e stivali,
                lordi il mantello e i calzari,
                lordo anche il volto, or mostrato
            per porgere un greve quesito
150          allo sparuto ch’hai innanzi:
                “Perché ancor combatti?” gli chiedi,
                “La tua anima ascolta” lo inviti.
            “Non vedi che il Fuoco t’uccide?”
                Egli di ciò non si cura
155          e della sua lama rasenta
                la parte più aguzza il tuo crine.
            Questo suo agire t’offende
                e alla Guardiana ripensi,
                ma anche con tale ferita
160          aperta a combatter sei avvezza.
            Dunque, al suo cieco colpire,
                l’elsa tua salda s’oppone,
                respinge il suo braccio all’indietro,
                costringe egli il ventre a scoprire.
165      Infin, con amplesso mortale,
                lesta raggiungi il suo cuore.
                Quel volge il suo ultimo sguardo
                ai tuoi occhi stillanti d’amore.
            Al tuo pio braciere tornata,
170          ti forzi un sorriso trionfale,
                provando invano a godere
                di quelle Fiamme Sopite
            che, quella soglia varcata,
                sentono il fiato mancare,
175          al solo pensiero spezzato
                l’arma tua invitta incontrare.
            Ma dalle pupille già versi
                ancora un pianto copioso,
                ripeti: “Quelli non sono
180          i petti ch’anelo il respiro”.

   
 
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