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Autore: EvelynJaneWolfman    28/11/2017    1 recensioni
Nulla sconvolge il grigio e monotono mondo di Scott, tranne Dawn, la ragazza che gli ha rubato il cuore ai tempi del liceo e che non vede da anni. E quando finalmente la rincontra, i due si lasciano andare ad un momento di passione, sempre sognato da entrambi, prima di dirsi addio nuovamente. O almeno questo è quello che pensa lui, perché due mesi dopo a bussare alla sua porta è proprio la bionda con una sconvolgente notizia: aspetta un bambino! Scott non accetta quell'improvvisa bomba nella sua vita, non è in grado di prendersi cura di un bambino. Come se non bastasse in paese lo odiano tutti, complice il comportamento orribile dei suoi genitori nei confronti della comunità, e sa che per suo figlio crescere accanto a lui significherebbe vivere le stesse situazioni orribili che ha vissuto egli stesso nella sua infanzia, trasformandolo nel mostro che è ora. Dawn però è caparbia, tenace e non si arrende: vuole un padre per suo figlio e l'uomo che ama per sé. Ed è disposta a tutto pur di farsi accettare da lui, anche sconvolgere la vita degli abitanti di quel piccolo paese, portando alla luce segreti e crudeltà ancora da scontare.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Aveva quasi baciato Dawn la sera prima. Le aveva quasi permesso di fargli perdere nuovamente la ragione. Lei lo aveva colto in un momento di particolare fragilità e non si sarebbe mai perdonato per questo, tutti quegli anni non erano bastati a fargli imparare la lezione a quanto sembrava. In realtà era Dawn molto brava a confonderlo, quando aveva percepito la sua mano calda e morbida sulla propria non aveva capito più nulla. Un secondo prima stava ammirando le stelle e maledicendo il suo passato mentre quello dopo si trovava ad un centimetro dalle labbra della ragazza; il suo profumo era più stordente di qualsiasi droga e più ammaliante di quello di una dea. Tutto sarebbe stato più facile da gestire se lei non lo avesse fissato come se volesse divorarlo, una parte di lui si era sentito così fiero per aver scatenato quella reazione in lei mentre l'altra lo malediva perché sapeva avrebbe ceduto. Infatti lo aveva quasi fatto, per fortuna quelle scale marce lo avevano riportato alla realtà, facendogli conficcare una scheggia di legno nel palmo. Il leggero pizzicore l'aveva risvegliato e in un secondo la realtà di ciò che stava per fare si era abbattuta su di lui come un blocco enorme di cemento. Si era allontanato in fretta da lei per dirigersi in casa, borbottando qualcosa che nemmeno ricordava più. Era stata una scelta giusta, lo sapeva, ma doveva ammettere con rammarico che baciare nuovamente Dawn era uno dei suoi desideri inconfessabili. Scese giù in cucina, venendo investito da un invitante profumino, proprio com'era successo la sera precedente, a quanto sembrava la bionda aveva preso possesso della sua cucina – non che la cosa gli dispiacesse. Appena entrò nella stanza vide sul piccolo tavolo due piatti di french toast e una caraffa di spremuta d'arancia venuta fuori chissà da dove, l'unica cosa che mancava in quel quadretto casalingo era proprio Dawn. Chissà dov'era finita quella matta. Diede uno sguardo al campo fuori dalla finestra, constatando con sollievo che la ragazza non si trovava tra il terreno e le erbacce a tentare di ridare vita a quella flora martoriata.

Si sedette a tavola, deciso a fare colazione in fretta per andare in giro a chiedere lavoro nelle fattorie della zona prima che potesse cambiare idea. Il solo pensiero di dover chiedere aiuto a quelle persone non lo entusiasmava per nulla anzi, avrebbe preferito tagliarsi un braccio e venderlo al mercato nero piuttosto. Però sapeva anche di non poter mantenere né lui né Dawn e nemmeno il bambino coi pochi risparmi che aveva messo da parte, ed anche quelli un giorno sarebbero finiti. Infilzò il french toast con la forchetta e diede il primo morso, ebbe la conferma che la biondina ci sapesse proprio fare in cucina. Si accinse a dare il secondo morso, ma uno strano verso lo fece bloccare stranito, rimase in attesa che quel rumore si ripetesse evitando anche di respirare. Dopo qualche secondo il suono si ripresentò e capì che erano conati di vomito. Preoccupato, si alzò e si diresse verso il piccolo bagno del piano inferiore, da dove sembravano provenire, e la scena che si ritrovò davanti gli fece stringere il cuore: Dawn era china verso il water, il viso terreo ed esangue, e sembrava stare molto male. Capì subito di cosa si trattasse e ringraziò Dio di non essere una donna.

La ragazza sospirò stanca e si portò una mano alla fronte, i conati sembravano cessati o almemo così sperava lui. Le si avvicinò piano, lei sembrava non essersi accorta di lui e questo era veramente strano, doveva stare davvero male per non percepire le sue "auree".

«Dawn?» La chiamò piano, facendola voltare di scatto.

«Scott, non ho percepito la tua presenza.» Sussurrò debolmente, barcollando verso il lavandino. Quasi istintivamente si avvicinò per sorreggerla e lei lo ringraziò con un cenno del capo.

«Ti senti meglio?» Chiese, sentendosi un'idiota il secondo dopo. Ovvio che non si sentisse bene, aveva il volto più pallido della neve e sembrava sul punto di svenire.

La ragazza annuì e si sciacquò la bocca. «Sì, sto bene. Ormai sono abituata a questo risveglio, o quasi.» Ridacchiò tesa. Alzò il viso verso di lui e sorrise, Scott notò con sollievo che le guance stavano lentamente riprendendo colore. «Hai già fatto colazione?» Domandò lei, per stemperare l'aura di preoccupazione che era calata in quel bagno.

«No, avevo iniziato ma poi ti ho sentita vomitare e...», si bloccò, non gli andava di ammettere di essersi preoccupato perché la cosa lo irritava un po'. «Be', sarà meglio andare a mangiare allora, meglio non sprecare ciò che hai cucinato.» Si voltò e lasciò il bagno, ritornando in cucina, lei lo raggiunse subito dopo e si sedette accanto a lui. Fece finta di nulla e riprese a mangiare, lei invece iniziò a giocare col suo toast, infilzandolo con la forchetta.

«Non hai fame?» La domanda uscì con un tono più irritato di quello che avrebbe voluto, ma una cosa che odiava era vedere gli altri giocare col cibo. Sapeva bene che Dawn non era il tipo e che si era appena sentita male, quindi disgustasse qualunque pietanza esistente, ma non era comunque riuscito a fermare l'irritazione.

La bionda alzò gli occhi grigi verso di lui e agitò il capo in segno negativo. «No, ho ancora lo stomaco in guerra.» Spinse il piatto verso di lui, sorprendendolo. «Mangialo tu, non mi va di sprecare cibo, l'ho infilzato un po' ma è ancora buono.»

Scott, stranamente, provò una tenerezza inaspettata per quel gesto e coprì la mano della ragazza con la sua. La pelle di lei era fredda, come sempre, e morbida. «Dovresti mangiare qualcosa.» Le fece notare, dentro di lei stava crescendo una vita – suo figlio – e doveva prendersi cura di se stessa con più attenzione.

«Mangerò qualcosa appena il mio stomaco me lo permetterà, tranquillo.» Gli occhi di lei brillavano e Scott poté sentire la sua pelle diventare bollente ed il battito accelerato. Le pupille erano dilatate, le guance arrossate e non era mai stata più graziosa di allora, lo stupì e lo emozionò vederla in quel modo. Quando l'aveva conosciuta al liceo tante sfumature non era riuscito a coglierle, gli era sempre apparsa gentile ma pacata e a tratti algida; invece ora scopriva lati di lei che credeva aver intravisto solo due mesi prima a causa della passione che li aveva colti all'improvviso.
Il suo orgoglio maschile salì alle stelle, scoprire di riuscire a scatenare certe reazioni in una ragazza come Dawn era sicuramente un balsamo per il suo essere uomo, ma non solo, sapeva di essere il solo in grado di farlo. La ragazza non aveva mai dimostrato attenzioni verso altri ragazzi, era il solo a cui avesse rivolto la parola e lei era la sola a cui lui aveva rivolto parola. In certe occasioni gli era sembrato che entrambi vivessero in un mondo tutto loro, gli altri non erano in grado di capire i loro silenzi; erano strani agli occhi degli altri ma perfetti ai loro. Si erano attratti come due calamite e lui sapeva che questo era doppiamente pericoloso, era difficile staccare due magneti che si attraevano e lui doveva respingere la forza magnetica di Dawn prima che ne venisse assorbito.

Il rumore dello stridio della sedia contro il vecchio pavimento il legno lo portò nuovamente alla realtà, Dawn aveva ritirato la mano dalla sua e si era alzata. Sembrava in qualche modo aver percepito i suoi pensieri, infatti il suo sguardo evitava di posarsi su di lui. Raccolse il piatto che aveva ripulito e si avviò al lavabo della cucina. Il rosso scosse il capo, cercando di allontanare i pensieri e le sensazioni che quella pazza testa bionda scatenava in lui. Avvicinò il piatto che lei aveva rifiutato e mangiò anche l'ultimo french toast prima di alzarsi ed avviarsi verso la porta d'ingresso, era giunto il momento di umiliarsi pubblicamente...

«Io esco, ho delle cose da fare. Tu cerca di stare ferma senza fare nulla, vorrei evitare di correre all'ospedale perché non riesci a startene con le mani in mano.» Si raccomandò a voce alta, per farsi sentire da lei, dopo di che uscì di casa e montò sul suo pick-up in direzione del paese. Una parte di lui pregò che quel catorcio decidesse proprio quel momento per abbandonarlo e fermarsi, ma con la fortuna che aveva era sicuro che ciò non sarebbe accaduto.

* * *

Ripose il piatto sul lavello e trattenne un singhiozzo. Dawn si avvicinò al tavolo della cucina e si lasciò cadere su una delle sedie poste accanto. Quella mattina, nonostante la solita debilitante nausea, era iniziata in modo perfetto: Scott si era dimostrato preoccupato e quasi in pena per lei, e quando aveva coperto la mano con la sua il suo cuore era andato al galoppo sfrenato come un cavallo selvaggio. La sua premura, emersa fuori senza che nemmeno lui se ne accorgesse, le aveva scaldato il cuore facendole sperare in un futuro per loro due.
Premura e preoccupazione non sono sinonimo d'amore però, e lo aveva capito quando l'aura del rosso si era tinta di paura e negazione. Sapeva che lui teneva a lei, almeno un po', ma vederlo negare ancora la faceva stare male; la sua presenza scatenava in qualche modo paure e ricordi passati nel ragazzo e questo lo allontanava sempre di più da lei. Non voleva ricordargli eventi drammatici bensì crearne di nuovi, ricordi felici e amorevoli che li avrebbero accompagnati nel corso della loro vita ma lui non glielo permetteva. Cosa doveva fare affinché il rosso aprisse un po' il suo cuore anche a lei? La preoccupazione mostrata quella mattina era dovuta sicuramente al bambino e non a lei e questo era un doppio colpo. All'inizio le sembrava di usare quel bambino per avvicinarsi a lui, adesso invece le sembrava di essere solo una macchina da concepimento. Doveva essere felice di vedere Scott così attento verso il bambino e lo era, ma avrebbe tanto voluto avere almeno una minima considerazione o un gesto d'affetto da parte sua. Era sciocco aspettarsi una cosa del genere, era lei quella innamorata e non lui.

Di certo non l'avrebbe fatto innamorare piangendosi addosso, questo era poco ma sicuro. Sbuffando frustata come non aveva mai fatto prima, si alzò dalla sedie e prese una scopa dallo sgabuzzino; le pulizie erano il modo migliore per tenere la mente lontana da pensieri e tristezze, e quella casa aveva tanto bisogno di essere curata...

* * *

Devi scendere, Scott, altrimenti come pensi di cercare lavoro rimanendo come un fesso nel pick-up?, gli fece notare lo voce di Caroline nella sua testa. Sentirla nei propri pensieri gli fece scorrere un brivido freddo lungo la schiena, ma quelle parole erano proprio le stesse che gli avrebbe ringhiato la donna se fosse stata lì.

Il suo pick-up era fermo dinanzi alla fattoria di Bob Fletcher, un suo vecchio compagno di classe; uno dei pochi che non aveva mai rivolto una sola parola cattiva verso di lui. Sapeva che il ragazzo aveva da poco aperto un'impresa agricola e sperava che almeno lui potesse aiutarlo, non se la sentiva di chiedere a quei bastardi del paese ed aveva preferito qualcuno più "amico". Non aveva mai avuto chissà quale rapporto con Bob, ma ricordava perfettamente tutte le volte che gli aveva consigliato di fregarsene delle male lingue che giravano in città e di vivere la propria vita serenamente. E all'inizio aveva proprio seguito il suo consiglio, poi tutto era precipitato quel fatidico giorno e nulla era stato più sereno per lui – non che lo fosse mai stato veramente. Scese dall'abitacolo reprimendo un grido di frustrazione, fare qualcosa contro la propria volontà era un vero dolore per lui ma aveva dei doveri che doveva rispettare visto l'impegno che si era preso e non poteva sottrarsi proprio in quel momento.
Si avvicinò alla casa padronale del ragazzo e salì in fretta i gradini del portico, ritrovandosi davanti l'elegante porta bianca abbellita con delle rose appese sopra. Suonò il campanello sperando di non trovare nessuno in casa, in quel modo non sarebbe stata colpa sua visto che comunque ci aveva provato. Avrebbe trovato un altro modo per prendersi cura di suo figlio e di Dawn. Passarono alcuni minuti e dalla casa non provenì nessun suono, ignorando il grido di felicità esploso nella sua testa, si voltò e si allontanò dalla casa, ma proprio in quel momento la porta venne aperta.

«Scott?» La familiare voce di Bob lo fece congelare all'istante sull'erba ancora bagnata dalla rugiada del mattino. «Che ci fai qui?» Chiese nuovamente il ragazzo, evidentemente sorpreso.

Il rosso si voltò verso di lui, nascondendo ogni emozione dietro la solita maschera di menefreghismo. «Hai un minuto? Dovrei chiederti qualcosa.» C'era voluta tutta la sua forza di volontà per pronunciare quella frase, ma ricordare il motivo per cui lo stava facendo lo fece sentire meno di merda.

Bob annuì e gli fece cenno di entrare in casa. «Ho sempre tempo per un vecchio compagno.» Esclamò sorridente.

Non era cambiato, constatò Scott, era rimasto il solito ragazzo allegro ed incurante dei pregiudizi altrui. Solo i capelli avevano subito un cambiamento drastico, il ragazzo li aveva sempre portati corti mentre ora lunghe ciocche bionde gli sfioravano il mento. Seguì Bob in casa ed evitò di guardarsi in giro per non deprimersi ulteriormente delle condizioni in cui versava la sua.

«Posso offrirti qualcosa?» Gli chiese, una volta fatto accomodare su una poltrona che sembrava alquanto costosa.

«No, per la verità sono venuto solo per chiederti una cosa, non tratterrò molto.» Spiegò sbrigativo, voleva mettere in fretta fine a tutto quello. Chiedere aiuto per lui era come tagliarsi un arto, era cresciuto imparando ad arrangiarsi da solo e fino a quel momento tutto era andato bene – o quasi –, ora non era più solo ed arrangiarsi non bastava a crescere e mantenere un figlio con annessa madre.

«Certo, chiedimi tutto quello che vuoi, ho saputo che stai per diventare padre quindi sono a tua disposizione.»

Le notizie in quel paese viaggiavano più veloce della luce, se solo i suoi compaesani avessero usato quel talento parlante per altro...

«Sì, appunto per questo vorrei chiederti aiuto.» Si fermò, odiava quella parola: aiuto, quello che nessuno aveva mai voluto dagli. Riprese fiato e continuò. «Ho saputo che hai aperto un'azienda e mi chiedevo se ti servisse delle braccia in più, ho ancora qualche risparmio da parte ma non bastano per prendersi cura di un bambino e presto finiranno, quindi mi chiedevo se ci fosse un posto libero per me.»

Negli occhi di Bob si riflesse prima la stima, poi la curiosità ed infine il senso di colpa e Scott capì. «In realtà...» iniziò il biondo. «Un aiuto mi serve, ma come hai detto tu ho appena iniziato l'attività e non sarei in grado di pagarti almeno per i prossimi tre mesi, e con un bambino in arrivo di sicuro non è l'impiego che cercavi.» Il senso di colpa nella voce del ragazzo lo fece sentire leggermente meglio, anche se era arrivato da lui senza concludere un bel niente. Bob aveva ragione, spaccarsi la schiena senza vedere l'ombra di un centesimo per tre mesi o più non era l'incarico che stava cercando.

«Sì, spaccarmi la schiena gratis non è l'impiego che cerco al momento.» Rispose sarcastico, facendo ridere anche l'altro.

«Allora spero avrai più fortuna altrove.» Gli augurò il ragazzo.

Scott trattenne una smorfia sarcastica. Fortuna altrove? Come no, quei bastardi in paese avrebbero colto la palla al balzo per umiliarlo e alla fine non avrebbe comunque trovato nessun lavoro. Nonostante avesse lavorato per molti di loro da bambino ed avesse dimostrato di essere onesto non rubando merci o contanti dalla cassa, come molti si erano aspettati, questo non aveva minimamente influenzato il loro giudizio su di lui. Al contrario, invece, ogni piccola azione sbagliata ai loro occhi andava a confermare l'idea che in quanto Douglas fosse un bastardo e basta.

Con un sospiro, si alzò dalla comoda poltrona e salutò l'amico. «Bene, allora vado. Mi dispiace averti fatto perdere tempo.» Disse avviandosi verso la porta d'ingresso seguito da Bob.

«Ma figurati, e ricorda che sei hai bisogno di qualcosa io sono qui. Mantenere una famiglia non è una cosa facile.» Il rosso annuì, e con un ultimo cenno del capo salì sul pick-up e se ne andò.

Se hai bisogno di qualcosa io sono qui, aveva detto, ma l'unica cosa che gli serviva in quel momento era un lavoro o dei soldi e lui non era in grado di dargli nessuna delle due cose. Be', ci aveva provato e per il momento non se la sentiva di andare ad elemosinare un impiego giù in paese, sarebbe tornato a casa invece e non avrebbe detto niente a Dawn.

* * *

Si lasciò cadere sul pavimento con un sospiro stanco, aveva pulito tutta la casa ed ora non rimaneva che un sola stanza. Non l'aveva mai notata prima, anche perché la porta era sempre chiusa e di sicuro c'era un motivo. Incuriosita, si alzò dal pavimento ed aprì la porta trascinandosi dietro la scopa. Quando entrò nella stanza rimase senza fiato, era la cameretta di un bambino, forse appartenuta proprio a Scott nella sua infanzia. Ne ebbe la certezza quando vide il nome del ragazzo disegnato con i gessetti sulle ante dell'armadio. Quella camera era squisita, le pareti erano di un bellissimo verde menta e decorati con vari disegni appesi di qua e di là, il letto era ancora perfettamente rifatto ma le lenzuola piene di polvere e l'aria stantia. Sembrava che nessuno entrasse lì da tempo e tutto sembrava congelato nel passato, lo zainetto di Scott era abbandonato in un angolo con l'astuccio che usciva fuori per metà. Di sicuro il ragazzo aveva rinchiuso lì tutti i suoi sogni di bambino.

Una cosa che le stringeva il cuore, ma quella cameretta sarebbe stata perfetta come nursery del bambino. Già s'immaginava seduta lì a far addormentare il suo bambino su una di quelle sedie a dondolo che le erano sempre piaciute, il colore delle pareti invece l'avrebbe lasciato invariato anche se bisognava ritinteggiarle comunque visto gli anni di abbandono. 
Il problema però era che se Scott aveva lasciato la camera così, senza più entrarci e di sicuro non sarebbe stato contento di trovarla lì a ficcare il naso e fare progetti. Meglio lasciare tutto com'era e provare a parlarne con lui, in fondo quella era casa sua e lei non aveva voce in capitolo.

«Cosa fai qua?»

La voce di Scott la fece sobbalzare dallo spavento e si voltò di scatto, incontrando i suoi occhi azzurri apparentemente gelidi e privi di emozione, ma bastò uno sguardo alla sua aura per capire che era furioso.

«Scusa, stavo pulendo casa e...» Il ragazzo la interruppe trascinandola fuori e chiudendo la porta della camera con violenza prima di rivoltarsi verso di lei.

«Ti avevo detto ti stare ferma o sbaglio?» Bisbigliò roco a pochi centimetri dal suo viso, aveva i pugni stretti lungo i fianchi e tramava dalla rabbia. Anche così a Dawn sembrava bellissimo e l'unica cosa che riusciva a vedere erano le labbra che aveva quasi baciato la sera prima. Che Dio l'aiutasse, non aveva mai desiderato così ardentemente un bacio come in quel momento, di risentire il sapore di Scott.

Il ragazzo la spinse all'improvviso contro la parete alle sue spalle, intrappolandola con il suo corpo. «Non dovresti guardare un uomo in quel modo, Dawn.» Le sussurrò, la sua voce era cambiata e non c'era più traccia della rabbia di prima anzi, sembrava pronto a divorarla e lei gliel'avrebbe permesso senza problemi. «Quando rivolgi uno sguardo come quello ad una persona, soprattutto dell'altro sesso, potrebbe farsi idee sbagliate e decidere di chiuderti quell'invitante ed impertinente boccuccia con metodi poco galanti.»

Un fremito le percorse la spina dorsale e si morse il labbro per trattenere un sospiro, il caldo del corpo di lui l'avvolgeva inebriandola. «Forse è quello che voglio.» Rispose, meravigliandosi di se stessa e di quella frase fin troppo spinta per una come lei.

Gli occhi di Scott vennero attraversati da un guizzo pericoloso che la infiammò all'istante. Il ragazzo annullò la poca distanza che separava i loro corpi, erano così vicini che i loro nasi si sfioravano e lei riusciva quasi a contare una per una le efelidi sugli zigomi. Lui portò due dita sotto il suo mento alzandoglielo, costringendola ad incontrare i suoi occhi ed incatenandola con il suo sguardo famelico.

«Sei una piccola strega, Dawn.» Le sussurrò con voce calma e morbida, lasciandola di sasso.

Una strega?

«Sono due mesi che mi tormenti, la sera non riesco a fare a meno di pensare al sapore delle tue labbra, alla morbidezza della tua pelle e al sapore di entrambi.» Continuò, facendo impazzire il suo cuore. Anche lei era tormentata da settimane dagli stessi pensieri, avrebbe tanto voluto dirglielo ma aveva la gola secca e non riusciva ad articolare nessuna parola.

Voleva quel bacio, lo sognava da mesi ed ogni giorno era una tortura ma nulla era più doloroso dell'averlo a pochi centimetri da sé senza poterlo baciare. Stava per perdere la pazienza, avrebbe voluto avventarsi sulle sue labbra per appagare quel bisogno febbrile di lui. Diede uno sguardo alla sua aura e vi lesse desiderio, orgoglio ed un sentimento più dolce che la fece sciogliere definitivamente. Il suo Scott, diceva di non saper più amare o provare emozioni ma quello dimostrava il contrario. Portò la mano verso la sua guancia lentigginosa e l'accarezzò lentamente, lui non si allontanò né si dimostrò irritato per quel contatto al contrario, chiuse gli occhi ed inclinò il capo spingendo la guancia contro il suo palmo.

Fu sul punto di confessargli i suoi sentimenti, ma dei colpi alla porta spezzarono quell'incanto, riportando lui alla brusca realtà. Scott si allontanò bruscamente da lei, fissandola quasi spaventato ma non da lei bensì da se stesso. Lo vide correre giù per le scale e dovette trattenere un grido di disperazione, da quando era così difficile farsi baciare da un ragazzo?

Da quando quel ragazzo è Scott, le ricordò la mente. Erano solo gli ormoni, solo gli ormoni, si ripeté.

Dal piano inferiore provenì la voce di Caroline e questo l'aiutò a ritornare in sé, scese giù in salotto e trovò la donna a litigare con il rosso.

«Senti giovanotto, cerca di portare rispetto a chi è più saggio di te, capito?» Stava dicendo la donna al ragazzo, colpendogli il torace con l'indice ossuto.

«Che succede?» Chiese, portando su di sé l'attenzione della donna ma non quella di Scott, che rimase a fissare la porta d'ingresso.

«Nulla Scricciolo, stavo solo ricordando le buone maniere a questo cavernicolo.» Rispose sarcastica, scatenando l'irritazione del ragazzo che si voltò furente.

«Cosa vuoi, Caroline?» Sbottò lui, sembrava davvero fuori di sé e Dawn sapeva che non era per ciò che aveva detto la donna, non del tutto almeno.

«Palare con te.» Disse calma. «Da sola.»

La bionda capì l'antifona e decise di ritirarsi in cucina. «Bene, allora io vado a preparare il pranzo, rimani con noi Caroline?»

«No, Scricciolo ma grazie per l'invito.» Ricambiò il sorriso dell'anziana fattrice e scomparì in cucina.

«Di cosa volevi parlarmi?» Sospirò esausto Scott, massaggiandosi le tempie. Dawn era andata via, ma il suo profumo aleggiava ancora nell'aria. Di nuovo era stato sul punto di perdere il controllo, ma quando lei lo fissava con quello sguardo sognante e passionale lui perdeva ogni cognizione della realtà e l'unica cosa che riusciva a pensare era di baciarla fino a consumarle le labbra. Lei non aveva di certo aiutato sussurrandogli quella frase, lo aveva veramente lasciato di sasso e l'ultimo briciolo di autocontrollo era stato spazzato via dalle parole di lei.

«Scott? Scott, ci sei?» Caroline agitò la mano davanti ai suoi occhi e lui sbatté più volte le palpebre, riportando l'attenzione su di lei.

«Sì, ci sono.» Tossì, cercando di pensare ad altro.

«Sono qui per offrirti un lavoro.» Disse Caroline, lasciandolo di sasso due volte in dieci minuti, sta volta le labbra di Dawn non c'entravano nulla però.

«Un lavoro? E perché mai?» In realtà il motivo della sua proposta credeva di saperla, ma era solo un sospetto – anche piuttosto fondato.

«Perché uno dei miei lavoratori si è licenziato per tentare di sfondare a Broadway.» Rispose seccata, alzando gli occhi al cielo. «I giovani d'oggi, solo sogni ed illusioni. Comunque, accetti o no?»

In un altro momento le avrebbe detto di tenersi per sé la sua proposta e che non aveva bisogno di nulla, ma visto la situazione disperata in cui si trovava però, doveva ingoiare il suo orgoglio e pensare a suo figlio e a Dawn.

«Sì, accetto.»

«Bene.» Caroline sembrava compiaciuta, come se si fosse aspettata proprio quella risposta da lui e non fosse rimasta delusa. «Inizi domani alle sei del mattino.» Lo salutò con un cenno del capo e gridò un saluto anche verso la cucina, ricevendo dopo poco la risposta di Dawn.

Sentì la porta d'ingresso chiudersi e capì che Caroline se n'era andata, ora lei e Scott erano di nuovo soli in casa e questo l'agitava un po'. Sentì i passi di lui dirigersi verso la cucina e fece finta di nulla, continuando a preparare il pranzo.

Il ragazzo rimase fermo sulla soglia della stanza. «Per quanto riguarda prima, non farti illusioni, tu sei una ragazza ed io un ragazzo ed in quanto tale ho dei bisogni. Niente più di questo.» Detto ciò, uscì dalla cucina e lo sentì accendere il televisore. 
Si era trattato solo di mero desiderio, come aveva detto lui? No, lei aveva letto la sua aura e sapeva ciò che lui non voleva ammettere.

  
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