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Autore: heliodor    22/11/2017    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La carovana

"Strega rossa, strega rossa" gridarono gli albini radunati attorno al titano.
Joyce, dall'alto della sua posizione, guardò la piazza riempirsi di gente.
Non c'erano solo gli albini, ma anche la popolazione di Mar Qwara era accorsa per godersi quello spettacolo.
Tra di loro c'erano Rafi, Sefu e Chare.
Darran emerse dalle viscere del titano di Dume. Passò attraverso il foro che Joyce aveva creato in uno dei suoi attacchi.
"Avevi ragione" disse raggiungendola in volo.
Dalla folla si levò un gridò selvaggio di approvazione a quella vista.
Darran sembrava sorpreso ma salutò agitando una mano.
Quando raggiunsero il gruppo di albini, la polvere si era depositata e ora i due titani erano bene in vista.
Qualcuno li stava già esaminando da vicino, vincendo la paura.
Sefu fu il primo a raggiungerli. "Mai avrei immaginato di assistere a una battaglia simile" disse a Joyce.
Lei sorrise imbarazzata.
Quindi arrivarono Rafi e Chare.
L'abina abbracciò Darran, che la ricambiò con un lungo bacio appassionato.
Dafina, Kwame e Obasi giunsero poco dopo.
"Arrestatelo" ordinò Obasi infuriato vedendo Chare nelle braccia di Darran. "È uno stregone."
Nessuno si mosse.
"Non avete sentito?" Disse Obasi con gli occhi pieni di furore. "Avete visto anche voi di che cosa è capace."
"Lo hanno visto tutti" disse Sefu. Guardò Dafina, che sospirò.
"Credo che le cose dovranno cambiare" disse l'albina.
"Madre" fece Obasi. "Tu sei con loro?"
"Io sono con il buon senso" disse Dafina. "Quello che a te manca."
"Ma Darran è uno stregone."
"E ha salvato Mar Qwara" rispose la madre. "Vuoi chiedere a questa gente di arrestarlo? Fallo pure, ma ti sorprenderà sapere quanti di loro non sono d'accordo."
"È la legge."
"Le leggi cambiano. Questo è un buon momento per farlo."
Dai rottami emerse Dume.
Venne trasportato a braccia da due albini. Era ricoperto di ferite e sanguinava, ma era ancora vivo.
Venne fatto inginocchiare davanti a Sefu e Dafina.
"Ho perso" disse Dume. "Mar Qwara non sarà mai più splendida come lo era una volta."
"È quello che tutti noi vogliamo" disse Sefu. "Solo che tu hai scelto il modo sbagliato per farlo" aggiunse. "Vecchio amico."
Dume sputò nella sua direzione. "Non chiamarmi amico. Tu sei un traditore. Come quella strega" indicò Dafina. "Volete la fine di Mar Qwara."
"Portatelo via" disse Dafina.
Dume venne trascinato via.
"Che cosa gli farete?" chiese Joyce.
"Lo attende l'esilio a Krikor, se sarà fortunato" disse Sefu. "O la morte, se il consiglio sarà pietoso nei suoi confronti. In ogni caso, non sentiremo mai più parlare di lui."
"E adesso?" chiese Chare.
"Ora torniamo alla torre del circolo. Ci sono alcune cose da discutere."
 
Sefu aveva ragione. C'erano parecchie cose di cui parlare.
Una era il compendio di Zanihf.
Joyce raccontò a Sefu che una donna l'aveva preso, ma non disse che era Lindisa per non mettere in pericolo suo fratello.
Sefu l'ascoltò e si limitò ad annuire, ma era certa che avesse intuito che non stava dicendo tutta la verità.
Chare non sapeva il nome della donna ma confermò le parole di Joyce.
Dafina convince Obasi a tornare nella sua residenza in attesa che il consiglio si pronunciasse sui punti all'ordine del giorno.
"Io non tornerò da lui" disse subito Chare.
Dafina annuì in modo grave. "So che Obasi ha un carattere difficile da trattare..."
"È un uomo arrogante e violento" disse Chare. "E stupido."
Dafina sospirò. "So anche questo e speravo che avendoti al fianco lo calmasse, ma non ha fatto altro che acuire i suoi problemi. A questo punto me ne dovrò occupare di persona."
"Vuol dire che sciogli il mio matrimonio?" chiese Chare speranzosa.
"Non ho questo potere, solo il consiglio può. Ma posso mettere una buona parola."
"Io posso fare molto di più" disse Sefu. "E lo farò. Ora che Darran è un eroe per molti albini e la popolazione, sarà tutto più facile."
"Il re è stato avvertito?" chiese Rafi.
"Nessuno è riuscito a trovarlo. Si è nascosto dopo l'inizio dell'attacco."
"Penso" disse Rafi. "Che dovremo parlare di una sua abdicazione a favore del figlio."
Sefu aggrottò la fronte. "Ci stavo giusto riflettendo."
Tra i due ci fu uno sguardo d'intesa.
Joyce, che presenziò a quelle riunioni, si tenne in disparte. In fondo erano affari interni al regno di Mar Qwara e lei non aveva il diritto di metterci bocca.
Tutti i suoi pensieri erano rivolti alla ricerca di una carovana che la portasse via di lì, verso Nergathel dove forse una faccia amica l'attendeva.
Contava di partire entro un paio di giorni al massimo.
Darran aveva raffreddato le sue speranze. "I mercati si terranno lontani per almeno un paio di settimane, forse tre."
"Non posso aspettare tutto quel tempo" si era lamentata lei.
"Sarai nostra gradita ospite, strega rossa."
"Per favore, almeno tu potresti evitare di usare quel nome?"
Lui le rivolse un sorriso accattivante. "È così che ti chiamano gli albini. Sei diventata famosa. Molte streghe e anche qualche stregone si è fatto tingere di rosso i capelli per assomigliarti."
"Questa poi..."
"E non è tutto."
"C'è del'altro?"
Lui sorrise e annuì.
"Dimmelo" lo esortò lei.
"Abbi pazienza e lo vedrai da sola."
Dovette attendere un paio di giorni. Prima di allora apprese che Faiza e le altre donne erano al sicuro a palazzo.
Joyce volle andare subito da loro per vedere come stavano.
Faiza l'abbracciò e la strinse. "Grazie di tutto, Sibyl di Valonde."
"Ora tornerai a casa?"
Lei annuì. "Anche le altre verranno con me."
Le donne vollero salutarla. Ci furono abbracci calorosi e strette di mano. Un paio arrivarono a inginocchiarsi davanti a lei.
"Liberatrice di schiavi" dissero cercando di baciarle il lembo della tunica.
Joyce fece un passo indietro, sorpresa da quel modo di fare.
Darran, che assisteva alla scena, non riuscì a trattenere un sorriso davanti al suo stupore. "È così che adesso ti chiama il popolo di Mar Qwara."
"Io non ho liberato nessuno schiavo."
"Lo hai fatto invece."
"No."
"Faiza e le sue compagne, tanto per cominciare."
"È stato solo un caso. Chiunque avrebbe fatto lo stesso."
"Qui non è così scontato. E quelli che lavoravano nella montagna."
Apprese allora che Mosi e gli altri guerrieri avevano riportato in città i lavoratori e si era sparsa la notizia che fosse stata lei a liberarli. Da lì avevano iniziato a chiamarla liberatrice di schiavi.
Questo, in aggiunta a strega rossa, che invece andava di moda tra gli albini, non fece altro che confonderla ancora di più.
C'era ancora la questione sugli schiavi da risolvere. Molti albini non volevano privarsene, ma la linea scelta da Sefu era chiara. La schiavitù doveva cessare e alla svelta.
Darran ropose di trasformare gli schiavi in lavoratori e domestici. "Li pagheremo e bene per i loro servigi" disse. "Si trasferiranno in città con le loro famiglie, se lo vorranno. Questo per i primi tempi dovrebbe bastare. Ovviamente saranno a carico degli albini che serviranno."
Tutti furono d'accordo.
L'ultima questione riguardava la montagna sacra e qui Joyce venne interpellata da Sefu e gli altri.
"Dobbiamo decidere che cosa fare degli automi di Zanihf" disse Sefu aprendo la riunione.
Per Joyce la soluzione era semplice. "Sigilliamo il santuario e la montagna, se necessario."
"Non prendiamo decisioni affrettate" disse Dafina.
Chare aveva preso la parola. "Il rischio è troppo grande." Darran era seduto accanto a lei e i due si tenevano per mano.
"Dico solo che abbiamo molto da imparare da quello che c'è nella montagna."
Tutti guardarono Joyce. "Se Alban e i suoi hanno deciso di seppellire quel posto, c'era sicuramente un motivo. Un ottimo motivo. E lo abbiamo visto tutti. Vuoi che un altro titano o qualcosa di peggio attacchi Mar Qwara?"
La domanda aleggiò tra i presenti come un fantasma.
Fu Sefu a riprendere la parola per dire: "Io mi fido di Sibyl. E sono d'accordo con lei. Quello che si trova nella montagna è troppo pericoloso e lì deve rimanere. Nessuno di noi sarà mai pronto per gestire un simile potere."
Joyce ne aveva avuto un assaggio e le era bastato. Le era bastato mettersi alla guida del titano per percepire la folle ebbrezza di quel potere. Aveva vacillato sulla proposta di Dume e le era servita tutta la sua forza di volontà per rfiutare quella idea folle. Eppure in quel momento non le era sembrata così impossibile.
Con il potere dei titani poteva ribaltare le sorti della guerra.
Si chiese se anche gli altri maghi supremi non avessero delle armi nascoste nei loro santuari.
Sapeva che ai tempi della grande guerra ne erano esistiti nove. Zanihf era solo uno di loro. Ce n'erano altri otto il cui potere era ancora celato nei rispettivi santuari.
E Lindisa aveva il compendio.
Quella era una questione aperta e avrebbe dovuto pensarci lei. Doveva trovare Galef, perché era certa che così avrebbe trovato anche la strega.
Ma come fare? Da dove partire?
Il vecchio continente era enorme e in quel momento la strega poteva essere ovunque.
Per ora doveva accantonare quel problema.
Decise di accettare la proposta di Darran e si concesse qualche giorno di riposo come ospite a palazzo.
Trascorse la maggior parte del tempo a leggere approfittando della biblioteca reale e si concesse delle lunghe passeggiate nei giardini.
Erano più piccoli di quelli di Valonde, ma pur sempre un luogo fresco e rilassante che la isolava dalla calura spesso insopportabile di Mar Qwara.
Col passare dei giorni recuperò le forze sia fisiche che mentali, iniziando ad apprezzare il ritmo lento con cui si viveva a palazzo.
Le sembrava di essere tornata a Valonde, al tempo che aveva preceduto la guerra e tutto quello che era successo dopo. Quel ricordo le provocò una fitta dolorosa allo stomaco.
Non poteva smettere di pensare a quelli che aveva lasciato e non poteva abbandonarli. In qualche modo doveva ricongiungersi con suo padre e sua madre, con i suoi fratelli, con Bryce e Vyncent e Oren e...
Immersa in quei pensieri era tornata nella sua stanza e si stava preparando per la notte. Stava per togliersi la tunica e indossare la vestaglia, quando aveva colto un movimento alle sue spalle.
Per un attimo pensò a Darran che si era reso invisibile per farle uno scherzo, ma poi pensò che il principe non si sarebbe mai introdotto di nascosto nella sua camera.
Quel modo di fare era eccessivo anche per lui, soprattutto ora che stava con Chare.
Si voltò di scatto e vide l'ombra prendere forma vicino al letto.
Lo riconobbe subito.
Era Robern.
"Tu" disse sorpresa nel vederlo apparire all'improvviso, come un fantasma.
"Sempre più brava la mia maghetta" rispose esibendo lo stesso sorriso sornione della prima volta.
Joyce dimenticò all'istante tutto ciò che stava facendo. "Che cosa ci fai qui?"
"È stato difficile rintracciarti, ma alla fine ci sono riuscito."
"Il tuo portale mi ha quasi uccisa."
"Non era il mio portale, anche se ammetto di avere interferito."
"Spiegati meglio."
"Il sigillo usato da Wena ti avrebbe portata da Malag in persona o da un suo tirapiedi. Comunque molto vicina. Non potevo permetterlo."
"Perché no? Che cosa ti importa?"
"Ho investito molto su di te, Joyce di Valonde. O dovrei chiamarti Sibyl, la strega rossa? Anche liberatrice di schiavi non è male."
"Smettila."
"Ti stai facendo un nome. Tra poco i marinai ubriachi canteranno le tue gesta in tutte le bettole del vecchio continente."
Joyce faticò a trattenere l'indignazione. "Non perdiamo tempo in chiacchiere. Hai un portale che possa trasportarmi da mio padre?"
"In verità sono qui per la tua ricompensa."
"Voglio andare a casa" disse Joyce.
"Purtroppo non ho questo potere e credimi, non lo vorresti. E poi non troveresti quasi nessuno ad attenderti."
"Che cosa vuoi dire?"
"Dopo l'attacco sono partiti quasi tutti per il vecchio continente. Tuo padre guida l'alleanza che metterà fine al regno di Malag. O almeno questa è la speranza di tutti. Se devo essere sincero, io non condivido tutto questo ottimismo."
"Perché no?"
"Perché ho visto Malag sopravvivere a cose molto peggiori."
Joyce voleva credergli. Voleva credere che suo padre e i suoi fratelli fossero lì nel vecchio continente per combattere contro Malag. Questo rendeva le cose più semplici.
"Dimmi dove sono."
"La flotta è sbarcata da qualche parte nelle vicinanze di Odasunde."
Quel nome non le diceva niente, ma poteva cercarlo più tardi.
"Cercalo pure" disse Robern anticipando i suoi pensieri. "Ma non ti servirà a molto. Sono notizie vecchie di settimane e a quest'ora potrebbero essere ovunque."
"Settimane?" fece Joyce sorpresa.
Robern annuì.
"Ma io sono qui da pochi giorni."
"I portali non ti consentono solo di viaggiare da un luogo all'altro. Più è lontano il posto dove vuoi andare, più tempo passa per tutti gli altri. Sei stata via settimane, anche se per te il viaggio è stato istantaneo."
"Ma le altre volte..."
"Ti sei spostata di poche miglia. Mar Qwara ne dista diverse migliaia da Valonde. Fai tu due calcoli."
Joyce sentiva la testa girarle. Erano passate seettimane da quando era stata portata via da Valonde. Che cos'era accaduto in tutto quel tempo?
In quel momento non riusciva a pensare ad altro.
"Parlavi di una ricompensa, no? Portami a Odasunde, non ti chiedo altro."
Robern sorrise. "La tua ricompensa è già in viaggio e arriverà tra un paio di giorni con una carovana."
"Io non voglio la tua ricompensa. Voglio andare da mio padre."
Il sorriso di Robern si allargò. "Credimi. Quando scoprirai di che si tratta mi ringrazierai."
"Non succederà."
Robern scomparve.
Joyce rimase da sola a fissare il punto in cui si trovava l'uomo e trasse un profondo sospiro. "Odasunde" disse a bassa voce, come a voler ricordare quel nome.
Ripose la vestaglia nell'armadio e scese di un paio di livelli, dove si trovava la biblioteca. Andò alla sezione che trattava di geografia e cercò un volume che poteva esserle utile.
Trovò la "Guida per viaggiatori del vecchio continente" di Metha Erolor e lo sfogliò.
C'erano delle belle cartine e un indice analitico di tutti i luoghi alla fine del libro.
Trovò Odasunde. Era una città che si trovava su una penisola a sud del continente. Da lì partiva una strada che si dirigeva a nord e dopo poche miglia si divideva in due. Una procedeva lungo la costa e l'altra verso le montagne.
Era distante da Mar Qwara, quasi dall'altra parte del continente. In mezzo c'erano catene montuose, foreste, vallate e una dozzina di regni.
Joyce sospirò di nuovo e chiuse il libro.
Era impossibile raggiungere Odasunde a piedi. Forse se avesse trovato un passaggio verso un porto e poi da lì, su una nave...
Ma quanto tempo le sarebbe occorso?
Settimane solo per attraversare il deserto. Poi altre settimane per trovare una nave e altre settimane per raggiungere Odasunde via mare.
Voleva dire mesi e nel frattempo suo padre e il resto dell'alleanza avrebbero potuto trovarsi ovunque.
Senza un portale di Robern quel viaggio era impossibile. Eppure doveva provarci.
La prossima carovana sarebbe giunta tra un paio di giorni portando la sua 'ricompensa'. Bene, si disse. Ne approfitterò per lasciare Mar Qwara e iniziare il viaggio.
Non importava quanto fosse distante la meta. Lei ce l'avrebbe fatta, lo sapeva.
I due giorni promessi da Robern trascorsero senza che nessuna carovana giungesse in città.
Ogni giorno Joyce era scesa dalla torre e si era avventurata tra le strade per raggiungere la piazza del mercato, dove le carovane provenienti da fuori facevano tappa per scambiare merci e procurarsi i rifornimenti per proseguire il viaggio.
Nessuno aveva visto la carovana promessa. In effetti non se ne vedeva una da quasi venti giorni.
"Ma stanno per arrivare" le promise un mercante. "Liberatrice di schiavi."
Anche lui la conosceva?
Quasi tutti quelli che incontrava si inchinavano al suo passaggio e cercavano di baciarle il lembo della tunica.
Nessuno però osò mai toccarla o impedirle di proseguire quando si scostava o li evitava. Si limitavano a ringraziarla e proseguivano per la loro strada.
In breve ci fece l'abitudine.
All'alba del terzo giorno lasciò la torre senza tante speranze e raggiunse la piazza del mercato. Notò subito l'agitazione che si respirava in giro.
"Sta per arrivare una carovana" le disse un mercante. "Due cavalieri l'hanno avvistata a poche miglia a sud."
A sud, pensò Joyce. C'è la strada che porta alla costa meridionale del continente. Lì ci sono i maggiori porti. Se la carovana viene da lì, difficilmente tornerà indietro ma proseguirà verso nord, dove ci sono i mercati migliori.
Addio speranza di raggiungere Odasunde via mare. Stava già ripensando al tragitto da fare, quando la testa della carovana giunse in città.
Si trattava di un convoglio di trenta carri trainati da cavalli.
Un centinaio di mercanti viaggiavano al seguito, insieme a un altro centinaio di persone tra soldati di scorta e semplici pellegrini.
Molti erano attratti dai santuari che si trovavano a nord del continente e avrebbero proseguito, con quella carovana o aggregandosi a un'altra.
Alcuni erano diretti proprio a Mar Qwara.
Altri ancora erano lì solo per caso e si erano uniti alla carovana solo perché viaggiando in gruppo si era più sicuri.
Il deserto era infestato da predoni che non aspettavano altro che imbattersi in una carovana senza scorta.
I mercanti aprirono i loro carri e depositarono la merce nella piazza, in modo che tutti potessero vederla. Si trattava per lo più di vasi di terracotta pieni di sementi, spezie e pigmenti per colorare i vestiti, tutta roba che a Mar Qwara scarseggiava.
I mercanti locali l'avrebbero scambiata con pigmenti prodotti in città, frutta secca e vasellame di cui erano abili produttori.
E pezzi dei titani.
Il saccheggio dei due giganti era iniziato quasi subito dopo la fine dello scontro.
I soldati di guardia avevano cercato di porre un freno a quel fenomeno, ma era stato inutile. Gli sciacalli attendevano il buio per entrare in azione. Un gruppo distraeva le guardie e gli altri si gettavano sulle carcasse dei mostri di metallo, portando via tutto ciò che potevano.
I ragni, più piccoli e trasportabili, venivano venduti interi e il prezzo era più alto se ancora integri.
Le pietre d'attivazione, ora dei neri pezzi di cristallo, erano il reperto più ricercato dai mercanti, che ne acquistarono decine prima di ritenersi soddisfatti.
Molte di quelle pietre sarebbero finite in qualche collezione privata o al collo di qualche ricca nobildonna del nord.
E ce n'erano ancora migliaia sparpagliate in giro.
Mar Qwara aveva già conosciuto un simile commercio, perché ogni tanto il deserto o uno scavo restituivano una di quelle bizzarrie, ma con la battaglia scatenata da Dume ora era diventato la maggior fonte di ricchezza e di richiamo per la città.
Non sarebbe passato molto tempo prima che altri mercanti, attirati dalla notizia, si mettessero in viaggio per scambiare i loro prodotti con quelli di Mar Qwara.
La città sarebbe rifiorita?
Darran e Sefu ne dubitavano, ma almeno per un po' Mar Qwara sarebbe diventata di nuovo una tappa fondamentale nei traffici del vecchio continente e chissà, quello poteva davvero portare a una rinascita.
Joyce osservò distratta le trattative, chiedendosi quale sarebbe stata la sua ricompensa e come l'avrebbe ottenuta.
Le prime due erano state altrettante chiavi, ma le aveva perse entrambe e ancora non aveva idea di quali porte aprisse quella dorata.
Se fosse riuscita almeno a recuperare quella...
Uno dei carri si fermò al centro della piazza e il suo conducente, un uomo con una lunga barba bionda e occhi chiari che stonavano tra gli incarnati scuri dei suoi compagni, attirò l'attenzione dei presenti con ampi gesti del braccio.
"Venite, svelti, datemi una mano" disse facendo accorrere una mezza dozzina di persone.
Dall'interno del carro venne portata fuori una lettiga sulla quale avevano adagiato qualcosa.
Guardando meglio Joyce notò che si trattata di un corpo. Era assicurato con delle cinghie di cuoio in modo da poterlo trasportare facilmente.
Spinta dalla curiosità Joyce si avvicinò facendosi strada tra la folla di curiosi che si stava radunando attorno al carro.
"L'ho trovato che vagava nel deserto" stava dicendo l'uomo barbuto. "Era messo davvero male, poverino."
"Forse è un predone."
"Ha la pelle chiara" disse il barbuto. "Tu hai mai visto un predone che non avesse la pelle scura e gli occhi neri come la notte?"
L'altro scosse la testa.
"Fate piano" disse il barbuto a quelli che stavano alzando la lettiga. "Portatelo da un guaritore."
"Il vecchio Zafen" suggerì qualcuno.
"Meglio Aysha, la guaritrice" suggerì qualcun altro.
Joyce lottò per avvicinarsi di più e poter guardare da vicino. Arrivò quasi a spingere via chi si trovava sulla sua strada, ma quando si accorgevano di lei le persone si facevano da parte.
In breve si aprì un varco e lei poté raggiungere la lettiga dove giaceva il ferito.
Avvicinandosi notò i capelli castani arruffati e i lineamenti poco marcati. Aveva gli occhi chiusi e la barba lunga di un paio di giorni, ma non aveva bisogno di altro per riconoscerlo.
Adagiato sulla lettiga c'era Oren.

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