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Autore: Pedistalite    24/11/2017    2 recensioni
Sam non ricorda bene cosa sia successo quella notte. Vaghi flash, impressioni, paura. Dean, il coltello e la sua ferita. Il sangue che non si fermava. Cosa è successo davvero? E perchè suo fratello ha provato ad uccidersi? Il senso di perdita fa tornare a galla emozioni represse negli anni e Sam è costretto a dover fare i conti con la sua attrazione incestuosa per Dean e le conseguenze del suo gesto. Come affrontano una situazione del genere due fratelli così diversi tra loro e con un rapporto da lungo tempo in crisi? Come cambierà la loro vita normale, in che modo ne risentiranno la loro famiglia semplice e le loro fidanzate?
AU di What is now and what should never be.
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: Incest | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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III

 

La bomba esplode una sera a cena.

Tuo fratello si riempie un bicchiere di vino bianco (e tu pensi che è strano, perché lui è più un tipo da birra, e ultimamente non beve molto, si tiene una bottiglia in mano per compagnia, la sera sul portico, ma tu ti guardi bene dal raggiungerlo, e dopo l’ultima litigata non vi parlate granché, perché quello è il vostro modo di reagire alle cose: la negazione.) poi si schiarisce la gola e dice, a voce alta e chiara: “Io e Carmen ci siamo lasciati”.

 

Stai ancora metabolizzando quello che ha appena detto, che Dean è già andato ben oltre. Abbassa un po’ la testa e si alza in piedi. Tua madre lo fissa come se temesse di vederlo crollare in briciole, “Tesoro, come mi dispiace. C’è qualcosa che possiamo fare per-”

Dean la zittisce, con un movimento repentino della mano, ed è insolito per lui essere scortese con la mamma. “No,” replica troppo in fretta, “E poi c’è dell’altro.” Prende un respiro profondo, e tu fai lo stesso, perché ti sembra di dover affrontare in apnea un muro d’acqua ostile.

 

“Ascoltate, voi due avete fatto del vostro meglio, e lo so che siete preoccupati, ma io non ne posso più. Parto. Ho già chiuso l’officina a tempo indeterminato. Ho bisogno di schiarirmi le idee e di passare un po’ di tempo da solo.”

 

“Dean, ma ti sembra prudente…” esclama vostra madre con una voce flebile.

Tu ti alzi di scatto e poggi i palmi aperti sul tavolo: “Non se ne parla proprio,” ringhi senza riuscire a trattenerti.

 

Dean ti fissa, la rabbia si allarga nei suoi occhi con la velocità di uno strappo. “E chi sei tu per impedirmelo, fratellino?” ribatte in un tono che è velenoso quanto beffardo, ma che nasconde una ragnatela d’insicurezze pronte a divorarlo vivo come vermi su un cadavere.

Ti rifiuti di lasciarti provocare, perché sai che Dean si sentirebbe meglio se riuscisse a litigare con te, e mantieni il punto: “Questo non si può negoziare,” sibili. “Da solo non vai da nessuna parte. Perché lo sconsigliano i tuoi medici,” cominci ad enumerare rabbiosamente, “perché faresti ammalare la mamma per la preoccupazione, e perché ultimamente non sei stato esattamente il ritratto dell’equilibrio.”

E forse l’ultima parte è un colpo basso, ma avrai tempo di pentirtene più tardi.

 

Dean trema dall’indignazione, e tu ammetti che avere tuo fratello minore che detta legge nella tua vita deve essere piuttosto frustrante, ma non per questo alleggerisci il carico delle tue parole.

Approfitti della sua collerica immobilità per intrappolarlo contro lo schienale della sua sedia e incombi su di lui, per una volta senza preoccuparti di avvicinarti troppo (tic-tac-tic-tac… il countdown non si ferma mai…).

“Se scopro che sei sparito durante la notte, come un ladro, ti vengo a cercare. E quando ti trovo, perché ti trovo stanne certo, ti darò la lezione che meriti.”

Wow, ed è davvero un po’ troppo da sceriffo del vecchio west, e tu non sei certo di avere il carisma necessario per essere credibile con una frase del genere, ma Dean sembra deflagrare sotto i tuoi occhi, abbassare lo sguardo sui suoi piedi (sui vostri fianchi vicini, che quasi si sfiorano… e per la madonna spostati, che diavolo aspetti?) e mugugnare tra i denti: “Beh comunque non puoi tenermi qui…”

 

Qualcosa dentro di te s’intenerisce, si riscalda, ma non è quel calore vigliacco e bastardo, è un’altra sensazione, è affetto senza limiti. Vorresti carezzargli la nuca, ma pensi che Dean ti strapperebbe le dita a morsi se tu ci provassi, così ti accontenti a incontrare i suoi occhi, “Non ho detto che devi per forza restare qui.”

Tuo fratello si lascia guardare, ricambia questa strana specie di connessione che si è instaurata tra di voi inavvertitamente, ma sembra labile come le ali di una farfalla morente. E i secondi sembrano allungarsi in un filo sottilissimo che poi si spezza. Dean distoglie lo sguardo per primo e ti chiede, confuso, “Ma allora, come…”

 

Tu ti sforzi di continuare a sorridere, ma puoi sentire la corda tendersi intorno alla gola. Reggi ancora il cappio tra le tue dita. Sta a te decidere se liberarti o strozzarti, ma alla fine realizzi che in verità non hai poi molte opzioni. Speri almeno che il tuo collo si spezzi alla svelta.

 

Ti sforzi di continuare a sorridere, ma sai che il risultato è un po’ artificioso.

“Quando partiamo?”


***


State viaggiando ormai da quasi una decina d’ore. Avete fatto un paio di soste e vi siete scambiati il posto alla guida. Adesso stringi il volante, mentre Dean sceglie la colonna sonora per il mangianastri dell’Impala, anche se tu in fondo pensi che sia una vergogna non dotare quell’auto almeno di un lettore cd… le canzoni non sono poi meglio, vengono dalla gloriosa raccolta degli anni della giovinezza di papà, e sembrano più appropriate a un vecchio locale degli anni settanta che non a due ragazzi in viaggio senza una meta precisa.

Segretamente sei convinto che Dean stia scappando da se stesso, dallo spettro di ciò che ha fatto (dalle conseguenze, dalla verità…). Ammetti che ti infastidisce, ma sei costretto a chiederti quali sono le tue motivazioni, e sai che non sono altrettanto giustificabili. Hai abbandonato i tuoi esami di questo semestre, la tua ragazza e i progetti del vostro matrimonio. Hai cambiato la stabilità del tuo futuro prestabilito per questa specie di folle road-trip senza battere ciglio, e questo ti fa dubitare del tipo di persona che credevi di essere stata fino ad oggi.

Fissi Dean, lui ricambia lo sguardo, per la prima volta da che riesci a ricordare negli ultimi tempi, e improvvisamente ti senti euforico, soddisfatto, compiuto. Tutto questo… per stare insieme a tuo fratello. E non hai la più vaga idea di come possa finire.

 

Non sai perché lo ribadisci, forse è il tuo istinto nel ricercare sempre una spiegazione alle cose, forse è un senso vago di autodistruzione, più probabilmente è puro autolesionismo, ma alla fine apri la bocca e dici: “Lo sai che prima o poi dovremmo parlarne.”

 

Sorprendentemente tuo fratello sorride. È un sorriso quasi meschino e tu provi un’ombra di paura.

“Non aspettarti niente da me, Sam.”

Dean scuote la testa e il vento che entra nell’abitacolo dal finestrino aperto ti riempie le narici dell’odore del suo gel per capelli. Vorresti aspirare a fondo, senza vergognarti. Vorresti solo che lui sapesse… ma ti contieni, fingi uno starnuto, cambi discorso. “Il vetro, amico. Non mi voglio prendere un accidente.”

 

Tuo fratello ti accontenta, borbottando tra i denti qualcosa sulle femminucce troppo delicate. Poi reclina la testa e prova ad addormentarsi, fino alla prossima ora, fino al prossimo motel.


***


Caffè e colazione a una stazione di servizio.

È una di quelle mattine come ne avete avute decine di altre finora. Quelle che passate decidendo dove andare, puntando a caso su una cartina stropicciata e litigando per l’ultima fetta di torta, per le canzoni da ascoltare, per il posto in cui fermarsi. Non ti sei mai sentito così bene con te stesso, e sai che non può durare. Sai che i guai sono dietro l’angolo e non si tratta esattamente della versione innocua di un piccolo dramma di famiglia. No, voi Winchester fate tutto in grande, non vi trattenete. E se cominci a pensarci…

 

Noti che Dean sorride alla cameriera, è una di quelle signore di mezza età, con i capelli tinti raccolti in una coda disordinata e il grembiule perennemente macchiato. Non è uno dei suoi sorrisi alla potrei fotterti fino al paradiso, ma uno di quelli gentili, rispettosi, destinati alla mamma o alle signore in chiesa la domenica.

La donna sembra stupirsi, ma poi annuisce e vi lascia le ordinazioni sul tavolo. Continua a guardare Dean, anche mentre ti poggia davanti il tuo caffè e la colazione.

Non ha senso esserne gelosi. Non è una sconvolgente novità che tuo fratello riesca ad incantare con un sorriso a mezza bocca: è colpa di quel suo modo di essere sfacciato e fragile, che fa desiderare alle donne di tutto il mondo di nutrirlo con soffici leccornie appena sfornate e coccolarlo e tenerlo al caldo e amarlo per tutta la vita. Nemmeno tu sei immune da quel tipo di effetti collaterali, solo che hai sempre dovuto soffocare l’istinto di avvolgere tuo fratello con il tuo corpo per proteggerlo da se stesso. (Non è normale. Non è sano… E perché poi dovrei volere questo da lui? Non lo sai, e, dannazione, in fondo sei arrabbiato!)

 

Naturalmente ti auguri che Dean non immagini nulla di tutto questo. E sei così preso dalle tue considerazioni che quando lui allunga un paio di dita per toccarti sul polso e ottenere la tua attenzione, rovesci il caffè e ti scotti.

“Merda,” esclami, asciugando il tavolo alla bell’e meglio con una manciata di tovaglioli di carta, “Ero distratto. Vado a sciacquarmi le mani,” gli dici mentre ti alzi. Le tue uova si fredderanno.

 

Quando ritorni dal bagno, trovi Dean che chiacchiera con la cameriera, un refill di caffè e due fette di dolce al posto delle omelettes che avevi scelto. Del disastro che hai provocato, nessuna traccia.

Tuo fratello finge di nulla, e intanto ti allunga davanti il piatto. Sorride fra sé e non puoi fare a meno di trovarlo bellissimo.

 

Non sai perché lo sai, ma sei certo che quei pezzi di torta siano omaggio della casa.


***


Il primo, vero incidente ti capita senza che tu possa prevederlo, e ti rendi conto che la tua sicurezza, il tuo equilibrio, la tua contentezza in cui ti sei beatamente (falsamente) cullato non erano altro che una impressione.

Esci dal bagno del motel in cui vi siete fermati per un paio di giorni. Siete in Illinois e ammetti che non c’è molto da vedere, ma più vi allontanate da casa e più Dean sembra stare meglio, perciò non ti lamenti. Non dai voce alle tue preoccupazioni su cosa fare, dove andare, come guadagnare i soldi di cui vivere quando il conto sulla carta di credito si sarà esaurito.

Tuo fratello sembra essere più sereno, ed è l’unica cosa che conta. È l’unico motivo per cui hai accettato di fare questo viaggio. Sebbene tu abbia sempre rifiutato per principio l’idea di vivere alla giornata (ma si tratta di Dean, di poter stare con lui, respirare il suo odore nei vestiti che lavate insieme nella stessa lavanderia automatica…).

 

Sei completamente bagnato e hai l’asciugamano attorno ai fianchi, con un’altra spugna ti stai tamponando i capelli lunghi sul collo, ma senti le gocce che ti scivolano in piccoli rivoli sulla pelle, in percorsi indistinti sulla schiena.

Dean è di spalle, si sta cambiando la maglietta, gli hai lasciato fare la doccia per primo.

All’improvviso si volta e grida: “Attaboy, Sammy!” e con uno scatto ti atterra. Non sai che diavolo gli abbia preso (ma ti ha chiamato Sammy e la cosa ti rende inspiegabilmente felice…), ma Dean sta ridendo e tu ti senti di nuovo un ragazzino, così in un istante siete aggrovigliati in una lotta giocosa, come una coppia di cucciolotti. Quello è il tuo primo errore.

Il secondo è scivolare sopra di lui, per schiacciarlo e costringerlo ad arrendersi.

Il terzo è bloccargli le mani.

 

Hai la bocca vicino alla sua bocca, senti il suo petto solido premere contro il tuo. Ansate. E tu sei nudo, perché l’asciugamano attorno ai fianchi si è spostato in un groviglio imbarazzante.

Sei fottuto. E lo sai.

 

Gli occhi di Dean si aprono in sorpresa e tu freneticamente salti in piedi, pur di sottrarti a quella posizione. Il senso di colpa potrebbe schiacciarti, ma è più impellente il bisogno di allontanarti. Preferisci non sapere se ha sentito la tua erezione contro la coscia. Preferisci considerare l’intera faccenda uno stupido incidente. Queste sono le conseguenze della tua scelta. Le hai considerate, te le aspettavi. Ma non credevi che sarebbe stato tanto difficile.

 

Non ve lo dite. Non è necessario, e sarebbe troppo sconsolante.

Si tratta di un tacito accordo.

Da quel momento in avanti quando uno di voi due fa la doccia, l’altro esce a fare due passi.


***


La prima volta che lo noti, ti dai del paranoico.

 

Capita per caso, è un pomeriggio piovoso e, tra il caldo e il tasso di umidità, ti sembra che tutta Peoria galleggi in un banco di nebbia. Non hai niente da fare e finché il tempo non si aggiusta avete deciso di restarvene all’asciutto. Perciò sei distratto e vagamente assonnato quando prendi una bottiglia di birra dal minifrigo. Dean è pigramente sdraiato sul suo letto, guardando una replica di un incontro di baseball. Tu hai le mani sudate e la bottiglia ti scivola, cade sul pavimento economico e si spacca. È un piccolo disastro, tu imprechi e ti assenti, vai a cercare nel bagno uno straccio, oppure uno degli asciugamani usati, per poter rimediare.

 

Non te lo aspetti (e sei colpito, e ti dai dello stupido, perché accidenti, avrei dovuto pensarci…).

Dean è fermo, accanto al lago di birra, a piedi nudi.

Ha lo sguardo fisso. E i suoi occhi sembrano così vuoti che all’improvviso ti convinci che saresti in grado di specchiartici dentro.

Ti si accappona la pelle.

 

Pensi che lui guardi una delle schegge più grosse con troppo interesse.

 

Speri che sia un caso, e scuoti la testa per scacciare brutti pensieri.

Ma succede ancora.

 

Saltuariamente sorprendi Dean a poggiare il lato liscio di un coltello da cucina sul suo polso, e non hai più scuse per convincerlo a mangiare cinese, o hamburger o pizza pur di non fargli usare le posate (il giorno in cui te ne accorgi per la prima volta, il diner è semi vuoto e tu sei appena andato al bagno per lavarti le mani, ma ti fermi al bancone per chiedere alla cameriera di portarvi dell’altro caffè, così Dean non riesce a vederti da dove si trova seduto, e tu lo puoi osservare di soppiatto. Quando vedi la lama sulla sua pelle… quel suo modo un po’ distratto di giocare con la sua vita… è come un pugno nello stomaco, è come piegarsi in due e pregare di venire risparmiati, è come il peso di una tagliola che sta per decapitarti. E pensi: Dean ti prego non andare da nessuna parte. Resta con me.)

Dovresti parlargliene apertamente, chiedere spiegazioni. Perché se la faccenda è così seria, allora Dean ha bisogno di aiuto: uno psicologo, un gruppo di supporto, un consultorio, una terapia, un’assistenza professionale.

Ma tuo fratello non raccoglie nessuna delle tue allusioni, ignora tutte le tue proposte al dialogo.

(Ti dici che potrebbe andare peggio, cerchi di tranquillizzarti, di convincerti che è una tua esagerazione e che, per dio, Dean non è pazzo, non vuole morire, non lo farebbe mai… ma, al diavolo, ti sbagli. Dean l’ha già fatto. E forse vuole morire. E non hai idea delle probabilità che potrebbe rifarlo. E in fondo la tua stessa paura ti immobilizza. Potrebbe andare peggio, ti dici, potrebbe essere più grave… ma inizi a non crederci più.).

 

Una mattina lo trovi nel bagno a tracciare con il rasoio a mano la linea della sua giugulare, pensi che potresti sfondare il muro con un pugno, per la frustrazione, la rabbia repressa, il terrore atavico di perderlo. Invece ti trattieni sullo stipite, gli chiedi se sta bene.

 

Ti accontenti quando ti risponde con un’alzata di spalle.


***


Nonostante questo, le cose vanno discretamente.

Si, certo, sei costretto a razionalizzare e bloccare quasi tutti i tuoi impulsi primari, e oramai neppure negare funziona… perché l’oggetto delle tue speculazioni, (delle tue marce fantasie…) ti è sempre davanti. Ma non ti lamenti.

Tu e Dean state iniziando a diventare fratelli di nuovo. State scoprendo una forma di confidenza, di complicità, di comprensione che non hai mai creduto possibile.

Quando ti guarda, credi di riconoscere i suoi stati d’animo, ti destreggi fra i suoi cambi d’umore, fra le sue omissioni, le sue paure, le sue vulnerabilità mascherate da sfacciato egocentrismo.

Rimorchia le ragazze nei bar, e la gelosia ti divora. Ma sei capace di capire che sarai tu a lasciare la città con lui, nella vostra auto. Non sai per quanto ancora ti potrà bastare. Ma per il momento, cautamente, eviti di chiedertelo.

 

Sai già che non può durare, te lo ripeti da settimane: una fottuta convivenza sarebbe impegnativa per chiunque in una situazione come la vostra, senza bisogno di parametri incestuosi a complicare le cose…

 

Ogni volta che vi fermate a mangiare in un diner qualunque, se Dean ha tra le mani un coltello, l’esperienza si ripete: in un flash ti senti catapultato ancora in quel prefabbricato, risenti il sapore della polvere sotto la lingua e credi di avere il sangue di tuo fratello sotto le unghie (ti chiedi cosa stia pensando, certi giorni sei quasi certo che possa rifarlo, sei terrorizzato all’idea di non poterlo prevedere, di dovergli sopravvivere…).

Poi un raggio di sole colpisce i suoi occhi e lui fa una smorfia comica di fastidio, oppure ingoia un boccone troppo grosso e inizia a tossire, oppure schiocca le dita davanti al tuo sguardo perplesso e attira la tua attenzione con un Dude… spazientito.

E improvvisamente ti sembra di poter sopportare qualunque cosa: Dean è vivo, è qui. Ora. Esiste.

La vita in qualche modo ha senso.

Sai di essere pieno di buone intenzioni, ma ti illudi. E il pensiero ti distrae.

 

Infatti non sei ancora pronto quando la merda sale davvero a galla.

 

È colpa del ragazzo: è alto e ha le spalle larghe, ride come se non avesse una sola preoccupazione al mondo e ha le fossette. Se avesse qualche chilo di muscoli in più e un taglio di capelli più lungo, potresti arrivare a dire che ti somiglia.

Questo ti sembra intollerabile.

 

Stringi l’avambraccio di Dean, prima che lui possa allontanarsi con lo sconosciuto in un posto appartato. E non ti importa che siete nel bel mezzo di un locale pieno di facce poco amichevoli in un posto sperduto della provincia di Fort Wayne quasi a metà strada fra Toledo e Indianapolis, e che teoricamente non hai diritto di veto su chi tuo fratello vuole scoparsi.

Incombi su di lui e non ti vergogni quando gli chiedi: “Che hai intenzione di fare?”

Dean ti osserva con uno strano sguardo, come se avesse paura, ma la rabbia fosse troppo incandescente per trattenersi: “Che ti importa? Ci danziamo attorno da settimane, e io sono stanco di questa mascherata! Non sono uno psicopatico in cerca di un modo per punirsi. Non voglio che qualcuno mi faccia male, e tranne rare eccezioni, non mi faccio eccitare dal dolore.”

Sembra irradiare energia violenta, bollente. E le sue labbra sono umide, non puoi fare a meno di guardargliele.

“Lui…” ti indica con il mento in un gesto altezzoso il ragazzo, che aspetta al bar con le mani in tasca e un bicchiere davanti, “… e tutti quelli come lui… non sono un modo per autodistruggermi. Ma ho bisogno che qualcuno mi fotta fino a spegnere il cervello.”

La tua presa s’intensifica, perché non capisci (non puoi impedirti di pensare che se anche si scoperà quel ragazzino insipido, sarà l’impronta della tua mano che porterà domani intorno al polso. E non ti può bastare). Non capisci… di cosa diavolo sta parlando.

 

“Tu non smetti mai di guardarmi. Ogni singolo istante di ogni giorno, sei sempre lì, Sam. Con i tuoi occhi intenti e le tue espressioni comprensive e le tue fottute mani gentili! Non so che farmene di te!” grida, e sai che sta volutamente esagerando, che non pensa ciò che dice perché è fuori controllo, e ha paura e deve ferire te prima che tu possa ferire lui… però fa male.

 

Dean respira come gli mancasse il fiato, poi ti sfida, con un gusto tagliente nel dire la frase più brutale che potrebbe concepire. E tu non ti sorprendi quando si spinge con il petto contro di te e soffia: “Sei curioso Sam? Posso spiegartelo più chiaramente, se ancora non ti è chiaro… ciò che intendo fare con lui. Come intendo prenderlo in bocca e succhiarlo… mmm… vuoi i dettagli? Puoi guardare, se vuoi.”

 

Forse nella perfetta teoria di come dovrebbe svolgersi questo showdown nelle sue intenzioni, a questo punto tu dovresti dargli un pugno, declamare qualche frase disgustata e abbandonarlo a se stesso. Invece gli poggi le mani sulle spalle e lo costringi a spingersi su di te, sul tuo corpo. Così che lui non possa negare, non possa fingere, in futuro, di non aver notato l’erezione che ti gonfia i pantaloni.

 

È il ragazzo a rompere il momento.

Dean ha gli occhi grandi e tondi come quelli disegnati di una bambola.

Lo sconosciuto (è giovane, e tu hai sempre voglia di picchiarlo, ma non è colpa sua, è solo nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con la persona sbagliata…) tossicchia, quasi in imbarazzo.

“È colpa mia,” dice cincischiando con una bottiglia ancora da aprire, “Non avevo capito che fosse impegnato.” Ti osserva, come per rendersi conto se si stia guadagnando un buon motivo per farsi dare quel pugno, poi scuote la testa (e Dean è sempre immobile, come in trance, come se non lo credesse possibile…) “Siete carini. C’è la possibilità che vogliate compagnia?” ammicca, non è il tuo genere (non che tu abbia un genere quando si parla di uccelli. L’unico che ti interessa, nella logica deviata del tuo cervello bacato, è apparentemente quello di tuo fratello…), ma in linea teorica comprendi l’happeal che può esercitare.

“Non ci interessa, sparisci,” replichi, fin troppo franco, ma non hai tempo da perdere e non cerchi la rissa, non c’è aggressione nel tuo tono.

“Come vuoi fratello,” ribatte con un’alzata di spalle, “Un consiglio: tieni gli occhi aperti, il tuo ragazzo è una bomba. Una di quelle che vuoi disperatamente farti esplodere in faccia.”

 

Scuoti la testa. E ne hai le palle piene. Letteralmente.

 

Il punto è che non potresti essere più d’accordo.


***


Dean ha qualcosa da dirti e tu lo osservi spostare il peso da una gamba all’altra e rosicchiarsi un’unghia prima di schiarirsi la voce.

Se tu fossi asessuato (e meno incazzato), lo troveresti tenero. Allo stato attuale invece vorresti solo poter avere la libertà di leccare l’angolo della sua bocca e scoprire se mantiene ancora il sapore del suo drink. Ma la tensione è troppo alta, e le parole che vi siete scambiati al locale ancora appannano lo spazio tra di voi.

 

Lo osservi appoggiarsi allo stipite del bagno: la vostra è una camera di motel come tante altre, pulita ma piccola, con due letti e due comodini, un armadio che voi raramente usate perché preferite non disfare i bagagli (del resto non avrebbe senso, non vi trattenete in un posto mai più di tre giorni…) e un calorifero sotto la finestra.

Non sai perché, ma vieni assalito da un profondo senso di desolazione (non potrai mai avere Dean, ne parlerete e lui ti guarderà disgustato e si allontanerà da te. Hai paura. Sei terrorizzato. E perché, al diavolo, perché provi quello che privi?).

 

Dean abbassa la testa e tossicchia, poi ti lancia uno sguardo e di nuovo ti sfugge, “Insomma qualche volta mi piacciono gli uomini,” dichiara, in tutta la sua composta dignità.

Dio, se non fossi alle soglie di un momento catartico, ti verrebbe da ridere. Se si trattasse soltanto di quello… Scuoti lentamente la testa e lasci che un ciuffo di capelli ti ricada sugli occhi. “Non penso che sia il punto, Dean. Dobbiamo parlarne. Voglio sapere come stai, cosa hai pensato. Perché l’hai fatto?” ripeti, glielo chiedi come hai già fatto sotto il portico di casa di vostra madre, a Lawrence (e intendi ovviamente il coltello, il tentato suicidio… la paura ti attanaglia lo stomaco e pensi di sentirne le unghie conficcarsi nella tua carne…).

E lui, adesso come allora, si irrigidisce e ti da le spalle.

Insisti, “Non mi importa con chi vai a letto. Lo so da quando avevo diciotto anni, e non è mai stato quello il problema.”

Dean si volta e ha gli occhi troppo in ombra per poter capire… ma da come si mantiene nelle spalle supponi che stia cercando di fingere una spavalderia che non prova davvero in questo momento.

“Come…” ti domanda.

E tu vorresti rispondergli: perché ti ho visto nel cesso di un bar, mentre lo succhiavi a uno sconosciuto e non ho avuto il coraggio di tornare a casa quella notte. Ma le parole ti muoiono nella carotide, prima ancora di arrivarti in bocca.

“Lo so e basta. E non m’importa. Sei mio fratello e non c’è niente che potresti fare per costringermi a smettere di amarti, ma devi spiegarmi che cosa è successo quella notte, perché io non riesco a ricordare e ogni volta che ci provo, vedo solo il coltello che ti entra nel petto e il sangue che mi impregna i vestiti mentre cerco di non farti morire.” Improvvisamente tutti i sentimenti che tieni bloccati dentro di te ti si riversano addosso come una grandinata. Ti senti così disperato che potresti scoppiare a piangere come un bambino, “Dean ti prego…”

 

“Non mi ricordo,” esordisce. Ha gli occhi di giada sul punti di incrinarsi e tu vorresti potergli consentire di mantenere le sue inquietudini per sé, ma non è così. Lo osservi, non vuoi essere invadente, vorresti poter rispettare di più il suo bisogno al silenzio, ma non ce la fai. Cerchi di non perderti nemmeno la cadenza del suo respiro, ma Dean quando comincia è come un motore alla massima potenza, senza pilota: arrabbiato e spaventato e vulnerabile. “Volevi saperlo, no? Questa è la verità. Non ricordo nulla di quei giorni. Cosa è successo prima, cosa ho pensato quando l’ho fatto… alle volte sento ancora l’impressione del manico del coltello nel mio palmo, e credo di poter rimandare il tempo all’indietro, di potermi fermare, di poterlo evitare. Anche solo di capire… ma non succede mai.”

Tu l’ascolti, mentre ti parla per la prima volta onestamente di ciò che è accaduto quella notte. E Dean è lì, improvvisamente così vicino che ti senti quasi appagato semplicemente del calore che trasla dal suo corpo al tuo, come una cosa viva.

 

“Forse non ero io. Forse era qualcun altro. Io non voglio uccidermi, io non l’avrei mai fatto. È

possibile che qualcun altro abbia preso possesso del mio corpo Sammy?”

Non te lo puoi impedire, dovresti controllarti meglio, ma spontaneamente gli chiedi: “Da quando mi chiami Sammy?” e una strana sensazione di dejavù ti assale, ti riporta a quegli infausti giorni prima che Dean si accoltellasse. E ti sembra che forse tu gliel’abbia già chiesto, forse dovresti ricordartelo…

Dean sembra ancora più confuso. “Non lo so. Mi sembra di averlo sempre fatto, come un’abitudine. Ma se mi fermo a pensarci, so che non è così. Non ti ho mai chiamato Sammy. Mai. E ora non riesco a smettere.”

“Mi piace,” replichi in fretta. Perché è la verità. Daresti qualsiasi cosa per sentirti sempre chiamare così, con quella nota di affettuosità canzonatoria che sembra rendere tutto possibile. “Non mi da fastidio.”

 

Senti che questo è un momento che dovrei ricordare per sempre. E non sai cosa ti spinge ad abbandonare ogni remora, ogni prudenza.

Ti avvicini di più, senti il contorno del suo corpo che si tratteggia lungo il tuo, e l’anticipazione ti sembra sublime. “Dean…”

 

“Non ero io, Sam. Eppure ero io. Come se fossi un altro me stesso, di un altro posto. E quando mi sono svegliato in quel letto d’ospedale mi sono sentito… solo, differente. Ho cominciato a provare delle sensazioni che prima mai…”

“Che sensazioni?” lo incalzi. Non sai se avrai un’altra occasione, questa la devi sfruttare fino in fondo.

“Ero arrabbiato con papà, per esempio. Senza una ragione ero arrabbiato per come mi ha cresciuto, per come è morto, per le responsabilità che ha fatto ricadere su di me: e non ha senso, vero? Voglio dire, è stato un padre capace, presente, onesto. Non ho nulla da rimproverare alla sua memoria… ma non riesco a frenare queste ondate di rabbia, di dolore, come se lo avessi perso nel più orribile dei modi, come se sapessi che qualcosa di mostruoso gli è capitato per colpa mia…” Si asciuga rabbiosamente una lacrima. Solo una, rotonda e perfetta. È bello, nella proporzione dei suoi lineamenti, come una statua di un tempio classico.

“La mamma invece… Ero sorpreso di vedere la mamma. Ogni volta che mi sorrideva, che mi abbracciava, mi sembrava di vivere in una realtà parallela, come se non fossi abituato alla sua presenza, come se lei non esistesse. Da quando mi sono risvegliato, tutta la mia vita mi sembra sbagliata, strana, differente da come dovrebbe essere: l’officina, Lawrence, Carmen. Tutto. Tranne te. Solo questo è normale. Solo questo riconosco: tu ed io e la strada davanti a noi. Perchè Sam?”

 

E tu non lo sai.

Vorresti potergli rispondere qualcosa di vero. Ma le parole non sono abbastanza.

 

Allora lo baci.

 

E il countdown… il maledetto countdown che ti ossessionava da settimane risuona nel tuo cervello, con la chiarezza minacciosa dello scocco di una campana.

 

Ti chiedi confusamente quando avverrà l’ultimo rintocco.



 
   
 
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