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Autore: iamnotgoodwithnames    24/11/2017    2 recensioni
"Al cuore non si comanda, non c’ha mai creduto ai modi di dire, non li ha mai voluti prendere neppure in considerazione, assurde frasi dette, ripetute così tante volte, da così tante bocche diverse, da perdere significato; da diventare banali cliché.
Eppure, alla fine, c’è rimasto incastrato anche lui in uno stupido cliché.
Al cuore non si comanda, si ripete, cercando di perdersi nel buglio di sogni che non sono mai piacevoli, cercando di dimenticare che, suo malgrado, la sua intera vita, per colpa di due iridi d’un pungente azzurro cielo, è diventata un banalissimo, insopportabile, cliché."
[Theo x Liam][Introspettiva][Slow Build][Spoiler!6A][Slice Of Life][Missing Moments][OC][OFC x Greenberg / Mason x Corey]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Corey, Liam, Liam Dunbar, Mason, Nuovo personaggio, Theo Raeken
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonbeams Bonds'
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~ Chapter Fifteen :  I  Wanted To Be A Better Adversary To The Evil I Have Done ~

 
(piccolissimo consiglio "scenico" , verso la fine, se volete, ci sarebbe una canzone da ascoltare : https://youtu.be/JDZaiM8oAOU)


Non chiude mai la porta, è un difetto che Theo cerca da mesi di correggerle, ma la giovane ribatte dicendogli che nessuno proverebbe a derubarli e che, inoltre, si fida e la chimera non riesce, e non riuscirai mai a capire, che genere di follia affligga Esmeralda; come può fidarsi del quartiere in cui vive?
Cerca di essere silenzioso, richiudendosi piano la porta alle spalle, ma la fioca luce bluastra che illumina il volto della castana rischiara l’intero ambiente circostante.
La gitana issa la schiena, poggiandosi contro le fredde lamine di metallo che rivestono la roulotte, 
osservando Theo muoversi lentamente, sedersi al materasso dandole le spalle, senza neppure curarsi di cambiarsi i vestiti o togliersi le scarpee e l’odore pungente della preoccupazione satura l’aria


“cos'è successo?”


La chimera serra i pugni al bordo del letto, stringendo lembi di lenzuola ed Esmeralda inspira, poggiandogli una mano tra le scapole, è calda, così calda da sembrare fuoco ardente, innaturalmente calda, supera la temperatura corporea umanamente possibile e pizzica, come piccole scintille che esplodono in quell’esatto punto cui sono poggiate le esili dita, così fastidiosamente da costringere Theo a ritrarsi dal contatto e voltarsi, istintivo, a controllare che non stia andando davvero a fuoco


“vuoi parlarne? – lo incita dolcemente la giovane, incrociando le gambe –  sei teso”


Theo ha smesso di chiedersi come faccia a notare ogni singola emozione e ha smesso persino di sospettare che nasconda sovrannaturali segreti, ne è quasi certo, perché c’era qualcosa di inumano in quel tocco e c’è qualcosa di magico, forse, in quelle iridi nocciola che sembrano leggerlo dentro e ne ride, cinico e sgraziato, ne ride amaramente la chimera, scacciando bruscamente il polso della castana, proteso nel tentativo di sfiorargli la spalla, allontanandosi dal materasso, rubando le sigarette lasciate sopra al tavolo; richiudendosi in un sonoro tonfo la porta alle spalle.

Non ha voglia, non ha bisogno, di leggere la delusione scurire anche le iridi di Esmeralda.

Ricade pesantemente al divano esterno, eroso dal tempo, stringendo il filtro tra le labbra, inalando nicotina illudendosi che, in qualche modo, possa uccidere il vuoto che sente danzargli nel petto


“Theo – mormora la gitana, ovviamente lo ha seguito, impossibilitata a lasciarlo semplicemente sprofondare nel nulla – ascoltami soltanto”


Anticipa, prima che la chimera possa scappare nuovamente da lei, sfilandogli il pacchetto di sigarette dalle dita, accendendosene una


“qualsiasi sia la tua paura – soffia in una nube grigia, sedendoglisi accanto – sappi che meriti la felicità, l’amore, la fiducia, la speranza, meriti una vita migliore di quella che hai avuto e lo so, non mi credi, ma la meriti davvero”


Ed è tardi perché la chimera possa evitarle quelle dita esili che si posano, delicata, alla spalla e quel calore, inumano, questa volta non brucia, non pizzica come fiamme incandescenti, ma scivola lento avvolgendo ogni centimetro di pelle, insinuandovisi al di sotto, e la chimera socchiude gli occhi, istintivo, gli sembra quasi di aver sempre respirato male e soltanto ora abbia assaporato, per la prima volta, ossigeno puro e quel vuoto, quel vuoto che sente espandersi tra le costole, si placa, arrestandosi, non svanisce, resta lì, quasi in attesa di essere vomitato fuori e, spontanee, parole prendono forma tra le corde vocali


“non sono la persona che credi – mormora, esalando nicotina – qualsiasi cosa tu creda di me è sbagliata”

“no – c’è fermezza, sicurezza, nella voce 
della castana, una melodia quasi materna – non lo è”

“come fai ad esserne certa? – sputa d'impeto, stringendo la sigaretta tra le dita tremule – non sai niente di me”

“so quello che mi hai mostrato di essere fin ora e la persona che conosco è…”

“finta – sibila la chimera, inspirando così tanta nicotina da sperare di riuscire comunque ad annerire i polmoni – non mi conosci”

“sì che ti conosco e non ti credo – è così dolce e pacata, così surreale la voce di Esmeralda, da riuscire a placare persino la rabbia – ma se è vero che non ti conosco, allora dimmelo tu chi sei”


Le iridi glauche indugiano per istanti d’interminabile silenzio a quel sorriso, flebile luce di assoluta bontà, che illumina il volto della castana 


“niente”


È un sussurro affranto, la voce rotta da lacrime orgogliosamente incastrate tra le ciglia, ad annebbiare la vista, la gitana inspira, avvolta in una coltre di nicotina scuote il capo, soffiando un tenue


“voglio mostrati una cosa, posso?”


Non è previsto, è una legge implicita quella che la castana sta per violare, una violazione necessaria, ha incontrato così tante persone e ne ha aiutate altrettante, tutte quelle che ha potuto, tutte quelle che la sua natura l’ha portata ad aiutare, ma mai si era sentita così coinvolta da oltrepassare quel sottile confine e rivelarsi, mostrarsi nella speranza di portare a termine un compito che non può lasciare incompiuto, la logorerebbe, la indebolirebbe sino a farla appassire


“chiudi gli occhi – è tremula la voce, c’è timore tra le parole – non ti farò nulla di male, promettimi solo di non spaventarti”


E Theo indugia, la sigaretta si consuma tra le dita, non si è mai fidato di nessuno, quando vieni plasmato per ingannare cominci a dubitare di chiunque e la paranoia diviene la compagna d’ogni giornata e tutti diventano il nemico, ma di lei, di Esmeralda, delle sue iridi nocciola brillanti di bontà, può fidarsi, inspira, assecondandone la richiesta.

Sente le dita della giovane sfiorargli le palpebre socchiuse e gli occhi bruciano, sembrano sciogliersi tra le cavità oculari, e nel buio s’irradia accecante un fascio di luce bianca ed immagini, un susseguirsi rapido di colori, riflessi, fili luminosi correre verso volti, volti di persone passate, presenti, le iridi bruciano così intensamente, da costringere Theo a spalancare gli occhi smarrito, tastandoseli, quasi a volersi assicurare che siano ancora integri, ma ciò che sente è solo l’umido residuo di lacrime che si seccano tra gli zigomi; quando ha pianto?

E perché Esmeralda sta piangendo?

Parole strozzate escono dalla gola della chimera


“che significa?”

“è ciò che vedo – spiega in un sussurro mozzato da singulti la gitana – la tua essenza, i legami, quella che hai visto è la tua aura, te l'ho detto Theo, ti conosco”


E se non fosse esso stesso una creatura sovrannaturale non le crederebbe, troverebbe una scusa razionale e l’accuserebbe d’essere una bugiarda, ma lui è una chimera ed ha visto così tante creature inumane che è difficile non crederle e, d’un tratto, ogni dubbio, ogni supposizione, diviene verità


“cosa sei?”


Esmeralda sembra studiarlo incredula, forse si aspettava una reazione differente, forse credeva che si sarebbe spaventato, che non le avrebbe creduto così velocemente, ma ispira, sorridendo sottile


“la mia gente ci chiama zâne, dicono che portiamo fortuna e gioia”


Theo a corto di parole non lo è mai stato, ma questa volta non sa davvero cosa dire, credeva fosse uno scherzo, architettato dal suo stesso cervello, un modo per spiegarsi la gentilezza e l’assoluta, surreale, bontà della gitana, non si aspettava certo che fosse tutto vero, ma di creature strane, di fate, arpie, mannari e persino sirene ne ha letto negli innumerevoli libri, unica cosa che poteva trovare nei sotterranei, dei Dread Doctors e, forse, ora che sente quel nome qualcosa riaffiora tra i ricordi di vecchie letture.
Forse c’era una pagina, in qualche manuale, una categoria specifica, una sottospecie di fate, qualcosa che solo in un dato territorio si poteva incontrare e, senza rendersene neppure conto, si ritrova ad annuire


“ho letto di voi”


Dice poi, infondo non ha più alcun senso nascondersi, Esmeralda aggrotta le sopracciglia, strofinandosi via residui di lacrime, le iridi nocciola illuminate da genuina curiosità


“dove?”

“bestiari – chiarisce rapido, troppo rapido Theo, sospirando una spiegazione più articolata – enciclopedie di creature sovrannaturali”

“esistono davvero?”

“ne ho lette molte quindi direi di sì, esistono”

“e cosa dicono di noi?”


Un tiepido sorriso dischiude le labbra della castana, getta la sigaretta ormai fumatasi sino al filtro e si scosta una ciocca dagli occhi, sistemandosi al divano, accavallando le gambe


“non molto – ammette la chimera, cercando di ritrovare le informazioni tra la memoria – non ricordo”

“se vuoi posso spiegartelo”


E Theo annuisce, distratto, concentrando lo sguardo ai fili bruciacchiati d’erba rada sotto i loro piedi, chiedendosi se sia il caso di confessarle che non è umano neppure lui, in nessuno dei possibili significati


“percepiamo l’aura di una persona, ne leggiamo i legami, la storia emotiva – inspira Esmeralda, sfiorando la spalla della chimera – possiamo assorbirne dolore, ma solo emotivo, o far provare altre emozioni, anche positive, ma ha ripercussioni su di noi e la nostra stessa natura ci porta ad aiutare”

“lo stai facendo anche ora?”

“sì – sorride leggera Esme, ritraendo le esili dita – funziona?”

“abbastanza”


Si sforza di sorride Theo, ma tutto ciò che riesce a creare è l’ombra di una smorfia mal riuscita e la castana sospira, reclinando la nuca al cielo costellato da puntini luminosi in lontananza


“purtroppo a volte non possiamo fare molto, quando c’è troppo dolore”

“non sentirti in colpa”


Si sente in dovere di dirle la chimera, sfilando una seconda sigaretta dal pacchetto, seguendo lo sguardo della gitana che si perde tra le stelle nel firmamento


“fumi troppo – dice in un risolino leggero, bonario – ti fa male, rovina i polmoni”


Lo sguardo di Theo si perde a rincorrere puntini luminosi troppo lontani, a cercare costellazioni che non conosce, a dare nomi inventati al cielo e sfiorare la luna affidandole un segreto, una paura, prima di sospirarla dietro nicotina che volteggia


“non possono”


Ed Esmeralda aggrotta le sopracciglia, scrollando le spalle, volgendo impercettibilmente il capo alla chimera, aspettandosi una spiegazione emotiva, una macabra metafora di malinconica tristezza, ma quel che riceve in risposta è inaspettato quanto una stella cadente che sfiora l’astro celeste sopra le loro teste


“si rigenerano”


Per spiegarlo a Theo basterebbero le parole, ma parlare è difficile, è diventato difficile si corregge mentalmente, sicuramente da qualche parte, in qualche angolo impolverato nella scatola cranica c’è ancora il Theo di un tempo che ride di lui, canzonandolo, accusandolo d’essere diventato pateticamente fragile, disgustosamente debole, ne ghigna cinica la chimera rigirandosi la sigaretta tra le dita, pressandone la punta infiammata tra le nocche della mano sinistra


“che cazzo fai?”

“guarirà”

“sì, tra settimane”

“guarda”



Le suggerisce la chimera, fissandosi la lieve ustione rossa, pulsante, che lentamente diviene sempre più chiara, sino a svanire in una manciata di minuti e lasciare solo un cerchio di cenere che Theo soffia via, preparandosi già a sentire l’odore pungente della paura impregnare la pelle di Esmeralda che, contrariamente, si lascia sfuggire una risata cristallina, avvolgendo l’aria di dissonante gioia


“sei come me, cioè no, nel senso…cosa sei?”


Inspira nicotina Theo, passandosi una mano tra i capelli, alcuni ciuffi sono diventati ingombranti ormai, ricadono costantemente tra gli occhi, ci riflette, così intensamente, ripetendoselo in un ciclo che assume sfumature differenti ogni volta, cos’è?


“una chimera – e, se pensa al termine, alla derivazione latina, forse lo è sempre stato, perso a rincorrere costantemente qualcosa d’irraggiungibile – metà licantropo e metà coyote mannaro”

“non credevo fosse possibile”


Ammette, più a sé stessa, la gitana, respirando fumo passivo, non avrebbe bisogno di chiedere, sa già che dietro quella semplice parola si nasconde l’origine di un’aura tanto straziata, ma necessità di sapere, di sentire ciò che non può vedere


“lo sei dalla nascita?”


È disperato cinismo la risata di Theo, l’eco di rimorsi, persino la sua vecchia essenza giace, raggomitolata nell’angolo, è una verità che fa male anche a quello che un tempo era


“esperimento scientifico – sogghigna freddo, vetri blu negli occhi, spenti – geneticamente modificato”


Esmeralda vorrebbe potergli risparmiare tutto quel dolore che lo pervade, neppure lei può nulla, ma deve provare, inspira, poggiandogli delicata la mano alla spalla e la chimera sussulta, impercettibilmente, è un tocco leggero di fiamme bianche, aria nei polmoni, socchiude gli occhi istintivo, non c’è più spazio per verità nascoste


“avevo nove anni, giocavo tra gli alberi dietro casa  – soffia una risata amara, la sigaretta pende tra le labbra – si stava facendo buio e decisi di tornare dentro, sentii dei rumori e pensai che fosse mia madre, ma…c’era un uomo, era strano, aveva una maschera antigas, parlava come un dannatissimo robot e…mi disse che mi avevano scelto …mi risvegliai in una stanza ammuffita, c’erano altri come lui intorno a me, ripetevano il mio nome, soltanto il mio nome…mi fecero capire che potevo guarire”


La voce di Theo è un sussurro distorto dal dolore di rimorsi che non avrebbe mai creduto d’essere in grado di provare, le dita della castana gli stringono istintive la spalla ed aria, pura, fresca, invade i polmoni permettendo ad altre parole di scivolare trascinate dalla nube di nicotina


“sono…ero nato con una malattia genetica rara al cuore, un nome così lungo che non sono mai riuscito a ricordarlo e comunque non avrei avuto tempo d’impararlo – sospira tra la coltre fumosa, nell’ombra di un sorriso sterile, d’amara colpevolezza – il lato destro del cuore non funzionava come doveva, era ostruito e…non potevo fare nulla, non potevo giocare, non potevo correre, dovevo stare attento persino a respirare, le cure erano costose, non potevamo permettercele, ma loro…loro erano dottori”


Tra le iridi glauche della chimera una luce fredda, distacco emotivo, quegli anni andati, perduti per sempre, quegli anni sbagliati, non importa quanto possa desiderarlo non potrà mai tornare indietro, cambiare ciò che è stato, i morti restano tali e le sue mani non si puliranno mai dal loro sangue ed Esmeralda la sente tutta la tristezza nascosta dietro quelle iridi vitree ed una lacrima le riga silenziosa il volto, le esili dita ancora serrate attorno alla spalla di Theo


“potevano aiutarmi, dovevo solo fare quello che mi ordinarono ed io…io lo feci – vacillano le parole tra le labbra della chimera, vibrano fragili come mai prima d’ora, una debolezza che non credeva poter provare – mi dissero che volevano un cuore, dissero che mia sorella voleva darmi il suo, gli credetti e quando Tara cadde in quel dannato fiume restai a guardarla svenire,  successe tutto velocemente, i Dottori la portarono via, mi fecero intuire che sarebbe sopravvissuta, mi aprirono il petto e misero il suo cuore al posto del mio, non l’avevo mai visto, era…inutilizzabile”

“ti operarono da sveglio?”


Si lascia sfuggire in un sussurro smosso da singulti di empatica tristezza Esmeralda, la risata di ghiaccio che ne consegue in risposta è una stalattite che taglia l’anima


“non sentii nulla, per quel che conta – nicotina avvolge il volto della chimera, ma non ne nasconde il velo di lacrime che giace tra le palpebre – mi fecero credere a molte cose, persino a non sentire dolore”


Ed è chiaro alla castana cosa celino quelle parole di vento freddo, cerca di respingere il disgusto e la rabbia per quegli uomini privi di scrupoli ed umanità, concentrandosi ad assorbire il dolore emotivo della chimera, ma come può ignorare la disumana meschinità di persone che, senza esitazione alcuna, ingannarono un bambino così piccolo, creandogli un’illusione che potesse guidarlo a compiere ogni loro volere per miserabili, orribili, scopi; approfittandosi di 
un ragazzino facilmente condizionabile, bisognoso d’aiuto, senza ritegno alcuno.

Il vuoto nel petto della chimera è un cuore, un cuore rubato, che batte debole e, se fosse meno egoista, lo strapperebbe a mani nude, rompendosi le costole, ma egoista Theo lo è sempre stato, forse non era solo il suo cuore, quello vero, ad essere sbagliato, forse lo era lui stesso, lo è sempre stato, un errore sin dalla nascita; un fallimento come gli dissero poi anche i Dread Doctors.

Troppo egoista per essere buono, troppo spaventato per essere cattivo; inutile ed inutilizzabile, come il cuore che la natura, macabra ironia, gli donò alla nascita.

Aveva ragione suo padre, quando lo sentiva urlare contro fogli di carta stropicciati, perché i soldi non bastavano mai e le cure non funzionavano, aveva ragione a dire che, in fondo, sarebbe stato meglio non averlo mai fatto nascere.
Aveva ragione la madre, quando piangeva rannicchiata oltre la porta del bagno, perché il figlio non poteva crescere, aveva ragione, in fondo, a pregare Dio di prenderlo con sé finché era ancora troppo piccolo per capire cosa significasse davvero morire.
Aveva ragione Tara, quando invitava gli amici e rideva solare, perché lei poteva farlo, era libera di esserlo, aveva ragione, in fondo, a sussurrare loro che suo fratello era troppo debole per vivere e troppo fragile per sopravvivere.
Avevano ragione, tutti, ed aveva ragione Theo, il Theo bambino invidioso del mondo mai visto, dei prati mai calpestati, dei compleanni mai festeggiati, degli amici mai avuti, aveva ragione ad odiarsi.

Se soltanto avesse saputo dove l’avrebbe portato tutto quell’odio, forse, ora non sarebbe seduto in un divano rosicchiato da animali e logorato dal tempo a contemplare la mezza luna, un sorriso tagliente che lo schernisce ricordandogli che, in fondo, è un errore; l’unica cosa che è sempre stato.


“non colpevolizzarti – sussurra la castana, tra singhiozzi di lacrime d’umana compassione – eri solo un bambino, loro ti ingannarono, ti illusero, si approfittarono di te, la colpa non è tu…”

“e tutto il resto? – esclama tra i denti, incastrandovi la rabbia – come le giustifichi tutte le altre cose che ho fatto, che io ho voluto fare?”


Esmeralda non sa neppure di cosa stia parlando la chimera, ma nei lampi di rabbia, ira per un passato immutabile, sono elencate tutte, una dopo l’altra, le azioni di cui parla ogni inespresso pensiero


“un anno dopo – ride di freddo cinismo Theo, gettando il mozzicone al suolo – sono diventato come loro, ero un esca per ragazzini, li guardavo morire, sperimentavano su di loro, alcuni sopravvivevano, altri morivano soltanto, non ho mai fatto nulla per aiutarli, non volevo”

“non potevi”

“non volevo – ribadisce, la voce trema d’ira, un ringhio baritonale si perde tra le corde vocali – non avevo aiutato mio sorella, perché avrei dovuto aiutare loro?”


Lampi gialli ne fanno risplendere le iridi di lucida rabbia, le dita della gitana si ritraggono improvvise, ombre di pallido bianco ai polpastrelli, sbiadiscono lente, il battito cardiaco della giovane è convulso, rivoli salati si rincorrono scivolando agli zigomi, le labbra dischiuse e l’odore, pungente, della sofferenza avvolge l’aria


“eri poco più di un bambino, hai reagito razionalmente, hai fatto quel che dovevi per sopravvivere e – Esmeralda deve pensare intensamente alle possibili conseguenze, inspira triste – ti sei adattato a loro, Theo sei cresciuto circondato da negatività, paura, rabbia, dolore, confusione, lo vedo, le vedo tutte”


Dice ferma, iridi nocciola incastrate in oceani in bufera, trattiene il respiro per non affogare


“chiunque avrebbe reagito peggio, tu sei stato tenace e sei sopravvissuto, hai fatto quel che credevi giusto per te, eri solo, ti sei protetto – c’è una sicurezza quasi folle nelle parole della gitana, così folle che potrebbe persino convincere una parte, una piccola parte, della chimera – quei dottori, loro erano i mostri, ti hanno usato, ingannato, Dio ti hanno persino rapito…”


Le parole si spezzano tra le corde vocali della castana, strofina via lacrime dalla guance, i dorsi delle mani umidi e le labbra salate, una verità inesprimibile satura l’aria; nessuno, in tutti quegli anni, lo ha mai cercato


“si sono traferiti – soffia in un ghigno di sprezzante cinismo, sputando parole dense di disgusto – la polizia indagò, ipotizzarono un rapimento, forse mi cercarono, poi si arresero, mesi dopo lasciarono Beacon Hills, c’è un’incisione, nella lapide di mia sorella, metaforicamente mi hanno seppellito con lei, ironico non trovi?”


È un dolore a cui non era preparata, non sarebbe mai potuto esserlo, Esmeralda.
Quante cose può dimenticare una cittadina, quanti fantasmi, quanti invisibili possono essere ignorati dagli sguardi troppo affrettati a rincorrere il tempo degli abitanti?


“quando sono tornato ho dovuto persino ritirare la denuncia di scomparsa – ne ride impassibile, un suono di ghiaccio – e fingere che due truffatori da strapazzo fossero i miei genitori, che fossimo tornati la famiglia felice che non siamo mai stata”


Non lo aveva mai detto a nessuno, neppure a se stesso nei giorni più soli, chiuso tra pareti ammuffite e topi indaffarati a racimolare briciole di pane rinsecchito cadute a terra, non è mai stato in grado di raccontarla la vergogna di una vita che non avrebbe mai voluto, che ha cercato di migliorare, sbagliando ogni tentativo, una vita che ora pesa come mai prima, sente le colpe pressare come macigni tra i polmoni ed il cuore, quel cuore rubato, strappato dal petto di sua sorella ed intrappolato nel costato, picchiare in protesta; a ricordargli che questo è ciò che merita.

Non ha mai fatto nulla e nulla avrà, né bene, né male, continuerà a strisciare inosservato tra le strade di una città che non l’ha mai voluto, attendendo l’ascesa, definitiva, verso l’eterna dannazione infernale; unica cosa che merita o, forse, non meriterebbe altro se non dissolversi, svanire come un fantasma ed essere dimenticato, come se non fosse mai esistito. 


“me ne andrò, questa volta davvero”


È un soffio spontaneo, inconscio, la voce della chimera e le iridi nocciola di Esmeralda si dipingono di paura, lo sguardo indugia ad osservare quel sottile filo perlaceo, creatosi da giorni, che oscilla a mezz’aria tra di loro, un segno che solo lei può vedere, che solo lei può capire


“non farlo, ti prego”


Esclama, paura e ansia ne fanno vibrare nervosamente la voce, così sottile da sembrare sul punto di spezzarsi, un suono tanto agitato da catturare l’attenzione della chimera che deglutisce impreparato alla vista di quelle iridi nocciola tremule, velate di lacrime


“se te ne andrai – le lettere s’incastrano tra i denti, spaventate all’idee d’essere udite – appassirò”


Theo si chiede se non sia una metafora, una scelta estrema nell’utilizzo delle parole, ma c’è così tanto terrore negli occhi della gitana che non ha neppure bisogno di sentirne l’odore


“accade raramente, avevo paura a dirtelo – ammette in un sussurro la giovane, chinando lo sguardo al suolo – ma…se…se te ne andrai…fu mia madre a spiegarmelo prima di…di morire, può accadere che una persona ci invochi o che ci scelga involontariamente come protezione e a quel punto…si crea un legame indissolubile per noi, la persona può decidere di spezzarlo…le conseguenze però portano…è come se…perdiamo lo scopo della nostra natura e appassiamo, ci spegniamo lentamente sino a…a morire”


E la chimera, per la prima volta, trema spaventato, d'una paura che ne paralizza persino il respiro, il sangue nelle vene e blocca anche quel cuore che non gli appartiene, per la prima volta sente la colpevolezza d’azioni che non ha ancora compiuto, di sangue di cui non si è ancora macchiato le mani e, per la prima volta, sente chiare, personali, le emozioni di quella che non avrebbe mai voluto rendere l’ennesima vittima.

I pensieri viaggiano veloci, si susseguono frenetici, in un groviglio confuso di sentimenti contrastanti.

Vorrebbe restare, farlo per lei e per se stesso, non sopporterebbe di sentire il peso della sua morte, la più innocente creature, a rubargli il sonno e l’ossigeno in eterno.
Vorrebbe andarsene, farlo per Liam e per se stesso, impedirsi che desideri di impossibile speranza possano illuderlo, impedirsi di rovinarlo e dover convivere nella consapevolezza di aver macchiato il mannaro di nero. 

E nell’incertezza d’un silenzio denso di paure e timori la voce di Esmeralda è un soffio fragile


“non sei costretto a restare – è brezza autunnale che la chimera sente già appassire – ma…Liam vorrebbe che restassi, il legame che avete, posso vederlo, è sincero e forte, tra i più forti che abbia mai visto e so con certezza che, che lui…non è allontanandoti che lo aiuterai…vi farete solo del male, se te ne andrai”


La chimera deglutisce a vuoto, tastando il sapore di un’unica, singola, lacrima scivolargli tra le labbra dischiuse a cercare parole che non possiede, per la prima volta incapace di rispondere, è difficile respirare ed il guazzabuglio confuso che gli stringe in una morsa la mente gli sta rubando tutte le energie


“Theo, qualsiasi cosa deciderai promettimi soltanto che ti ricorderai sempre che – mormora la castana, cingendogli le braccia al collo in uno slancio di spavento e bisogno – meriti di essere felice”


Gli sussurra nascondendoglisi nell’incavo del collo, stringendolo tra quelle minute braccia, nella paura che, risvegliandosi, non lo troverà più accanto a lei.
E la chimera sente il cuore, quel cuore trafugato e maltrattato, contorcersi ed incastrarsi tra le ossa, fermarsi e divenire ancora più silenzioso e si chiede, ancora una volta, se è questo il rumore che produce un meccanismo arrugginito, per troppo tempo inutilizzato, nel tentativo di azionarsi e funzionare; funzionare nel metodo migliore.


 

 
Buonsalve, 
strano, ma vero, siamo giunti già al capitolo quindici, il che significa che mi restano solo due capitoli e poi, forse, se tutto va bene potrò dire di aver finalmente concluso una storia.
A tale proposito, spero che questo capitolo, decisamente troppo lungo,  non sia stato troppo noiso, poco chiaro o frettoloso (che è un mio difetto enorme) e che Theo non risulti troppo OOC, anche se lo è comunque...Ad ogni modo ho pensato di dargli una storia dietro, un motivo per cui abbia fatto quel che ha fatto quando aveva nove anni, l'idea dello psicopatico non mi è mai piaciuta, non ha i giusti tratti distintivi, quindi ho giocato un po' sull'egoismo, la paura, la famiglia e i Dread Doctors stessi; mi auguro non sia stato un azzardo sin troppo eccessivo. 
(Ah la malattia di cui soffriva il piccolo Theo si chiama : Displasia Ventricolare Destra Aritmogena, ARVD) 
Ho anche voluto aggiungere alcune informazioni in più sulle capacità di Esmeralda ed inserire l'elemeto dei legami e delle conseugenze.
Comunque spero vi sia piaciuto, almeno un pochino. 

Ringrazio tutti i silenziosi lettori, coloro che hanno aggiunto tra preferite/ricordate/seguite e le splendidi recensioni che sono sempre una gioia, non posso rispondere a tutte quelle che mi sono lasciata indeitro per distrazione e scarsa memoria, ma rimedierò con quelle del capitolo precedente. 

Grazie, 
alla prossima

 
   
 
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