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Autore: heliodor    28/11/2017    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La locanda

Il sentiero prese forma all'improvviso. Stavolta non ci fu alcuna sensazione di cadere o muoversi. Prima era circondata da mura di solida roccia e un attimo dopo vedeva alberi d'alto fusto d'un verde rigoglioso.
Il primo suono che udì fu quello degli uccelli che cantavano, seguito dai richiami degli insetti nascosti nella folta vegetazione.
Era al centro di un sentiero di terra battuta che si snodava tra gli alberi, tagliando in due quello che sembrava un bosco o una foresta.
Da quel punto era impossibile dire dove fosse.
Sapeva solo di non essere più a Mar Qwara. Anche l'opprimente afa era scomparsa, sostituita da una fresca brezza che le soffiava tra le pieghe della tunica dai colori sgargianti.
Joyce impiegò qualche secondo per assicurarsi che tutto fosse al suo posto. Aveva ancora la sacca a tracolla e le monete d'argento nel sacchetto legato in vita, ben nascosto tra le pieghe del vestito. Non voleva più rischiare che qualche ragazzino la derubasse mentre era distratta a guardare una vetrina.
Si concesse qualche istante per assaporare l'aria fresca e i profumi del bosco. Dopo tutte quelle settimane passate nel deserto era un toccasana per lei.
Le sembrava quasi di essere tornata a Valonde. Solo che quella non era casa. Poteva somigliarle, ma sapeva che era distante migliaia di miglia. Gli alberi erano diversi. Più alti e dal fogliame più denso. Gli odori erano diversi, anche se gradevoli. E i fiori erano di una tonalità diversa, più accesa. Persino i richiami che gli animali si lanciavano suonavano diversi, anche se lei non era mai stata un'amante della natura e le poche escursioni che le erano state concesse erano sempre avvenute in riserve ben protette, dove gli animali selvaggi non erano ammessi.
Suo padre una volta le aveva mostrato un cervo, ma l'animale era subito fuggito via alla loro vista. Quel ricordo le provocò un sospiro profondo.
Non aveva tempo per i ricordi. Doveva scoprire dove l'aveva portata l'incantesimo di Robern. Era ancora sul vecchio continente? E in che luogo per la precisione?
Prima di lasciare Mar Qwara aveva preso una mappa del continente. Mostrava le strade principali, le città, i porti, i nomi dei regni e i luoghi di maggiore interesse.
Joyce la prese e la srotolò.  Consultò la mappa pe alcuni minuti ma non scoprì dove si trovava. Il vecchio continente si allungava da est a ovest disegnando un ampio arco. Più o meno al centro si trovava il Mare di Fuoco, il deserto che circondava e proteggeva Mar Qwara. Due sole strade lo percorrevano da nord a sud e da est a ovest, incrociandosi all'altezza della capitale.
La parte orientale del continente era occupata da montagne e vallate strette, quella occidentale da vaste pianure che digradavano verso l'oceano. Qui c'erano le foreste più grandi e i corsi d'acqua più imponenti.
Joyce era sicura di trovarsi da quelle parti, ma non aveva idea di quale foresta si trattasse e fino a quel momento non aveva incontrato dei fiumi. Poteva solo decidere se seguire il sentiero dirigendosi verso occidente o verso oriente. Visto che proveniva da est, decise di andare a ovest. Era una direzione come un'altra e serviva a darle uno scopo.
Camminò seguendo il sentiero per quasi tutto il giorno. Era stanca quando, superando una curva a gomito, intravide un pennacchio di fumo alzarsi al di sopra degli alberi.
Spinta dalla curiosità proseguì con passo più spedito, finché non raggiunse un punto in cui il sentiero si allargava diventando un ampio spiazzo circolare.
Sulla destra sorgeva un edificio in legno e pietre alto un paio di piani e con numerose finestre. C'erano anche una stalla e un recinto per gli animali.
Sopra l'entrata c'era un cartello, ma lei non sapeva leggere quelle parole e così dovette affidarsi all'istinto.
Si avvicinò con cautela. Dall'interno provenivano delle voci e rumori di piatti e posate.
Entrando, notò i tavoli allineati al centro della sala, le colonne di legno che sostenevano il soffitto e il lungo bancone sistemato sul lato più lontano.
Seduti ai tavoli c'erano una dozzina di avventori. Gente dalla pelle chiara e vestita con abiti pesanti e mantelli e stivali sedeva mangiando e parlando a voce bassa.
Nessuno la notò mentre entrava e si guardava attorno.
Joyce aveva già visto una locanda prima di allora, ma non era mai stata così lontana da casa. Quel posto era al tempo stesso familiare ed estraneo.
Due cavalieri sedevano in disparte, chiacchierando a bassa voce. Legata al fianco portavano la spada e lo scudo era riposto ai loro piedi.
Joyce gettò un'occhiata distratta ai simboli disegnati sopra gli scudi: un falco grigio nell'atto di spiccare il volo.
Aveva già visto quello stemma.
Era successo settimane prima, a Valonde, poco prima della riunione in cui era stata maledetta da Fennir.
Era il simbolo di Himladrin, il regno da cui proveniva lo stregone chiamato Jhazar.
"Ti serve qualcosa?"
La voce la riportò al presente facendola sussultare. Era stata una donna di mezza età a parlare. Indossava un grembiule macchiato di sugo e teneva le braccia inquartate, in attesa di una risposta.
"Ti ho chiesto se ti serve qualcosa" ripeté la donna.
L'accento era strano e la donna sembrava biascicare le vocali come se avesse un difetto di pronuncia, ma riusciva a comprrendere la maggior parte di quello che diceva e il resto poteva intuirlo dal contesto.
Joyce si riprese in fretta dallo stupore e disse: "Vorrei mangiare." Cercò di nascondere il suo accento straniero.
La donna brontolò qualcosa e andò al tavolo accanto ai due cavalieri. Diede una veloce spolverata con un panno e le fece cenno di sedersi.
"Che avete da mangiare?" chiese Joyce con tono cortese.
"Oggi stufato di agnello e zuppa di rape."
"Portami la zuppa."
"Vuoi anche dell'acqua e della frutta?"
Non aveva idea di quali frutti si mangiassero in quel posto e non voleva rischiare di sentirsi male. "Solo acqua, grazie."
Sedette e attese.
I due cavalieri nel frattempo continuarono a parlare tra loro. Da quella distanza riusciva a sentirli se concentrava l'attenzione su di loro.
"... Benzekiel ha detto che dobbiamo marciare per altri tre giorni prima di arrivare a Nazedir."
"Che luogo orribile" si lamentò l'altro. "A chi verrebbe in mente di costruire una città in un lago prosciugato? Dicono che la puzza sia insopportabile."
La donna portò una caraffa d'acqua, un bicchiere e un cesto pieno di pane. Lo depositò davanti a Joyce, che la ringraziò.
Lei alzò le spalle e fece per andare via.
"Mi scusi" disse Joyce.
"Che vuoi?"
"Quanto è lontana Nazedir?"
"Dodici miglia proseguendo verso il lago."
"E da che parte è il lago?"
"Scusa, ma tu da dove vieni?"
Bella domanda, si disse Joyce. "Da oriente, ma credo di essermi persa dopo essere entrata nella foresta."
"Che l'unico maledica gli alfar, sai quante persone si perdono in questa dannata foresta, ragazzina? Comunque devi andare verso ovest. Ti basterà seguire la strada."
"Grazie."
Chi erano gli alfar? E perché l'Unico doveva maledirli?
La locandiera portò la zuppa. Era calda e profumata e Joyce la mangiò di gusto. Non era paragonabile e ciò che aveva assaggiato a Valonde, ma aveva mangiato di peggio.
Nel frattempo i due cavalieri seduti al tavolo accanto si erano rimessi a parlare sottovoce.
Joyce decise di ignorarli, finché un terzo uomo non si unì a loro sedendosi a uno dei posti liberi.
"Vi hanno seguiti?" chiese a bassa voce.
"No mio signore" rispose il più anziano dei due.
Il nuovo arrivato indossava una tunica e un lungo mantello con sopra ricamati dei simboli in platino e oro.
Non era una tenuta molto comoda peer uno che viaggiava nella foresta, pensò Joyce.
L'uomo aveva la pelle color dell'ebano e una barba curata che terminava con un pizzetto sul mento. Parlava arricciando il naso di tanto in tanto.
Le ricordava qualcuno che aveva già visto tempo prima, ma non riusciva a ricordarne il nome. Anche i simboli sapeva di averli già visti prima di allora, soprattutto il compasso e la mezzaluna.
"Da questo momento in poi dobbiamo essere prudenti" disse l'uomo sporgendosi verso i due. "Le spie di Malag potrebbero essere ovunque."
Malag!
Quel nome la fece sussultare. Cosa avevano a che fare quei tre con l'arcistregone?
"La via per Nazedir è libera, mio signore" disse il cavaliere anziano.
"Lord Jhazar, se potessimo usare i cavalli..." iniziò a dire quello giovane.
L'uomo gli rivolse un'occhiataccia. "Non usare quel nome" disse con tono stizzito.
"Mi perdoni" rispose il giovane cavaliere.
Jhazar.
Aveva già sentito quel nome.
A Valonde, la sera in cui Fennir l'aveva maledetta. Jhazar aveva parlato alla riunione, dicendosi pronto a lasciare l'alleanza perché non era interessato alla guerra contro Malag.
Che ci faceva lì, sulla via per Nazedir?
Joyce decise che doveva scoprirlo.
"Niente cavalli" disse Jhazar. "I nostri nemici si aspettano tre cavalieri sul sentiero per Nazedir. Noi invece andremo a piedi e taglieremo per la foresta, aggirando qualsiasi trappola."
"Voi credete che Rancey si farà vedere?"
"Quel dannato? Spero per lui che se ne resti nascosto o sarà peggio per lui."
Rancey!
Jhazar sapeva dov'era? Se era così, doveva scoprirlo anche lei.
"Ci metteremo in marcia all'alba" disse Jhazar. "E saremo a Nazedir prima che facia buio. Se ci riusciamo, potremo impedire che..." Non riuscì a udire il resto della frase.
"Hai finito?" chiese la locandiera spaventandola.
Colta di sorpresa, Joyce restò imbambolata per qualche istante. "Io... sì" disse.
"Ti serve un letto per la notte? Tra poco sarà buio e la foresta è infestata dagli alfar. Non ti consiglio di viaggiare senza la luce del sole."
"Chi sono gli alfar?"
"Ma di dove sei, ragazzina? E che ci fai qui tutta da sola?"
Joyce non voleva rispondere a quella domanda. "Dicevi degli alfar."
La locandiera sospirò. "Vivono nella foresta. Nessuno sa quanti siano. Migliaia. Decine di migliaia probabilmente. Costruiscono i loro villaggi sugli alberi più alti e attaccano i viandanti che entrano nei loro territori di caccia."
"E sono pericolosi?"
"Solo se possiedi qualcosa che a loro interessa."
"Io non ho niente."
"A volte rapiscono i giovani per portarli nei loro villaggi come schiavi."
"È orribile" esclamò Joyce indignata. "Nessuno fa niente per risolvere il problema?"
"Il comandante Gastaf fa quello che può, ma ha pochi uomini e la foresta è grande. La strada principale è pattugliata, quindi puoi muoverti in sicurezza, ma di notte la sorveglianza si riduce. Per non parlare dei sentieri secondari. Quelli non te li raccomando proprio. Allora, la vuoi una camera per la notte o no?"
Jhazar e i suoi cavalieri volevano ripartire l'indomani, ciò significava che non aveva alcuna ragione per mettersi subito in cammino. "Quanto viene una camera?" chiese alla locandiera.
"Solo due monete."
"D'accordo allora. Posso fare il bagno?"
"Cosa sei, una principessina?"
"Io?" rispose imbarazzata. "Cosa te lo fa pensare?"
La donna rise. "Stavo scherzando, cara. È solo che mi capita così di rado che mi chiedano se ho un bagno. Comunque sì, puoi farlo, se ti accontenti di una tinozza di legno e acqua tiepida."
"Puoi farmeli avere nella camera?"
"Dirò a Moghara di farti trovare tutto. A proposito, io sono Lotthe."
"Sibyl" rispose lei in maniera automatica.
"Non sembri di queste parti."
"Sono del grande continente."
Lotthe annuì. "C'è un mucchio di gente che viene da lì, di questi tempi. Dicono che ci sarà una guerra. Vieni, ti faccio vedere la camera."
Joyce la seguì.
La camera era piccola ma confortevole. C'era un vero letto e non un giaciglio, un tavolino con una sola sedia e un minuscolo armadio. L'unica finestra dava sull'esterno. Da lì era possibile vedere gli alberi che circondavano la locanda.
Moghara, una donna robusta dai capelli chiari, portò la tinozza pochi minuti dopo e poi i secchi pieni d'acqua.
Joyce li usò per riempire la tinozza fino quasi all'orlo, quindi chiuse la porta a chiave e si spogliò.
Si immerse nell'acqua tiepida assaporandone il lieve tocco sulla pelle. A Valonde era abituata a fare spesso il bagno. La rilassava e le permetteva di pensare.
In quel caso le risultava difficile concentrarsi.
Era stata fortunata a trovare sulla sua strada Jhazar. No, pensò, la fortuna c'entra poco. Robern aveva aperto quel portale perché sapeva che si sarebbe imbattuto in lui e lo avrebbe riconosciuto.
Robern non faceva mai niente a caso. Se Joyce era lì era perché lui l'aveva voluto.
La prossima volta gli avrebbe rivolto le domande che voleva fargli. E lo avrebbe costretto a rispondere.
Restò in ammollo per quasi un'ora. Quando decise di alzarsi l'acqua era ormai fredda. Si rivestì e andò a letto, cercando di prendere sonno.
Lasciò la finestra aperta in modo che il sole la svegliasse. Tuttavia già prima dell'alba era in piedi e pronta per lasciare la locanda.
Scese facendo attenzione a non incrociare per caso Jhazar e i suoi accompagnatori e attese che si svegliassero.
Il terzetto si presentò circa mezz'ora dopo. Indossavano gli stessi abiti del giorno prima e ognuno di loro aveva una sacca dove doveva custodire i propri effetti personali.
Lasciarono la locanda dopo aver scambiato due rapide parole con l'oste.
Joyce attese qualche minuto, poi uscì anche lei. Jhazar e i soldati si erano avviati lungo il sentiero che collegava la locanda al resto della foresta.
Non sembravano andare di fretta e si muovevano guardandosi attorno.
Joyce cercò di comportarsi come un semplice viandante. Ma cosa faceva un viandante? Le parve naturale camminare con passo lento seguendo il sentiero.
Si mantenne a un centinaio di passi di distanza da Jhazar, stando attenta a non avvicinarsi troppo.
Appena ebbero svoltato una curva li perse di vista. Accelerò il passo e quando aggirò l'ostacolo si accorse che Jhazar e i soldati erano spariti.
"E ora?" mormorò guardandosi attorno. Avanzò ancora di qualche passo lungo il sentiero, sperando di imbattersi nel terzetto più avanti, ma dopo quasi mezzo miglio tornò indietro.
Nei romanzi d'avventura il protagonista riusciva a trovare le tracce dei propri nemici esaminando il terreno. C'era sempre una traccia lasciata in giro, ma lei non ne vedeva nemmeno una. Esaminò con cura il sentiero alla ricerca di un ramo spezzato, un'impronta o qualsiasi cosa strana, ma non trovò niente.
Stava per arrendersi, quando dall'altra parte del sentiero, quella verso cui era diretta, giunse qualcuno.
Si gettò subito tra gli arbusti e si rese invisibile.
Tre uomini e una donna emersero da dietro una curva.
Due indossavano l'armatura. L'uomo e la donna tuniche con dei simboli ricamati.
Erano stregoni?
Da quella distanza non poteva riconoscere i simboli, ma dai colori dedusse che non erano del grande continente.
I due soldati aprivano il gruppo e si guardavano attorno. "Dovevano essere già qui" disse uno dei due.
"Fate silenzio" disse la strega. Si piazzò al centro del sentiero e si guardò attorno. Chiuse gli occhi e sembrò concentrarsi.
Joyce la vide muovere la testa a destra e sinistra e poi su e giù.
Lo stregone, più giovane di lei e con folti baffi sotto un naso aquilino, sembrava insofferente. "Non mi piace starmene qui" disse a un certo punto.
"Taci, Valder" disse la strega.
"Non mi dici di tacere, Krys. Ricorda che io sono..."
"Da quella parte" disse la strega indicando un punto tra gli alberi. "Sono andati in quella direzione."
I soldati si mossero verso gli alberi, seguiti dai due stregoni.
Joyce attese che si fossero allontanati prima di uscire dal suo nascondiglio. Chiunque fossero quei quattro, stavano senza dubbio cercando Jhazar e la sua scorta.
Per quale motivo, Joyce ora era intenzionata a scoprirlo.
Si diresse anche lei verso il punto in cui i quattro erano penetrati nella boscaglia.
I primi metri furono facili da superare, ma più si addentrava nel sottobosco più diventava difficile. A un certo punti gli alberi formarono una muraglia così compatta che dovette aggirarli per proseguire.
Si muoveva con cautela, cercando di non far rumore.
Non aveva idea di quale incantesimo avesse usato la strega per ritrovare Jhazar e i soldati, ma poteva immaginarlo.
Ce n'erano alcuni che aumentavano la vista o l'udito o uno dei sensi. Una volta, quando era molto piccola, era venuto in visita a palazzo Jermaine, un lontano cugino di sua madre.
Lo zio, come tutti lo chiamavano, dopo cena li aveva allietati dando sfoggio della sua abilità nell'usare i suoi incantesimi. Si era fatto bendare e poi aveva riconosciuto una serie di oggetti usando solo l'olfatto e il tatto. Poi aveva fatto nascondere Roge in una stanza a caso del palazzo e l'aveva ritrovato usando solo il suo udito.
"Come hai fatto?" gli aveva chiesto Joyce con lo stupore di una bimba di cinque anni.
"Ho sentito il battito del suo cuore" aveva risposto zio Jermaine.
Joyce avrebbe voluto un potere simile, ma a lei era negato.
Uno schiocco alle sue spalle la fece trasalire. Fece in tempo a voltarsi di scatto prima di vedere il sole riflettersi sulla punta di un dardo.
"Non fare una mossa" disse il guerriero mostrandole la balestra.
Lo riconobbe subito. Era quello più anziano che aveva visto alla locanda.
Joyce alzò le mani per mostrargliele. "Sono disarmata." A parte per i dardi magici e un altro paio di incantesimi che potrei usare. Ma sarei più veloce del tuo dardo? Pensò.
Il guerriero la tenne sotto tiro. "Brava. Ora inginocchiati."
Joyce ubbidì.
Dal folto del bosco emersero l'altro guerriero e Jhazar.
"Chi sei? Perché ci stai seguendo?" chiese subito lo stregone. "Parla o darò l'ordine di ucciderti. E cerca di essere convincente."

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