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Autore: Belarus    26/11/2017    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Di ritorno dal mio viaggio a Roma, parzialmente ancora turbata dall’aver scoperto che Kidd è stato vittima di bullismo e inconcludenza con l’altro sesso da ragazzino, mi sono finalmente decisa ad aggiornare perché il capitolo non aveva alcuna intenzione di migliorare e ormai stava per passare un altro mese. Credo di poterlo definire piuttosto movimentato, con separazioni inattese, incontri all’orizzonte e ricordi dalla vena più o meno romantica che mi sono stati supplicati XD Spero ad ogni modo di averlo reso quantomeno decente, di non venire denunciata per crimini contro l’umanità e di poter fare meglio la prossima volta, quando mi auguro di essere in procinto di terminare questa saga. Per il resto non posso che ringraziare voi miei impavidi lettori e rimandarvi al prossimo succulento (?!) aggiornamento~ Merci e au revoir mes amis!



CAPITOLO LXXXII






Gli Heart pirates erano una ciurma speciale e a tratti sopra le righe. Aya, sebbene avesse apprezzato dal primo incontro le loro particolarità, aveva imparato quanto esattamente con il tempo, Shizaru e gli altri non stavano avendo una simile fortuna. Ad eccezione di Celya, cui tremava il sopracciglio per lo sforzo di trattenersi, i suoi due nuovi compagni di viaggio li fissavano ammutoliti sventolare un po’ i pugni in aria con fare rissoso e un po’ confabulare, riuniti attorno ad un Law già sin troppo esasperato, in merito a quella che tutto era fuorché una decisione importante da prendere o sulla quale ci si sarebbe persino dovuti soffermare in quel momento.
«È inammissibile che possa succedere una cosa simile.» continuava a ritenere Penguin, le braccia serrate sul petto della divisa con la sua aria più seria e greve.
«Aye aye! O-jochu non può finire tra le braccia di un criminale!» strepitò subito il suo sostegno Bepo, gonfiando con uno sbuffo il muso bianco oltre i pugni già pronti a colpire chissà chi lì nei paraggi.
«Bisogna impedirlo, a tutti i costi. È di vitale importanza!» confermò Shachi, sistemandosi il cappello in quello che sembrava il principio di una spedizione punitiva che per ovvie ragioni non avrebbe colpito nessuno.
Ciò che in realtà era di vitale importanza in quelle precise circostanze era il trovare un modo per uscire tutti, il prima possibile magari, da Down Under sani e salvi, ma loro tendevano spesso a farsi trascinare da certi pensieri. Non che fossero soliti sabotare pessimi matrimoni tra uno scontro con la Marina e l’altro o a lei dispiacesse tutta quella cura, avevano però trascorso le loro giornate in uno spazio sin troppo ristretto come quello del Polar Tang. Uno spazio che solo all’apparenza pareva concederti privacy e in cui in realtà mancava quasi totalmente e ognuno finiva inevitabilmente per occuparsi dell’altro. Gli Heart erano una grande famiglia, una premurosa e pronta a far terra bruciata attorno a chiunque minacciasse anche lontanamente uno dei suoi membri, anche ad onorem come lo era lei.
Lo sguardo di Shizaru di fronte a tutti quei consensi nell’agire con prontezza contro altri approcci sentimentali che avrebbero potuto malauguratamente riguardarla balzava da un lato all’altro del loro bizzarro gruppo, quasi temesse di aver già perso il controllo su quell’alleanza improvvisata. In silenzio le sue sopracciglia minacciavano di unirsi, un po’ come la testa di Amaro di staccarsi dal collo tanto girava, e lo avrebbero senza dubbio fatto se poco più in là Law non avesse deciso di intervenire.
«Da ciò suppongo non abbiate ascoltato la parte in cui raccontava che è morto.» fece loro presente con il tono piatto di chi sta vivendo la propria stressante routine quotidiana.
Di colpo, Bepo, Penguin e Shachi si ammutolirono per guardarlo e ricambiati da un’occhiata inespressiva, si girarono contemporaneamente a guardare lei che all’ombra di un Jean Bart altrettanto curioso dovette annuire per riportarli con i piedi per terra. Anche se purtroppo con scarsi risultati.
«Non importa se quel tipo non è più un problema. Potrebbero sempre arrivarne altri Senchō.» tornò alla carica Bepo, rifiutandosi di demordere.
Ed il tono con il quale pronunciò quell’ultima parola fece sollevare con dubbio un sopracciglio a Law, prima che insidioso, come solo lui sapeva a tratti rivelarsi, Penguin gli desse manforte facendolo quasi strozzare.
«… il Capitano Kidd giusto per fare un esempio…» ipotizzò con una finta alzata di spalle pensierosa.
Per qualche strana ragione l’allusione interruppe di colpo la confusione di Amaro, che si abbandonò ad un inspiegabile slancio di assensi che s’interruppe così com’era nato quando Trafalgar si fece scuro in volto.
Dal canto proprio, Aya abbassò sconfitta le spalle e smise di prestare educatamente attenzione al resto dei suoi affatto probabili matrimoni, previsti con tanto orrore, per appuntarsi in mente di fare quattro chiacchiere con Kidd riguardo quella voce in merito ad una loro relazione che ormai tanto spopolava. Gli avrebbe riso in faccia, già lo vedeva e non avrebbe certo potuto dargli di finirla questa volta.
«Considerate le circostanze… la mancanza di un approccio realistico e critico verso ciò che è prioritario farebbe sorgere il lecito dubbio di uno squilibrio patologico a livello neuronale che esigerebbe un controllo. Approfondito ed immediato, ma sono convinto che non sia il vostro caso.» decise alla fine di troncare Law, trucidandoli con un’occhiata che solo all’apparenza non aveva nulla a che vedere con la porzione di kikoku che aveva estratto.
Raggelati sul posto da quel richiamo e dalla minaccia tangibile di venir fatti a pezzi ed imbustati tra le provviste per il loro prossimo viaggio, sugli Heart calò un improvviso silenzio e ad Aya scappò un mezzo sorriso nel vederli rannicchiati con innocenza nelle divise.
«No! Certo che no! Pensavamo a voce alta, tutto qui!» finsero con tremula disinvoltura Shachi e Penguin, ignari di quanto inutile fosse quella loro dissimulazione anche senza l’orso che gli stava accanto.
«Sumimasen…» borbottò Bepo a capo chino ed entrambi scattarono come molle.
«Zitto tu! Non c’è bisogno di scusarsi se non abbiamo fatto niente!» lo rimproverarono.
E chissà per quanto avrebbero potuto continuare se Law e Celya, per diverse ragioni di certo, non li avessero ricondotti a forza alla calma per lasciarle finalmente un po’ di spazio per parlare. Paziente rivolse loro un breve sorriso e solamente quando ritornò a circondarli il silenzio cupo delle gallerie, decise di farlo affinché tornassero tutti a concentrarsi su ciò che davvero importava in quel momento.
«Sono certa che Kidd non starà mai così male da farmi una proposta di matrimonio e dubito esista qualche altro psicopatico intenzionato a ripetere l’impresa, ma il problema non è mai stato Pilar. Nemmeno allora.» precisò, ricordando i giorni in cui ne aveva sfortunatamente fatto la conoscenza.
Allora era cominciata come una semplice sensazione, con il rimuginare tra gli scontri però e le ore a venire, era mutata in una solida certezza che ad ogni modo nulla minava dell’impresa compiuta da Kidd. Se non avessero agito insieme, su due fronti, probabilmente sarebbe valso a poco far saltare in aria i condotti di aerazione.
«Temo di non aver chiara la situazione purtroppo.» ammise confuso Amaro, poggiandosi alla propria canna.
«Credo che la Signorina Aya intendesse dire che a Redunda il reale pericolo era costituito da Akala, secondo in comando di Nau El Pilar. Era grazie alle potenzialità del suo frutto se quell’uomo aveva il controllo totale ed esclusivo sull’isola e poteva versare regolarmente i tributi richiesti dall’Imperatrice Big Mom. Se si fosse trattato della semplice forza bruta di uno Zoo-zoo anche la Marina avrebbe potuto occuparsene con i giusti uomini e invece siamo-… sono riusciti a liberare l’isola solo dopo la strage di Arumi.» spiegò per lei Shizaru, rivolgendole un piccolo cenno di scuse con il capo per averla anticipata quando si sentì osservato per l’errore imprevisto.
Aya non si premurò comunque di rassicurarlo, limitandosi piuttosto a distogliere lo sguardo e concedergli la mancanza in silenzio.
Per quanto di buoni propositi si stesse dimostrando in virtù del compito assegnatogli da Ko e del permesso ricevuto, in fondo c’era una parte di lei che ancora non riusciva a superare l’idea di trovarsi fianco a fianco al proprio inseguitore ed aprirglisi del tutto.
«Per cui ci tocca togliere di mezzo il tipo che si è impossessato del frutto se non vogliamo finire fregati.» tirò concisa le somme Celya ed Aya si trovò suo malgrado ad annuire con le spalle basse.
Non le piaceva impelagarsi in situazioni simili, lanciarsi in uno scontro, per quanto necessario fosse, non la entusiasmava affatto né suscitava in lei alcun genere di impeto. Le si rivoltava lo stomaco piuttosto, l’ansia le montava nel petto e le sembrava sempre di aver le mani sporche ancor prima di cominciare. Lì a Down Under poi si stava aggiungendo persino il carico di star trascinando con sé otto innocenti che avrebbero potuto serenamente farne a meno. Non era esattamente così in realtà, Basque rappresentava un pericolo per chiunque, adesso lo sapeva bene, il nocciolo della questione però era che dipendeva tutto da lei. Avrebbe dovuto saper gestire simili incombenze, per natura i Nobili mondiali d’altronde erano maestri nel decidere delle vite delle altre persone con disinvoltura, ma a lei era sempre sembrata una sciocchezza colossale. Non poteva neppure vantare il sangue freddo di Kidd o Law in quelle circostanze, non aveva la certezza di far la cosa giusta per chi le stava accanto né di trascinarli fuori dalla rovina sulle proprie spalle benché l’intenzione ci fosse.
«Può darsi non sarà necessario farlo da noi…» s’intromise di nuovo Shizaru nel vederla silenziosa ed Aya ritornò a fissarlo, mentre si faceva appena un po’ più avanti quasi a volerle fare da frangiflutto contro l’incertezza.
«Non sono sicura che ha ferirlo sia stato Killer, Kidd e gli altri potrebbero non saperne nulla.» riflettè dubbiosa, mordicchiandosi d’istinto il labbro sotto lo sguardo silenzioso di Law, rimasto in disparte.
Non le piaceva l’idea di coinvolgerli, ma non poteva davvero farne a meno purtroppo e ringraziava con tutta sé stessa qualsiasi kami lassù per la collaborazione che stavano dimostrando in quel momento tanto cruciale per lei. C’erano però da tenere in considerazione molte cose oltre al loro benessere, giusto per cominciare il fatto che le stesse a cuore anche il benessere di quel branco di rissosi su al primo livello. Non aveva idea di cosa stesse accadendo lì, fino a qualche ora prima non sapeva neppure che Kidd si trovasse a Down Under e che fosse la ragione di tutto quel trambusto. Era ignara delle faccende che lo avevano spinto ad abbandonare il covo per andare sino a Wonky Hole, sebbene avesse dei sospetti più o meno fondati e non si sentiva di escludere che in una qualche contorta maniera quella guerriglia fosse intenzionale. Tra una simile confusione le riusciva difficile se non impossibile avere un quadro completo, ma poteva provare quantomeno a dare il proprio contributo sin dove le era possibile e aveva tutte le intenzioni di farlo.
«E sarebbe tanto grave?! Insomma Aya, tu… gli sei affezionata, come a questi tipi qui… hai un gran cuore è fuori di dubbio, ma non possono sbrigarsela da soli? Dovrebbero essere in grado di cavarsela se hanno quelle taglie!» sentì Celya notare con le braccia serrate.
Nella sua voce, stranamente, non vi era alcuna traccia del rancore che nutriva a priori verso qualsiasi uomo, pareva piuttosto pensierosa sul da farsi e preoccupata. Ad Aya bastò un’occhiata per capire che stava cercando di metterla a proprio modo al riparo da rischi inutili, di farla ragionare, perché incaponirsi nel voler deviare il proprio percorso già difficoltoso per tuffarsi nel caos più totale non lo era. Per lei però non si trattava affatto di rischi inutili e per quanto confidasse nelle capacità di Kidd, non lo avrebbe mai lasciato solo a combattere l’uomo che era stato la causa del suo inferno a Serranilla.
«No, loro-» negò subito con un gran scuotere dei riccioli, ma la presa di Celya sulle sue mani la bloccò.
«È ammirevole che tu riesca ad essere tanto gentile, però non puoi sobbarcarti del peso di tutto e correre in giro per salvare tutti! Pensa un po’ anche a cosa è più conveniente a conti fatti.» le rammentò con affetto, mentre il resto del loro gruppetto se ne stava in silenzio.
Celya aveva sofferto tanto, Aya non riusciva ad immaginare cosa avesse provato nell’essere abbandonata ed ingannata così tante volte dalle persone cui aveva deciso di dare tutta sé stessa. Aveva imparato soffrendo a tirare le somme, a valutare ciò che per lei poteva andar bene senza provocarle altri dolori, la sua mente si era affinata in quell’esercizio a tal punto da farle analizzare i pro e contro di ogni cosa, persino di chi le stava accanto. Le stava parlando per esperienza, in nome della loro amicizia, quasi come fosse una sorella da aiutare e proteggere, ma Celya non conosceva Kidd. Ne aveva sentito raccontare da qualcuno al Karyukai e poi da lei, ma non lo conosceva, non sapeva di cosa fosse capace o ciò che rappresentava per Aya. Non poteva sapere che se Kidd fosse stato al suo posto, non gli sarebbe mai passato neppure per errore in mente di valutare lo stato delle cose, prima di andare da lei.
«Non ha importanza cosa è conveniente o no quando tieni a qualcuno Celya. Loro mi hanno aiutata quando non sapevano nulla di me, Kidd è… Kidd è importante per me. Non tirerò dritto per la mia strada lasciando che Basque li prenda di sorpresa, li vuole morti e vuole morta anche me.» troncò decisa, scuotendo una volta ancora il capo per farle capire che non avrebbe ceduto di un millimetro a riguardo.
Per un lungo momento, nel quale le giunsero solo i sospiri sconsolati degli Heart ed il peso dello sguardo muto di Law, Celya insistette a puntarla con la fronte aggrottata. Poi, nel vederla irremovibile, si arrese anche lei e mollò la presa sulle sue mani per portare le proprie ai fianchi con un consenso sbuffato non troppo contrariato da tanta determinazione. Riscossi dalla resa di Celya, anche gli altri parvero accettare o quantomeno rassegnarsi nel dover tenere in conto Kidd e la sua ciurma.
«Adesso che ci penso, potrebbe esserci un altro modo per risolvere la faccenda…» s’intromise una volta in più Shizaru, interrompendo quel momento di stallo per far saltare sull’attenti Celya.
«Nessuno dei tuoi amici in divisa metterà piede a Down Under, marine, scordatelo! Se Aya vuole così allora… allora andremo da questo tipo e lo prenderemo a calci.» lo liquidò secca, battendo un tacco al suolo con fare intransigente per ciò che sino a pochi istanti prima aveva tentato di evitare.
«Non ho intenzione di avvertire la Marina, ma esiste un’altra soluzione oltre all’attaccare per primi!
Potremmo avvisare i controllori, sono loro che si occupano dell’ordine qui giusto? Allora che lo facciano. Basque rappresenta una minaccia per tutti, compresa la città.» propose Shizaru, passando sopra le insinuazioni ai propri danni con un respiro profondo che gli diede l’aria d’un padre tormentato dai figli scapestrati.
«Siamo tutti accusati di sommossa, però potrebbe funzionare. Ci toglierebbe dalla prima linea almeno per un po’ e avremmo il tempo di uscire.» concordò Amaro, annuendo alla proposta appena prima che lei la stroncasse.
«No.» stabilì secca, sentendo subito gli sguardi di tutti puntati su di sé.
Shizaru in particolare parve quasi aver ricevuto un pugno nello stomaco ed Aya lo vide all’istante esibire quella che durante i giorni nei quali si erano conosciuti, a bordo della sua ammiraglia della Marina, era stata uno dei suoi peggiori tormenti. Era un’espressione tutta sua, un misto di sconforto, dolore ed esasperazione che gli faceva tendere la bocca e corrucciare la fronte con uno sguardo che non si capiva bene se fosse di rimprovero.
«Signorina sappiamo quanto ci tiene, ma un compromesso-» tentò di farla ragionare, ma Aya non gli diede il tempo di terminare qualsiasi fosse il suo discorso.
Non c’era nulla su cui dover ragionare e non perché lei si stesse impuntando o avessero punti di vista differenti.
«L’uomo che ho affrontato prima, era un controllore corrotto da Basque.» rivelò, troncandogli le parole in bocca e provocando un sussulto in Celya ed Amaro.
«Un controllore corrotto?!» sentì l’ex mercante del Karyukai ripetere incredula e seppe perfettamente il motivo per cui quella scoperta le era giunta come una doccia fredda.
Non era molto informata in merito a tutte le regole di Down Under o le sue leggi interne, ma non le era sfuggita l’importanza del lavoro dei controllori ed il potere di cui erano dotati nelle gerarchie del mercato.
«Ne sei proprio certa? I controllori fanno voto di lealtà alla città per tutta la vita quando vengono scelti. Persino quando diventano troppo vecchi o vengono sostituiti non rompono il giuramento. Voltare le spalle alla città sarebbe un tradimento imperdonabile.» insistette a farfugliare ed Aya annuì ancora.
«Ha detto di chiamarsi Park Semì, controllore del pass numero quattro. Perché avrebbe dovuto spacciarsi per qualcun altro con me e prima di attaccarmi?» domandò retorica, vedendo Amaro stringere la presa sulla canna.
«Park Semì… conosco quell’uomo, lo conoscono in tanti qui purtroppo…» mormorò greve con lo sguardo rivolto a chissà quale vicenda spiacevole che lo aveva riguardato da vicino.
Amaro era un brav’uomo, ma Aya aveva avuto l’impressione dai suoi racconti sulla permanenza lì a Down Under come libero cittadino e farmacista ambulante che avesse il difetto di cacciarsi suo malgrado in giri non proprio onesti e ben frequentati. Non era difficile immaginare che si fosse imbattuto in qualche controllore e che la sua cattiva stella gli avesse fatto incrociare proprio la strada di quell’insetto megalomane.
«Non ha fama d’essere gentile e ha eseguito più sentenze lui di qualsiasi altro controllore, ma tradire addirittura il giuramento che ha fatto per aiutare un uomo come quello è… se è vero il Mediatore deve saperlo subito.» stabilì cupa Celya, incrociando le braccia sotto il seno con aria seria.
«Parliamo con quest’uomo allora. Forse lui potrà risolvere tutto.» suggerì ragionevole Shizaru, guardandola con un accenno di sorriso speranzoso cui lei avrebbe dovuto replicare con un sì per acconsentire.
Non ne ebbe il tempo. Un po’ perché non fu mai sul punto di farlo dato che non era poi la soluzione che pareva essere e un po’ perché ci pensò Penguin a completare per lei il quadro disastroso degli eventi.
«Si dà il caso che stia combattendo contro il Capitano Kidd in questo momento.» sputò fuori lapidario, facendo sprofondare nel silenzio più totale persino i tentativi di Shizaru.
«Bene… siamo fregati allora.» constatò con il suo solito disfattismo improvviso Shachi e nessuno osò ribattere.
Non lo fecero neppure i suoi compagni di ciurma, sempre pronti a rifilargli insinuazioni sulla debolezza dei suoi nervi nelle situazioni di crisi e non lo fece neanche Aya, malgrado sentisse di dover fare qualcosa per tirarli fuori di lì. Di colpo con quella frase, le piombò sulle spalle il peso di quella che sembrava un’impresa impossibile e per la quale non vedeva la benché minima luce in fondo al tunnel. Confusa sul da farsi e sentendosi già responsabile della vita di Celya ed Amaro che avevano accettato con fiducia cieca di seguirla, si sforzò di pensare e quasi senza accorgersene si volse a guardare Law, silenzioso in un angolo, scoprendolo già con la nodachi in spalla.


Avrebbe dovuto dormire, parecchio anche considerando quanto poco o male l’avesse fatto di recente e sarebbe dovuto essere facile, facilissimo, nel suo nuovo, morbido e spazioso letto, ma non le riusciva proprio. “Il covo dei pirati di Kidd” come lo chiamavano ormai gli uomini della ciurma, non la invogliava a rilassarsi più di tanto. Le piaceva il silenzio che riusciva a ricavare per sé, dopo tre anni trascorsi a chiudere gli occhi tra risate sguaiate, sedie che volavano e bicchieri che cozzavano era davvero meraviglioso per lei poter sentire soltanto qualche povero uccello infreddolito che berciava in lontananza verso il mare. Adorava la sua nuova camera, la balconata che dava sulla foresta e quel piccolo scorcio di spiaggia che s’intravedeva, il baule ampio dove riporre le proprie cose senza che sembrassero gettate lì da una mareggiata, il bagno tutto suo nel quale poteva rilassarsi finalmente evitando di tenere le mani piantate sulla porta per non avere visite. Le terrazze profumate di abeti e salsedine, le stanze in cui leggere in pace, la sala adibita a cambusa con vere sedie al posto delle panche, aveva tutto un’aria più conciliante in qualche modo, ma non si sentiva affatto tranquilla. Forse aveva solo bisogno di più tempo per adeguarsi, magari era colpa dello spettro della sua vecchia casa a Marijoa che non le faceva andar giù nulla o chissà, si stava scoprendo più viziata di quanto pensasse, però non le riusciva davvero neanche sforzandosi di allentare l’ansia.
Neppure la passeggiata di quella notte sembrava aiutarla e si era ormai rassegnata a tornare in stanza, aspettando che la stanchezza vincesse da sé per l’ennesima volta, quando da una finestra intravide una zazzera rossa di sua conoscenza.
Se ne stava accasciato sulla poltrona che avevano sistemato per lui sul terrazzo privato della camera, le gambe stravaccate sul muretto, una bottiglia smezzata di rhum accanto e la pelliccia abbandonata sullo stomaco quando invece avrebbe dovuto per una volta utilizzarla per coprirsi. La fissava con una strana concentrazione nel punto in cui appariva un po’ sbruciacchiata e ad Aya fu sufficiente per decidere di andarlo a disturbare.
«Posso sistemarla se vuoi… non sarà esattamente come prima, ma a qualcosa di simile potrei arrivare.» giudicò con occhio critico, sbucando da una scalinata più in fondo per fermarsi sulla soglia con le braccia dietro la schiena.
Kidd non parve più di tanto stupito dal trovarla lì e si girò appena a guardarla, il petto nudo per metà ancora fasciato, prima di rivolgere la propria attenzione altrove.
«Adesso che non hai il ponte da pulire pensi di poterti dedicare ai passatempi da signorine?» chiese roco e sebbene l’avesse detto con una certa serietà, Aya non riuscì proprio a trattenere un sorriso divertito.
«Passatempi da signorine?» ripetè dubbiosa, andandogli in contro per sedersi in un angolo del muretto cosicché non gli impedisse la visuale.
«Dipingere, suonare il piano, fare composizioni floreali, ricamare… non insegnano tutte queste stronzate alle figlie dei nobili per ammazzare il tempo?» s’informò quasi disgustato, facendola esplodere in una risata.
Quelle erano decisamente il genere di cose che a Kidd facevano saltare i nervi e che mai gli sarebbero andate giù. Tra le famiglie ricche avevano un loro perché, futile e spregevole, però l’avevano. Nel mondo reale, quello in cui lui si era fatto strada sudando sangue e in cui a nessuno fregava nulla se una ragazza era intonata o se sulla tavola da pranzo stavano meglio delle orchidee o l’ibiscus, no. Se fosse stato per Kidd gli insegnamenti sarebbero dovuti essere altri e Aya non poteva più negare di convenire con lui a riguardo. Le sarebbe stato tutto molto più semplice sapendo maneggiare un coltello o sapendo come cucinare un Re del Mare sul falò.
«Più o meno! Io ero negata in tutte-» ammise tuttavia non appena riuscì a ritrovare il fiato.
«Sai che novità.» la schernì pronto, interrompendola.
«… ma cucire mi piace, mi è sempre piaciuto. Puoi creare qualcosa di utile da un unico filo che da sé non servirebbe a nulla oppure puoi sistemare qualcosa che si è rotto, ridargli uno scopo. Ci vuole pazienza, senso critico e perseveranza!» spiegò, ignorando la consueta frecciata ai propri danni per terminare.
Oltre ad essere un’arte ed un esercizio utile a formare il carattere, il ricamo poteva rivelarsi una vera salvezza in alcune circostanze. A lei ad esempio era servito per sistemare le vele della nave quando si strappavano per un vento troppo forte, per ridare forma alle sartie, per non dover derubare i negozi d’abbigliamento e non andare in giro mezza nuda o con toppe dovunque per tre anni.
Presa dalla propria spiegazione si accorse solo in ritardo del modo in cui Kidd la stava fissando, improvvisamente non più interessato all’isola di cui aveva preso possesso. Imperterrita gli rivolse un sorriso, aspettandosi di sentire qualche commento schifato riguardo ad un’attività così poco virile come il cucito, ma lui la prese in contropiede.
«… immagino d’essere in debito con te.» suppose di colpo con una smorfia trattenuta e ad Aya parve tanto qualcuno che strappa di getto un cerotto da una ferita per non dover sopportare il dolore più a lungo.
Esattamente il genere di azione che rientrava nei suoi standard, Aya avrebbe potuto annoverare illustri precedenti, dalla volta in cui l’aveva gettata fuori bordo per non sentirla sino a quella più recente in cui si era strappato via, con tragici risultati, le bende che coprivano la cicatrice su viso e collo per non aspettare ancora.
«Non è poi chissà quale scoperta! Se sei interessato però potremmo procurarci del materiale per farti provare… anche se non so quanto sarebbe consigliabile mettere un ago nelle tue mani.» scherzò, un po’ per aiutarlo a mandar giù il groppo che sembrava avere in gola, un po’ perché non aveva la benché minima idea di cosa avesse fatto per farlo sentire in debito.
Colto di sorpresa strabuzzò per un attimo gli occhi, ma durò appena un istante prima che il suo solito caratteraccio e la mancanza quasi totale di pazienza di cui era dotato tornassero alla carica.
«Parlavo di Serranilla e di quello che hai fatto dopo, stupida donna! Non mi metterò a fare centrini con te!» le strepitò contro seccato, facendola ammutolire di colpo.
Stranita più che sconvolta dai suoi improvvisi scatti, cui aveva da anni fatto l’abitudine, non seppe davvero come prendere quel cambio di discorso né tantomeno come approcciarsi alla questione e per un po’ se ne stette a fissarlo in silenzio, prima di aprire e chiudere la bocca riuscendo ad emettere appena un versetto di comprensione.
Non sapeva se attribuire una simile trovata all’alcool. Kidd reggeva egregiamente dieci bottiglie di fila, una appena smezzata non poteva avergli provocato un simile effetto collaterale. Tantomeno poteva trattarsi dell’atmosfera confidenziale in cui si erano ritrovati senza volerlo. Perché stesse tirando fuori quel discorso proprio quella sera, in quel momento, dopo aver trascorso già una settimana sveglio a ringhiarle contro per qualsiasi gesto gentile nel quale si avventurava, era davvero un mistero. Ad ogni modo, per quanto volesse, non riusciva neppure ad assecondarlo più di tanto in un simile slancio di tatto perché non credeva affatto di meritarsi alcun riconoscimento per ciò che aveva fatto.
«Oh… non c’è nessun debito Kidd né nulla per cui ringraziare. Ho fatto solo quello che dovevo.» mormorò in un’alzata di spalle, appena si fu ripresa.
Kidd comunque non parve darle ascolto e insistette a puntarla dalla propria poltrona.
«Perché?» pretese di sapere e Aya dondolò subito il capo innocente.
«Sarà stata un pò l’ebbrezza di sottoporti alle torture del tuo sedicente medico-» provò a scherzarci ancora sopra, ma per chissà quale congiunzione astrale Kidd non voleva proprio saperne di mollare.
«Donna.» la richiamò greve, squadrandola a tal punto da strapparle un sospiro sconsolato.
Non si aspettava di dover parlare ancora e davvero di quell’incidente. Soprattutto non con Kidd. Pensava fosse stato sufficiente il bisticcio che avevano avuto appena sveglio, che la questione sarebbe andata alla deriva come molti dei discorsi seri che avevano provato ad avere. Tra loro aveva sempre funzionato così, erano più le cose non dette e che stavano bene ad entrambi che quelle di cui discutevano, perché quando lo facevano uno dei due finiva sempre per dire qualcosa di troppo o sbagliato e potevano non rivolgersi nemmeno un’occhiata per ore o addirittura giorni prima che lei tirasse fuori la pazienza, passandoci sopra.
«Cosa vuoi che dica? Non potevo lasciarti annegare nel tuo sangue Kidd… Killer, Wire, gli altri ed io… facciamo tutti affidamento su di te in qualche modo. Se cadi tu, cadiamo tutti. Non potevi rimanere là, non era così che doveva andare e ho fatto soltanto quello che credevo dovesse esser fatto. Per quanto riguarda il dopo… tu riesci ad immaginare uno dei tuoi che ti cambia le bende o le lenzuola?! Non penso per questo che dovesse toccare a me in quanto donna, ma non si può certo dire siate tipi da operazioni delicate…» sputò fuori in un’alzata di spalle fiacca.
Era inutile dilungarsi più di tanto su ciò che lui rappresentava per l’intera ciurma. Kidd non era uno sprovveduto, sapeva perfettamente cosa significava farsi carico dei propri uomini, di quel genere di uomini in particolare e si era preso sulle spalle il proprio soprannome senza mai batter ciglio da quanto Aya ne sapeva. Aveva captato da qualche frase scambiata con Killer che il reale motivo dietro il suo malumore al risveglio dipendeva dal senso di responsabilità più che dalla sconfitta in sé e non aveva voglia di rimarcare il concetto adesso che pareva starsi lentamente riprendendo, un giorno dopo l’altro. Neppure se era lui stesso a chiederlo.
«Ve la sareste cavati anche senza di me. Io non recluto incapaci.» borbottò, buttando giù un sorso di rhum dalla bottiglia che Aya gli vide rigirare in gola anche con quel buio, quasi volesse raddolcirsi l’orgoglio dell’ammissione.
Eppure, sebbene quello avrebbe dovuto forse risultarle come un segnale, non riuscì comunque a trattenersi.
«Non sarebbe stato più lo stesso però. Per me no di certo e sono sicura neanche per gli altri.» confessò di getto, lasciandosi andare ad un sorriso d’affetto un po’ malinconico che bloccò Kidd con la bottiglia in mano.
Per lei non sarebbe stato più niente lo stesso se fosse morto su quell’isola, davanti ai suoi occhi, per un attacco che nessuno di loro si aspettava. Avrebbe perso di nuovo la propria ancora di salvezza, il mondo le sarebbe crollato di nuovo addosso con tutto il suo peso di problemi, ingiustizie e crudeltà e forse, per quanto Kidd andasse pensando, non se la sarebbe cavata affatto. Se ne stava rendendo pienamente conto solo adesso dopo averlo detto, a più di un mese di distanza, in una notte come un’altra dove non c’era niente e nessuno a minacciarla. Era strano e vagamente sconcertante.
Stupita e un po’ inquietata da sé stessa, si morse d’istinto il labbro nel fissarsi nello sguardo silenzioso di Kidd che la squadrava immobile e si rese conto d’essere stata lei questa volta a parlar troppo.
«Gomen, era una cosa troppo sdolcinata per te. Mi è scappata, fa finta di non aver sentito.» provò a distrarlo, stringendosi nelle spalle infreddolite quasi per allontanare forzatamente ciò che aveva appena detto.
Stravaccato sulla poltrona, con gli stivali abbandonati sul muretto e l’unico braccio rimasto a sostenere con distrazione la bottiglia, Kidd insistette per un lungo momento imperterrito a fissarla però ed Aya ebbe l’impressione di sentirlo già lamentarsi di quante stronzate raccontasse e di quanto fossero smielate le donne, magari per poi alzarsi e mandarla a fare un viaggio spirituale in quel fantomatico paese a lei ormai noto. Invece se ne rimase lì, imperscrutabile a soppesare chissà che, prima di mollare la bottiglia a terra con una mezza risata.
«Hai un cazzo di debole per me.» la sfotté, non facendola per poco ruzzolare giù dal muretto.
«Cosa?!» domandò stordita, mentre lui la passava in rassegna con un’altra occhiata saputa.
«Ti sei fottuta quel po’ di cervello che avevi. È patetico!» giudicò in una smorfia divertita e malgrado a chiunque, passando persino di lì per caso, sarebbe stato chiaro che stava gongolando per averla presa in contropiede più o meno realmente, Aya finì comunque per dargli corda.
Se l’era cercata, lo sapeva. Con Kidd non potevano farsi certi discorsi, erano tabù, ma stavano parlando di qualcosa di serio, di un momento che aveva toccato profondamente le vite di entrambi. Non poteva trasformarsi in quella sceneggiata, era assurdo kami!
«Io non ho un debole per te. Beh, in realtà sì, ma non nel senso che intendi tu!» precisò, nel tentativo di riprendere la situazione degenerata così scioccamente, nelle proprie mani con il solo risultato di tirare in piedi Kidd.
«Vieni qui.» si sentì chiamare con tono ancora divertito e malgrado avesse notato con quanta difficoltà si era raddrizzato, rimase al proprio posto cocciuta in uno sfoggio di sfrontatezza non suo.
«No.» rifiutò imbronciata, facendolo ritornare serio d’un colpo.
«Ho detto vieni qui.» ordinò roco con più decisione e Aya abbandonò le proprie rimostranze per scendere dalla sua postazione e andargli in contro con un sospiro rassegnato.
Dall’alto dei suoi due metri, Kidd la puntò finché non se la ritrovò di fronte e ancora bendato qua e là, fece scattare la mano per alzarle il viso sino al proprio, facendole cozzare contro il naso ammaccato. Affatto turbata da quel gesto, Aya lo lasciò fare sentendo i suoi polpastrelli arpionarle tutto il volto e il pollice sfregare quasi con distrazione – sebbene non lo fosse – sulla guancia fredda per la brezza notturna.
Non era gentile Kidd né accorto in certe azioni, doveva trattarsi di quella che per alcuni poteva definirsi deformazione professionale, ma c’era a volte un non so ché di confortante in quei suoi slanci.
«Se ci trovo sopra qualche fiorellino o del pizzo ti ammazzo.» la minacciò basso, indicando con un gesto del capo la pelliccia abbandonata sulla poltrona e rinvigorita da quel compito appena assegnatole, fece saltare le iridi ambrate da quella che sembrava un animale arruffato al suo proprietario.
«Una dichiarazione d’amore per te dentro un cuore di paiettes magari?!» lo punzecchiò vendicativa, sentendolo stringere la presa quel tanto che era sufficiente a farle mancare il fiato, ma non a farle davvero male.
«Vedi di non fare casino, non ho nessuna intenzione di passare la notte badando a te.» la liquidò, dopo essersi assicurato che il messaggio le fosse giunto chiaro per sparire dentro la propria camera.
Avrebbe potuto staccarle la testa volendo, il ché avrebbe dovuto spaventarla a rigor di logica, ma a conti fatti le suscitava solo prudenza e una sana dose di rispetto. Non lo avrebbe mai fatto, lo sapevano entrambi.
«…e notte anche a te Kidd.» salutò scuotendo i riccioli per accomodarsi al suo posto e poggiare in grembo la pelliccia da sistemare per darvi una prima occhiata.
Sarebbe stata una lunga nottata e una volta ancora l’avrebbe passata quasi insonne, ma adesso almeno si sentiva di nuovo serena. E quello non era poi così strano considerando che Kidd era tornato quello di prima.



Doveva avere le zampe libere per combattere ed essere privo di pesi in più lo avrebbe reso più veloce. Era una giustificazione d’una logica schiacciante se si consideravano i pericoli cui stavano andando in contro, ma il fatto che stesse mollando tutto sulle spalle di Shachi e Penguin attutiva la cosa e se si considerava che parlava solo per sgravarsi dalla fatica in realtà, si ribaltava addirittura. Il suo vicecapitano era fatto così: era capace di slanci disumani se lo voleva, altrimenti era un vero orso pigrone che Law aveva suo malgrado viziato.
Distratto per un istante dal vederli bisticciare come consueto senza badare neppure al fatto che Jean Bart – da unico vero adulto coscienzioso – si fosse già caricato delle provviste di un’intera ciurma in silenzio, si ritrovò di fronte Celya-ya già a braccia incrociate e con uno sguardo inquisitorio tale da fargli sollevare un sopracciglio.
«Tutte quelle storie per non lasciarla andare e adesso lo proponi addirittura tu! Non sarà che hai annusato la brutta aria che tira e vuoi startene alla larga?!» sibilò indagatrice e prevenuta dopo un lungo momento nel quale Law non si spese neppure nel chiedere perché lo stesse trucidando con gli occhi.
Quella donna aveva qualcosa di serio che non andava, qualcosa che avrebbe richiesto analisi e terapie data la pericolosità dell’avversione che aveva sviluppato per metà della popolazione mondiale. Quale che fosse stato il trauma che gli avevano arrecato quei dieci gentiluomini cui aveva concesso la propria mano, l’odio viscerale che nutriva ormai nei confronti del resto degli uomini poteva diventare una bomba ad orologeria pronta ad esplodere contro nemici o perfino alleati nei momenti più disparati. E Trafalgar se ne sarebbe preoccupato, in quanto appartenente alla categoria ed turista provvisorio lì a Down Under, se non fosse che in fondo Celya-ya lo divertiva e stava dimostrando una devozione ad Aya impareggiabile.
«Per quanto mi stuzzichi l’idea di proporre come alternativa un possibile incontro tra te ed Eustass-ya, sono convinto sia più sicuro per lei stare con te Celya-ya.» ribatté sarcastico, rivolgendole un cenno quasi canzonatorio di fiducia che fece ridacchiare Amaro pochi metri più là.
«Mai sarà più al sicuro di così!» lo sentì subito convenire, poggiato alla propria canna da pesca ed il viso di Celya-ya scattò subito nella sua direzione con aria convinta.
«Mi sembra ovvio. Su voi uomini non si può fare il benché minimo affidamento.» sbottò lapidaria, spingendolo ad issare conciliante le mani in segno di resa prima ancora che potesse dare avvio a chissà quale discussione.
Non altrettanto saggiamente fecero Penguin, Shachi e Bepo terminando di colpo la loro diatriba per tuffarsi a capofitto in qualcosa che Trafalgar identificò come una presunta difesa nei propri confronti e che degerò in poco meno di qualche millisecondo tramutando Celya-ya in un distributore automatico di sberle malgrado gli sforzi di Jean Bart ed Amaro-ya.
«Sicuro di farlo?» si sentì domandare di colpo dalla voce di Aya, scoprendole appena l’ombra di un sorriso divertito per quella scenetta da teatro di terza categoria che solitamente invece la faceva impazzire.
Era preoccupata ed in pensiero, Law glielo leggeva in faccia così come stava facendo Shizaru-ya da un angolo alle sue spalle, era evidente anche senza che si mordicchiasse ostinata il labbro inferiore per camuffarlo.
Certo, per cosa o meglio chi lo fosse, non rendeva la cosa poi così semplice da gestire, ma poco contava d’altronde giunti al punto in cui erano. La situazione non sarebbe migliorata con il trascorrere del tempo, dovevano fare qualcosa per cavarsi tutti fuori dai guai che gli si erano accumulati attorno e per farlo l’unica possibilità che avevano era quella. Perché fiondarsi tutti al primo livello sarebbe stato un caos degno solo della guerra di Marineford e sarebbe successo se lei si fosse intestardita nel correre lì come diceva.
«Eustass-ya non ascolterebbe nessuno di loro e tu devi portarli fuori, non ci sono molte alternative.» spiegò piatto, deviando l’attenzione da sé all’impiccio in cui si trovavano.
Paradossalmente gli era più semplice fare i conti con quella baraonda di nemici piuttosto che ammettere che il motivo per cui si era offerto volontario e di slancio persino, per andare a mettere al corrente Eustass-ya, era di evitare che lo facesse lei. Poiché era chiaro che ci sarebbe andata, di corsa e fregandosene della battaglia che l’altro stava combattendo, infischiandosene non solo di quella, ma di tutto e il pensiero a Law aveva rivoltato lo stomaco a tal punto da mettergli paura. Sapeva quanto Aya tenesse ad Eustass-ya e sapeva anche – perché sì, lo avrebbe fatto anche lui, sebbene non si sarebbe mai sognato di confessarlo – che semmai si fosse trovata a sguazzare nel mezzo di una fascia di bonaccia Eustass-ya si sarebbe tuffato per riprenderla pur non sapendo nuotare, ma vederle quella determinazione cieca nel proteggerlo a suo modo gli aveva dato i brividi. In lui era riaffiorato repentino il ricordo d’una forma di devozione simile, assoluta e pericolosa, di cui appena ragazzino era stato sul punto d’essere vittima e per quanto sapesse con assoluta certezza malgrado la scarsa conoscenza che Eustass-ya non avrebbe mai chiesto ad Aya ciò che Doflamingo pretendeva dalla sua “famiglia” era stato tutto più forte del suo buonsenso. Non voleva che si cacciasse nei guai da sola e non avrebbe mai tollerato che se li andasse addirittura a cercare per fare da scudo a chi non aveva affatto bisogno d’aver uno. Per cui si sarebbe fatto carico lui di quell’impresa, avrebbe rimandato ancora per un altro po’ la loro promessa riunione e chissà, forse con un po’ di fortuna avrebbe persino potuto divertirsi nel dare sui nervi a quella grossa testa calda.
Quasi intercettando quel suo ultimo pensiero, Aya piegò appena il capo di lato fissandolo sospettosa.
«E ascolterà te?» domandò, esibendo un’espressione di rimprovero che non celava un pizzico d’ilarità.
Ci sarebbe stato da dibattere piuttosto sull’eventualità che Eustass-ya potesse mai accettare consigli o direttive da qualcuno che non fosse lui stesso, mapotevano sorvolare al momento. Aveva i mezzi per persuaderlo a tener chiusa la bocca, mezzi adatti a qualcuno di grosso e zuccone come lui.
«So essere molto persuasivo.» assicurò, marcando volutamente il tono tanto da farle scuotere i riccioli rossicci con un sospiro.
«Prova a non esserlo troppo per piacere. Non mi va di tornare dentro a raccogliere i vostri pezzi.» lo pregò abbassando le spalle rassegnata e gli occhi di Law le saettarono addosso.
«Nostri?! Suoi semmai.» ci tenne a specificare offeso, ma Aya lo ignorò deliberatamente e spudoratamente rifilandogli persino una pacca sul petto a mò di contentino che gli fece fremere le mani.
Era davvero convinta che Eustass-ya potesse essere al suo livello?! Che fosse persino migliore di lui, in grado di arrecargli tanti danni da doverla far correre in suo soccorso?! Come le si era ficcata una tale baggianata nella testa?! Sapeva perfettamente come combatteva, di cosa era capace! Se avesse voluto avrebbe potuto ridurlo ad un cumulo di pezzetti impossibili da ricomporre persino con le istruzioni! Cos’era questa storia adesso?!
«Grazie.» provò a rabbonirlo con un sorriso.
Uno carico di gratitudine, quasi commosso, caldo e rasserenato, uno di quelli che avrebbero potuto stendere chiunque senza possibilità di ripresa e che gli avevano fatto abbassare giorno dopo giorno le difese, uno di quei maledetti sorrisi che Aya tirava fuori a tradimento e che doveva essere di certo sincero. Ma l’offesa gli era penetrata sin nelle ossa ed insistette nel rimanere impettito.
Era intollerabile che avesse un’opinione tanto alta di Eustass-ya ed una tanto bassa di lui, in maniera tale da equipararli. Non erano allo stesso livello loro, c’era molta differenza, se ne sarebbe accorto chiunque.
«Non ringraziare solo per cambiare discorso.» la rimproverò piccato, suscitandole una mezza risata che lo pizzicò nell’orgoglio ancor più.
«Non lo faccio per quello!» assicurò e sebbene sembrasse sincera, Law le rivolse un’occhiata di sbieco prima di caricare la kikoku in spalla e rivolgersi al resto del gruppo.
Persistesse pure nelle sue convinzioni se la rendevano felice, fatto stava però che a recitare il ruolo del soccorritore toccava a lui e non alla sua rissosa controparte su al primo livello.
«Certo, certo… ci rivediamo tutti al pass due di Sanko entro questa sera. Fate attenzione.» raccomandò ai propri uomini che impettiti nelle divise e dimentichi di colpo dei battibecchi, cozzarono gli stivali sull’attenti.
«Aye aye Senchō!» annuirono in coro all’ombra di Jean Bart.
Trafalgar li osservò uno per uno in viso, accertandosi così che avessero colto al volo i propri taciti compiti in quella spedizione separata e quando, soddisfatto, ebbe terminato il proprio dovere di capitano si soffermò per un istante su Shizaru-ya che, zaino in spalla e giaccone sbottonato, ricambiò lo sguardo accennando un invisibile saluto con il capo scarmigliato dalla calura delle gallerie.
Non si conoscevano granché né aveva avuto modo di indagare sul suo presunto allontanamento dalla Marina, ma sembrava davvero interessato al bene di Aya e a Law tanto era sufficiente per discolparlo almeno in parte dall’essersi arruolato. Aveva già conosciuto altri stupidi marines con altrettanto stupidi deboli deviare dai loro percorsi, si augurava solo che Shizaru-ya fosse almeno l’ombra di chi a lui aveva regalato una vita. Altrimenti avrebbero dovuto conoscersi un po’ meglio e non sarebbe stata un’esperienza affatto piacevole per lui.
Rivolse subito le iridi grigie altrove, su Amaro-ya che lo salutava con una mano screziata a mezz’aria e un sorriso di sincera simpatia nei suoi confronti, per dare poi un’ultima occhiata ad Aya che, sebbene avesse ritrovato un barlume di serenità rispetto alle ore precedenti, lo stava squadrando cocciuta. Sollevò un sopracciglio, piccato da tutta quella pensierosa insistenza e si voltò finalmente per andar via.
Ammetteva d’essere a tratti competitivo, orgoglioso, di non tollerare arroganze ai propri danni e sì, a volte, in particolari ed eccezionali circostanze, poco incline al dialogo, ma la buona riuscita dell’impresa non dipendeva da lui quanto piuttosto da Eustass-ya. Stava risalendo al primo livello con le migliori intenzioni, non per mozzargli quella sua testa fumante. Certo… se la situazione poi fosse degenerata a tal punto da richiederlo non assicurava di non convincerlo ad uscire di lì ficcandolo dentro il proprio zaino a pezzi, l’eventualità però che accadesse dipendeva dalle circostanze non dalla sua volontà. Lui lo stava facendo per il bene di tutti dato che si trovavano in mezzo ai guai per l’incapacità di quell’energumeno di non fare terra bruciata attorno a sé, per lei, solo in seconda battuta perché un po’ lo divertiva l’idea di incontrarlo di nuovo. Non poteva rifilargli quelle occhiate a priori, senza sapere neppure come sarebbero andate le cose, solo perché era in pensiero e non voleva si azzannassero a vicenda. Era una persona matura, perfettamente in grado di controllarsi. Lui…
Rapito per un po’ da quei pensieri, svoltò per parecchie gallerie prima di correggere il proprio percorso e trovare le indicazioni necessarie a condurlo direttamente al primo livello. Farlo tuttavia si dimostrò più difficile di quanto si aspettasse a causa delle continue deviazioni imposte dal Mediatore e dopo una decina di minuti, trascorsi ad imboccare percorsi che avrebbero finito per ricondurlo ai mercati attorno al geyser del quarto e terzo livello, optò per una strategia più drastica estraendo la nodachi. I pannelli rinforzati con cui erano stati bloccati gli accessi alle gallerie del secondo livello, caddero ai suoi piedi in un tonfo metallico che parve echeggiare per l’intera Down Under, ma alla fine terminò impattando nel groviglio d’erba che Law si ritrovò innanzi una volta che la visuale gli fu libera. Allertato, osservò per qualche secondo quell’ammasso d’un verde lussureggiante e solo dopo aver controllato con attenzione e il proprio haki della percezione, che nessuno lo attendesse poco oltre, decise d’incamminarsi facendosi largo con un solo affondo ben assestato della kikoku.
Circondato da ogni lato da quella che sembrava una vera e propria infestazione, non si rese neppure conto di quanto gli ci volle per raggiungere lo spiazzò del secondo livello o se la direzione fosse giusta, ma lo spettacolo che gli si spalancò di fronte non gli lasciò dubbi.
L’intero mercato si era trasformato in un ammasso di rovine appartenute a chissà quale antica civiltà perduta simile a quella che abitava nei libri la Ogon Toshi nel cielo. I banchi erano abbandonati, le porte dei negozi divelte, le finestre ridotte in schegge disperse ovunque e la merce abbandonata, che altrimenti sarebbe stata venduta a prezzi esorbitanti, era stata in parte inghiottita all’interno di quella gigantesca serra umida dove erba e piante erano cresciute di colpo fuori misura. Non si vedeva un solo abitante nei dintorni né tantomeno compratori, ad eccezione di quelli che non avevano fatto in tempo a fuggire e giacevano in qualche angolo ormai esanimi.
Silenzioso e in allerta, Trafalgar li osservò passandovi accanto per poi superarli privo d’espressione con la certezza che non vi fosse più nulla da fare per loro, ma che non fosse stata affatto opera di Eustass-ya. Lo aveva visto combattere, conosceva i suoi metodi e le poche ferite che i corpi riportavano non potevano in alcun modo essergli stati inflitti dal suo frutto. La risposta alla domanda che gli era appena sorta, in merito a chi ne fosse stato l’arteficie, gli piombò di fronte di colpo oltre il parapetto del geyser, esattamente all’altro capo dello spiazzo in un’esplosione di fumo e fiamme che puzzava d’erba bruciata e prodotti chimici.
«Fottuti bastardi-! Vi ammaz-zerò come cani per questo! Argh!» tossì in un ringhio la prima tra le due figure a riemergere.
Nascosto in parte dalla vegetazione e dai banchi dei negozi, Law fissò quello sconosciuto di mezz’età arrancare sulle ginocchia per qualche metro prima di raddrizzarsi e non gli fu difficile riconoscere in lui il Basque di cui Aya gli aveva parlato. Aveva l’impressione d’aver già sentito la sua voce quando erano stati separati nelle gallerie, ma lo stato del suo corpo non lasciava alcun dubbio. Si reggeva acciaccato un fianco squarciato ed insanguinato con l’unica mano integra, mentre l’altra insieme ad una porzione del braccio e della testa si rigenerava in un prodigio di verde che poteva essere opera solo di un frutto del diavolo. Furioso insisteva nel guardarsi alle spalle ed inveire, muovendosi a passi scomposti in direzione del parapetto cui finì per aggrapparsi con il viso contratto dal dolore non appena l’ebbe raggiunto. L’oggetto delle sue imprecazioni venne fuori dalla nube di fumo nero con una calma innaturale, di cui Law si stupì solo in parte, mentre lo vedeva dondolare le falci accanto ai fianchi.
«V-voi non… non sapete cosa state facend-do! S-siete so-lo degli illusi!» continuò a ringhiare Basque, il naso tatuato imbrattato di cenere e gonfio per chissà quale colpo subito in precedenza.
Killer-ya non rispose. Dalla sua maschera non scaturì alcun verso di replica a quella conversazione né un respiro e se Law non avesse già avuto modo di sentirlo con le proprie orecchie, avrebbe giurato che non fosse in grado di parlare. Immobile, rimase a puntarlo, ignorando gli insulti che venivano gettati su di lui e sul suo capitano, quasi in attesa di un segnale che lo autorizzasse a continuare il proprio lavoro perché era evidente, almeno a Trafalgar, che quello non fosse uno scontro a tutti gli effetti. Killer-ya non combatteva a quel modo, era veloce, efficace e non dava tregua, per questo gli avevano dato quel orrido soprannome.
«Crepe-re-te qui… in questo… questo maled-detto buco!» latrò Basque, forse in conclusione al proprio sproloquio.
Trafalgar non vi badò più di tanto, concentrandosi piuttosto sulle strane figure che aveva richiamato a propria difesa, fantocci d’erba che si reggevano in piedi con la sua stessa fatica, ma che non tardarono ad attaccare Killer-ya con uno slancio di cui non li si sarebbe detti capaci. Affondarono colpi alla cieca, mirando non ad un punto preciso, quanto piuttosto alla sua figura e per il Massacratore non fu affatto difficile, superarli con un salto, per tranciarne cinque in un singolo giro di falce, mentre il loro creatore tentava di raggiungere la parte opposta dello spiazzo dove si trovava Law. Lo vide venire dritto di fronte a sé, con passo incerto e fiato corto, segno che non padroneggiava affatto il proprio frutto o non era allenato abbastanza e si chiese se fosse il caso di venire fuori dal proprio nascondiglio per togliere di mezzo quel tipo.
D’altro canto lui era uno dei problemi principali nei quali si erano imbattuti. Sé se ne fosse liberato sarebbe rimasto da risolvere solo lo scontro tra Eustass-ya ed il Mediatore e la fuga di Aya con quel suo bizzarro gruppetto.
Non fece in tempo a muoversi tuttavia che Killer-ya era già alle spalle dell’uomo, rapido e silenzioso come Law lo conosceva, senza alcuna sentinella verde ad intralciarlo. Lo vide affondare la falce nel medesimo punto nel quale Basque stava tanto faticando a rigenerarsi per poi tornare a fermarsi, quando l’altro barcollò di nuovo verso il parapetto per lanciarsi oltre in un gesto di esasperazione. Law lo seguì con lo sguardo dalla propria nicchia, finché il suo potere non l’ebbe messo al sicuro sull’ultimo cavo rimasto aggrappato alle pareti dove un tempo dondolava la scritta della città e lo stesso scoprì fare al secondo in comando di Eustass-ya. Insospettito, spostò la propria attenzione sul biondo, studiandolo concentrato con la nodachi in spalla finché non lo vide voltarsi impercettibilmente e decise di scambiarsi svelto di posto, distanziandosi d’un centinaio di metri per svanire. Killer-ya rimase solo qualche secondo a controllare le proprie spalle, poi la sua attenzione tornò su Basque e Law lo osservò svelto saltare senza alcun aiuto sul cavo per metterglisi sulla scia. Insieme risalirono tra i vapori del geyser per chissà quanto o chissà dove, svanendo dalla sua vista in pochi attimi e nascosto, tra i banchi abbandonati del mercato, si chiese chi stava dando la caccia a chi in quella guerriglia.
«Quanta astuzia Eustass-ya…» ghignò divertito dal proprio angolo, dondolando la nodachi sulla spalla.
Sarebbe stato bello rivederlo tutto sommato e forse persino più interessante dell’ultima volta.



Sino a qualche istante prima, la bocca del geyser di Down Under non era altro che una spaccatura fumante come tante altre, con l’unica eccezione delle proprie titaniche proporzioni che tanto affascinavano gli stormi di turisti curiosi e con troppi berry da sperperare in stronzate simili. Lo era stata per tutta la notte, per i giorni e gli anni precedenti, finché Killer non aveva tirato fuori quel maledetto verme dal buco costringendolo allo scoperto. Ora strisce verdissime dipartivano da ogni dove nei livelli sottostanti, ribaltando banchi e negozi, distruggendo le gallerie e lunghe lingue in preda ai sussulti si contorcevano verso l’alto nel tentativo di salvare il loro creatore.
Fermo sul ciglio del baratro con gli occhiali da aviatore che a fatica reggevano le ciocche appesantite dal vapore ribollente e il petto imperlato di gocce sulfuree, Kidd continuò a scrutare nella foschia fitta come una muraglia nel tentativo di identificare la propria preda andargli in contro tra le decine di sentinelle verdi.
«Ha lavorato qui per molto, prima che io arrivassi e i suoi affari venissero scoperti. Stava per ricevere in affitto un negozio dove vendere le proprie merci, quarto livello, vicino le gallerie di nordest… poi abbiamo scoperto di cosa si trattava davvero. Lo spaccio di articoli esotici provenienti dai mari della prima tratta di Rotta maggiore non avrebbe mai fruttato così tanto, gli acquirenti sono pochi e i prezzi bassi.» raccontò qualche metro più in là il Mediatore, i piedi di nuovo solidi piantati al suolo e lo sguardo apatico perso nei meandri del proprio dominio un po’ come il suo.
«Ha il brutto vizio di provare a fottere la gente sbagliata.» grugnì dopo qualche secondo, non provando neppure ad interrompere il proprio studio per incrociarlo.
Servais annuì greve a quella constatazione. Il suo haki lo portò a concentrarsi su un punto in particolare o magari non si trattò di una percezione di tal genere quanto piuttosto di tutto quel vapore condensato che pesava sulle spalle dell’intera città. Per dei lunghi istanti, interrotti dal borbottio del geyser e dal frantumarsi delle gallerie distrutte, rimase concentrato ad osservarlo poi un fascio d’erba saettò in fiamme una ventina di metri sotto di loro e parve convincerlo di nuovo a parlare.
«Basque trafficava esseri umani. Uomini, donne, bambini, giovani e anziani. Vivi o morti, interi e non.» rivelò con tono piatto, benché qualcosa nell’intonazione tradisse del disappunto.
Anche questa volta Kidd non si girò a guardarlo, le sue spalle si sollevarono appena come a volersi scrollare di dosso qualcosa di superfluo e gli occhi continuarono a vagare.
Era stato all’arcipelago Sabaody, dove centinaia di poveracci venivano svenduti quasi fossero pezzi di carne inanimata da marchiare o macellare e prima ancora si era fatto strada tra una tale feccia da lasciargli poco stupore per simili trovate. Il mondo era pieno di gente che speculava sulle sofferenze degli altri, la loro società funzionava così nei sobborghi malfamati e nelle città luccicanti, nessuno si faceva veri scrupoli sulla pelle altrui. Chi doveva ingegnarsi poi per sopravvivere impiegava poco a capire quanto vantaggioso fosse approfittare dei più deboli e se si teneva in considerazione quanta poco rilevanza avessero in realtà concetti come l’onore e l’orgoglio tra i più, la mattanza era fatta. Basque era il prototipo dell’approfittatore, del miserabile che colpisce alle spalle e raschia il fondo di buongrado, non c’era alcuna sorpresa per lui nello scoprire che aveva rovinato e strappato letteralmente a brandelli la vita di qualcun altro per arricchire la propria.
«Sul monte dei miracoli si può avere tutto e non è stato certo il primo a giudicare la vita una merce…» fece presente roco, calcando volutamente il tasto che fece voltare Servais.
Poteva recitare la parte dell’uomo sopra le parti con chi gli pareva, ma non con lui. Sapeva di che foggia era fatto l’intero mercato, di che foggia era fatto il famoso Mediatore, l’uomo che risolveva ogni disputa e realizzava ogni sogno. Per tutto c’era un prezzo, specie per sogni pericolosi come quelli che si realizzavano lì ad Horai.
«Il mercato di Down Under non ha pecche di fornitura, Capitano Kidd, hai ragione… ma esistono norme da rispettare per chi vuole esaudire i desideri altrui ed infrangerle non è tollerato. Qui non esistono schiavi e nessuno degli abitanti può subire aggressioni, i patti sono chiari.» gli ricordò secco, il corpo che pareva vibrare a seconda del vento che s’introduceva dalla cima della bocca.
Le regole del presunto monte dei miracoli erano più che chiare, non le si poteva ignorare o dimenticare neppure nella loro bizzarria se si voleva continuare a respirare. Quel luogo poteva sembrare a qualcuno l’unica salvezza in un mare di sofferenza, il paese della libertà e dell’integrazione più estrema, ma era anche tra i più pericolosi che esistessero. Una trappola a doppio taglio coperta d’oro pronta ad ingozzarsi del dolore altrui. Kidd ci vedeva ben poco di idilliaco o accettabile in una cosa simile, era solo una dei tanti focolari di marciume.
«L’avrebbe fatta franca facendo a pezzi un forestiero… uomo, donna, bambino, giovane o anziano. Chiarissimo.» gracchiò brusco, mostrandogli quanto poco propenso fosse a certe fottute ipocrisie ammantate.
Quando finalmente i loro sguardi si incrociarono, l’aria attorno al baratro era già densa come pioggia e con la medesima atmosfera elettrica che precede un temporale. Per quanto colpito dalla frecciata, Servais insistette a mantenere la propria posizione, in uno sfoggio di controllo che Kidd ignorò per notare piuttosto i contorni distorti della sua figura, in parte dissolta nel nulla soffocante che risaliva dal fondo del geyser.
«Nessuno si aspetta che tu e i tuoi uomini comprendiate le ragioni di tali regole, non vi è stato chiesto, ma tutti pretendono che le accettiate. Per cui ti chiedo di richiamare il tuo secondo e pagare il vostro debito, prima di raggiungere nuovamente la città di Sanko. Basque avrà la punizione che gli è stata promessa.»» annunciò fermo, in quella che tutto era fuorché una richiesta o una concessione.
«E la avrà da me.» non si tratte dal ribattere immediatamente Kidd, rifilandogli una mezza risata per quell’ultimo inutile tentativo che lo portò a sollevarsi nuovamente in aria.
«Ne devo dedurre che tu non abbia alcuna intenzione di collaborare dunque, Capitano Kidd.» mormorò, allargando i palmi verso l’alto in un gesto che lo circondò d’una nube fitta di vapore.
«Non l’ho mai avuta, moccioso.» borbottò tra sé Kidd, richiamando quanto più metallo fosse disponibile nei dintorni per eriggere una nuova e più salda barriera da opporgli.
Servais non lo ascoltava più ormai. Il Mediatore aveva portato fino in fondo il proprio compito – sebbene con insuccesso –, le trattative si erano concluse e per il fastidio di una giusta punizione, come accadeva in qualsiasi trattativa diplomatica di quella loro fottuta società. Il mondo dava di rado ciò che ognuno meritava, il più delle volte le sorti erano capovolte e toccava farsi giustizia da sé se si voleva davvero ottenerla, per quanto il Governo e la Marina andassero berciando in giro.
«Shihan… hoko.» richiamò a sé il biondo, mentre Kidd si armava dietro scudi di metallo.
Trasparente e privo di consistenza quanto il vapore di cui era composto, Servais allungò il braccio sottile nella sua direzione e dal nulla, particella dopo particella, atomo dopo atomo, qualcosa cominciò a prendere consistenza sino ad allungarsi in una lancia affilata e azzurrognola. Immobile se ne rimase a fluttuare priva d’una mano che la reggesse o di un muscolo che si preparasse a scagliarla, finché così com’era apparsa si mosse, repentina e acuminata, trapassando le lamine di metallo affastellate l’una sull’altra.
Non era difficile per Kidd creare con il proprio potere uno spessore tale da fermare una lama o persino un attacco dotato d’haki, si era allenato, sapeva comportarsi in quelle circostanze ormai, ma fronteggiare qualcosa di incosistente e alcontempo pericoloso come l’aria era tutt’altra storia. Il frutto di Servais gli consentiva d’essere sempre un passo avanti, ovunque e sempre, di prendere e perdere massa tanto in fretta da attraversare persino una barriera del suo calibro.
«Repel!» ordinò pronto, scansandosi quel po’ che bastava per evitare il colpo e al tempo stesso replicare.
Sentì la pelle sulla coscia aprirsi e insieme ad essa quella del pettorale, lì dove il braccio di solito poggiava naturalmente e scoprì con un ringhio che lama già dissolta nel nulla si era divisa in due per traffigerlo. Spostò svelto lo sguardò sul proprio nemico contro cui volava ogni sorta di ferraglia reperibile, compresa la penna dalla punta di metallo del suo grigio aiutante e le lettere dell’insegna della città, ma seppe in anticipo di non poter gioire di un colpo andato a segno quando lo vide rannicchiare il gomito per poi distenderlo di scatto.
«Tomeru.» sussurrò Servais e una folata di vapore umido, caldo come una fiamma, lo salvò provando a rimandare addirittura indietro la massa cigolante di metallo che gli era stata scagliata addosso.
Kidd si piantò al suolo, concentrato nel resistere in quella prova di forza e per un lungo momento, nel quale la temperatura salì a tal punto da far illuminare la muraglia sul punto di fusione, rimase in una posa scomoda in un virtuale braccio di ferro con il proprio avversario sotto lo sguardo sconvolto dei pochi presenti ormai. Con le braccia piegate accanto ai fianchi, le ginocchia rannicchiate e le spalle tese, avvertì i muscoli di schiena e petto contrarsi sino a far male per lo sforzo. Gocce di sudore gli scivolarono sugli occhi e giù lungo il petto, bagnando il suolo insieme all’acqua che ormai pioveva condensata da ogni dove e in quell’atmosfera umidiccia da foresta, la voce di Wire, aggrappato al proprio tridente sull’orlo del baratro gli giunse simile ad un bisbiglio distorto.
«Capitano Kidd! Killer!» urlò l’ufficiale, mentre un ammasso d’erba rotolava annerito tra lui e Servais, interrompendo a metà il loro scontro seguito a ruota dal Massacratore.
Accalorato e in parte stupito da quell’interruzione, abbassò la guardia quel tanto che bastava per constatare che anche il Mediatore aveva ripreso consistenza per il nuovo arrivo e appurare che il suo secondo in comando era finalmente ritornato dalla propria caccia tra le gallerie. Gli lanciò uno sguardo veloce, squadrandolo da capo a piedi, mentre sollevava le falci: era bruciacchiato, ferito ad una spalla, ma intero e la cosa gli suscitò un moto d’orgoglio che non poté far altro che ingigantirsi quando Basque, avvolto nelle proprie erbacce, tentò con non altrettanto successo di rimettersi alla pari.


















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Note dell’autrice:
Dicono che il mondo sia bello perché vario. A qualcuno piacciono i fenicotteri, qualcuno odia l’umeboshi o il curry udon, c’è chi non sopporta di trasgredire le regole e chi finisce anche non volendo per fare di testa propria. Addirittura chi si appassiona alle baggianate che scrivo qui sotto! Sembra impossibile e invece è così… pare, io non ci credo poi tanto. Non è normale, diciamolo pure, su! Hanno lo stesso spessore delle ricette che ti ordinano di aggiungere “un pizzico di sale”.

- Ogon Toshi: “La città d’oro” , semplicemente Shandora… che ricordo, qualora qualcuno avesse dimenticato, è a tutti gli effetti una leggenda metropolitana in One Piece, anche se i Mugiwara sono stati in grado di volare sin lassù.
- Shihan: Si tratta del titolo di maggior prestigio con cui ci si riferisce ai maestri del Budo, arte marziale nipponica che rappresenta lo stile di combattimento di Servais. I kanji che rappresentano questa parola sono piuttosto criptici, poiché se da un lato indicano la “Via che conduce alla pace” dall’altra possono anche indicare “La via delle guerra”. Ho deciso di ispirarmi a questo caso emblematico di combattimento per creare il volto, pacifico e allo stesso tempo intransigente, del Mediatore che come tutti i diplomatici è un po’ così. Inaffidabile.
- Hoko: Tecnicamente si tratta della primo ideogramma con cui è composta la parola Bu-do. Vuol dire “lancia” o “picca”.
- Tomeru: Seconda parte dell’ideogramma Bu-do. Letteralmente “Fermare, disarmare”.
  
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