INNO
Operaio instancabile,
scrupoloso e di ghiaccio
quanto il cuore e le viscere
che hai di bronzo e ferraccio,
tu, per quanto sia scomodo
a mortali e immortali
somministri puntuali
le tue eterne virtù.
Neri sono i tuoi abiti,
come la nera Notte,
tua madre quieta e vergine.
Sul viso il velo inghiotte
particolari linee;
non somigli a nessuno
e somigli a ciascuno,
o tristo mietitor.
Ti adorni di papaveri
come usa tuo fratello,
Giustizia dei secoli,
sei Tempo senza appello.
Leggero, fluttui in aria,
testimone del mondo;
paziente e mai iracondo
le genti scruti e i re.
Come in giugno si mietono
le messi, tu la vita,
matura e favorevole,
la tranci e fai finita.
Se acerba invece, subdolo
stilli gocce di fiele,
spacciandolo per miele
in bocche ancora in fior.
Allora in mani tènere
belle farfalle accogli,
diafane e impareggiabili.
Sereno non t’imbrogli
delle fogge dissimili.
Tutte sono tuoi frutti;
li cogli belli e brutti
e problema non c’è.
Hai il cuore imperscrutabile,
in te non c’è colore:
né quella gioia tipica
del fiero vincitore,
allorquando le vittime
tremano di spavento
percependo il tuo avvento
e l’abisso al di là.
Nè l’acquiescenza docile
di chi è stato sconfitto,
per quanto sia infallibile,
quando nel tuo tragitto
chi non teme le tenebre
sfiori; questi s’aggrappa
fervente alla tua cappa
trionfante su di te.
Il paradiso immagina,
dove lo condurrai;
povero stolto, ingenuo.
Ma alla pietà mai
cede il tuo volto cinico.
Sei d’accordo col Fato;
così è da sempre stato,
così sempre sarà.
O Morte, ti canto umile;
qualunque sia il tuo piano
non tingerti di macabro.
Quando l’animo è sano,
sa bene che può esserti
incurante; né vinto,
né vincitore finto,
solo attende svanir.
In polvere trasformami,
immobile destino,
quando sarà fatidico.
Lo spirito perfino
converti in nulla cosmico.
Lasciami divenire
tuo pari, cupo sire,
rimedio d’ogni mal.