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Autore: BrownRabbit    19/11/2017    5 recensioni
"Skinny love" viene usato per indicare un tipo di relazione fra due persone innamorate, o che hanno una cotta l'una per l'altra da tanto tempo, ma sono troppo imbarazzate per esprimere i propri sentimenti. La relazione è "skinny" perché devono ancora esternare e spiegare ciò che provano. Non vi è comunicazione, per questo non si può definire davvero come relazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tony si propose di accompagnare Steve a casa, nonostante quest’ultimo si fosse imposto per prendere la metro perché “allunghi per niente, se ti infili nel traffico non arrivi più”. Finse di dover passare comunque per quella strada, inventando di dover andare a prendere dei pezzi di ricambio per qualcosa che il biondo non capì molto, quindi fece spallucce ed accettò. Sicuramente non gli dispiaceva stare un po’ di più con Stark. Così presero le loro cose, salutarono Bucky e se ne andarono verso l’Audi del genio.
Nessuno dei due parlò. C’era solo il rumore delle dita di Tony tamburellanti sul volante a ritmo di musica.
Nessuno dei due sentì di dover parlare. Stavano bene così. Finalmente il moro non doveva continuamente cercare qualcosa da dire, non c’era la necessità di farlo. Questa cosa peggiorò la situazione per il suo “tieni solo il bello e non attaccarti troppo”, però, come i sorrisi che arrivarono dal biondo quando i loro sguardi si incrociavano nello specchietto retrovisore.
Prima di scendere, Steve aveva ringraziato il ragazzo ricevendo in risposta un semplice movimento di mano. Una volta sentita chiudersi la portiera Tony mise in moto e sparì all’angolo.
Il biondo sospirò pesantemente prima di salire le scale ed entrare in appartamento dove si scaraventò sul letto ignorando le domande della madre.
Alla fine aveva dormito sì e no un’oretta e mezza, con la frase di Tony in testa e quello stesso ragazzo che si era avvicinato a lui piano piano sistemandosi contro il busto.
Più passava tempo con Stark, più le cose peggioravano. Dal non poterlo vedere era passato al contare i giorni che lo separavano dal farlo. Era stato un cambio radicale, improvviso, non si era preparato in alcun modo e questo l’aveva scombussolato. Di punto in bianco aveva iniziato a preoccuparsi seriamente per quel ragazzo, a volte sperava di incrociare i suoi occhi nocciola da qualche parte, per sbaglio, tra la folla. Ciò che era successo la serata precedente aveva aggravato la situazione, in più.
Quando sua madre lo aveva avvertito dello spostamento dall’Ohio alla Grande Mela si era ripromesso di concentrarsi su sé stesso. Una nuova vita per un nuovo Steve.
Di passi ce n’erano stati: l’autostima era aumentata e aveva sicuramente più fiducia in ciò che poteva fare. Si era messo giù un piano per il college, cercando i migliori in campo artistico. Aveva deciso che per una volta sarebbe stato lui prima di altri e questa cosa non gli era sembrata tanto brutta, fino a quel momento.
Prendersi una cotta per qualcuno in una città così ampia l’aveva messo in conto, certo, però aveva pensato di poter evitare la persona, nel caso. Poco si sarebbe potuto immaginare di rimanere incastrato in quel modo. Quello che provava per Tony era fuori dal suo controllo. Non che lo amasse –non ancora, almeno- però l’aveva visto forse dieci minuti prima e già gli mancava.
Sbuffò e si portò un braccio a coprirsi gli occhi.
Perché lui?
Sicuro si era sbagliato sul menefreghismo di Stark, ma era comunque una persona narcisista ed egocentrica. Faceva i suoi comodi la maggior parte delle volte e trattava con un po’ di rispetto solo quelle poche persone conosciute, ovvero i suoi amici. Però era anche gentile.
Come diavolo poteva essere così narcisista e gentile allo stesso tempo?
Aveva sempre ritenuto una qualità il contrario dell’altra. Semplicemente non potevano convivere.
In Tony Stark sì, evidentemente.
 
 
 
Villa Stark non era mai un bel posto dove stare la Domenica. Howard girava tra la cucina ed il salotto, con in mano un bicchiere di whisky mai vuoto e Tony se ne stava o in camera o in laboratorio. Raramente il padre andava a controllare cosa facesse il figlio, piuttosto mandava Jarvis in avanscoperta e faceva spallucce quando gli veniva riferito ciò che aveva chiesto.
Quella mattina, invece, Stark senior stava aspettando il figlio da un’ora e mezza. Mai gli era davvero importato dove e con chi fosse rimasto fuori la notte, ma con la comparsa di Steven le cose erano cambiate.
In più si era trovato un messaggio di Hank. “L’importante è che lui sia felice, no?” con tanto di link annesso contenente foto di suo figlio e l’altro ragazzo ad un ristorante.
Hank era il suo unico amico, insieme a Peggy, e sapeva che tutto quello lo faceva esclusivamente per aprirgli gli occhi, ma proprio non ci riusciva. Vedeva suo figlio contornato da etichette e nomignoli, poco preso sul serio con declino dell’azienda come risultato. Le frasi dette da alcuni colleghi dopo la scenata di Tony al party continuavano a girargli in testa.
Devi metterlo in riga, Howard.
Nessuno lo prenderà sul serio, Stark.”
“Pensi davvero che i nostri figli vogliano fare affari con…beh…uno così? Lascia perdere la figlia di Hank, è fuori dal comune.”
Anche se Peggy ed Hank continuavano a sostenere non ci sarebbe comunque stato niente di male, lui tendeva ad ascoltare quelle voci. E’ con gente del genere che suo figlio avrebbe dovuto lavorare e fare affari, non con i suoi amici.
«Il signorino è arrivato.» Howard spostò l’attenzione su Jarvis.
«Grazie.» Si alzò dalla poltrona sulla quale si era messo mentre sorseggiava il terzo bicchiere della giornata.
Poggiò il bicchiere sul tavolo a fianco prima di avviarsi verso la hall di entrata e beccare suo figlio intento a salire le scale il più veloce possibile per evitare il padre.
«Non si saluta più?»
Si gelò il sangue nelle vene del ragazzo, immobilizzato sulle scale. Affrontare una discussione con il padre non era nei programmi della giornata, i quali includevano principalmente costruire qualcosa dopo la doccia, o darsi alla moto e vedere cosa riusciva a fare.
«Dove sei stato fino ad ora?» Sempre quella voce dura e fredda che non ammetteva di essere ignorata.
«Da Clint.» Non trovava il senso di intavolare un discorso sui nuovi ragazzi, tanto non gli sarebbe importato davvero.
«Gradirei la verità una volta tanto, Anthony.» Inutile dire che suo padre era abituato alle bugie dette da lui tanto da non fidarsi più. Ma quando mai l’aveva fatto, infondo?
«Siamo stati da un amico di Steve.» Portò le mani nelle tasche dei jeans continuando a dare le spalle al padre. «Il gruppo si è allargato.» In qualche modo sperava potesse interessare.
«C’era anche Steven?» Vide il figlio annuire leggermente. Ovvio che c’era anche lui, per forza. «C’è tutte le volte che torni a casa il giorno dopo?»
Tony ebbe un fremito a quella domanda. Iniziò a temere di scoprire dove suo padre stesse andando parare. Chiuse gli occhi e si fece scappare un “” quasi impercettibile, pronto a qualsiasi cosa Howard avesse detto o fatto.
I secondi in cui Stark senior elaborava la risposta ed il momento in cui aprì bocca sembrarono infiniti, ma poi eccola, la frase tanto attesa, quella che sarebbe arrivata comunque, prima o poi.
«Ti vieto di vedere Steven. Non uscirai più con lui, ne’ da solo ne’ in gruppo.» Bevve un sorso del suo amaro, mentre Tony fissava a vuoto le scale ancora da fare. Sentiva gli occhi del padre scrutarlo, pronto a cogliere ogni sua mossa, senza ottenere alcun risultato.
Il figlio rimase fermo nella sua posizione per mezzo minuto. Elaborò le parole di Howard e capì di non poter far altro se non fingere. Era e non era la cosa che riusciva meglio ad uno Stark? Finalmente, eccolo lì, il momento di dimostrare quanto DNA del genio avesse in corpo. Alzò e abbassò le spalle.
«Okay.» Inutile dire il padre rimase stupefatto per quella risposta, ma cercò di mascherarlo appena notò il movimento del figlio intento a girarsi verso di lui. «Anzi, grazie! Mi risparmi la fatica di cercare una scusa per lasciarlo.» Guardò l’uomo davanti a lui inarcare un sopracciglio e balbettare qualcosa. «Dopo ieri sera sarebbe stato quasi impossibile trovare una soluzione, ma ora tutto risolto.» Se Howard non era riuscito a mantenere un’espressione neutra voleva dire che stava funzionando, doveva tagliare corto prima di tradirsi in qualche modo. «Allora niente Rogers per sempre, giusto? Bene, perfetto. Ora vado in camera a dormire un po’, se non ti dispiace. Bene. Oh, e buona bevuta.» Tirò fuori dalla tasca la mano destra e fece segno di saluto all’uomo prima di scomparire oltre le scale.
Si perse il movimento negativo del volto di Howard, arreso al fatto che il figlio non sarebbe mai cambiato, nemmeno se avesse trovato la sua Maria ne sarebbe stato capace.
Comunque, chiusa la porta a chiave, Tony si buttò sul letto con la testa immersa nel cuscino. Forse non era una cattiva idea fingere non gli importasse di Steve, tornare a comportarsi come se lui non ci fosse e la sola presenza lo infastidisse. Forse sarebbe arrivato al punto di crederci davvero. Perché, sì, era piacevole ripensare allo scambio di battute fatto quella mattina, od a momenti simili, ma che altro rimaneva poi? La mera illusione di qualcosa che non sarebbe mai potuto essere. Chiudere con Rogers era l’idea più saggia.
 
 
 
Steve avrebbe voluto passare tutta la Domenica a dormire per recuperare le ore di sonno perse la notte precedente invece di girare con un cugino intento a rispondere solo con monosillabi perché offeso dal fatto che non fosse stato reso partecipe della situazione sentimentale dell’altro biondo. Più provava a spiegargli come stavano veramente le cose, meno l’altro ci credeva. Tutta la pazienza di cui era dotato non sarebbe durata la giornata.
«Thor, per favore…» Ricevette un’alzata di spalle come risposta e pensò fosse l’unica che gli sarebbe arrivata, invece il cugino si girò verso di lui con braccia incrociate.
«Sono offeso, Steven.» Quest’ultimo sbuffò. Come se non si fosse capito. «Lo sai che non ho mai avuto problemi con i tuoi gusti. Certo, Stark non è proprio il tipo che immaginavo per te…» Si portò il pollice e l’indice della mano destra a strofinarsi il mento, riflettendo sui gusti discutibili di suo cugino, fino a quando non se lo trovò parato davanti.
«Io e Tony non stiamo insieme, okay?» Si indicò le labbra per portare l’attenzione dell’armadio in quel punto. «Segui le mie labbra: Io-e-Tony-non-stiamo-insieme.» Thor arricciò le sue da un lato.
«Ti darò il beneficio del dubbio, Steven. Ringrazia la mia gentilezza.» Come risposta ricevette uno sbuffo e due occhi azzurri che si volgevano verso il cielo. Sperava solo quel discorso fosse chiuso definitivamente.
Speranze vane, perché il pomeriggio andò avanti a battutine e frecciatine. Più Steve cercava di lasciare in un angolo Stark, più Thor trovava il modo di riportarglielo alla mente. Giornata da dimenticare. Voleva solo lasciare in hotel suo cugino a fare le valigie e tornarsene a casa a dormire per almeno dodici ore filate.
Dopo aver salutato l’altro biondo, di fatti, mise il turbo al suo passo. Poteva già assaporare la bellezza delle coperte e la morbidezza del suo cuscino. Tutto così fantastico, se non che una voce fin troppo famigliare lo fece gelare sul posto.
Immobile, con diverse emozioni intente a far lotta tra di loro, vide una figura maschile alta poco più di lui con lo stesso colore di capelli. Lo osservò dare un bacio ad una giovane ragazza e poi darne una sulla fronte al bambino moro che questa teneva in braccio.
Steve sentì il sangue gelarsi nelle vene. L’aveva immaginato in diverse situazioni: morto in qualche fossa; ubriaco sotto un ponte; in qualche centro sociale per la riabilitazione. Ma che fosse felice no. Semplicemente non se lo meritava.
Si accorse di aver attirato l’attenzione della ragazza un po’ troppo tardi. Vide l’uomo incrociare il suo sguardo, girarsi verso la sua compagna, sussurrarle qualcosa e poi dirigersi verso di lui, mentre gli altri due entravano nel bar lì vicino.
Vattene. Vattene ora. Gira i tacchi e non parlargli.
Era più facile pensarlo che farlo. Le sue gambe non si muovevano, erano come affondate nel cemento del marciapiedi. Solo quando l’uomo si trovò a pochi passi da lui riuscì a farne uno indietro.
«Calmo ragazzo, non ti faccio male.» La voce era sempre quella. Rude e ferma. Come se il rivederlo non avesse procurato alcuna emozione in lui.
«Ho i miei dubbi, se non ti dispiace.» Steve, invece, si sorprese nel sentirsi così freddo e distaccato. Aveva paura la sua voce potesse smascherarlo, ma sembrava non essere così.
«Senti, Steven, quello che ho fatto a te, a Margaret, è imperdonabile. Ma non ero felice, il che si è ritorto verso di voi. Ora sono cambiato e…» Gli occhi di Steve si spalancarono a quelle parole.
«Cosa, scusa?» Dava la colpa a loro. Per tutto ciò che aveva fatto; per tutto ciò che avevano passato Steve e sua madre, era solo colpa loro agli occhi di quell’uomo.
No, non poteva farcela.
La rabbia arrivò tutta in un colpo solo, impossibile da controllare. Nemmeno si accorse di aver iniziato a sganciare un paio di pugni a quello che avrebbe dovuto essere suo padre, prima di trovarsi immobilizzato da un uomo in divisa.
Il padre era inginocchiato a terra con una mano a tenersi il naso sanguinante e la nuova compagna accanto a lui. Ci fu uno scambio di sguardi tra padre e figlio, il quale non sentiva nessun rumore, nessuna voce, recepì soltanto il labiale dell’uomo “non so chi sia, non lo conosco. Mi ha aggredito all’improvviso”. Il suo nuovo rapporto, la sua nuova famiglia, era costruita su una bugia, su un passato taciuto che quella ragazza non avrebbe mai scoperto. Lui, il suo primo genito, non era più niente. I pomeriggi ad aggiustare moto non c’erano mai stati. Se Peggy fosse passata di lì in quel momento, Joseph avrebbe fatto finta di non conoscerla.
Questa era la goccia. Cercò di liberarsi dalla stretta di chiunque lo stesso tenendo con una gomitata per andare verso il padre, mentre si fece scappare un “mi fai schifo” con gli occhi fin troppo pieni di lacrime perché qualcuno credesse davvero alle frasi della vittima. Però ognuno doveva fare il suo lavoro e Steve si trovò all’improvviso con il volto spiaccicato ad un muro e due manette gelate che gli si chiusero intorno ai polsi.
Il suo letto l’avrebbe sognato ancora per un po’.
 
 
 
«STEVE?!» Fece giusto in tempo a mettere piede nella centrale che la voce di Clint Barton gli arrivò alle orecchie.
Perfetto. Proprio perfetto.
Il ragazzo più basso si fece strada tra le scrivanie ed i poliziotti intenti a bere caffè e passarsi carte. Era sicuro un giorno qualcuno di sua conoscenza avrebbe varcato quella soglia, ma non di certo Steven Grant Rogers, paladino degli indifesi e protettore della patria.
«Che hai combinato?» Affiancò il biondo ammanettato dalla parte senza poliziotto, il quale si sentì offeso per non essere stato interpellato direttamente e decise di rispondere, anche in modo abbastanza scocciato.
«Aggressione.» Clint spalancò gli occhi e guardò Steve andare a sedersi sulla panchina della cella della centrale, senza dire una parola.
Rogers aggredire qualcuno non ce lo vedeva proprio. Doveva esserci sotto qualcosa di più. Senza contare che quell’ufficiale non gli stava molto simpatico, era abbastanza sicuro fosse ignorante su varie cose, tra cui il suo lavoro. In più, chi mai potrebbe avere la forza e la capacità di far perdere il controllo al dolce gigante buono? Ci volle qualche secondo prima che un’orribile ipotesi investisse la sua mente.
«Non è Tì, vero?» I due incrociarono gli sguardi, un po’ intimorito della possibile risposta quello di Clint e incredulo della domanda quello di Steve.
«Non picchierei mai Tony!» Forse un po’ troppo impulsivo? Sì, probabile, perché l’espressione di Barton era passata dall’amico preoccupato, che stava già preparando mentalmente il discorso funebre, ad un sorriso beffardo, più che soddisfatto della risposta.
«Duuunque…» Si appoggiò alle grate della cella. «…ieri sera…» Alzò un paio di volte le sopracciglia, lasciando intendere al coetaneo come finire la frase da sé.
«Scommetto che tu sei l’amico con la tempistica migliore, vero?» Clint roteò gli occhi e sbuffò. Certo, non era il momento migliore per porre domande simili, ma tanto sarebbero rimasti lì entrambi per un bel po’, quindi perché non parlare di qualcosa di interessante e far fruttare il tempo con consigli su come comportarsi con Tony, ad esempio.
«Sei uno spasso, Rogers.» Si allontanò dalla cella e girò sui tacchi per dirigersi oltre la visuale del biondo.
Steve si lasciò andare la testa contro il muro freddo di quel posto, fregandosene altamente di quanti germi potessero assalirlo in quel lasso di tempo, e chiuse gli occhi. Da lì a poco sarebbe successo un disastro: avrebbero chiamato sua madre, sarebbe accorsa tutta preoccupata e pronta con una bella ramanzina, lui avrebbe cercato una scusa –perché dirle che il Joseph circolava allegramente per la Grande Mela era fuori discussione-, sarebbe stato poco credibile, lei l’avrebbe spedito di nuovo da qualche psicologo o psicoterapeuta o analista o chissà che altro ed in tutto questo Clint Barton sarebbe stato un testimone. Proprio lui, uno dei migliori amici di Stark. Era il suo giorno fortunato, evidentemente.
«Pensavo sarei stato io a farti perdere il controllo…» Quella voce fece aprire gli occhi di scatto al biondo, il quale si trovò l’unica persona che non voleva venisse a sapere tutto quello. Lì, sorridente e con in mano due bicchieri pieni di caffè. «…sogno distrutto. Vuoi?»
I buoni propositi di Tony furono andati a farsi benedire dopo la chiamata di Clint. Avrebbe voluto dire “lascia che si arrangi, è grande abbastanza”, ma qualcosa lo aveva portato a muoversi verso la macchina e raggiungere la centrale. Con l’aiuto di Clint era riuscito anche a convincere i poliziotti a non chiamare la madre di Steve almeno per un altro po’, così avevano tutto il tempo per cercare una scusa buona da usare. C’era quel non-so-che nel biondo in grado di far pensare a Stark che non fosse poi così bravo a raccontare bugie, soprattutto alla signora Rogers.
Steve si alzò dal suo angolino e si diresse verso le grate con un piccolo sorriso stampato in volto. Tony non era del tutto sicuro se fosse vero o semplicemente tirato, ma almeno si era alzato e sembrava intento a prendere un po’ di caffè.
«Wow, un caffè tutto per me?» Afferrò il bicchiere passatogli attraverso le grate ringraziando di essere stato privato delle manette.
«In verità ho messo dentro troppi soldi e non mi dava il resto. Ah, le tecnologia.»
«Beh, allora grazie tecnologia.» Ora il sorriso sul volto di Steve era vero, ne era sicuro.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, giusto il tempo di finire le due bevande. La verità era che Tony non sapeva cosa dire o come iniziare ad intavolare l’argomento e Steve preferiva tacere perché qualsiasi cosa avrebbe portato sicuramente a domande alle quali non voleva rispondere. Però il tempo scorreva e Clint lanciava segnali all’amico di sbrigarsi perché non avevano tutta la giornata.
Stark fece segno a Steve di lasciargli il bicchiere vuoto, si voltò e lo buttò nel cestino poco distante. Prese un respiro e tornò sui suoi passi con le braccia conserte e lo sguardo un po’ più serio di prima, cosa scatenò in Rogers la voglia di andare a sedersi dov’era prima e continuare a pensare al suo imminente futuro.
«Che è successo, Steve?» Il biondo spostò lo sguardo dal moro al pavimento. Era diventato completamente assente.
«Niente di cui io voglia parlare.» Sapeva sarebbe stata dura, ma non si aspettava di trovare una statua congelata ad attenderlo. Clint avrebbe dovuto chiamare Natasha, non lui. Era incapace in queste cose.
Il massimo che riuscì a fare fu far passare una mano attraverso la cella, appoggiandola sul braccio del biondo, seguita da un «Non posso aiutarti se non mi parli».
Grande errore, evidentemente. Rogers si allontanò dalle sbarre, alzando lo sguardo verso l’altro ragazzo. Gli occhi erano ancora vitrei.
«Non ho chiesto il tuo aiuto.» Un’altra cosa che non voleva assolutamente era la presa coscienza di Tony sul suo passato e su suo padre.
Questo Stark non lo poteva sapere, però, e si sentì punto sul vivo. Era la prima volta in tutta la sua giovane vita che voleva aiutare davvero, non perché era moralmente giusto. Ci teneva a vederlo star bene, fuori da quella cella possibilmente. Cosa otteneva in cambio? Un bellissimo rifiuto. Il fatto avesse aggiunto “tuo” gli fece pensare che forse un aiuto lo voleva, ma ovviamente non da lui.
Si tirò indietro, con gesti freddi e meccanici, gli occhi di ghiaccio e l’orgoglio fin troppo ferito per i gusti di uno Stark.
«Okay. Va bene. Come ti pare.» Portò le mani in avanti e poi si voltò verso il corridoio. «Ah, se dovesse servirti qualcosa –non so, tipo qualcuno che ti aiuti in questi venti minuti a trovare una scusa plausibile da dire a Margaret- sai dove non trovarmi.» Detto quello fece per muoversi in direzione di Clint, ora con lo sguardo perso verso un punto che non rientrava nella visuale del miliardario.
Lo vide boccheggiare qualcosa e fargli segno di andare lì, poi di rimanere dov’era, poi di andare lì e così via, fino a quando la voce di un ufficiale si fece sempre più vicina e Barton si buttò in avanti per arrivare prima di loro ai due ragazzi.
«Che ti prende?» Non chiese nemmeno come mai l’atmosfera lì era palpabilmente tesa, semplicemente indicò dietro di lui con entrambe le mani.
«C’è Steve ma più grande!» Il biondo spalancò gli occhi e gelò sul posto, mentre il moro fece passare lo sguardo dall’amico, al carcerato e infine verso le due persone infondo al corridoio.
Okay, Clint aveva un po’ esagerato con quell’affermazione, ma Tony capì da chi avesse preso il colore degli occhi, dei capelli e, beh, quasi tutto il resto. Più si avvicinava, più riusciva a scorgere dei piccoli particolari, come il contorno del naso bluastro ed il taglio sul labbro. Non ci volle molto a collegare le cose, ancor meno ci volle perché i suoi occhi incrociassero quelli azzurri di Steve.
«Potrei parlare con mio figlio?» Barton si era posizionato vicino a Stark, al quale diede due colpetti con il gomito come se il signore appena arrivato non stesse guardando loro.
«Scommetto non avevi immaginato così la conoscenza del padre.» L’aveva detto a bassa voce, ma era stato recepito benissimo dallo Steve adulto. Inarcò un sopracciglio e si concentrò sul moro, fece un passo verso di lui e Rogers ne fece uno in avanti, il che portò il padre a spostare la sua attenzione verso l’altro ragazzo.
«Wow, ti piace così tanto da fare un passo verso di me? Se non ci fossero le sbarre potrei azzardarmi a dire che ti saresti parato davanti.» Ci fu un veloce scambio di sguardi tra Rogers e Barton, il quale prese per un polso Tony e fece per tirarlo via con sé, dato che il poliziotto aveva deciso di tornarsene nel suo posto lavoro e lasciare gli affari di famiglia svolgersi da soli. Ma Stark si strattonò via e rimase a fissare due occhi azzurri così simili a quelli nei quali spesso si perdeva ed allo stesso tempo così diversi. Avevano qualcosa di diverso, una luce diversa. No, mancava la luce.
«Ho chiesto di poter parlare con mio figlio.» Il tono era diventato un po’ più duro e Steve mandò un'altra occhiata a Clint. Voleva Tony il più lontano possibile da suo padre.
«Non mi sembra che qualcuno gli stia tappando la bocca, Signore, tanto meno le orecchie a Steve.» Si sentì prendere nuovamente il polso dalla mano dell’amico, ma riuscì a liberarsi praticamente subito facendo un passo verso la cella ed appoggiandosi di schiena con le braccia incrociate al petto. Sentì Rogers avvicinarsi sempre di più, probabilmente non era un buon segno, ma si fece forza attraverso la consapevolezza che a meno di 50 metri c’erano dei testimoni abbastanza affidabili.
Il padre di Steve emise uno sbuffo contornato da un sorrisetto. «Uno Stark doveva per forza esserci nella vita di famiglia, vero?» Spostò lo sguardo verso il figlio, il quale aveva inarcato un sopracciglio cercando di capire. «Cos’è? Che hanno questi Stark di tanto speciale?» Il suo sguardo era diventato quello che tanto ricordava e la sua voce stava prendendo la stessa piega.
«Oh beh, geni, miliardari, filantropi, cose da niente.» Tony fece spallucce con tutta la nonchalance possibile, per poi pentirsene appena incrociò lo sguardo del signore. Occhi così pieni di rabbia non gli aveva mai visti, nemmeno quando suo padre l’aveva beccato a rovistare negli oggetti impacchettati della madre. In quel momento si pentì di non essersene andato appena Clint gli aveva preso il polso, quasi sperava glielo riprendesse nel giro di pochi secondi. Invece, appena Joseph fece un passo verso il moro, si ritrovò l’amico parato davanti.
All’adulto presente scappò una leggera risata tendente all’isterico e poi tornò sul figlio mentre con un dito indicava il più basso dei tre.
«Come l’hai conosciuto? Ti ci ha portato Margaret, eh?» Non aspettò risposta, fece schioccare un paio di volta le dita della mano destra vicino al suo orecchio e scosse la testa un paio di volte, poi si avvicinò di scatto alle sbarre con una mano tesa, prendendo la maglia del figlio e tirandolo contro il ferro senza troppe preoccupazioni.
Steve si fece scappare un verso appena arrivò a contatto con il materiale freddo e Tony fece un passo in avanti, riportato subito indietro di due dall’amico che stava cercando contatto visivo con almeno un poliziotto, ma sembravano farsi tutti i cavoli loro.
«Stark. UNO STARK? Hai il coraggio di alterarti se dico di non conoscerti e poi te la fai con uno Stark?» Era a pochi centimetri dal suo volto e parlava a denti stretti. Gli sembrò di essere tornato indietro di un anno e mezzo, con cella aggiuntiva. «Guardalo!» Indicò Tony con la mano libera e Steve incrociò il suo sguardo spaventato. Nessuno sembrava cagare minimamente Clint intento a sbracciarsi, nemmeno gli ufficiali. «Lo sai che “per Stark viene sempre prima Stark”, vero?» Non valeva la pena rispondere, era evidentemente una domanda retorica come tutte le altre. Si stava facendo un monologo bello e finito. «A gente come loro importa solo di sé stessi.» Non riusciva a capire perché ce l’avesse così a morte con gli Stark. La sua reazione l’avrebbe compresa se il discorso fosse stato più generale, riguardante lo stare con un maschio, sempre la solita e stupida motivazione per cui perdeva le staffe con il figlio. Ma questo non riusciva a concepirlo.
Intanto lo sguardo del moro si era spostato verso le spalle dell’amico, fisso in un punto vuoto. «Li ha portati via a causa di mio padre.» Non era altissimo il tono di voce, ma venne comunque recepito dagli altri. Alzò lo sguardo verso quello di Joseph. «Li ha portati via perché si sentiva minacciato da lui.»
Fu un attimo. Steve si sentì lasciar andare la maglia, Barton si trovò a terra e Tony contro il muro sovrastato dal padre del biondo che lo aveva afferrato alla gola. 








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Note dell'autrice: Chi non muore si rivede, yeeeeh. Come potete vedere ho tenuto fede ai miei buoni propositi ed ho aggiornato a distanza di POCHISSIMO TEMPO, GRANDE ME! No, davvero, scusate. Mi sono lagnata abbastanza e non ho voglia di stare qui a dire grandi cose, solo non è stato un periodo facile per me MA ora sono tornata. 
CADESSE IL MONDO, PRIMA DI GIUGNO FINISCO QUESTA FANFIC, GIURO.

Un bacio,
BR.
   
 
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