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Autore: Anil    28/11/2017    3 recensioni
Immaginavo che non mi avesse riconosciuto nello Shock della situazione, ma questo non mi ha liberato dalla violenta fitta allo stomaco che ho provato. Cosa credevo? Che sarei diventato il suo salvatore e che sarebbe corsa da me a ringraziarmi?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti | Coppie: Sana/Akito
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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POV AKITO
POV AKITO
Non riesco a muovere un solo muscolo. Nessun fottuto muscolo. Solo il mio cervello, nel momento in cui mi ha spinto via, ha ripreso a funzionare a pieno regime.
Credevo che anche lei lo volesse, un attimo fa si stava contorcendo sotto di me bella come non mai. Che si sia spaventata? No, non ha più paura di me, né di nessun’altro. Ed era evidente il piacere che provava, di questo sono certo.
Forse non mi vuole o si sente in colpa per Nao… Per tutti i dieci secondi in cui i miei pensieri si affollano cercando uno straccio di ragione del suo comportamento, i miei occhi sono puntati su di lei.
“Con quante lo hai fatto qui Hayama? Sei disgustoso!” mi urla arrabbiata.
“Cosa?” balbetto, cosa diavolo importa adesso?
“Non sarò un’altra tacca sulla tua cintura, un’altra che ti sei sbattuta nell’ufficio”
Eccola che scappa via ancora una volta da me.
Ci mette un po’ la mia testa ad accogliere questa nuova prospettiva: Sana sa ciò che faccio con alcune delle mie allieve nell’ufficio.
E ha creduto che volessi farlo anche con lei. Sono nauseato dal pensiero che è riuscita a formulare e sono ancora più nauseato da me stesso per quello che le ho lasciato credere con i miei comportamenti. Una smorfia di dolore mi stravolge la bocca e finalmente il mio corpo si ridesta, nello stesso istante sento il cervello che lascia il posto libero al mio istinto: comincio a distruggere qualsiasi cosa abbia la sfortuna di essere in questo maledetto posto.
Ansante e stanco mi fermo, ma solo perché non ho più niente da distruggere.
Do un’occhiata attorno: la scrivania e il divano sono rovesciati. I libri strappati sono sparpagliati ovunque. Parecchi punti del muro sono abbozzati e i trofei sono tutti spezzati. Quella stupida babbea, come ha potuto credere che volessi usarla? Dopo tutto quello che ho fatto per lei, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme!
Corro fuori, non prendo neanche il portafoglio, non chiudo neanche la palestra, mi servono solo le chiavi: prendo l’auto e sfreccio verso casa di Tsu. Non mi è mai sembrato tanto lungo questo tragitto eppure non ho rallentato nemmeno una volta, il senso di urgenza che sento nel petto ha un ché di malato, non posso permetterle di fraintendere ancora. Freno appena in tempo quando vedo l’auto di quel bamboccio ancora ferma davanti alla casa. Accosto nel viottolo e scendo, non mi importa se lo devo prendere a pugni, devo dire a Sana che ha capito male, che non le farei mai una cosa del genere.
Ma ciò che vedo mi blocca sul posto. Tutti le parole che avrei voluto dire si spengono in gola ingoiate dal groppo enorme formatosi proprio lì. Sento gli occhi infuocati mentre le lacrime premono per uscire. Sana gli stava guardando le labbra con desiderio e ora lo sta baciando con una passione che io non ho mai conosciuto, né conoscerò mai. È questa quindi la verità, Sana lo ama, ed è scappata da me per questo. Cosa posso fare io? Sono solo un ragazzo che ha perso la persona che ama. Un’altra volta.
Corro, come non ho mai corso nella mia vita e lascio che il dolore si irradi nel mio corpo senza cercare di fermarlo. Fortunatamente comincia a piovere, la pioggia laverà via le mie lacrime.
 
POV SANA
Sono trascorsi due mesi da quella sera tremenda, mi si arriccia un labbro ripensando al brutto periodo che ho passato. Io e Nao non ci siamo più rivisti e neanche Akito è più spuntato fuori. Da ragazzi aveva questo vizio di sbucare nel momento del bisogno, ma adesso non verrà più nessuno in mio soccorso. Sogno quasi ogni sera quei momenti passati nel suo ufficio, è come se la mia testa volesse propinarmeli a forza visto che di giorno faccio uno sforzo attivo per non pensarci. Insomma anche se so che voleva solo usarmi, non riesco a pensare ad un solo piacere provato nella mia vita che sia anche lontanamente paragonabile a ciò ché ho provato in quegli attimi.
Mi riscuoto dai miei pensieri e sventolo un pugno in aria riacquisendo il mio piglio sicuro ed autoritario: “sono la regina del mondo” urlo.
“Si, come vuole lei signorina Kurata, ma non è questa la battuta dello spot.”
“Cosa?” Mi guardo attorno, la luce del proiettore mi abbaglia e mi riparo gli occhi con la mano. Sono sul set di uno spot di profumi e per un momento ho dimenticato dove fossi. Guardo il lupo davanti a me che mi ricambia con il suo sguardo pigro. Sì il lupo è vero. Deve essere colpa sua se mi sono distratta: ha l’aria selvaggia, ma è un lupo buono. Il suo addestratore mi ha assicurato che potevo accarezzarlo e mi avvicino per toccargli la testa pelosa. Il lupo mi mostra brevemente i denti, ma poi china la testa strusciandosi sulla mia mano. Ecco chi mi ha fatto pensare ad Akito, la sua copia sputata! La sua natura è sempre stata schiva e scontrosa, ma è riuscito a sviluppare anche un lato affettuoso e premuroso. È giusto aspettarsi che la sua natura non si presenti mai più? La risposta è veloce e scontata: no. Io l’ho addomesticato per così dire, ma non è giusto che mi aspetti che non sbagli mai. Lo so che l’ha fatta grossa secondo il mio punto di vista, ma infondo mi ha trattata come una ragazza qualsiasi, cioè esattamente quello che sono. Lo ripeto: il problema è stato il mio, non il suo.
“Stooop, Sana si può sapere cosa stai facendo?” Stavolta è Rei a riscuotermi, smetto di accarezzare il lupo e quello ringhia contrariato contro Rei.
“Rei, riunisci il consiglio, ho la soluzione al nostro problema.”
“Ma Sana sei nel bel mezzo di uno spot!”
“Digli che ho avuto un malore e portami via da qui.”
 
Rei agisce in fretta e nel giro di due ore siamo negli uffici della Fondazione Strength Women (l’ho fondata io e ne sono il presidente). Il segretario e il vice presidente mi aspettano nella sala riunioni e io non perdo tempo in chiacchiere.
“Ho la persona giusta per il progetto, limiti di denaro?” chiedo a bruciapelo.
“Nessuno, stamattina abbiamo ricevuto un’ingente donazione da una nota casa di moda, e un'altra da un benefattore anonimo” risponde il segretario, e questa è davvero una buona notizia. Grazie all’ambiente che frequento siamo riusciti a raccogliere molto denaro per la causa, e soprattutto per un progetto che richiede un professionista…
“Bene, stilate il contratto. Ci vediamo qui fra due ore.”
Esco dall’ufficio e dico a Rei che deve aspettarmi qui anche lui, ho voglia di guidare. Sarò anche diventata una donna forte agli occhi degli altri, ma anche io ho bisogno di raccogliere il coraggio prima di vederlo.
Guido lentamente, oh mooolto lentamente, fino a casa sua. Ho preventivamente chiamato Tsu per farmi dire dove fosse, e l’ho anche minacciato di morte per fargli passare qualsiasi voglia di avvisarlo.
Parcheggio e con le mani ben salde sul manubrio respiro forte. Ce la posso fare, è solo Hayama. Mi decido a scendere dall’auto, ogni passo sul vialetto mi sembra durare un’eternità, mi blocco davanti all’ultimo ostacolo: il campanello. Il braccio che ormai è di piombo scatta all’insù quasi animato di vita propria e sento il dlin dlon risuonare forte in casa. Quasi istantaneamente la porta si apre.
“Sanaaaa!” una zazzera di capelli biondi mi annebbia la vista, sono i capelli biondi di Nat che mi è letteralmente saltata addosso.
“Sei la mia eroina! Che bello vederti qui! Entra dai!” Si stacca da me e si appiattisce contro lo stipite della porta facendomi cenno di entrare.
Le sorrido, ma non accenno a muovermi “Cerco Akito.”
“Akito? Ma lui non abita più qui, ha preso un appartamento vicino alla palestra da un paio di mesi.” Nat mette le mani sui fianchi e sbruffa. “Che stupido, non capisco perché è voluto andare via…”
Tutta quella fatica per niente “Nat devo andare” dico sbrigativa lasciandola imbambolata sulla soglia di casa, lo so posso sembrare maleducata, ma non sprecherò il coraggio che ho racimolato. Non so se sarei in grado di rifarlo. Risalgo in macchina per andare alla palestra, perché sono certa che se Hayama ha preso casa lì vicino è per passarci più tempo possibile. Penserò dopo ad uccidere Tsu per non aver specificato in quale ‘casa’ si trovasse il suo amichetto del cuore.
A dire il vero il pensiero di rientrare in quel posto mi disturba un po’: avverto una dolorosa stretta allo stomaco, ma ignoro le fastidiose iniziative del mio corpo. Devo essere lucida e professionale. Lucida e professionale. Oh Kami!
 
 
POV AKITO
C’è trambusto all’ingresso, i ragazzi dell’ultima lezione delle 12.00 che stavano andando via hanno formato un ingorgo vicino alla reception. Non dovrei occuparmene visto che oggi sono teoricamente libero, ma al momento sono l’unico istruttore presente nella stanza.
“Ehi che succede?” chiedo avvicinandomi. Scorgo una chioma rossa che svetta circondata da ragazzi adoranti. Indossa un tubino nero con una giacca, i capelli raccolti in un elegante chignon.
Sana sembra una professoressa. Sexy. Incredibilmente sexy. Cosa diavolo ci fa qui?
Sana mi vede e mi sorride, facendosi largo con una discreta forza fra la folla. Il suo sorriso mi provoca una stretta ad altezza dello sterno, ma la ignoro. O almeno ci provo.    
 “Possiamo parlare?” mi chiede cercando di sovrastare il frastuono.
Annuisco e le faccio strada verso l’ufficio. Lascio la porta aperta e con un’occhiata minacciosa faccio capire ai miei allievi che è ora di andare. Obbediscono.
Mi siedo alla scrivania e lei prende posto sulla sedia difronte a me. Si guarda attorno, soffermandosi sui buchi sulla parete e sui trofei disposti ordinatamente (e a pezzettini) sullo scaffale.
Mentre io mi soffermo a guardare le sue gambe accavallate.
“Allora Kurata?” la (ci) richiamo alla realtà, spero che si sbrighi e vada via. Non ho voglia di discutere. A dire la verità non mi va nemmeno che sia qui, in questo ufficio.
Inevitabilmente ripenso alle cose orribili che mi ha detto e a quello che ho visto quella sera.
Sana riporta lo sguardo a me ed arrossisce, che fa adesso si imbarazza anche solo a guardarmi? Scrolla la testa e con essa, sono sicuro, un pensiero molesto. Vorrei poterli scrollare anche io i miei pensieri che invece rimangono appollaiati, come un grosso masso, proprio sul mio stomaco.
“Sono venuto a farti una proposta”
“Niente di indecente spero, dopo la tua reazione non vorrei una replica.” Giuro, non avrei voluto dirlo, ma mi è sgorgato senza che potessi controllarlo.
“Stai zitto per favore e lasciami parlare” è arrossita ancora, bene bene. Anzi male. Molto male. Era quindi questo il pensiero molesto.
“Ho fondato un’associazione per le donne vittime di abusi e aggressioni. Stiamo costruendo un edificio di accoglienza con annessa una grande palestra che servirà ad aiutarle a difendersi. Vorrei che fossi tu l’istruttore.”
Scoppio in una fragorosa risata, ovviamente senza gioia “Non esiste.”
“Perché?” chiede offesa, e ha anche il coraggio di chiederlo. Ottusa. Non c’è altra definizione che le calzi meglio di questa.
“Non esiste un mondo in cui tu possa essere il mio capo” incrocio le mani dietro la testa, e la guardo con strafottenza.
“Stupido, non sarei il tuo capo. È l’associazione ed i finanziatori che sborsano. Tu avresti carta bianca per fare come ti pare, persino nella costruzione della palestra.”
In un attimo l’immagine di me che dirigo i lavori per costruire il Dojo dei miei sogni si fa spazio nella testa.
“Ovviamente potrai tenere lezioni a chiunque a patto che tutti i giorni ci sia almeno un corso dedicato all’associazione.”
Non posso accettare, anche se lei non sarebbe il mio capo, ci sarebbe comunque il rischio di vederla quando meno me lo aspetto. Ed io questo lo voglio evitare. Non riuscirò mai a dimenticarla se continuo ad averla sotto gli occhi. Ammesso che sia possibile dimenticarla certo.
“Te lo ripeto: No grazie. Perché non lo chiedi a qualcun altro?”
“Perché io ti conosco e sei stato il mio istruttore, mi fido di te.”
Il mio sopracciglio si solleva e sono sicuro che sulla mia faccia c’è l’espressione più scettica che si possa vedere su uomo vivente. Questa sì che è bella.
“Non la pensavi così qualche mese fa, quando sei scappata perché credevi ti avessi ferita con le parole e quando sei scappata di nuovo perché credevi ti volessi prendere su questa scrivania.”
Abbassa lo sguardo compunta e le sue gote vanno a fuoco, ma non si muove e non si irrita. Cose piuttosto strane per una persona che ha pensato quelle cose su di me.
“Sono stata stupida, scusami. Non pensare più al passato. Ciò che ti chiedo è importante.”
Sbatto un pugno sul tavolo che la fa trasalire.
“E invece parliamo, perché nonostante tu ami qualcun altro non mi va che pensi sia uno stramaledetto bastardo che ti vuole portare a letto per aggiungere una tacca sulla cintura.”
Sana spalanca gli occhi “I-io amo qualcun altro?”
“Hai sentito tutto quello che ti ho detto almeno? Ho detto che hai capito male. Ancora!”
Sana sbatte gli occhi cercando di afferrare il senso delle mie parole e in un attimo sono catapultato nel passato, nel corridoio della scuola Jimbo, mentre le urlo i sentimenti che lei non ha capito.
Ma adesso basta. Lei è rimasta la solita tonta, ma io sono un uomo, non permetterò più che si creino fraintendimenti. Infondo cosa ho da perdere? Ho già perso tutto quello che avrebbe potuto rendermi felice: lei. Che l’orgoglio vada a farsi benedire. Chissenefrega delle censure e dei rancori, al diavolo i sospetti e l’amarezza. Questo sono io, continua pure ad odiarmi se ti sbatto in faccia la verità.
“Kurata sei davvero stupida!” dico rabbioso sporgendomi sul legno scuro.
Vedo con soddisfazione le sue labbra diventare più strette, brava arrabbiati così finalmente sputerai quello che pensi.
“Si può sapere cosa ti prende?”
“Mi prende che sei scappata da me tante di quelle volte che ho preso il conto, e hai il coraggio di parlare di fiducia!”
“E tu mi sei venuto a cercare talmente di quelle volte che…ops! Un momento, ma tu non sei venuto a cercarmi mai!” Si alza e sbatte a sua volta il pugno sulla scrivania.
Rimaniamo immobili, chini sulla scrivania rossi di rabbia.
“E perché sarei dovuto venire? C’è sempre stato il tuo Kamura a consolarti!” mi risiedo e la guardo con soddisfazione mentre la sua maschera di sicurezza va in frantumi. Si è presentata qui come una donna forte ed indipendente, ma infondo è sempre la bambina con i codini sperduta e spaventata.
“Tu me lo avevi promesso, vieni da me avevi detto, se hai bisogno di piangere. Ma eri tu a farmi piangere imbecille!”
Le sue parole mi feriscono ancora, avrei voluto davvero mantenere la mia promessa se solo me lo avesse permesso. Ripenso alle parole del damerino, il fatto che Sana abbia sofferto credendo che non mi importasse nulla di lei. Mi addolcisco leggermente, ma cerco di mantenere il mio tono fermo.
“Kamura mi ha detto perché sei sparita anni fa dalla mia vita, non lo pensavo sul serio. Non era vero che non mi importava niente di te.”
Sana chiude gli occhi e respira forte, le sue mani strette lungo i fianchi ora tremano.
“Perché lo hai detto allora?”
“Non sopportavo che tu andassi via con lui e che lo baciassi, anche solo per finta. Ero geloso.”
“Potevi dirmelo!” dice con più dolcezza guardandomi.
“Lo sai che non sono mai stato bravo con le parole, speravo che il fatto che rifiutassi tutte quelle ragazze ti facesse capire che volevo solo te.”
“Rifiutavi? Credevo che te le portassi tutte a letto!”
“Mai, neanche una.”
“Ed io che sono scappata perché credevo di impazzire di gelosia.”
“Però alla fine avevo ragione di essere geloso.”
“Cosa?”
“Alla fine ti sei messa davvero con Kamura.”
Sana si sistema la giacca e torna a sedersi.
“Solo perché credevo di non rivederti mai più, mi sono illusa che con lui avrei potuto dimenticarti.” È calma e misurata adesso, accavalla ancora le gambe, ma stavolta le ignoro. Era gelosa di me…
“E ci sei riuscita.” La mia è una costatazione amara. Alla fine quel damerino è riuscito a portarmela via, forse nel profondo l’ho sempre saputo che per lei Kamura era la scelta migliore.
Sana rimane immobile, ma poi scuote leggermente la testa senza staccare i suoi ochhi dai miei.
“Ci siamo lasciati dopo solo un anno” dice lentamente. Stavolta è il mio turno di sbarrare gli occhi.
“P-perché?” gli chiedo come un ebete.
“Non è ovvio? Non riuscivo a fare, mhm, ecco…il passo successivo… e lui ha capito che non aveva senso continuare.”
“No aspetta! Non mentire! Io ti ho vista baciarlo quella sera e baciarlo con passione!” mi sono alzato nuovamente in piedi, crede di potermi raggirare?
“Ti riferisci alla sera che sono scappata via da qui?”
Non rispondo in un muto assenso.
“Sei un idiota, l’ho detto e te lo ripeto. Quello era il nostro bacio di addio come amici. E comunque come hai fatto a vederlo?” chiede alzandosi a sua volta e stringendo gli occhi minacciosa. Addio. Come amici. Nel mio cuore sfasciato, cala lentamente qualcosa di caldo e rassicurante. Un rivolo di speranza riempie tutte le fratture saldandole insieme.
“Perché ti ero corso dietro per parlarti, per dirti che avevi frainteso.” Aggiro la scrivania e mi avvicino un po’, giusto per riuscire a guardare meglio la sfumatura chiara delle iridi cioccolato, proprio lì, vicino alla pupilla.
“Cosa avrei frainteso per l’esattezza?”
“Te l’ho detto prima, non sono un bastardo che ti vuole portare a letto per aggiungere una tacca sulla cintura. Credevo mi conoscessi almeno un po’ per capire che non ti farei mai nulla del genere.”
“Io credevo di conoscerti, ma a volte non so che pensare. Perché allora stavi per…” arrossisce ancora e non posso fare a meno di notare quanto sia bella. Il labbro le trema leggermente, ma lo serra quasi subito per nascondere le sue emozioni.
Mi avvicino ancora di più e lei è costretta ad alzare il viso per guardarmi, il suo profumo mi avvolge e i suoi occhi mi incatenano.
“Perché ti desidero da sempre, da quando mi hai sfidato la prima volta alle elementari. Ti desidero da una vita e non parlo del tuo corpo, ma di te. Tutta te.”
L’ho detto e non è stato neanche così difficile, sento gli ultimi nodi sciogliersi dentro di me. Ora so che ho tentato davvero, e se lei non mi vuole allora mi rassegnerò a vivere la mia misera esistenza da solo. Non stacco un attimo i miei occhi dai suoi e vedo la comprensione dipingersi sul suo viso.
“Tutti questi anni persi per il tuo stupido orgoglio Akito” se ne esce lei con una risata nervosa.
“E il tuo” aggiungo spostandole una ciocca sfuggita allo chignon dietro l’orecchio.
“Coooooosa?” scatta battendomi il pugno sul petto.
“Io non ero orgogliosa, avevo solo paura di non piacerti abbastanza stupido.”
“Ti riferisci alla tua misera seconda?” le dico divertito.
Sana incrocia le braccia sotto al seno furiosa.
“La adoro.”
“Cosa?
“La tua misera seconda.”
Le guardo sfacciatamente il seno, ma lei stavolta non si copre.
“Davvero?”
“Si, zuccona. Neanche le tue gambe mi dispiacciono e…il tuo sedere.”
“E…”
Le sfioro le labbra con il pollice “e le tue labbra.”
Sana le schiude e stavolta non ne nasconde il tremore. Si alza leggermente sulle punte e si avvicina alla mia bocca. Siamo così vicini che posso sentire il calore delle sue labbra, sorrido estasiato. Di rimando sorride anche lei e annulla la distanza fra noi. Posa le sue labbra sulle mie e io la stringo a me ricambiando con tutto l’ardore di cui sono capace. Mi ricambia con tanto trasporto che la stacco un attimo da me guardandola ammirato.
Sembra contrariata.
“Chi sei tu?” chiedo fingendo sorpresa.
Sorride e mi dà un bacio leggero sulle labbra “La tua Sana.”
“Dove eravamo rimasti, ah sì sei diventata una pervertita.”
“Difenditi, se puoi” mi provoca cercando di saltarmi al collo. La avvolgo dalle spalle e la blocco fra le mie braccia.
“E adesso?” le sussurro all’orecchio.
“Adesso non ti lascio andare mai più”
 
 
POV. SANA
Le parole di Akito mi sono scese lentamente nel cuore, lisce come l’olio sono andate a mettere a posto gli ultimi pezzi distrutti del mio povero essere.
Infiniti -meravigliosi- baci dopo mi ridesto come da un sogno e lo allontano da me, poco, senza perdere il contatto.
“Cacchio! Dovevo andare in ufficio!” Do un’occhiata all’orologio al mio polso, sono le due. Ci siamo baciati per ore...c’era talmente tanta felicità nella mia testa galleggiante che tutto il resto è finito nell’oblio.
“Sono in ritardo di mezz’ora, cacchio cacchio!” Cerco uno specchio per sistemarmi. Le mie labbra sono arrossate per i lunghi baci che ci siamo dati, i capelli sono tutti arruffati, dallo chignon spuntano ciocche sparate. Sciolgo i capelli e applico un po’ di correttore alla bocca.
Esco dal bagno e Akito è sparito, lo cerco nelle stanze del Dojo, ma pare non ci sia.
“Hayama!” urlo con un filo di panico nella voce.
Esce un secondo dopo dagli spogliatoi, ha cambiato la tuta e ora indossa un Jeans ed una camicia azzurra.
“Dove vai?”
“Non è ovvio? Non voglio che ti allontani da me neppure per un istante oggi.”
Sorrido senza dire nulla, gli prendo la mano (è incredibile come un gesto così semplice possa scatenare così tante emozioni) e lo conduco con me all’auto.
Nel tragitto Akito non parla, mi mette una mano sul ginocchio e sembra proprio non avere intenzione di spostarla.
Mi piace il calore del suo tocco, il mio corpo freme sotto la sua mano. Concentrati sulla strada Sana. Concentrazione! Un piccolo movimento del suo pollice mi fa sussultare. Con la coda dell’occhio vedo Akito sollevare l’angolo sinistro del labbro in un ghigno divertito. Kami, quanto mi piace quel suo ghigno!
“Cosa stai facendo Hayama?” chiedo spostandogli la mano sul suo ginocchio.
“Ti tocco” dice rimettendo la mano sul mio.
“Non mi hai chiesto il permesso.”
“Non ne ho bisogno: tu sei mia!” Dice risoluto stringendomi la coscia. Un altro sussulto. Maledetto corpo! Perché mi tradisci in maniera così plateale?
Fortunatamente siamo arrivati al mio ufficio, lo guardo prima di scendere dalla macchina e lui fa altrettanto, la sua mano è ancora sulla mia coscia.
“Siamo arrivati.”
Mi si avvicina mozzandomi il fiato e mi prende le labbra fra le sue in un bacio leggero e sensuale.
Scende dall’auto e io rimango con le mani sul volante respirando forte. Calmati Sana. Ti ha solo baciato. Akito mi apre la portiera con un sorriso sghembo e mi aiuta a scendere.
“Non dovresti guidare con quei tacchi” mi dice guardando i miei sandali tacco dodici.
Gli faccio la linguaccia e lui mi prende la mano. Sento che il cuore mi sta scoppiando di felicità. Lo lascio nel mio ufficio senza preoccuparmi di mostrarglielo e gli dico di aspettarmi lì dieci minuti.
Corro nella sala riunioni e mi scuso per il ritardo. Il consigliere e il vice presidente sono immersi nelle scartoffie e non sembrano neanche essersi accorti dell’ora. Per fortuna!
“Ah signorina Kurata, volevamo chiederle un giorno ancora per sistemare i contratti” dice il segretario alzando brevemente il viso da un foglio colmo di numeri e grafici.
Sospiro e annuisco. A saperlo sarei rimasta a baciarlo per un altro po’ di ore…non vedo l’ora di tornare dal mio Akito. Mio. Sorrido come un ebete percorrendo il corridoio.
 
 
 
 
POV. AKITO
L’ufficio di Sana è grandissimo, ci sono due divani ed un tavolino basso su cui sono adagiate alcune riviste su cui lei svetta in copertina. Sulle pareti ci sono foto in bianco e nero di donne, su ognuna di esse c’è una dedica o un pensiero per Sana e per l’associazione che le aiuta. Sorrido. Sono fiero di lei, come sempre ha preso qualcosa di brutto e lo ha trasformato in un’opportunità, in speranza. Esattamente come ha fatto con me. Al centro esatto della stanza c’è una scrivania immensa di legno scuro. È completamente sgombra eccezion fatta per un grosso mazzo di rose rosse. Noto il biglietto che si nasconde fra le pieghe della carta che le avvolge.
Lo prendo e lo apro, voglio solo sapere se si tratta di un ammiratore.
“Anche io ho dato il mio contributo, perché voglio che tu riesca in qualsiasi via tu scelga. Ti amo e ti amerò sempre. Tuo Nao.”
Le mie mani tremano, rimetto a fatica il bigliettino al suo posto. Addio un corno. Tuo Nao. Calmati Akito, non puoi distruggere l’ufficio dell’associazione. Sprofondo sul divano e con sollievo noto un tavolinetto pieno di bottiglie. Scelgo uno scotch invecchiato e me ne verso una generosa quantità nel bicchiere di cristallo. Però si tratta bene la signorina. Ingollo il drink tutto d’un fiato e me ne verso un altro. L’alcool mi distende i muscoli e mi lascio andare contro lo schienale del Chester nero. Non ha senso arrabbiarsi per una così stupida, non è stata lei a chiedergli quei fiori, li ha mandati lui, contro la volontà di Sana. Questo pensiero mi aiuta a calmarmi definitivamente. Mi rilasso sorseggiando il mio drink e assaporandone le note legnose. Non vedo l’ora che sia qui accanto a me, per poter sentire il suo di sapore.
Sana rientra dopo qualche minuto, chiude a chiave la porta e si avvicina a me con fare malizioso. Mi dà un leggero bacio sulla bocca e si accomoda accanto a me sistemandosi il mio braccio attorno alla spalla. Poi vede i fiori sulla scrivania e scatta in piedi sorridendomi.
“Torno subito” dice felice.
Prende i fiori e li annusa a pieni polmoni, una fitta di fastidio mi attraversa facendo barcollare il bicchiere stretto nella mia mano. Mi sistemo meglio appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Voglio vedere la sua reazione. Sana apre il biglietto e mentre legge il suo sorriso si spegne. Noto il labbro che trema e si gira per nascondere le lacrime che le sono venute agli occhi.
“Chi te li manda?” chiedo con un tono volutamente leggero.
“Un conoscente, torno subito. Dammi cinque minuti” mi dice senza voltarsi, stringe il biglietto fra le mani e si dirige al bagno chiudendosi dentro.
Un conoscente eh. E così abbiamo battuto tutti i record, presi e lasciati nel giro di quanto? Forse tre ore. Non si stringe così il biglietto di una persona a cui hai detto addio, non si piange per il ti amo di un conoscente. Che stupido che sono. Ho buttato il mio orgoglio nel cesso per lei solo qualche ora fa e lei mi dice la prima bugia solo qualche ora dopo. Mi maledico per averci creduto. Stringo il bicchiere fra le mani fissando il liquido ambrato che ondeggia pigro. Non ho neanche la forza di arrabbiarmi, mi sento solo svuotato. Questa freddezza spaventa anche me. Potrei essere capace di tutto. Devo andare via e subito. Prima che possa alzarmi però Sana esce dal bagno sorridente. Alzo uno sguardo stanco su di lei e poso il bicchiere sul tavolino. Un tintinnio sinistro riempie la stanza.
 
POV SANA
Non so esattamente perché mi è venuto da piangere nel leggere il bigliettino di Nao.
Immagino sia perché sono contenta che non mi odi, forse un giorno potrebbe perdonarmi e potremmo tornare ad essere amici. Mi sento serena, tutto sta andando per il verso giusto. Ora che c’è Akito con me posso affrontare qualsiasi cosa. Esco dal bagno e corro incontro al mio futuro. Akito alza uno sguardo su di me e il sangue mi si gela nelle vene. Lo sguardo truce e cupo di un ragazzino di undici anni mi inchioda dove sono.
“A-Akito cosa hai?” chiedo con voce tremante.
“Chi ti manda i fiori Kurata?” chiede freddo.
Lui sa, ha letto il biglietto e io come una stupida gli ho nascosto la verità.
“N-Nao, lui…”
“Non mi interessa” mi interrompe alzandosi e andando verso la porta. Faccio uno scatto e mi posiziono davanti a lui sbarrandogli la strada.
“Spostati” dice con quel suo tono minaccioso.
“No, lasciami spiegare”
Scoppia in una risata fredda e agghiacciante, posiziona le mani ai lati della mia testa e si abbassa per trafiggermi con i suoi occhi dorati privi di gioia.
“Vuoi spiegare perché mi hai mentito dopo poche ore dall’esserci ritrovati? O vuoi spiegare perché Kamura dice di amarti quando mi hai assicurato di esservi detti addio? O dimmi Sana (storce la bocca pronunciando il mio nome), mi vuoi spiegare perché piangi leggendo i suoi bigliettini? Cosa esattamente mi vuoi spiegare?”
Sbatto gli occhi investita dalle ondate di odio e freddezza che si irradiano dalla sua bocca.
“Devo spiegarti” dico decisa, non mi lascerà spigare nulla se prima non capisce quanto io ci tenga a lui. Non voglio perderlo ancora, lo eviterò con tutte le mie forze.
I suoi occhi non cambiano espressione.
“Spostati” dice di nuovo allontanandosi dal mio viso.
“No!”
Prima che possa afferrare la maniglia prendo la chiave e la infilo nel reggiseno. Scampo alle sue mani e mi rifugio dietro la scrivania. In un lampo di rabbia Akito prende i fiori e li scaglia contro la parete. Il vaso si rompe in mille pezzi con uno schianto e le rose si sparpagliano sul pavimento. Sussulto, è davvero molto arrabbiato.
“Dammi quelle dannate chiavi Kurata.”
“Lasciami spiegare prima.”
“Non costringermi a farti del male, non sei più indifesa ora. Non mi farò scrupoli.”   I suoi occhi sono due pozze fredde, e io rabbrividisco alla sua minaccia. No Sana, non credergli, te l’ho ha detto migliaia di volte che non ti farebbe mai del male.
“Se te ne vai da quella porta, allora sì che mi faresti del male” dico nella vana speranza di calmarlo.
Aggira lentamente la scrivania e io faccio altrettanto mantenendo il solido legno fra di noi. Ringrazio mentalmente l’arredatore per aver scelto un arredo tanto imponente.
“Credevo di ferirti dicendoti che erano di Nao.”
“Sta zitta!” bisbiglia fra i denti.
“Ho pianto perché credevo di averlo perduto come amico e invece forse non è così.”
“Non mi importa” sibila.
“A me si perché non voglio perderti mai più, ti amo lo hai capito? Ti ho sempre amato e se ti ferisco è perché ho una fottuta paura che tu vada via da me ancora.”
Akito sbatte gli occhi per un attimo, in un nanosecondo scavalca la scrivania, scivolandoci sopra e mi afferra i polsi.
“Dammi la chiave” esala
“Prendila se ci riesci”
Akito cerca di infilare la mano nel mio vestito, ma gli sferro una ginocchiata allo stomaco che lo fa indietreggiare.
“Fai la dura eh?”
“Me lo hai insegnato tu.”
Riparte all’attacco: mi fa lo sgambetto e mi atterra, cerca di bloccarmi le mani, ma io gli tiro i capelli all’indietro per impedirgli di agire liberamente.
Purtroppo è molto più forte ed agile di me, infine riesce ad incastrarmi le braccia sul petto con una mano e si siede sul mio bacino con aria vittoriosa. Con l’altra si spettina i capelli che gli avevo tirato.
“Mi hai fatto male bamboccia.” I suoi occhi sono tornati vivi e il mio cuore riprende a battere regolare. Respiro forte incamerando tutta l’aria che mi sono persa per la paura di perderlo.
“Anche tu.”
“Dammi le chiavi” mi dice con un sorriso sghembo vicino alle labbra.
“Prenditele” lo invito.
Restando seduto su di me Akito mi sposta le mani sulla testa, tenendole salde nella sua. Con l’altra mi alza il vestito fino ai fianchi alzandosi leggermente. Infila una mano sotto l’abito toccando la pelle nuda della mia pancia. Sussulto muovendo le gambe. Risale in mio fianco fino al reggiseno. Si insinua sotto l’inutile tessuto e passa leggero la mano sul mio seno. Kami che meraviglia. In un attimo la tira via.
“Presa” dice mostrando la chiave stretta fra le dita.
“Oh” esclamo dispiaciuta che quel contatto sia già finito, cerco i suoi occhi. Gli appunta nei miei e si fa nuovamente serio.
“Non mentirmi mai più” dice con voce dura, poi si china sul mio viso prendendomelo fra le sue mani grandi “per favore” aggiunge dolcemente. Si sistema su di me in modo da riuscire a posare il volto fra i miei seni e mi stringe forte. Mi stringo altrettanto a lui.
“Sono una stupida, scusami.”
 
Akito si alza, aiutandomi a fare altrettanto. Mi sistemo il vestito che è alzato lasciando scoperte le mutandine.
“Pizzo eh” biascica divertito andando a sedersi sul divano e versandosi da bere.
Mi siedo su di lui “Ti piace?”
“Non mi dispiace.”
Mi accarezza le gambe completamente rilassato sul grande Chester nero.
“Mi avresti davvero fatto del male?” gli chiedo dal mio angoletto sicuro situato fra la spalla e il pettorale, un incavo creato apposta per la mia testa.
“Non lo so, ho perso il controllo. Mi dispiace di averti spaventata.”
“Non mi sono spaventata, ho solo avuto paura che andassi via.”
“Ti piacerebbe liberarti di me! Non succederà mai più rassegnati.”
 
 
EPILOGO
Siamo nella struttura che abbiamo acquistato e che stiamo ristrutturando (meno costoso che costruirlo) per il progetto della fondazione, esattamente ci troviamo nel piccolo appartamento al piano superiore in cui Akito si è stabilito per dirigere i lavori. È passato un mese da quando stiamo insieme e non credo che ci siano parole per esprimere la felicità che sento. Tutto è molto meglio che nei miei sogni più rosei. Akito è esattamente come l’ho lasciato anni fa, solo un po’ meno introverso. Lo osservo mentre avvolge delicatamente il riso nell’alga nera. Sta preparando la cena a base di sushi. Vorrei dirgli di lasciar perdere quel sushi e muovere le mani su di me invece che su quel riso. Invece rimango zitta sentendo il corpo che reagisce ai miei pensieri. Sospiro, ormai è tempo di abituarmi a questo costante stato di eccitazione. Da quel giorno nel suo ufficio e poi nel mio ufficio non ci sono stati altro che baci. Credo che stia aspettando un mio cenno, qualcosa che gli faccia capire che può andare oltre. Ha ormai questa assurda convinzione che io vada protetta, ma lui è il mio ragazzo, io lo amo e il mio corpo è suo. Può farne quello che vuole. Mi sistemo sul divano in modo che possa guardarlo meglio. C’è una cosa che devo dirgli. E non c’è un modo elegante per dirgliela.
Sospiro di nuovo.
“Mi vuoi dire qualcosa Kurata?” la sua voce mi ridesta dai pensieri.
“Mhm?”
“So che sono uno bello spettacolo mentre cucino, ma smettila di sospirare o ti salto addosso.”
Sorrido all’idea. Sospiro ancora, più forte. Akito solleva il labbro in un ghigno, ma continua a maneggiare quel maledetto sushi. A volte mi chiedo chi ami di più fra noi due. No, non lo voglio sapere. Mi siedo e faccio un sospiro sonoro. Akito si ferma, pulisce le mani allo strofinaccio che tiene sulla spalla e si gira lentamente verso di me. Sorride ed io muoio.
“Ti avevo avvisata!” dice avventandosi su di me.
Mi bacia il collo e il viso mentre con una mano mi fa il solletico sulla pancia.
“Aki, fermo! Devo dirti una cosa.”
Si ferma e mi guarda, se non sentissi con certezza il divano sotto di me penserei che il mio corpo si stia liquefacendo. Quel suo sguardo mi scalda il cuore e il corpo.
Avvampo di vergogna pensando a quello che sto per dire.
“Cosa devi dirmi Kurata?”
“Ecco, io-io sono v-v”
“vergine” conclude lui per me. Lo guardo esterrefatta, è così evidente?
“Lo so, hai detto che non eri riuscita ad andare oltre con quel damerino e ho capito che ti riferivi a quello.”
“Aspetta” dico costringendolo a sedersi di fronte a me.
“Come fai a sapere che non lo abbia fatto con un altro?”
Ride, “lo so e basta.”
Lo ammazzerei quando fa quello che sa tutto! “E invece ti sbagli mio caro” annuncio alzandomi in piedi e mettendo le mani sui fianchi.
Lo scruto per vedere se ci casca e di tutta risposta alza un sopracciglio assumendo un’espressione fra lo scocciato ed il divertito. Rincaro la dose “Un attore americano, forse non lo conosci. Si chiama Chris.”
Akito si alza e torna al suo sushi senza dire una parola. Affila il coltello lentamente e comincia a tagliare il tonno in sottili strisce regolari.
“Quindi volevi dirmi questo Kurata? Che sei andata a letto con un collega?” Il coltello struscia forte sul legno del tagliere provocando un suono stridulo che mi fa accapponare la pelle.
“No, volevo appunto dirti che sono pronta, ecco per…”
Il coltello struscia di nuovo facendomi rizzare i peli sulle braccia
“La smetti con quel coltello?”
“Vai a dirlo ad Evans che sei pronta per tornare a fare sesso. Immagino ti sia piaciuto farlo con qualcuno di così famoso.”
Il suo tono è calmo, ma dentro sento un sussulto. Ricordo che sui giornali sono apparse parecchie foto di me con Evans, ci siamo incontrati ad una festa e mi ha invitato a casa sua con gli amici per un intero week end. Ovviamente non era successo assolutamente niente fra noi. Ma è difficile crederlo per chi ha visto quelle foto. Inconsciamente ho fatto leva su qualcosa che fosse plausibile. Risultato? Akito incazzato ed io con la bocca aperta che muoio di sensi di colpa. Inconscio del cavolo.
Gli abbraccio la vita, posando la testa fra le sue spalle grandi.
“Sono vergine stupido, nessuno mi ha mai toccata. Stavo solo scherzando.”
Sento il rumore del coltello poggiato sul piano della cucina. Akito sgancia le mie mani dal suo corpo e si gira verso di me. Mi solleva il mento e mi guarda gli occhi attentamente cercando il minimo segno di esitazione o bugia.
Si apre in un sorriso e mi prende in braccio.
“Nessuno?” mi chiede scendendo le scale che portano di sotto, nel cantiere.
“Beh, tu mi hai toccato il seno nell’ufficio, ma a parte quello. No, nessuno.”
Il suo sguardo si accende di felicità e desiderio. E infiamma anche il mio. Di desiderio. E va bene ero già infiammata da un pezzo. Il fatto è che voglio che sia mio in modo completo. Voglio che mi senta sua nella maniera più assoluta. Mi benedico mille volte per non aver mai ceduto prima di oggi, anche se un po’ di esperienza certo non avrebbe guastato. Lui ne ha da vendere di esperienza.
Attraversa agilmente il cantiere fino ad una stanza in particolare, la prima che ha fatto sistemare.
Mi irrigidisco leggermente mentre entra nella stanza del dojo principale completamente foderata di specchi. Mi mette giù, in prossimità della superficie che ci restituisce la nostra immagine. Si posiziona dietro di me, guardandomi attraverso lo specchio.
Stavolta tocca a lui sospirare. Mi sposta una ciocca di capelli in modo che mi possa parlare all’orecchio, terribilmente vicino alla sua bocca.
“Visto che siamo in vena di confessioni: avevo la fottuta paura che potesse essere vero. Che eri andata a letto con un altro. Non credo sarei riuscito a sopportarlo.”
Mi sciolgo ancora. Lui vuole essere il primo per me, che importa del resto? Ci ho messo dieci anni per capire che anche lui mi ama, non c’è nient’altro sul nostro cammino che possa spezzarci, perché adesso le nostre vite si sono mescolate e non torneranno mai più come prima. Grazie ai Kami!
Mi slaccio il vestitino a fiori che si tiene su tramite un misero laccetto dietro al collo e lo lascio scivolare ai miei piedi. Akito guarda avido il mio corpo, mordendosi le labbra. Poi sgancia il reggiseno lasciandomi seminuda sotto i suoi occhi d’oro liquido. Mi bacia piano il collo stringendo delicatamente un seno con la sua mano calda. Gemo di piacere, il mio corpo chiede di più. Il desiderio mi sta facendo impazzire. Tiene gli occhi chiusi e le sue mani mi stringono contro il suo corpo, la sua è passione, esattamente come la mia. Il suo è amore, proprio come il mio. Nello specchio, nelle migliaia di immagini, siamo riflessi noi mentre ci amiamo.
   
 
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