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Autore: _MartyK_    11/11/2017    2 recensioni
Myung Jae è una ragazzina nordcoreana di sedici anni che abita vicino al confine tra Corea del Nord e Corea del Sud. Stanca della sua vita misera e monotona, una notte decide di fare l'impossibile, sfidando il caso e rischiando la vita: oltrepassare il confine per andare al sud.
Jimin è sudcoreano, ha diciassette anni appena compiuti e una passione sfrenata per la danza classica e quella moderna.
Il loro sarà un amore travolgente: riusciranno a superare le difficoltà o avranno la meglio le barriere politiche?
Dal capitolo 1:
Non era brava ad immaginare, anche perchè non conosceva il vero significato del termine. Tutto ciò che poteva immaginare ce l'aveva a pochi chilometri da casa e non poteva accedervi per uno stupido capriccio lungo più di sessant'anni.
[...]
Stava per addormentarsi se il fischio del treno non l'avesse fatta sobbalzare per lo spavento.
Sentì le rotaie muoversi sotto i suoi piedi e vide la ferrovia, le panchine e gli alberi circostanti muoversi all'indietro rispetto a lei e capì.
Il suo sogno era appena iniziato.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Erano passati minuti, lunghi ed insostenibili minuti da quando Myung Jae si era degnata di alzare lo sguardo da terra e puntarlo sul volto stupefatto, quasi indecifrabile di Min Seo. Ella, d'altra parte, potè leggere negli occhi della sorella tutta la delusione che provava nei suoi confronti, e non solo quella.
Amarezza, tristezza, paura e una sfumatura di rabbia contornavano le iridi spente di Myung Jae.

Sapeva di averle trafitto il cuore, lo sapeva benissimo e proprio per questo motivo non riusciva a spiccicare parola, solo cercava di giustificarsi in tutti i modi possibili e immaginabili. Si disse che lo faceva per il suo bene, perchè Kim era disposto a perdonare una sola volta, non aveva pietà; si disse che prima o poi il ragazzo con cui aveva contatti si sarebbe stancato di lei e avrebbe continuato a fare la sua vita al Sud, in realtà pensò a molte scuse - la maggior parte delle quali erano trise e ritrise.
La verità era che non c'era via di scampo e anche se ci fosse stata, sarebbe stato complicato e rischioso intraprenderla.
Quando nasci in un posto del genere morirai lasciandoci le ossa, il corpo e l'anima: ricordava bene le parole del padre a Myung Jae e mai prima di quella sera fu più d'accordo con lui.

Myung era soltanto una ragazzina, stava attraversando una fase e prima o poi sarebbe passata. Sì, era sicuramente così.



- Unnie, da te non me l'aspettavo- la corvina si decise a parlare e si lasciò sfuggire un singhiozzo.
Non appena se ne accorse, abbassò lo sguardo e strizzò gli occhi, così che le lacrime scendessero copiose sulle sue guance. Min Seo deglutì e balbettò qualcosa di incomprensibile, allungando una mano verso di lei e ritirandola l'attimo successivo.

- Cosa non ti aspettavi, che scoprissi ancora una volta i tuoi fottuti piani di fuga? Lo sai dove ci mandano se fuggi ancora, lo sai?! Hai almeno idea di quanti debiti avremo se scapperai sempre?!- fu il padre a parlare e nel farlo si avvicinò rapidamente alla ragazza.

- Siamo ridotti in miseria e con il lavoro che faccio guadagno qualcosa come un dollaro al mese, perchè diamine vuoi rendere la vita più difficile di quanto già non lo sia?- urlò infine prendendola per le spalle e scuotendola leggermente.
Myung continuò a stare a testa china, le lacrime avevano ormai raggiunto il collo e scendevano giù verso l'orlo dell'uniforme, vicino alle clavicole. Lanciò un'ultima occhiata a Min Seo e osservò il modo in cui se ne stava appartata, con una spalla poggiata allo stipite della porta che segnava l'entrata nel salottino, le braccia conserte e il piede destro che scalciava all'aria per il nervosismo.
Si maledì perchè nonostante tutto le voleva bene, non riusciva ad odiarla completamente.

Sarà perchè era stata la sua guida fin da bambina, sarà perchè era l'unica che credeva nelle sue potenzialità e forse anche perchè era colei che riusciva a rendere abbuffate natalizie dei semplici pranzi con pane, acqua e qualche frutto.
L'entusiasmo con cui raccontava le vicende che viveva, le considerazioni che faceva riguardo al modo di pensare delle persone facevano di Min Seo una figura imponente, che possedeva quell'aura di irraggiungibilità che solo un leader possiede.
Min Seo era la sua leader, il suo idolo, la sua guida.

Eppure in quel momento, ai suoi occhi era soltanto un comune mortale. E i comuni mortali sbagliano, vagabondano, si pentono, provano rimorso.
Non erano tanto le parole di papà ad averla fatta cadere nel tunnel della disperazione quanto l'aver scoperto che Min Seo non era altro che una ragazza nordcoreana, con le sue idee e i suoi falsi miti.
Non aveva niente di speciale, era solo Min Seo.

E con quel pensiero sussurrò un flebile 'addio' alla sua famiglia e uscì di casa, diretta al confine.
Se davvero era il dolce fico in mezzo alle sterpaglie maligne e scricchiolanti, andar via era la cosa giusta.

- Myung Jae! Myung Jae! Torna indietro!- sentì suo padre urlare e dei passi farsi sempre più vicini, così incominciò a correre. Il respiro si fece sempre più corto, merito anche dell'ansia che attanagliava cuore e cervello.
Continuò a correre anche quando non udì più alcun passo, semplicemente lasciò che i piedi battessero forte sulle strade rovinate e che il vento penetrasse i vestiti, le ossa e le vene. Non ne aveva abbastanza, voleva sentire la libertà fino in fondo, perchè ora che ne aveva avuto un assaggio non riusciva a fermarsi.

- Ti prenderanno- sentì in lontananza, ma non ci fece molto caso.
E anche se l'avessero fatto, avrebbe potuto vantarsi di aver vissuto la vita vera anche solo per un secondo.























































* * *







































































Aveva corso per più di mezz'ora, tanto bastava a rendere il percorso casa-stazione di una durata pari circa a quarantacinque minuti. I polpacci dolevano e le piante dei piedi tiravano provocandole scariche elettriche che si estendevano per l'intera gamba, ma almeno aveva accelerato i tempi.
Si addentrò in stazione, ad accoglierla vi erano sempre i soliti graffiti e le scritte comuniste, aveva il cellulare stretto al petto come se potesse perderlo da un momento all'altro.

Dentro era spaventosamente buio, non ci pensò due volte ad uscir fuori di lì per andare dall'altra parte del paese. La voce registrata rimbombò nel luogo e annunciò che il suo treno sarebbe arrivato fra pochi istanti.
Si sentì più sicura, menomale che esisteva la tecnologia, almeno quella non deludeva.




Il viaggio in treno trascorse più velocemente di quanto si aspettasse, o forse era lei talmente ansiosa che non si accorse che erano le otto in punto. Scattò in piedi come una molla e scese dalla locomotiva, guardandosi intorno e prendendo la via d'uscita della stazione d'arrivo, sorrise nello scorgere le casette blu del confine.
Era incredibile come il confine più pericoloso del mondo potesse essere la sua unica fonte di felicità, forse aveva davvero una mente contorta.

Prese a correre nella stessa direzione ignorando il dolore ai piedi e componendo il numero di Jimin sul cellulare.

- Piccola- disse lui.

- Jimin! Sei arrivato?-

- Sono proprio dietro le guardie del Sud, tu invece?-

- Dietro quelle del Nord- sorrise alzando un braccio al cielo e salutando il castano, avendolo adocchiato da un pezzo.
Chiuse la chiamata e provò a correre verso di lui, ma un uomo la prese per il colletto dell'uniforme e mancò poco che l'alzasse da terra per intimarle di starsene buona buona dove stava.

- Ma guardate un po' chi abbiamo qui!- esclamò quello che Myung Jae riconobbe come il signor Hope.

- Ajusshi, vi prego lasciatemi andare. Non ci vorranno più di due minuti- spiegò lei mettendo le mani a mo' di preghiera.
L'uomo non ebbe un briciolo di compassione e scosse la testa, continuando a tenerla per il colletto. Intanto la corvina si accorse che Yoongi e altri due uomini stavano facendo la stessa cosa con Jimin.

- Vi abbiamo lasciati soli una volta e credo che basti. Ora potete anche smetterla con queste scenate da drama- borbottò impassibile Hope.
Myung aggrottò le sopracciglia verso il basso, in un'espressione triste e preoccupata.

- Questo significa che non potrò vederlo mai più? Lo capisce che non stiamo fingendo? Cavolo, non sapevo cosa fosse un drama fino al mese scorso! Si rende conto con chi sta parlando? Con una povera disperata alla ricerca della libertà, è così difficile ottenerla?- urlò tra le lacrime, consapevole che ormai non si poteva fare più nulla. L'uomo la prese per le spalle ed inaspettatamente l'abbracciò, Myung intanto lo prese a pugni sul petto, mugugnando qualcosa a proposito di quanto fosse ingiusta la vita e di quanto fosse stata sfortunata.

- Lo sai che sei in grado di commuovere anche uno burbero come me, vero?- ridacchiò lui. Myung tirò su col naso e lo guardò negli occhi.

- Signor Hope, io lo amo veramente e anzi, non ho mai amato nessuno come amo lui. Permettetemi di vederlo. Un'ultima volta- supplicò la guardia e questa sbuffò. Lanciò un'occhiata ad un collega e questo scrollò le spalle, un altro indicò il ragazzo e fece l'occhiolino.

- Un'ultima volta dici?-

- L'ultima. Sarà davanti a voi e non durerà più di qualche minuto, promesso- la ragazza mostrò il mignolo e intimò ad Hope di fare lo stesso.
Questo ridacchiò e le scompigliò i capelli, sussurrando un 'vai' e indicando Jimin con lo sguardo, come a dirle che la stava aspettando.

I due amanti corsero l'uno verso l'altro, fermandosi poi ad una distanza che poteva essere paragonata ad una ventina di centimetri.
Myung dovette alzare lo sguardo, Jimin stava crescendo ed era diventato leggermente più alto, ormai gli arrivava alle spalle. Il ragazzo non perse tempo e la tirò a sè in un caldo abbraccio, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo lasciando un tenero bacio su di esso. Myung sorrise e lo strinse più a sè, facendo pressione coi polpastrelli sulla schiena e arricciando le dita.

Voleva stringere quel cappotto fino a strapparglielo, fino a sentire la sua pelle sotto il suo tocco per poi strappare anche quella. Voleva che diventassero un'unica persona, una cosa sola, perchè era inconcepibile che due anime così complete fossero costrette ad essere intrappolate in corpi separati.
Non aveva senso. Erano fatti per essere uniti, fatti per rappresentare il numero uno in tutte le sue sfaccettature.

Il cuore di Myung batteva all'impazzata, così forte che poteva sentire le pulsazioni nelle orecchie e il petto che doleva. O forse era il cuore di Jimin che batteva così forte che il suono arrivava fino alle sue orecchie.
Ancora una volta perse la cognizione del tempo e dello spazio, tutto sembrò essersi fermato, lei e Jimin erano chiusi in una campana di vetro estranea al mondo.
Una campana creata solo per loro, creata da loro.

Jimin si morse il labbro inferiore prima di cercare alla cieca le labbra della ragazza e catturarle in un casto bacio agognato, doloroso.
Leccò le labbra screpolate di lei e sorrise nel morderle quello inferiore, tirandolo verso di sè. Una mano si spostò dal fianco verso la sua guancia, risalendo con lentezza straziante e accarezzandola con una delicatezza tale che a Myung veniva il solletico.

- Mianhae- mormorò tra un bacio e l'altro. Jimin scosse la testa.

- Non scusarti-

- Se non avessi detto nulla a Min Seo tutto questo non sarebbe successo- aggiunse lei in fretta e furia, tanto che sembrava stesse rappando.

- Va tutto bene, piccola, va tutto bene- cercò di tranquillizzarla lui prendendole il viso. Myung si oppose.

- Sono brava soltanto a rovinare la vita degli altri, combino sempre casini- mise il broncio. Jimin distese le labbra in un dolce sorriso.

- E io sono bravo a risolvere i tuoi casini, non trovi?- scherzò.

- Temo che questo non possa risolversi...- la corvina fece per dire qualcos'altro, ma il ragazzo glielo impedì sussurrandole uno 'sssh' a fior di labbra e riprendendo imperterrito a baciarla.

Continuarono ad abbracciarsi, baciarsi e cercarsi fino a che non capirono che il tempo stava scadendo, solo allora si staccarono e Myung tirò fuori dal taschino della maglietta due cioccolatini. Jimin inclinò di lato la testa e abbozzò un sorriso.

- Dei cioccolatini? Per me?-

Myung annuì.

- Ho sentito che si danno alle persone che si ritengono speciali e beh, tu sei speciale per me. Molto speciale- bofonchiò timida all'improvviso e puntando lo sguardo sulle sue scarpe consumate dal tempo.
Prima che Jimin potesse fare qualsiasi cosa, gli prese la mano e gli diede i due dolcetti, ma il castano ne tenne solo uno.

- E l'altro?- fece lei.

- L'altro è tuo. Fa' come se te lo avessi regalato, perchè vale la stessa cosa per me. Sei la mia persona speciale- rispose e sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi raggianti. Myung tolse la cartina dal dolce e lo portò subito alla bocca, masticandolo voracemente. Jimin la imitò.

- Ragazzi è ora di andare!- una guardia li avvisò mettendo le mani davanti alla bocca a mo' di megafono, i due si voltarono verso di lui con un'espressione confusa.

- E' la fine?- biascicò Myung con un filo di voce. Jimin l'abbraccio l'ennesima volta.

- Myung Jae, non so se questa è davvero la fine. Sappi solo che se non possiamo vederci ci telefoneremo, ci manderemo messaggi e faremo di tutto pur di tenerci in contatto. So che non è il massimo ma cosa possiamo fare?- parlò con la voce ovattata, aveva le labbra sul suo collo e ogni parola si scontrava con la pelle di lei.

- Farai tutto questo per me?- Myung era ancora incredula. Jimin le rubò un bacio per una frazione di secondo.

- Aspetterò che tu diventa maggiorenne, aspetterò il consenso dei tuoi genitori, aspetterò anche che questo pasticcio nato sessant'anni fa cessi di esistere, basta che prima o poi ci rincontreremo, no?- la guardò dritto negli occhi, specchiandosi in quei due buchi neri, due strade senza ritorno.
Myung non potè fare altro che annuire.

- Ti amo, non smetterò mai di ripetertelo-

- Ti amo anch'io-

Si allontanarono, nel mentre le loro braccia fecero di tutto per restare ancorate senza alcun risultato.
Il contatto si interruppe quando anche i loro indici non poterono più sfiorarsi, le guardie li condussero in direzioni opposte. Fu inevitabile guardarsi per l'ultima volta, come una sorta di addio.

 Il signor Hope fu così gentile da accompagnare Myung fino a casa, sebbene questa avesse fatto i capricci e avesse chiesto di continuo se fosse un disturbo per lui.

- Non sono di turno, tranquilla- la rassicurava.









Il ritorno a casa era da aggiungere alla lista dei peggiori, ad accoglierla furono le urla disperate di mamma, i ceffoni di papà e gli sguardi inspiegabilmente gelidi e irritati di Min Seo.
Per caso si era ribaltata la situazione? Doveva essere lei quella arrabbiata, non sua sorella.

La madre l'abbracciò ripetutamente chiedendole all'orecchio dove fosse stata e cosa fosse successo con Jimin, Myung invece deviava abilmente le domande usando la scusa della stanchezza del viaggio.
Filò in camera senza aver pranzato e lasciò che la schiena sbattesse sul materasso. Afferrò il cellulare e controllò che la batteria fosse ancora carica, ma proprio in quel momento il padre irruppe spalancando di colpo la porta e fiondandosi addosso a lei con una ferocia anormale.

- E' con questo che ti dai appuntamento con il sudcoreano!- esclamò levandole l'aggeggio dalle mani e rigirandoselo fra le sue.
Min Seo lo raggiunse poco dopo e cercò di prenderlo, ricevendo in compenso una forte spinta che la fece cadere a terra. Myung era sempre più allibita e confusa.

- Gli hai detto anche del cellulare?- domandò flebilmente.
Min Seo scosse la testa, fece per alzarsi ma il padre le strattonò i capelli, costringendola a restare lì dov'era.

- Myung Jae, posso spiegarti...- biascicò.

- Non devi spiegarle niente. D'ora in poi la Corea del Sud sarà solo un ricordo- s'intromise l'uomo.
Myung lo vide avvicinarsi alla finestra, aveva capito benissimo le sue intenzioni.

- No! Non farlo, papà! Ti prego no!- urlò sgolandosi. L'uomo non le diede retta e lanciò il cellulare verso il cortile.

La ragazza si fiondò verso il davanzale della finestra e scoppiò a piangere nel notare che il cellulare si era frantumato al suolo in mille pezzi. Il padre ghignò soddisfatto, Myung si voltò lentamente verso di lui.

- Mi hai rovinato la vita- sussurrò. Lo prese per le spalle e lo strattonò.

- Mi hai rovinato la vita!- urlò più forte che potè.
Ignorò il ceffone che le arrivò in pieno viso, ignorò il dolore della guancia gonfia, ignorò tutto ciò che riguardava la sua incivile ed ingiustificabile violenza.

L'inizio della fine.


***
Annyeoooong popolo! Intanto chiedo scusa per aver postato con una settimana di ritardo, se avessi fatto in tempo a quest'ora la storia sarebbe conclusa lol xD maaaaa si sa, la scuola sa dare solo ansie e problemi - non solo quelli di matematica e fisica v.v . Ebbene, la nota altamente angst della storia si fa sentire, poi la frase con cui ho deciso di concludere il capitolo HAHHAHA i'm a bad person, i know u.u  inoooltre volevo spoilerare una cosuccia davvero insignificante (anche no ma vabb): c'è una piccola e quasi invisibile analogia fra il cellulare lanciato fuori e una... cosa... un pochino.... bruttina (?) che succederà a Jimin nel prossimo - cioè l'ultimo, mettetevi l'anima in pace ahah - capitolo. BASTA MI FERMO, NON DICO PIU' NULLA GIURO. Solo, qualche giorno fa stavo pensando a scrivere un capitolo aggiuntivo, una 'what if', ecco. Tanto per immaginare cosa sarebbe successo se non fosse stata una roba fottutamente angst. Poi mi sono ricordata del fatto che odio modificare in maniera drastica le storie e niente, nessuna what if felice :) *non odiatemi pls*    Come sempre ringrazio chi legge, chi segue la fanfic e chi la recensisce aaaand vi aspetto al capitolo finale ;)   un bacioneeeee     _MartyK_ <3
   
 
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