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Autore: Giglian    20/11/2017    3 recensioni
Nell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l'unico filo che conduce alla salvezza. Ma, per chi giura di non avere buone intenzioni, nulla sa essere semplice.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei Malandrini.'
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C'era una sola notte in grado di far vibrare il mondo, e quella  era la notte della luna piena.
Era sempre stato certo, anche se mai capito fino in fondo, che quando l'astro era gonfio nel cielo, la magia ne risentiva nel profondo, l'intero creato sembrava sprigionare una forza incommensurabile e ciò che fino a quel momento era inanimato pareva svegliarsi in una strana eccitazione.
Le fate danzavano sotto il cielo d’Inghilterra, attorno a cerchi di funghi e fiori in cui era meglio non addentrarsi. I centauri si radunavano attorno alle querce sacre, osservando il cielo con pesanti calici di vino, infinitamente saggi e infinitamente dispotici, e sotto una sorta di malia, cercavano le loro risposte tra le stelle. Gli unicorni, creature solitamente schive, uscivano dalle loro tane, per trovare il proprio compagno di vita.
Ma non erano solo le cose pure ad essere pervase dalla sacralità del bianco astro.
Nella foresta proibita, anche le oscure forze che si annidavano negli angoli più putridi si svegliavano e il buio aguzzava il muso verso il cielo, assaggiando un pezzetto di potere.
E nel cuore puro di un ragazzo c'era un'ombra che si agitava, liberata dalle catene.
Una dannazione che bruciava con tutta la sua forza.
La Creatura.
La sentiva muoversi dietro i pensieri, irrequieta, emozionata, una bestia immonda che sapeva di poter uscire allo scoperto.
In queste notti, accompagnato da tre compagni, il Malandrino era costretto a rifugiarsi lontano da tutti….perfino lontano da sé stesso.
E un bisbiglio, nella notte, dentro il punto più intimo del suo essere, ridacchiava costantemente.
“Sto arrivando, Remus Lupin.”
 
 
 
 
 
 
 
Una leggera brezza penetrò le delicate tende di seta del letto di Lily Evans, scompigliandole un poco i capelli e svegliandola dolcemente.
La ragazza liberò un mugolio. La finestra era stata lasciata aperta.
La luna piena si stagliava indomabile da quello spiraglio, bella come in un dipinto. La notte era avvolta dal silenzio ma uno strano freddo le rizzava i peli sul collo.
Si alzò in un fruscio di ciabattine, allungando un braccio verso l'inferriata.
Solo allora sentì le voci.
C'era qualcuno che gemeva, nelle ombre, accanto al Platano Picchiatore.
“Studenti fuori, nonostante il coprifuoco. Gli sono troppo vicini, si faranno ammazzare.”
Lily Evans storse il naso. Sarebbe dovuta scendere, infilarsi un mantello infreddolito, sciabattare nel fango del giardino a ripescare quattro idioti.
Senza contare il dover svegliare la McGranitt. Per la seconda notte consecutiva.
Fece per agguantare la prima camicetta che le capitava a tiro, quando una delle ombre si mise ad urlare.
Il braccio si immobilizzò a mezz'aria e un manto di freddo l'avvolse come una coperta.
Il primo pensiero irrazionale della notte le torse lo stomaco.
“Sono Mangiamorte.”
Afferrò la bacchetta magica, con il cuore in gola, e si affacciò alla finestra accostandosi alla tenda.
Come avevano fatto ad entrare?
“Calmati.”
Doveva ritrovare la lucidità. Le protezioni di Hogwarts erano alte. Nessuno era mai riuscito a penetrarle.
La figura al centro urlò di nuovo, un grido che sembrò lacerare il silenzio. C'era qualcosa li stava agitando e...la streghetta strinse gli occhi. Possibile che una di quelle ombre stesse diventando più alta?
"Tienilo!” qualcun'altro stava urlando. “Non siamo ancora arrivati!”
Lily Evans si girò di scatto verso le compagne. La scuola rimaneva in totale silenzio. Com'era possibile che non sentissero? Stavano facendo un baccano da spaccare i timpani.
“Ragazze, svegliatevi!”
Le compagne non si mossero.
Una nebbiolina dorata aleggiava nell'aria.
“Un incantesimo. Qualcuno ha gettato un incantesimo sulla scuola.”
E poi, improvvisamente, si sentì afferrare una mano. Lily urlò, divincolandosi. Il tappeto le slittò via dai piedi e lei finì a gambe per aria.
"Pro...professoressa Mcgranitt?!”
Contro la luna, gli occhiali da lettura della donna scintillavano. Aveva il viso pallido come la neve e la fissava, in silenzio.
“E' tutto a posto.” disse. “Torna pure a letto.”
“Professoressa.” ansimò la ragazza. “Qualcuno...di sotto...”
La donna rimase impassibile.
“E' tutto a posto. Torna a letto.”
“Non capisce! Loro...” Lily si fiondò alla finestra ma il giardino era tornato nella sua solitudine. Non c'era nessuno. “Professoressa. C'era qualcuno lì, e stava...”
La donna le aveva voltato le spalle. C'era qualcosa di sinistro nel biancore della sua pelle.
“E' solo un'esercitazione. Torna a letto immediatamente.”
"Ma!”
“Buonanotte.”
La strega scese di sotto, congedando la ragazza senza una spiegazione, in piedi, al centro della stanza. Nella Sala Grande, le candele si erano ormai consumate su loro stesse e vomitavano sottili fili di fumo.
La professoressa attraversò il quadro. Letteralmente.
Fuori, nel buio, c'era un ragazzo.
Un movimento di bacchetta e la donna scomparve in uno scintillio vivace.
Severus Piton respirava così lentamente da sembrare morto. Gettò un'occhiata alla stanza.
Tutta la scuola era caduta addormentata, ma qualcuno aveva un'indole troppo forte per cadere nel trucchetto.
Gli altri suoi professori fantocci avevano rimesso a posto i ribelli. Sapeva che Lei sarebbe stata uno di loro. Lei non si piegava mai.
“Stupida.” bisbigliò, con occhi persi.
E stupidi quei quattro, ad avere la presunzione di riuscire ad essere talmente forti da imbrigliare un'intera scolaresca con le loro bacchette. Si chiese che cosa accidenti stesse facendo Silente, nel suo studio. Era chiaro che lui non stesse dormendo. Eppure, gli lasciava l'onere di risolvere i pasticci di coloro che odiava. Una prova? Un test? Era veramente più sciocco di quanto pensasse.
Un gufo pigolò nell'aria. Severus si rimise il mantello.
Eppure...
Si voltò a guardare la Signora in Rosa, che riposava nella sua cornice. Eppure era lì, a creare fantocci.
Per chi? Per chi si ostinava a lottare?
Una smorfia sul suo viso. Il gufo pigolava ancora, infastidito di essere stato disturbato.
“Tu finirai per ammazzarla, James Potter.”
 
 
 
 
 
Quella mattina, James Potter e i malandrini non erano a lezione.
Lily Evans si lasciò andare ad uno sbuffo seccato. D'altronde, che le importava: era meglio cosi.
Di solito facevano sempre troppo chiasso. Che continuassero pure di quel passo, fino alla bocciatura: non avrebbe gradito di meglio.
Le spiaceva solo per Remus, trascinato senza freni in contesti da teppista dove c'entrava come un pesciolino nel deserto.
La testa le doleva. Non aveva assolutamente scordato gli strani avvenimenti dell'altra notte e la cosa più bizzarra era che tutti gli studenti si erano svegliati in botta. Letteralmente devastati, come se si fossero presi tutti una sbronza colossale.
Qualcosa non quadrava.
Ma la professoressa Mcgranitt sapeva cos'era e sembrava così sicura di sé. Non era nella sua indole mettersi a discutere contro chi aveva il comando. Quella era una cosa da Potter. Potter... ma dove cavolo era Potter?
"Lily Evans, vuole stare attenta?" tuonò il supplente di pozioni e la giovane sobbalzò, lasciando cadere molte gocce di liquido verde dentro un calderone ribollente. La pozione, da color mattone quale doveva diventare, diventò giallo canarino.
“Maledizione.”
Il professore, un uomo alto e smilzo dal naso lungo e all’insù, la guardò con una smorfia.
“Stava pensando ad altro o sbaglio? Le pozioni non sono giocattoli. Serve concentrazione.”
Al contrario del buon Lumacorno, il supplente non sembrava covare simpatia per la prefettina.
Osteggiava un comportamento quasi sprezzante nei suoi confronti, non volendo riconoscere che una ragazza di diciassette anni era decisamente più in gamba di lui. Lily Evans era una vera bomba in pozioni. E l’invidia era una bruttissima bestia, difficile da scacciare… Lumacorno aveva scelto certo il giorno perfetto per farsi invitare ad Hollywood da chissà quale amica attrice. Era fuggito via talmente in fretta che sembrava gli avessero punto il sedere, non appena ricevuta la lettera d'oro. Non accadeva di rado.
La rossa fissò sconsolata il filtro ormai dannosamente rovinato.
Stupido Potter...le aveva fatto sbagliare tutto e avrebbe preso la prima "S" della sua vita per colpa sua.
La campanella soffocò la sua imprecazione leggermente poco femminile. Si alzò borbottando come una teiera incandescente, uscendo dall'aula.
I corridoi trasudavano di polvere magica.
Gufi planavano sulle teste lanciando acuti striduli. Scansò, masticando una mela, una Lettera Volante e saltò un manico di scopa che voleva farle lo sgambetto, adocchiando la lista degli orari.
Incantesimi. Serviva una provetta di Assenzio.
Improvvisamente, si ritrovò davanti all'infermeria, e a due sederi alquanto graziosi che la fissavano con fare impudico.
"Lily!"
Il sedere di destra si voltò, rivelando un sorriso lentigginoso munito di apparecchio e una folta chioma di riccioli castani.
“Che state facendo, Monique? Perché spiate Madama Chips?” chiese la rossa, vagamente divertita.
“Oh, Catley aveva voglia di pettegolezzi.” minimizzò quella, mentre la seconda ragazza si raddrizzava, portando il dito alla bocca e facendo un sonoro “shht! Ci sente!”.
Tassorosso, bassa, una corta zazzera bionda, e due occhi simpatici, incredibilmente grandi. Le strizzò l'occhio.
“Ci sono i Malandrini in Infermeria. Malconciati.”
Black out.
Ma solo per un istante.
“Potter sarà caduto dalla scopa, forse la forza di gravità ha capito di non poter reggere il peso del suo ego.”
Le due ridacchiarono.
“Sei irrecuperabilmente acida, Evans.”
“Ma sei anche tremendamente curiosa...” Monique le si avvicinò miagolando. “Ed è tuo dovere di Prefetto sapere che cosa è successo, o sbaglio?”
“Esatto! TU, puoi entrare.”
“Oh, per l'amor del cielo.”
"Fai un favore a due amiche."
Loro non erano sue amiche. Lo pensò in un istante, senza aver il tempo di riflettere. Qualcosa di spiacevole le colò giù per lo stomaco. Ora che ci pensava, lei non aveva più nessuno da considerare amico da quando Piton l'aveva abbandonata. Chiacchierava e rideva con le compagne di corso ma...
Una immagine le arrivò in testa prima che potesse fermarla. Potter, circondato di persone. Potter, che tutti sembravano amare alla follia. Potter, pieno di amici.
Mentre tu te ne stai sola nel tuo angolino con la tua supponenza...
"Evans? Yuhu?"
Sbattè le palpebre, mentre quelle due la fissavano in attesa. Cristo, era veramente assurdo.
"Non alimenterò mai la vostra sete di scemenze."
La riccia la fissò sorridente. Poi, con un lieve colpetto, le fece cadere di mano la provetta di assenzio, che si sfracellò al suolo con un suono desolato.
“Hey!”
“Ops.” la guardarono, diaboliche. “Che sbadate. Ora dovrai proprio chiedere a Madama Chips di dartene un'altra.”
“Siete pessime.” ringhiò la grifoncina, trasfigurando i resti. "Veramente pessime, ragazze."
Quelle si stamparono in faccia il più angelico dei sorrisi. Sapevano con assoluta certezza che anche l'altezzosa Prefetto di Grifondoro si sarebbe fatta mangiare viva dalla curiosità. E così effettivamente fu.
"Allora ci vediamo più tardi, Lily."
Avevano appena vinto un match.
 
 
 
La porta dell’Infermeria si aprì, cigolando...e lei che non voleva fare rumore!
Maledisse mentalmente le due streghette che, da fuori, se la stavano godendo come dannate.
In realtà, chi voleva prendere in giro?, pensò di malavoglia. Voleva delle risposte anche lei.
Nella stanza c'era un piacevole silenzio, interrotto dal rumore di qualche contagocce. Prese in mano distrattamente una fiala di assenzio, posandola in borsa e allungando il naso.
James Potter stava dormendo. Negli altri letti, i Malandrini ronfavano separati da delicate tendine.
Uno sguardo più attento e il suo respiro fischiò, trattenuto tra i denti.
Ma che accidenti aveva combinato?
Il Grifondoro era ricoperto di graffi e puzzava di terriccio. Sempre se fosse terriccio, quello. Un grosso livido gli deturpava lo zigomo sinistro. Sulla fronte, un taglio da almeno cinque punti. Le braccia erano una mappatura di ematomi violacei.
Senza rendersene nemmeno conto, si era avvicinata.
Quando dormiva, Potter teneva le labbra leggermente aperte. Una gocciolina di saliva brillava sul labbro inferiore.
Il suo respiro era...lento. Calmo, piacevole da ascoltare.
Sembrava decisamente innocente.
Senza nemmeno accorgersene era chinata su James ad osservarlo meglio… che silenzio c'era nella stanza... le labbra carnose di lui erano così invitanti...veniva voglia di toccarle con un dito…
Ed improvvisamente quello aprì gli occhi, di scatto, come una bambola. Una mano le passò, rapida, sul viso, l'altra le cinse la vita.
"Buongiorno, Evans!"
L'urlo che uscì dalla bocca di Lily Evans fu abbastanza elevato da svegliare tutti quelli presenti in stanza, e forse anche qualcuno fuori.
“Maledizione, POTTER!” ululò, furiosa. "La vuoi piantare di fare così?!"
"Sei incredibile, rossa, ci caschi a ogni scherzo che ti faccio.”
"Fi…fingevi di dormire?!"
Una solare risata come risposta. Il cuore le rimbombava nel petto come un tamburo.
Sentiva ancora il suo tocco sulla guancia, rapido, leggero. Incandescente.
"Potter...io ti..."
"Sei venuta a trovarmi. Allora di tieni a me, eh, Evans?"
"Eh?! Ma che diavolo vai a pensare!" la voce della povera grifoncina si fece molto acuta.
Peter sorrideva e Sirius, più cafone, sghignazzava.
Come al solito la metteva in imbarazzo davanti a tutti. Sembrava non saper fare altro.
"ERO VENUTA PER PRENDERE UNA COSA DALLA INFERMIERA, NON CERTO PER TE!" La sua voce avrebbe spaccato i vetri.
James smise di ridere.
"Guarda che scherzavo!" esclamò stupito.
Lily si morse il labbro inferiore.
"Sì beh...ora lo sai."
Ansimava, sentiva il viso in fiamme. Si rese conto di apparire vagamente isterica e cercò di calmarsi.
Era come al solito sotto i riflettori, e lo detestava. I malandrini la fissavano con tanto d'occhi e fu solo il notare che uno di loro non le prestava attenzione che la tolse d'impiccio.
Lupin le dava le spalle, immobile. Il suo respiro era regolare. Poi, si grattò un orecchio, con un movimento nervoso. Non stava dormendo, quindi.
James colse lo sguardo di Lily ed improvvisamente nella sua voce ci fu una vena di disagio: “Meglio che vai Evans...hai lezione, no?"
"Che? Oh già..."
La ragazza scattò verso la porta, desiderosa di andarsene in fretta.
"Aspetta! Ma prendi ciò che ti serve?" le gridò dietro James, perplesso.
"Cosa devo...? Oh ...giusto!" La rossa agguantò una cosa a caso dall’armadietto, senza neppure guardare e, notando che il rossore sul viso aumentava, corse fuori come una furia. Travolse letteralmente le due compagne che, inebetite, si fissarono l'un l'altra con un grande punto di domanda in testa.
James fissò perplesso la porta da dove era schizzata fuori.
Quella ragazza a volte era davvero troppo svalvolata.
Era ancora fisso sulla porta quando sulla nuca gli arrivò una pallina di carta. Sirius lo fissava, accanto alla finestra. Il suo dito indicava silenziosamente qualcuno che non aveva ancora aperto bocca dalla scorsa notte.
Se ne stava girato di schiena sul suo materasso, l’ultimo della fila, a fissare il muro, ostinatamente.
Lo sguardo perso, vacuo.
Come quello di un sonnambulo.
“Remus.”
La voce di James uscì più dura di quanto non desiderasse.
Un muro di silenzio ad accoglierla.
“Eddai.” Sirius Black sospirò, a metà tra il seccato e l’imbarazzato. “Falla finita, imbecille.”
Nessuna risposta.
"Senti...guarda che…" cominciò James, con una mano dietro la nuca, ma Lupin lo zittì.
"Mi dispiace."
Remus Lupin balzò a sedere, tra le sopracciglia una riga aggrottata. Si guardò le mani.
“Ho perso il controllo. E a causa mia siete finiti qui, ricoperti di ferite.”
Black sghignazzò, indicandosi un lungo graffio sulla guancia.
“Vorrà dire che ripagherai, quando sarò messo meglio.”
“E’ sempre uno scherzo per voi?” la voce di Lupin si alzò di qualche ottava. Arrossì, le braccia tremavano.
Rabbia. Ribollente.
“Non arrabbiarti, Remus.” ridacchiò Minus, nervoso. “Non è successo nulla in fondo.”
“Poteva capitare di tutto.” Il ragazzo esplose. Un vaso si frantumò contro il vetro. “Potevo schiacciarvi, mutilarvi...farvi diventare... come... me.”
“Diventare un rompipalle precisino? Piuttosto mi farei mordere da un lupo mannaro.”
Si voltarono tutti verso Potter, che sorrideva, sornione. Remus era così sorpreso che non seppe replicare.
“Parliamoci chiaro, una volta per tutte.” il capo dei Malandrini si alzò e, lentamente, raccolse i cocci del vaso distrutto. Uno ad uno, con delicatezza. “Sappiamo benissimo quali rischi corriamo.”
“No, non lo sapete.” ora la voce di Lupin era desolante, desolata. “Non voglio svegliarmi la mattina dopo e sapere di avervi fatto a pezzi. Non voglio più essere accompagnato.”
"Non dirlo nemmeno per scherzo!" esclamò Sirius.
"Esatto! A noi fa...piacere!" aggiunse Peter.
"Ma per la miseria, Minus, ti trasformi in un topo! Come potrebbe farti piacere? Potrei schiacciarti! E non che voi due altri siate messi tanto meglio, visto il modo in cui siete conciati. Sentite...lo so che a voi sembra che vada tutto bene, che sia addirittura incredibile e sicuramente ora avete delle fantastiche e lodevoli intenzioni ma, credetemi, tutto questo non durerà. Non sarà sempre tutto rosa e fiori e non accetterete per sempre di dedicarmi una notte al mese della vostra vita, rischiando magari di crepare perché sbaglio qualche calcolo di astronomia. E' una partita troppo rischiosa quella che giochiamo e non voglio né mi sento in diritto di chiedervi tutto questo."
Come tutta risposta gli arrivò un cuscino in faccia. Ora li ammazzava sul serio.
"Senti..." Ramoso aveva occhi che bollivano tutto intorno. Lo fissò talmente serio che finalmente Remus ammutolì. "Forse la luna stavolta ti ha fritto il cervello e bruciato gli occhi ma visto che non te ne sei ancora accorto, noi siamo ancora qui, non ci hai fatto nulla. Ci siamo capiti? E’ decisamente inutile piangere sul latte versato. Siamo usciti troppo tardi dalla scuola, l’ansia ha giocato il brutto scherzo e hai solo risentito della tensione. Oppure, sì, dannazione, probabilmente hai sbagliato qualche calcolo, probabilmente il grande Remus Lupin dopo diversi anni si è concesso il lusso di fare un errore. Ma quello che so per certo è che non capiterà mai più. E non permetterti nemmeno di poter stabilire quando e come levarci dai piedi, perché non accadrà. Che siamo molto più di un gruppo questo è ormai palese, e se posso ascoltare i battiti del cuore di Sirius mentre fa sesso a chilometri di distanza, di certo posso anche sopportare qualche graffietto.”
“Io non...”
“Tu non hai potere decisionale su questo.” finì James. “E’ tardi per cambiare idea. Anche volendo, non riusciremmo a rimanere separati. L’abbiamo accettato anni fa. Si prosegue, come è sempre stato.”
Silenzio.
"Che dire?" Black alzò le spalle. "Sono d'accordo con lui."
"Credo che non ci sia una sola volta in cui io non sia d'accordo con Ramoso." trillò Peter, estasiato.
Remus si passò una mano sul viso, stanco.
“Non c’è proprio verso di farvelo entrare in testa, eh.” Si lasciò andare ad un sorriso sbieco. “Siete peggio dei muli.”
“Non è così facile disfarsi di noi. E soprattutto...” Sirius gli agguantò un orecchio, strattonando. “Non-è-colpa-tua-REM!!!"
“Ok, ok, basta.” il biondino ridacchiò. Alzò lo sguardo, negli occhi d’oro del suo amico. Del suo compagno.
Un calore intenso sciolse il dolore che gli si annidava nel petto.
“Grazie. James.”
E, tirando un interiore ed egoistico sospiro di sollievo, seppe finalmente che non sarebbe stato lasciato solo.
Qualunque fosse il prezzo da pagare.
 
 
 
Quel pomeriggio non c’era un solo mago all’interno di Hogwarts che non sbirciasse torbidamente la porta dell’infermeria, ma questa rimaneva categoricamente chiusa. I malandrini rimasero ancora un paio di ore a gongolare dell’assenza di lezioni, prima che Madama Chips perdesse le staffe per il fastidio che le procuravano e li cacciasse fuori a calci.
“Se avete tutta questa voglia di distruggermi la stanza significa che state bene.” Sibilò, in un travaso di bile, dopo che tre dei suoi quattro adorati pazienti avevano tirato fuori da chissà dove una pluffa e cominciato una partita all’ultimo sangue. Remus, nel tentativo di farli smettere, aveva fatto il resto: inciampando in una tenda, aveva graziosamente rovesciato un bel po’ di provette che rompendosi emanarono gas voluminosi generando il panico più totale.
La Sala Grande li accolse in modi differenti, ma perlopiù i loro compagni li avvolsero con il loro solito e caloroso modo di fare.
“Dimmi che hai pestato ancora qualche stronzo verdeargento.” Implorò Paciock con aria sognante, agguantando Black. “Fammelo sentire con le mie orecchie.”
“A me sembra più che le abbiano prese.” Frecciò malignamente Nott, sventolando orgogliosamente la sciarpa Serpeverde sotto i loro nasi.
“Impiccati, stupido pollo.” Ringhiettò Geky Bell, alzando il medio. “Piuttosto voi, siamo davvero taaanto contenti che qualcuno tipo Nott abbia qualche livido in più ma ci manca tanto così che alla McGranitt prenda un colpo.”
“Senza contare la Coppa delle case.” Tubò Arthur Weasley, un rosso tutto lentiggini che aveva sempre il buon umore. “Sono in testa i tassorosso, ed è tutto dire.”
“Che hanno fatto i Corvonero?” si stupì James, posizionandosi al solito posto della tavolata e spargendo compiti tutt’attorno.
“Si dice che la Chang abbia organizzato un festino. Gazza li ha beccati in pieno mentre spacciavano erbe non propriamente legali.”
“La Chang?” Black si grattò il mento. “Non è la coreana con cui hai avuto una tresca al quarto, Ramoso?”
“Sì, ricordo anche io. Si è infilata nella nostra sala comune per un paio di settimane.” Aggiunse Peter.
“E’ cinese.” Corresse blandamente lui. “In ogni caso, non abbiamo di che preoccuparci. L’anno nuovo è appena iniziato, o sbaglio?”
“Appunto. C’è ancora un anno intero per farci rovinare la faccia dalle vostre cazzate.”
“Grazie della fiducia! E, tanto per la cronaca, non ci ha beccato nessuno. Siamo solo finiti troppo vicini a quel Platano della malora. Niente punti in meno.”
“Prima o poi lo brucio, quel coso.” Sibilò Alice, scuotendo la lunga coda di cavallo. “E’ un attentato alla salute pubblica.”
“E’ un albero secolare di immensa importanza storica.” Giuly Spinnet,  nera e altissima, alzò gli occhi al cielo. “E comunque mi chiedo che cosa ci sia di così grandioso nel venire premiati per essere stati dei bravi bambini. A me sa un po’ di sfigato.”
“Miele per le mie orecchie.” Tubò ramoso, cingendole un braccio intorno alle spalle e strizzandole l’occhio. “Finalmente qualcuno che l’ha capito. La coppa delle case non è così importante. Anzi, che se la tengano i Tassorosso.”
“Così alla nostra Prefetto viene un infarto.” Ridacchiò Peter. “A proposito, dov’è? Stamattina era davvero strana.”
“La piantate di molestarla?” frecciò Geky, notando come Potter girasse la testa e stringesse gli occhi nel “tentativo di beccarla. “Vi siete infilati in camera sua,  razza di maniaci.”
“Hey!” Sirius mise le mani in avanti. “Guarda che era solo uno scherzo. Non era certamente per infilarci nel suo letto. Non siamo mica dei pervertiti.”
“Parla per te…” se la ghignò James.
“Tu hai una bella ossessione che ti devi far curare. Quella ti farà finire male, se continui così.”
Era come parlare con un muro, perché quello nemmeno lo stava più ascoltando. Fissava la bella rossa che, solitaria, sistemava alcuni compiti accanto al caminetto. Settembre quell’anno si era rivelato particolarmente freddo e le fiamme lambivano già gli infreddoliti studenti ingobbiti sulle pergamene.
“Arrivano i gufi.” Mormorò Remus, quando una ventina di pennuti chiacchieroni planò oltre la finestra. Alcuni studenti si coprirono le teste con le borse. Meglio prepararsi ad ogni evenienza.
C’era sempre un brivido freddo ultimamente, quando la posta arrivava da casa. Non erano solo i mezzosangue a rabbrividire. C’era qualcosa di veramente marcio nella società, e quel qualcosa stava iniziando a piantare semi.
Erano lontani i tempi in cui la peggior notizia che una lettera potesse trasmettere fosse che erano finiti i fondi per comprare una scopa volante.
Rimanere lì, chiusi in quella bella bolla magica che era Hogwarts, spesso faceva loro dimenticare come stava andando il mondo. L’arrivo dei gufi sembrava riportarli alla fredda realtà.
Quello che fece incuriosire James Potter fu che la sua mezzosangue preferita non ebbe un brivido uguale a quello degli altri.  Una lettera le cadde vicino, e lei strinse i pugni. I suoi occhi diventarono freddi.
La vide portarsi al petto quel pezzo di carta e chiudere le palpebre per qualche istante.  Si alzò, si intascò la busta, diede un distratto buffetto al gufo reale e uscì dalla stanza.
Gli occhi vacui. Occhi persi in altro. Quasi…svuotati.
“Se ti dico che le rane sono pronte, la smetti di fissarla? Sembri davvero un maniaco.” Sirius lo riportò alla realtà. “Remus non dovrebbe scoprirlo. Si incazzerebbe un sacco.”
James sorrise.  Si incazzerà anche lei.
“Scommetto che si metterà a strillare.”
“Sai, Ramoso? Un tempo gli strilli femminili che ti eccitavano erano ben altri.” Sospirò Black, scuotendo i capelli. “E alle donne facevi altro, e non certo rovesciare loro in testa una secchiata di rane viscide e bavose.”
“Hey!” protestò  quello, indignato. “Non ho mica cambiato gusti, se per quello.”
“Ah sì?” gli occhi commiserevoli di Felpato erano sempre irritanti. “Davvero? Quand’è stata l’ultima volta che ti sei portato a letto una ragazza?”
Silenzio.
“Ecco, appunto. Guarda che stai peggiorando. Quella ti farà finire male.”
“Le uniche a finire male saranno quelle povere rane che le piomberanno in testa.” Sbottò James, colto sul vivo. “E ti assicuro che la mia vita sessuale non ha a che fare con Evans. Va più che bene.”
Se ne andò, mollando Sirius che gli aveva risposto con una sonora risata. Quel tipo era maledettamente sveglio, e sembrava conoscerlo meglio di chiunque altro.
Ma non aveva centrato il punto, non stavolta. Solo che… James ripensò seriamente alla sua vita al di sotto delle lenzuola. Nemmeno se ne era accorto che il suo letto era rimasto vuoto a lungo, negli ultimi tempi.
“Che bastardo.” Sibilò tra i denti, con un diavolo per capello.
Non voleva dire nulla, pensò, scivolando per i corridoi con in mano una certa mappa della scuola che a distanza di anni si sarebbe rivelata fondamentale per il mondo intero.
Non voleva dire proprio nulla.
 
 
 
“Dovevi proprio nominare la sua astinenza degli ultimi mesi?” Remus Lupin sospirò, schioccando a Black uno sguardo severo. “Ora chissà chi ci porta in camera.”
“A me non dispiacerebbe trovare qualche bella ragazza che gironzola nuda per la stanza.” Ridacchiò Minus. “A volte ti lamenti delle cose più strane, Rem Rem.”
“Non chiamarmi Rem Rem, tu!”
Sirius prese posto davanti ai compiti, sbuffando. Portava la camicia scollata e più di una streghetta ci avrebbe volentieri fatto un tuffo tra quei bottoni.
“Sta seriamente cominciando a preoccuparmi.”
“Oh, ma certo. Rischia l’osso del collo un giorno sì e l’altro pure ma quello che ti preoccupa è che non fa sesso.” Frecciò il lupetto, acido.
“Per carità.” Rimbeccò lui, sornione. “Già devo cercare di fermare la TUA, di astinenza.”
Remus arrossì come una ragazzina, ammutolendo.
“Oh, sì, non pensare che mi dia per vinto.” Tubò Black, ammaliatore. “La troverò prima o poi una che ti farà perdere la testa.”
“Se è come quelle che frequenti tu…” berciò Remus. “Sprechi solo il tuo tempo.”
“A volte non ti capisco, Lunastorta. Veramente. Potresti davvero davvero davvero divertirti, inizio a pensare che ti piacciano i ragazzi.”
“E io inizio a pensare che tu voglia una bella botta in testa.”
Non c’era proprio verso, pensò il malandrino, versandosi da bere. Uno aveva una ossessione feticista per l’unica ragazza che mai nella sua vita si sarebbe infilata nel suo letto e l’altro scappava  via ogni qualvolta provava un’emozione umana e normale.
Si ricordò di certi avvenimenti, che a saperlo un Serpeverde ci avrebbe fatto delle belle ghignate. Remus Lupin scappava dalle ragazze come se fossero fuoco vivo. Aveva infranto il cuore di più di una streghetta ma a quanto pare il principino portava una bella e indistruttibile cintura di castità che non avrebbe tolto nemmeno sotto tortura.
“Ti diventerà di piombo, se continui così.”
Si chiedeva veramente come facesse a resistere alle tentazioni. Lui non era mai stato capace di trattenersi e la lista delle signorine che facevano avanti e indietro dal suo letto sembrava non finire mai.
Improvvisamente, una lettera gli cadde sulle ginocchia e nel tavolo dei Grifondoro calò un silenzio carico di significati.
“Questa poi.” Si lasciò sfuggire Peter, adocchiando la bella scrittura che rilegava la busta. “La tua famiglia ti ha scritto.”
Il tavolo rosso e oro tremò. Sirius Black lo fece tremare solo con la forza della propria furia.
Fu un istante, e poi tornò tutto normale. Ma, sentiva addosso gli sguardi dei suoi compagni.
E non solo.
Stirò un sorriso diabolico e la lettera prese letteralmente fuoco tra le sue mani.
“Che spreco di tempo.”
“Stai bene?” Remus gli scoccò addosso uno dei suoi soliti sguardi da mamma apprensiva e Black si sentì soffocare.
Soffocava mentre tutti gli puntavano gli occhi addosso. Soffocava mentre la lettera si accartocciava su se stessa.
Non avevano ancora smesso di rompergli le palle, a quanto vedeva. E la cosa gli avrebbe rovinato l’intera giornata. Quasi rimpianse di non aver seguito James nel suo scherzo.
Scoppiò in una risata, battendo una mano sulla spalla dei suoi due compagni. Ma dentro tremava e, lo sentiva.
Al tavolo dei Serpeverde due bei paio di occhi lo fissavano in silenzio. Due freddi e grigi come la polvere, gli altri neri come carbone e incendiati di furore. Li avvertiva sulla schiena, implacabili.
E la distanza tra le due tavolate non gli sembrò mai così tanto breve.
 
 
Camminava con almeno una cinquantina di ranocchie che galleggiavano sopra la testa, stando attento a non incrociare nessun professore.
James Potter appariva ben strano, con il naso spiccicato sulla mappa del Malandrino e cinquanta esserini gracidanti che si beavano un bel giretto peri corridoi di Hogwarts.
La Prefetto gli aveva dato un bel da fare, visto che la stava seguendo da mezz’ora nel tentativo di beccarla in un posto che non fosse assediato dai professori.
Improvvisamente la vide svoltare nella guferia e un bel ghigno gli si affacciò sulle labbra.
In trappola, Evans.
Ed improvvisamente il suo cuore si mise a battere sul serio e fu solo con un immenso sforzo di volontà che si convinse che fosse solamente per l’ansia di fargliela pagare.
Salì le scale in preda a pensieri e sensazioni contrastanti, lottando contro se stesso come ogni qualvolta che gli capitava di trovarsi da solo con quella bellezza, quando qualcosa lo bloccò di colpo.
Stava immobile, affacciata alla finestra. Fissava il vuoto, tra le mani una lettera stropicciata.
Aveva gli occhi inondati di lacrime e per un istante James Potter credette davvero che lo stomaco gli si fosse strizzato dentro.
Piangeva.
Lily Evans piangeva veramente.
Era così preso di contropiede che il ginocchio gli si schiantò contro il rastrello che Gazza usava per pulire gli escrementi di gufo, facendogli uscire prima di accorgersi dell’errore, una imprecazione che fece scandalizzare tutti i pennuti lì vicino.
Mentre quelli iniziavano a tubare come dei pazzi, la bella rossa si voltò di scatto e nei suoi occhi sgranati ci fu qualcosa che gli fece perdere il senso delle cose.
L’incantesimo si interruppe e cinquanta rane gli piovvero in testa con un rumore viscido, inondandolo di bava.
“Oh, cazzo. OH, CAZZO.” James Potter saltellò su un piede solo, scrollandosi di dosso le ultime rane rimaste, rendendosi conto di apparire immensamente ridicolo e ringraziando il cielo di non essere in pubblico.
“P-Potter.”
Rimase immobile, con una rana sulla testa, a fissare Lily Evans e la sua espressione indecifrabile. Le lacrime le rigavano ancora il viso, e i suoi begli occhioni erano due palle verdi talmente erano spalancati.
Doveva sembrarle incredibilmente deficiente.
Trasfigurò le rane e la bava, tirando giù le peggio bestemmie, ma a quanto pare tirar fuori la bacchetta in quel momento non fu una delle sue idee più geniali perché la rossa sibilò come una gatta incazzata e lo schiantò al terreno con un incantesimo.
Si ritrovò a gambe per aria nel giro di due minuti ma non era certo uno che si faceva schiantare in quel modo.
Con un colpo di reni si risollevò in aria e parò un altro incantesimo che gli stava finendo dritto nello stomaco.
Lily Evans aveva gli occhi freddi.
“Ma cosa diavolo ti è preso?!” gli ringhiò contro il malandrino, mentre quella ansimava.
“Che cosa accidenti ci fai qui?” la voce della Evans avrebbe gelato l’inferno e per un istante lo paralizzò. Era rabbia, rabbia pura.
“Io…” Potter balbettò. Il grande James Potter che balbettava. “Io ti stavo cercando e…ti ho vista piangere...”
Mossa sbagliata.
“Mi stavi cercando?” la rossa gli scacciò contro un ghigno amaro e gelido. “Vuoi farmi un altro scherzo idiota, James Potter? Pensi davvero che non abbia la forza per spedirti da dove sei venuto?”
“Io…no! Cioè, sì, era uno scherzo ma…”
“D’altronde io sono questo per te, no?” la voce della Evans salì di qualche ottava. “Una sporca mezzosangue, una che non vale nulla!”
Black out.
Cosa?!
“Non ho bisogno di te e nemmeno delle tue cretinate!” Lily Evans iniziò a strillare. “Pensi di potermi battere come se fossi una bambina, pensi che solo perchè io sia una mezzosangue tu possa davvero fare di me ciò che desideri…” Alzò il braccio, perdendo il controllo. La sua bacchetta scintillò. “BEH, ORA LO VEDRAI.”
James Potter scattò senza pensare. Buttò la bacchetta a terra, le corse incontro. Le afferrò il braccio nel giro di pochi secondi, e un incantesimo sfrecciò verso il lampadario, facendo esplodere le sue lampadine.
La schiantò contro la parete bloccandole le braccia e immobilizzandola con il suo corpo.
Lily Evans rimase ferma, assurdamente sorpresa. Ansimarono entrambi e si fissarono negli occhi ma…
Non si mossero.
James poteva sentire ogni centimetro del corpo della Grifoncina pigiato contro di lui. Ma lei non si muoveva. Non si ribellava più. Le lacrime le si stavano asciugando sulle guance, creando striscioline salate sulla pelle.
Il suo cuore batteva all’impazzata. Lo sentiva attraverso la sua camicetta.
Rimasero così, fermi, ansimanti. Si fissavano negli occhi e per un folle momento il mondo parve girare al contrario.
Poi sentì sotto le dita lo stropiccio della lettera. Lei sgranò gli occhi, e improvvisamente si fece fredda.
James si allontanò da lei. Nelle mani stringeva la busta.
“Dammela subito.”
“No.”
Perché aveva detto no? Non si era neanche accorto di avercela tra le mani. Ma ora era lì, e qualcosa gli ronzava nella testa. Lei fece per afferrarla ma lui meccanicamente alzò il braccio.
Gli occhi di lei si fecero di nuovo rossi e James Potter si maledì per quel gesto da bastardo. Ma, era più forte di lui.
“Fa come ti pare.” Gli sibilò la rossa, superandolo e sbattendosi la porta alle spalle.
Le aveva fatto del male. Se ne rese conto appena la sentì fuggire via. La lettera che l’aveva letteralmente distrutta sembrava scottare tra le sue mani. Perché l’aveva presa? Perché non gliel’aveva ridata?
La fissò con una strana sensazione. Disagio, sconfitta. Vuoto dentro.
L’aveva ferita, pensò, fissando la porta da dove era scomparsa. Sembrava non saper fare altro che ferirla.
 
 
 
 
 
 
Il fuoco brulicava nel caminetto. Ondate di lava si riverberavano sul volto asettico di una stanza raffinatamente intagliata nel marmo. Pesanti tende color porpora, qualche comodino di pregiata fattura.
Il buio creava solchi difficili da ignorare. Il buio era ovunque, in piccoli filamenti di seta nera. Sui muri, sui freddi quadri.
Un bicchiere scintillava tra due mani pallide. Mani di donna.
Il rossore del vino che sorseggiava come una vampira era pari a quello della bocca rigida, severa. C'era una pienezza sensuale in quella bocca, ma era dissipata da rughe sottili attorno alle guance.
Appoggiò il vino sul tavolo, stringendosi il colletto in pizzo attorno ad un collo. Occhi bruni, sadici. Vacui come quelli di un ragno.
E come un ragno, l'uomo al suo fianco tesseva le sue ragnatele attorno al pallido spettro che era diventata Hogwarts.
Il suo compagno era avanti con l'età, ciò nonostante conservava ancora soffici capelli neri, tagliati corti, qualche filo bianco sulle tempie. Aveva il corpo rigido come uno stocco, ed occhi freddi che sapevano di pioggia, di quel tipo di pioggia che fa annegare i bambini.
Il signor Black non era mai stato mal vestito. Mai.
C'era un sottile gioco nel mondo, e lui sapeva coglierlo: abiti costosi promettevano costosi affari. E lui la conservava bene quell'immagine velata di sé, di eleganza, alterigia, tanto che gli era rimasta appiccicata fino al letto, quando la sera si coricava.
Indossava in quel frangente una morbida tunica di seta blu, intarsiata di filamenti verde rame.
Walburga era invece un bozzolo di compostezza. Una veste neutra rigidamente allacciata, capelli raccolti in una stretta crocchia.  Solo la bocca dava ancora l'immagine della strepitosa e florida bellezza del suo passato. Ora era lo spettro di quei tempi: lo sguardo arricciava e si infiammava come quello di una folle, in modo così sottile che solo avvicinandosi se ne aveva la percezione.
Ma quella sera, era più acceso che mai.
"Giochi un gioco pericoloso." sibilò.
Il marito non diede segno di averla sentita. Fissava il fuoco, assorto. All'ultimo istante, le rivolse un pigro sguardo.
"Sulla scacchiera ci sono stato messo a forza."
"Ciò non toglie che ti piaccia."
"Piace ad entrambi, mia cara. Sapevamo che sarebbe accaduto."
"Consiglierei solo di usare prudenza." la donna mosse piano la testa, come un serpente. "Non è gente con cui si può agire d'impulso. Ti stai facendo nemici pericolosi."
"Quella gente sarà cenere prima che possa anche solo sfiorare la mia veste."
"E chi sarà ad accendere la miccia?"
Un brivido intenso. Sapevano chi sarebbe stato. Lo sapevano da tempo.
Lui.
"Lui...non si può deludere." Il signor Black parlò piano. Quel nome andava sussurrato piano.
"E quando il mondo andrà in fiamme, sarà bene essere dall'altra parte dell'incendio."
Walburga scrollò il capo all'indietro e scoppiò a ridere. C'era una presenza strana nella sua risata. Walburga sembrava costantemente infuriata.
"E finalmente non sentirò più quel terribile fetore!"
"Il fetore dei babbani scomparirà anche prima di quello dei nemici." Orion Black ghignò. "Sono bestie al macello."
La risata di lei finì.
"In ogni caso..." una voce fredda. Quella di una donna morta. "Sarà bene eliminare dal nostro cammino...inconvenienti spiacevoli."
Un guizzo di odio, fastidio e rammarico negli occhi placidi del marito. Non le rispose ma la donna non aveva voglia di chiudere ancora il becco su quell'argomento.
"Ti ricordo che tu hai altri figli. Non credo nel tuo piano, mio caro. Quel ragazzo è perduto."
Lui si alzò, solleticandole il mento.
"A volte mi domando di chi tu sia figlia. Di un demonio." Ma lo disse con un sorriso ghiotto, di chi scopre le caramelle più buone nella zuccheriera. Lei sorrise brevemente. Una parodia di felicità.
"Da quando ti importa di un traditore? Non farmi una paternale inutile, perchè provi quello che provo anche io. Non devi provare, e di certo non provi, sentimenti nel petto verso chi ti ha sputato in faccia il tuo nome come se fosse sterco."
"Ciò non di meno, mi importa proprio di quel nome. Saperlo in uno schieramento...inadeguato...è per me motivo di imbarazzo. Sono delicate situazioni, mia cara. Basta un leggero tocco di ali per uccidere una falena."
La mano si strinse attorno al bicchiere.
"Il nome dei Black dev'essere sempre sulla bocca di chi ci teme. Non tollero che sia inquinato da azioni sconsiderate. E poi..." La rivolse una gelida carezza. "E' dal tuo grembo che è uscito. Deve avere, da qualche parte, il tuo temperamento. Quello di cui abbiamo bisogno." La carezza si irrigidì sulla gota bianca della donna. "E glielo tirerò fuori. Dovessi strappargli il cuore."
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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