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Autore: _Qwerty_    19/11/2017    4 recensioni
"...quindi, mia cara, direi che è giunto il momento di andarcene."
"E come, scusa? Siamo in carcere!"
"Con questa, è evidente" rispose Demetra sfoderando la bacchetta.
***
"...al contrario, i Babbani hanno prodotto un sacco di figure interessanti: prendi, che so, Charles Dickens, Hobbes, Nietzsche o Thomas Alva Edison. Quello ha prodotto le lampadine! Noi cosa abbiamo prodotto? Albus Silente?"
***
Eccomi col seguito della mia long "Niente è per sempre", la storia di quello che è successo al mio OC Demetra Lestrange dopo essere scampata all'agguato dei fratelli... Si parlerà di Demetra, di come sia in fuga, ma anche inconsapevolmente in cerca, di maghi e di Babbani, di cose molto simili e cose molto diverse, e poi di ambiente, inquinamento, storia della magia e storia d'Europa, e ci saranno maghi sciocchi e Magonò profondi, goblin e hippies, mercanti d'arte ed elfi che parlano in dialetto, e poi naturalmente ci sarà la mia fissa per le citazioni letterarie e consigli di lettura.
Se avete letto la long passate anche da qui e scrivete la vostra opinione, lanciate le uova (magari biologiche) e fate crescere/incoraggiate/fate calmare chi sta scrivendo, che spera di divertirvi come lei si diverte a scrivere!
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Contesto generale/vago
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1. dall'altra parte

I



Fine gennaio 1973, parco pubblico a Edimburgo

L’attesa si stava facendo snervante.
Aveva ingannato il tempo cacciando roditori nel sottobosco del parco pubblico della Edimburgo Babbana e aveva preso confidenza ancor maggiore con gli altri rapaci che popolavano la zona, ma adesso non ne poteva più. La notte dell’attacco non aveva chiuso occhio, ma nemmeno la mattina dopo era riuscita ad addormentarsi. E dire che era un rapace notturno, avrebbe dovuto sentirne il bisogno, come le aveva ricordato un barbagianni anziano che non apparteneva a nessuno.
Ma Demetra non poteva dormire, nonostante la stanchezza, perché voleva assolutamente sapere in tempo reale cosa era avvenuto e si sarebbe concessa del riposo solo una volta saputo che gli Auror avevano salvato suo padre e catturato i fratelli.
Erano passati almeno cinque giorni e non era riuscita a sapere niente. Al pub c’era meno gente del solito e non era mai riuscita ad acchiappare una copia del Profeta abbandonata nel pub senza farsi vedere. Una sera poi una civetta fulva le aveva chiesto a chi apparteneva e se aspettava posta lì al pub. Demetra le rispose di farsi gli affari propri, in maniera decisamente maleducata, ma quello le parve il campanello d’allarme. Di certo la civetta che aveva incontrato non poteva capire chi lei fosse né comunicarlo a nessuno, ma forse era lì nei dintorni da troppo tempo e forse presto anche un umano si sarebbe accorto che c’era sempre la stessa civetta che gironzolava attorno al pub.
Per questo si era spostata nel parco pubblico Babbano e, quando non c’era nessuno in vista, si ritrasformava in forma umana per sgranchirsi e riflettere più lucidamente.
Una delle prime cose che aveva osservato e a cui aveva dovuto far fronte era che nutrirsi da civetta e nutrirsi da umana non era affatto la stessa cosa: se da civetta riusciva a catturare un topo, mangiarselo e sentirsi sazia e in forze, da umana quel cibo non era affatto sufficiente e sentiva di continuo i morsi della fame, ed a causa di questo aveva già fatto fuori quasi metà delle provviste che si era portata nella borsa espandibile. Purtroppo, la magia poteva esserle di poco aiuto, perché il cibo non può essere evocato con la bacchetta, per la famosissima legge di Gamp. Poteva evocare una mela, ma non un pranzo completo, poteva far apparire un bicchiere d’acqua, ma non una Burrobirra. E, osservò con stizza, alla questione del cibo non aveva pensato adeguatamente, anche perché contava di stare nascosta al massimo un paio di settimane. Inoltre, non aveva mai riflettuto sulla diversità delle esigenze biologiche da civetta e da umana, perché la maggior parte delle volte si era trasformata per poche ore e già a stomaco pieno.
Bisognava poi stare attenta che nessun Babbano la vedesse, perché di sicuro l’avrebbe costretta ad usare la magia su di lui e, anche se non aveva più la Traccia e non avrebbe usato fatture atte a offendere, presto ne sarebbe arrivata notizia alla Squadra Cancellazione della Magia Accidentale e non poteva rischiare di farsi beccare.
Demetra aveva ormai perso il conto di quanti giorni e notti fossero realmente passate ed era di più il tempo che passava trasformata, soprattutto a causa della mancanza di forze. Ogni volta che si ritrasformava per mangiare qualcosa, la opprimeva un senso di angoscia e di cattivi presentimenti che le acceleravano dolorosamente il battito cardiaco e che solo da civetta riusciva a controllare.
Una sera – ma poteva essere ancora pomeriggio, perché la notte arrivava sempre molto presto – decise che non poteva più stare lì, sarebbe dovuta tornare a Londra e scoprire cosa era successo, per mettere a tacere le brutte sensazioni che non le davano tregua. Doveva però pensare a un piano, perché sapeva bene che per quanto fosse una strega molto abile – quanto aveva fatto con i fratelli lo dimostrava – non poteva smaterializzarsi in quelle condizioni: stanca fisicamente per la fame e mentalmente per il continuo dentro-e-fuori fra giorno e notte da civetta a umana e viceversa. Poteva cercare un camino pubblico a Narrow Path, ma l’istinto le diceva che dirigersi subito a casa non era una cosa sicura. Il problema più grande era che non sapeva cosa era successo dopo quella fatidica notte: non era riuscita a leggere il giornale e di quel poco di conversazioni che era riuscita a origliare a Narrow Path nulla le aveva dato indizi. Com’era possibile che di quella vicenda nessuno avesse parlato? I fratelli che uccidono la sorella per ordine di Voldemort era per forza una notizia! Ma ogni volta che da umana iniziava a riflettere e a pensare a una soluzione, si sentiva mancare, la fame le mordeva la pancia e l’unica cosa che le veniva istintivo era trasformarsi, così mangiare era molto più semplice. Poi si ritrasformava, ma il benessere provato da civetta svaniva in pochi minuti e doveva stendersi appoggiata a un albero e riflettere era impossibile.
Non c’era via d’uscita.

***

1 febbraio 1973, Narrow Path, Edimburgo

Nevicò una mattina e Demetra fu costretta a volare fino al pub per scaldarsi, insieme a diversi altri gufi. Si guardava intorno sospettosa, pur sapendo che nessuno dei gufi lì presenti poteva capire chi era.
Quella mattina, tuttavia, trovò finalmente la risposta alle domande che la tormentavano, perché riuscì a rubare una copia del Profeta.

Attacco dei Mangiamorte al funerale dei Lestrange: l’obiettivo era il capo Auror Crouch

Trematon, Cornovaglia – È avvenuto ieri pomeriggio, durante la funzione pubblica per il funerale di Arminius Octavius Lestrange e, in contumacia, della figlia Demetra Isabella, presso la cripta storica dell’antica famiglia a Trematon, un grave scontro fra alcuni Mangiamorte e gli Auror presenti. Il capo Auror Bartemius Crouch è stato attaccato durante la sua orazione funebre da alcuni maghi che si sono materializzati all’improvviso sconvolgendo la funzione, rigorosamente a volto coperto da una maschera bianca raffigurante uno scheletro, elemento che abbiamo imparato a riconoscere ormai come loro distintivo. I seguaci di Voi-Sapete-Chi erano almeno in sei e due di essi si sono avventati subito su Crouch, mentre gli altri terrorizzavano la piccola folla dei presenti che erano venuti a porgere l’ultimo saluto ad uno degli ultimi legislatori della comunità. Gli Auror e Crouch stesso hanno subito risposto all’attacco e ne è scaturito un violento scontro, che per fortuna si è concluso senza vittime ma con molti ricoverati al San Mungo. Oltre a Crouch erano presenti in servizio gli Auror Shacklebolt e Ferguson, ma a difendere tutti i presenti sono intervenuti anche l’Auror Frank Paciock, che del signor Lestrange è nipote di primo grado, e la moglie Alice, che al momento non erano in servizio. Le testimonianze raccolte sono concordi nell’affermare che la presenza dei signori Paciock è stata fondamentale per evitare una strage e per contrastare la furia dei Mangiamorte, che fin dall’inizio si è concentrata sulla persona del capo Auror Crouch. Nessuno di essi è stato catturato né smascherato, ma la signora Augusta Paciock, madre di Frank e sorella del signor Lestrange, la quale ha anche partecipato allo scontro con sprezzo del pericolo nonostante l’età, ha affermato di aver riconosciuto le voci dei nipoti Rabastan e Rodolphus. I due fratelli Lestrange, ricordiamo, sono infatti responsabili dell’assassinio del padre, avvenuto lo scorso 20 gennaio di fronte alla scalinata della Gringott, e della sorella Demetra, avvenuto la sera precedente nel quartiere magico di Edimburgo. Il corpo della ragazza non è stato recuperato, in quanto i due fratelli usarono l’Ardemonio contro il suo cadavere dopo il brutale omicidio. Non è ancora chiaro per quale ragione in occasione dei due efferati omicidi i due fratelli abbiano agito a volto scoperto, come a rivendicare la paternità del delitto, mentre tutti gli attacchi dei Mangiamorte avvenuti nei mesi scorsi sono sempre stati caratterizzati dall’uso di maschere per dissimulare il volto e massiccio uso di Fatture di Confondimento sui presenti. Una fonte anonima al Ministero ha rivelato che Crouch fu informato per tempo dell’attentato contro il signor Lestrange, ragione per cui quella tragica mattina erano presenti Auror in incognito presso la Gringott per cercare di evitare il peggio, ma la furia dei due Mangiamorte è stata più forte di quanto chiunque immaginasse e lo scontro si concluse come sappiamo con la morte di Arminius Lestrange e il ferimento dell’Auror Fabian Prewett.
Resta da vedere ora che piega prenderanno le indagini e quali provvedimenti il Ministro adotterà, in particolare se concederà al capo Auror Crouch l’autorizzazione straordinaria all’uso delle Maledizioni senza Perdono sui Mangiamorte, provvedimento da lui richiesto con forza già nel recente passato.

Quella mattina Demetra volò di corsa nel folto del bosco, dove nessuno poteva trovarla, si trasformò e, dopo molto tempo, pianse a lungo.

***

Primavera 1973, al limitare di una brughiera, al centro della Scozia

Nelle settimane che seguirono, Demetra si ritrovò a perdere definitivamente il senso dello spazio e del tempo, senza cercare più di opporvisi con la mente. Il giorno e la notte si susseguivano senza soluzione di continuità e nemmeno l’allungarsi delle ore di luce era sufficiente a generare un ritmo al tempo.
Passava il tempo perlopiù sotto forma di civetta, per la semplice ragione che era più facile nutrirsi, e seguiva l’istinto di volatile nello spostarsi per i boschi e le brughiere. Si era allontanata molto da Edimburgo e da ogni luogo abitato, da maghi e Babbani, e non aveva più incrociato anima viva da giorni. Solo una volta aveva incrociato dei Babbani che cercavano funghi e non aveva fatto in tempo a ritrasformarsi in civetta: quelli erano rimasti impalati in piedi a guardarla, senza fare niente, poi lei aveva pensato che doveva avere un aspetto orribile, che doveva sembrare loro come una specie di folletto maligno dei boschi, così era scoppiata in una risata isterica.
I due se l’erano data a gambe e nessuno l’aveva più disturbata.
Sapeva ancora che non doveva usare la magia davanti ai Babbani, per questo si limitava ad accendere un piccolo focolare nel folto del bosco le rare volte in cui voleva riflettere un po’ più lucidamente. Aveva pensato di tornare a Londra, confessare a Crouch la verità e mettersi a disposizione per catturare i fratelli, ma ogni volta che ci pensava si rendeva conto che non sapeva più nemmeno come fare per tornare a Londra e poi, dentro di sé, aveva una paura folle dei fratelli, perché di una cosa era certa: se fosse tornata, l’avrebbero trovata e questa volta uccisa davvero. Chissà, forse sarebbe stato meglio lasciarsi uccidere. Almeno non avrebbe passato il tempo a struggersi di lacrime per aver sbagliato tutto, per aver capito tardi e per essere stata responsabile della morte di suo padre, ma al contrario si sarebbe ritrovata con lui, dall’altra parte. Ammesso che ci fosse qualcosa, dall’altra parte.
Così la primavera era arrivata, l’erica era fiorita sulla brughiera e il sole si era fatto tiepido e allegro, ma Demetra non se ne era accorta, perché aveva sempre freddo. Di giorno ormai dormiva, come tutti i rapaci notturni, di notte si procurava il cibo, come tutti i rapaci notturni, poi si trasformava, accendeva un fuoco, piangeva un po’, fino all’alba, poi riprendeva la forma alata e tornava a dormire.
Una sera decise che la mattina dopo l’avrebbe fatta finita, in mezzo ad una radura, puntando la bacchetta contro se stessa.
Bisogna volerlo, aveva detto Rodolphus tanto tempo prima. Non così tanto, solo qualche anno prima, ma sembravano già secoli. Ormai la famiglia era finita, l’anello non aveva protetto né lei né suo padre dalla malasorte e il mondo avrebbe solo conosciuto la furia oscura dei suoi fratelli. Non restava nessun’altra via d’uscita.
Bisogna volerlo. E lei era abbastanza sicura di volerlo, quella sera.
La decisione presa le donò qualche ora di pace e, inaspettatamente, di sonno, in forma umana, addossata a un tronco di abete.

***

Quando si svegliò, Demetra sentì delle voci e balzò sull’attenti. Si guardò intorno, per verificare che non ci fossero Babbani che potessero vederla, e si trasformò in civetta, ormai per lei automatico come usare un Reparo. In effetti dei Babbani si stavano avvicinando e parlottavano nervosamente fra loro.
“Stiamo sbagliando a nascondere la roba. Chi l’ha portata è responsabile e dovrebbe assumersene le conseguenze, non che noi dobbiamo rimediare” diceva uno.
“Senti, hai ragione, ma Dave finirebbe dentro per una cosa che in realtà non ha alcuna gravità. E, cosa peggiore, il discredito cadrebbe su tutta la comune. Abbiamo faticato tanto per costruire tutto quanto, questo è solo un piccolo compromesso per salvare quello che abbiamo costruito” disse il secondo.
Però, anche questi Babbani complottano mica da ridere, pensò Demetra.
Perché di sicuro quei due stavano facendo qualcosa che non dovevano per salvare qualcosa di più importante, secondo loro, e proteggere questo Dave, anche se di certo lei non aveva la minima idea di cosa stessero parlando.
Poi i due scelsero un punto nel bosco e iniziarono a scavare una buca, senza far caso ad una civetta che li seguiva di ramo in ramo.
Buttarono dei sacchetti in questa buca, ma poi ci versarono sopra altra roba e un liquido che aveva un odore acre, coprirono il tutto con la terra e fecero un po’ di divelto intorno, come a simulare il passaggio di un grosso cinghiale. Si guardarono soddisfatti l’un l’altro e poi tornarono dalla direzione da cui erano venuti, abbastanza sicuri di ritrovare la strada. Demetra li seguì, ormai dimentica dei progetti di suicidio, fino al limitare del bosco, quando non poteva più sorvolarli senza farsi vedere. Rimase un po’ appollaiata a guardarli allontanarsi e poi, presa da una curiosità che emergeva da non si sa dove, spiccò il volo e li seguì.
I due raggiunsero presto quello che sembrava un accampamento, o meglio, una sorta di villaggio di casette un po’ in legno un po’ in muratura. Bambini di età variabile fra i tre e i sei anni scorrazzavano liberamente nello spiazzo fra le casette. Si sentiva il rumore di qualcuno che segava la legna e dietro le casette si intravedevano panni e lenzuola appese a dei fili.
Era un villaggio di Babbani, ma era piuttosto insolito. Non che Demetra avesse esperienza di vita sociale dei Babbani, ma sapeva che comunque i Babbani vivevano perlopiù in grandi e medie città, o almeno in villaggi organizzati, non in gruppi di case isolate dal resto del mondo. Quello semmai era il modo di vivere delle famiglie magiche, al limitare dei villaggi Babbani, spesso in gruppi di tre-quattro famiglie che cooperavano nel tenere lontani i Babbani. Mentre faceva queste considerazioni, fece la sua comparsa una di quelle che dovevano essere le automobili, quegli scatoloni con le ruote che si muovevano senza magia, con chissà che artificio Babbano. I maghi avevano il Nottetempo, l’unico mezzo di trasporto che avesse dei punti di contatto nell’aspetto esteriore con quelli dei Babbani, ma era magico, mentre quelle scatole semoventi chissà come facevano a camminare.
Due Babbani scesero dalla scatola-automobile e ne tirarono fuori altre scatole e dei sacchi. Uomini e donne uscirono dalle casette e aiutarono i due a portare dentro la roba. Aprivano le scatole e suddividevano quello che c’era dentro, poi andavano dentro e portavano altre scatole che caricavano sulla scatola-automobile. Demetra rimase a lungo ad osservarli, spostandosi da un punto all’altro, fra un tetto e un ramo. Riuscì addirittura a spiare dentro una delle casette e vide una donna che sistemava un grosso bussolotto con un becco in cima dentro un armadietto, poi la donna girò una levetta sul piano dell’armadio e su quello stesso piano apparve un cerchio di fuoco celeste. Demetra non credeva ai suoi occhi: dei Babbani stavano producendo del fuoco! Ovviamente sapeva che anche i Babbani usavano il fuoco, ma non sapeva come facevano a produrlo, perché per lei e per tutti coloro che conosceva il fuoco si accende con la bacchetta, punto e basta. Poi la tipa mise sul cerchio di fuoco una pentola e iniziò a cucinare, l’odore di brodo e stufato arrivò in pieno alla civetta affamata, che dovette scappare via a cercarsi qualcosa da mangiare. Dopo aver strappato con soddisfazione un grosso ratto ad uno dei gatti che gironzolavano attorno alle casette, Demetra voleva pensare più lucidamente a quanto aveva visto dei Babbani quel giorno, ma, ancora una volta, la stanchezza fu più forte e si appisolò.
Si svegliò quando il sole era già tramontato e decise di tornare a dare un’occhiata alla vita dei Babbani. I più dovevano essere dentro le casette, ma alcuni erano seduti su delle panche di legno nello spiazzo comune davanti alle case, per terra era acceso un bel falò e chiacchieravano di cose di cui lei non capì nulla.
Parlavano di una guerra che si stava svolgendo in un altro paese, parlavano del rischio di essere accusati di essere comunisti e del fatto che stavano riuscendo a dimostrare che si può vivere anche senza consumare così tanta energia, mettendo in comune il lavoro e i prodotti della terra e limitando al massimo l’uso degli idrocarburi.
Cosa sono gli idrocarburi?, pensò Demetra. Di sicuro non erano un ingrediente per pozioni, perché non ne aveva mai sentito parlare.
La vita del gruppo di Babbani divenne il principale interesse di Demetra nei giorni successivi.
Non che succedesse granché, perché più o meno tutti i giorni la gente si metteva a tagliare la legna, curava l’orto, alcuni si allontanavano con la scatola-automobile e tutte le mattine un gruppetto di bambini veniva accompagnato a piedi al limitare della strada principale, a circa mezzo chilometro dall’insediamento, dove un pulmino simile nelle fattezze al Nottetempo ma più piccolo li caricava e li portava, a quello che aveva capito, a scuola. Sì, perché i bambini Babbani andavano a scuola anche prima di avere undici anni, che follia!
Un giorno poi arrivarono due Babbani vestiti uguali, che dovevano appartenere alle forze dell’ordine Babbane, e avevano con sé un cane. Fecero un po’ di domande in giro, mentre i bambini cercavano di giocare col cane, che però stava assolutamente fermo. Demetra sentì distintamente che chiesero anche di quel Dave, ma al momento non c’era. Poi entrarono nelle casette, fra le proteste di alcuni abitanti, sempre col cane appresso, ma evidentemente non c’era nulla che non andava e alla fine tornarono da dove erano venuti. Quando si furono allontanati, i Babbani esplosero in imprecazioni e risate di scherno, con qualcuno che apostrofò i poliziotti come “guardie del sistema capitalista”, cosa che raccolse l’approvazione degli altri, ma che per Demetra non significava assolutamente niente.
Aver trovato qualcosa da fare, cioè spiare i Babbani, aveva riempito le giornate di Demetra, ma non aveva riempito più di tanto il suo stomaco. Passando gran parte del tempo in forma di rapace, nutrirsi era meno difficile, ma vedere ogni giorno i Babbani cucinare su quei cerchi di fuoco e sul paiolo sul fuoco all’aperto, con gli odori di stufato e zuppa portati in tutte le direzioni dal vento era decisamente straziante. Aveva pensato anche di scroccare qualcosa planando all’improvviso, per poi rifugiarsi nel bosco e trasformarsi, ma aveva paura che quelli si sarebbero spaventati o peggio l’avrebbero trovata, e non voleva trovarsi costretta a usare la magia su uno di loro, perché così la sua fuga sarebbe finita nel peggiore dei modi.
Il pensiero del cibo era diventato martellante e ormai anche da rapace non riusciva a non pensarci. Dentro di sé sapeva benissimo qual era la soluzione, ma impiegò comunque alcuni giorni per accettarla. Aveva ricacciato nell’angolo più profondo della sua testa questa possibilità, perché significava cedere al bisogno fisico e abbassarsi a chiedere l’aiuto di coloro che erano quanto di più diverso da quello che lei era.
Ma la fame era fame e ormai nessuno del suo mondo sembrava più cercarla, così un giorno, mentre i Babbani cenavano, si fermò fra i primi alberi del bosco e si trasformò.
Si sistemò con un gesto automatico i capelli e poi, con passo incerto, si diresse verso il gruppo di Babbani seduti al tavolo centrale.
“Ehi, c’è qualcuno laggiù! Chi è là?” gridò uno.
Si alzarono tutti.
Alcuni uomini si avvicinarono, uno brandiva una pala.
“Ma è una ragazza!” esclamò un altro quando furono più vicini.
“Cosa diavolo…”
“Ehi, ragazza, parli inglese almeno?”
“Forse si è persa” disse una donna.
Demetra si voltò in direzione della donna che aveva parlato.
“Parli inglese?” ripeté lo stesso.
“Sì, certo” rispose Demetra con tutta la sicurezza che riuscì a raccogliere.
“Ti sei persa?” chiese quello stesso uomo.
L’altro aveva già abbassato la pala.
Demetra esitò un attimo. Ovviamente la riposta era molto più complessa, e non poteva certo mettersi a spiegare, anche se in fondo, semplificando molto, sì, si era persa.
Annuì vigorosamente.
“Si è persa, una ragazza si è persa nel bosco” ripeté qualcuno più indietro.
“Vieni, mangia qualcosa” disse la donna che aveva parlato prima.

***

NdA:  eccomi col primo capitolo delle avventure del mio OC! Mi rendo conto di aver messo tantissima carne al fuoco e temo di sentire già odore di bruciato, ma ormai il dado è tratto.
Credo che ciscuno, in maniera più o meno forte e incisiva, attraversi un momento in cui sente di stare toccando il fondo, e magari è proprio da lì che inizia la risalita. Demetra è ovviamente in fuga e ho voluto dare importanza al fatto che essere Animagus non è una passeggiata: come è vero che si possono passare molti anni in forma animale e mantenere integre le proprie capacità cognitive e la propria memoria (come hanno fatto Sirius e Peter Minus), mi immagino però che anche questa sia una facoltà che si affina col tempo, sbagliando e soffrendo, perché la magia non risolve tutto e nulla è automatico. Infine, quale nemesi migliore per la nostra rampolla purosangue se non quella di dover chiedere aiuto materiale ai Babbani? Babbani che, non so se si capisce, fanno parte di una comune di hippies degli anni '70 ma di questo parleremo in seguito... La cosa che più mi preoccupa del capitolo a dire il vero è che il momento in cui Demetra pensa di puntare la bacchetta contro se stessa sia troppo veloce, ma la mia attenzione era focalizzata sul fatto che ognuno può avere pensieri oscuri, ma anche che, come dice Silente, basta ricordarsi di accendere la luce.
Dita incrociate per le recensioni! Se necessario lanciate pomodori, ma biologici!


  
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