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Autore: Mary P_Stark    29/11/2017    2 recensioni
Inghilterra - 1830
Il regno viene scosso dalla morte di re Giorgio IV e, più nel personale, per l'improvvisa malattia di Whilelmina, la madre di Christofer Spencer. Questo richiama a casa tutta la famiglia che, in quel momento, si trovava a Londra per la sessione estiva in Parlamento. Al gruppo si unisce un amico di Maximilian, Samuel Westwood, molto affezionato alla nonna di Max. Questo rientro anticipato a York consente alla coppia di amici - oltre che rassicurarsi sulle condizioni di Whilelmina - di conoscere una coppia di sorelle, Cynthia e Sophie, che colpiranno in modo travolgente i due giovani.
Ne seguiranno sorprese a non finire, un inseguimento rocambolesco e un finale inaspettato, che metterà di fronte Max a una verità che, fino a quel momento, aveva rifuggito come la peste. (3^ parte della trilogia Legacy - riferimenti alla storia nei racconti precedenti) SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'"
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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12.
 
 
 
 
Sarah sbadigliò per la centesima volta, nell’osservare il viso pensieroso e concentrato della sorella maggiore, Lorainne, di un anno più grande di lei.

A causa della morte del re, la Stagione – per quell’anno – era stata annullata, così Lorainne aveva dovuto rinunciare alla sua entrata ufficiale in società.

A ben guardare, però, Sarah non ritenne la sorella troppo in pena per la cosa. Tutt’altro.

Dal matrimonio della loro sorellona Violet, si era messa d’impegno per imparare tutto l’imparabile e, se non fosse stata certa del contrario, avrebbe detto che si fosse presa una cotta per il suo istitutore.

Come altro spiegare la sua infatuazione per lo studio?

Sapeva, però, che non era il caso di Lorainne.

Mr Williamsworth era tutt’altro che un uomo simpatico e, pur se era competente, non le sembrava affatto il suo tipo.

“Non hai ancora finito di scrivere quella lettera?” si lagnò a un certo punto Sarah, scrutando le sei pagine vergate a mano dalla sorella.

Myriam scrutò per un momento le due figlie, già pronta a bloccare qualsiasi battibecco, ma Lorainne non rispose al tono della sorellina, limitandosi a dire: “Amo essere precisa, nelle cose. E questa lettera deve coprire lo spazio di almeno sei mesi di avvenimenti.”

“Violet sarebbe stata meno prolissa, nello scrivere a Lucius” sottolineò Sarah, ironica.

“Lettie è impegnata a tenere compagnia a Mrs Withmore, e questa è una attività che posso svolgere benissimo io” replicò con calma misurata Lorainne, lanciando però uno sguardo minaccioso alla sorella.

Sarah colse la palla al balzo per sogghignare e, baldanzosa, si levò in piedi e disse: “Oh, certo! Tra un po’, Mr Williamsworth non avrà più nulla da insegnarti, tanto sei brava e coscienziosa.”

“Sarah…” la mise in guardia Myriam, poggiando temporaneamente il suo ricamo sulle cosce.

La figlia minore, allora, sbuffò e mugugnò: “Sì, va bene, sto zitta. Torno al mio ruolo di vedetta.”

Ciò detto, si arrampicò sul divanetto di vimini della veranda al secondo piano di Green Manor, dove tutte loro si trovavano, e scrutò l’orizzonte.

Myriam sospirò esasperata e Lorainne, scuotendo il capo, chiosò: “Maschiaccio.”

“Polentona…” le replicò Sarah, acuendo lo sguardo.

“Ragazze…” mormorò Myriam, sperando dentro di sé che Lorainne resistesse ai dispetti della sorellina.

Sembrava che, ultimamente, Sarah puntasse solo a farle perdere il contegno tanto sudato.

“Cavalieri lungo il viale!” esclamò all’improvviso Sarah, sorprendendole.

Mentre Lorainne e Myriam si levavano dalle loro sedie di vimini per accorrere al parapetto, Sarah si sbracciò, urlando: “Bentornati!”

“Sarah, ti prego, un po’ di contegno…” esalò Myriam, chiedendosi per l’ennesima volta se, tutta la grinta e la spregiudicatezza che mancavano a Violet, fossero finite interamente alla terzogenita.

Sarah fece la lingua con espressione sbarazzina e, senza badare ai rimproveri dalla madre, raccolse un po’ le gonne, balzò a terra e corse via per accogliere il ritorno degli eroi.

Lorainne si volse per scrutarla con espressione sconcertata e, nel rivolgersi alla madre, dichiarò: “Vado a cercare Paul, prima che…”

Dall’interno della villa si udì distintamente un ‘Paulll!’ urlato a gran voce e Lorainne, scoppiando a ridere, esalò: “Troppo tardi.”

“Che devo fare con quella ragazza?” sospirò Myriam, seguendo d’appresso la secondogenita che, a sedici anni, si era molto calmata rispetto ai primi anni in cui aveva seguito, in tutto e per tutto, le orme di Sarah.

Ora, Lorainne sembrava intenzionata a prendere più seriamente le cose, soprattutto gli studi, in cui eccelleva con gran profitto.

“Forse, non si può fare nulla, ti pare? Ognuno è quel che è” scrollò le spalle con aria solenne Lorainne, con l’ombra di un risolino ai lati delle labbra.

“Non prendermi in giro, ragazzina... so benissimo che tutti pensate che lei abbia preso da me” brontolò Myriam, pur sorridendo.

“Lo hai detto tu, maman, non certo io” sottolineò la figlia, scrutandola dall’alto del suo metro e settantacinque.

“Lo ha detto anche papà” precisò Myriam prima di scorgere l’oggetto dei suoi pensieri sul lato opposto del corridoio, attirato sicuramente dalle urla della figlia.

Sul suo viso compariva un sorriso tirato, forse così tirato per contenere una risata scrosciante, almeno a giudicare dagli occhi lucidi di Anthony.

Raggiuntolo agli albori delle scale, chiosò: “L’hai sentita?”

“Chi non l’ha sentita?” ridacchiò Anthony, scendendo le scale mentre, dalle varie stanze, gli abitanti – e gli ospiti – di Green Manor si avviavano verso l’uscita per scoprire il perché di tanta agitazione.
 
***

Max non aveva più avuto occasione di parlare in solitudine con Sophie, e non era del tutto sicuro che fosse stato un caso.

Stranamente, non era stato a causa di Lizzie, che aveva temuto potesse mettersi contro di lui per evitare situazioni imbarazzanti o sconvenienti.

Era stata proprio Sophie a evitare il confronto che, da quella notte sulla terrazza, non aveva più scambiato con lui che poche parole.

La cosa lo aveva confuso non poco, poiché aveva pensato che il suo interesse per la ragazza fosse almeno pari a quello che lui credeva lei avesse nei suoi confronti.

Che si fosse così grandemente ingannato?

Che quel bacio non avesse voluto dire proprio nulla, per lei, se non il sollievo di saperlo vivo e vegeto?

Nel guardare Samuel, che tratteneva tra le braccia il cucciolo di labrador che Roy aveva voluto regalargli – aveva promesso una cucciolata di corgie a Lizzie – Max si domandò se si fosse sbagliato a sua volta.

E in maniera così clamorosa.

Green Manor, comunque, non era il luogo ideale per confronti di quel genere, perciò avrebbe atteso qualche giorno che le acque si fossero calmate, e sarebbe tornato all’attacco.

Voleva una spiegazione, o sarebbe impazzito nel trovarla.

A sorpresa – o forse neanche più di tanto – Sarah Phillips fu la prima a uscire di gran carriera dalle porte dell’enorme palazzo degli Spencer.

Subito dopo di lei, in ordine sparso e con andature molto più contenute, giunsero i genitori di Max, Andrew e Violet, la famiglia Phillips e, infine, i coniugi Withmore.

A quella vista, Sophie scese da cavallo prima ancora che un valletto potesse aiutarla e Ferdinand, tenendosi al bastone, la raggiunse per un abbraccio un po’ rude, ma sincero.

Sarah ebbe il buon senso di azzittirsi e, quando il resto dei cavalieri fu sceso, si avvicinò a Samuel per vedere il cucciolo e mormorò: “E’ molto bello, Samuel. E’ vostro?”

“La mia nuova responsabilità. Chissà che non serva a farmi rinsavire” mormorò il giovane.

Mrs Withmore lo fissò con autentica confusione, mista a una preoccupazione sempre crescente e Samuel, nel lasciare a Sarah il cucciolo, si avvicinò alla donna.

Profondendosi in un inchino, asserì: “A voi chiedo umile perdono, Mrs Withmore. Ho ripagato con l’inganno la vostra gentilezza e la vostra amicizia. Pagherò qualsiasi ammenda riterrete opportuna, ve lo giuro.”

La donna non seppe come replicare a quelle parole ma vi pensò il marito che, sempre tenendo Sophie al fianco, domandò rigido: “Che fine avete fatto fare a mia figlia, scellerato?!”

“Padre, no… aspettate” sussurrò Sophie, trattenendolo per il bavero della giacca.

Samuel, però, scosse il capo e disse: “E’ corretto quel che dice vostro padre, miss Sophie. Posso solo dirvi ciò che conosco io, Mr Withmore.”

Ciò detto, gli consegnò la lettera vergata da Cynthia e Ferdinand, nello scorrerla velocemente, levò poi lo sguardo verso un’ansiosa moglie e scosse il capo.

Subito, Myriam e Kathleen si affiancarono a Mrs Withmore mentre Violet, raggiunta da Max, lo abbracciò con calore, mormorando: “Che succede?”

“Lo scoprirai presto” replicò Maximilian, stringendo poi la mano del fratello.

“Credo sia il caso che rientriamo tutti in casa. Non penso che questo sia il posto giusto per affrontare questa situazione, e Mrs Withmore ha bisogno di sedersi” intervenne a quel punto Christofer, lanciando un’occhiata alla moglie e alla ex cognata, che assentirono.

Tutti si dichiararono d’accordo e Sarah, sempre tenendo il cucciolo in braccio, domandò alla sorella: “Tira una brutta aria, che dici?”

“Eccome. Credo che noi e Paul dovremmo defilare alla svelta, prima che le nostre orecchie odano più del necessario” sospirò Lorainne, scuotendo il capo.

Myriam si volse a mezzo, assentendo, e dichiarò: “Niente di più vero. Filate nelle vostre camere fino a nuovo ordine e, Sarah… cosa pensi di fare con quel cucciolo?”

“Me lo ha affidato Samuel!” protestò Sarah, accigliandosi.

Sospirando, la madre allora disse: “Molto bene, allora. Tienilo con te finché Samuel non avrà finito con noi.”

Sarah si ritenne soddisfatta e Paul, nel seguire le sorelle mentre gli adulti si chiudevano in un salotto al pian terreno, borbottò: “I grandi sono davvero strani.”

“Vero” asserirono in coro le due sorelle maggiori.
 
***

Lizzie aveva un desiderio quasi disperato di vedere i suoi figli, ma quell’avventura non era ancora ultimata e, prima di tutto, doveva pensare a Max.

Non si era imbarcata in quella missione per poi lasciare le cose a metà, e aveva promesso completa e totale partecipazione al fratello minore.

Perciò, rimase nel salottino dove i protagonisti della vicenda si riversarono per le ultime, scottanti rivelazioni.

Samuel rimase in piedi, accanto alla poltrona occupata da Max, mentre Sophie andò ad accomodarsi sul divanetto di broccato blu, assieme ai genitori.

Christofer e Kathleen stazionarono accanto al camino spento, mentre Anthony e Myriam affiancarono Elizabeth, Alexander, Wendell e Julianne.

A quel punto, Sophie prese un gran respiro, estratte da una tasca il foglio vergato dalla sorella e, senza dire nulla, lo consegnò al padre mentre, con la mano libera, afferrava quelle tremanti della madre.

Violet, accoccolata su una poltrona con Andrew al fianco, notò subito quel particolare ma non disse nulla, lasciando che fossero i Withmore i protagonisti di quel momento di tensione.

Ferdinand lesse febbrilmente lo scritto, rigirandolo più e più volte come se, a una seconda o terza rilettura, potessero apparire più informazioni, più parole, più spiegazioni.

Ovviamente, nulla avvenne e, quando infine l’uomo passò la lettera alla moglie, i suoi occhi si levarono per incrociare quelli di Samuel Westwood.

Le grigie profondità di Withmore sondarono gli abissi cerulei di Westwood per diversi secondi, prima di domandare con tono accorato: “L’avreste veramente sposata, una volta giunti in America?”

“Naturalmente. Era mio desiderio. Se lei lo avesse voluto, l’avrei chiesta in sposa direttamente a voi, Mr Withmore, ma Cynthia mi disse che, per nulla al mondo, avrebbe desiderato diventare la moglie di un lord, qui in Inghilterra, poiché nessuna nobildonna l’avrebbe presa sul serio” spiegò Samuel con tono piatto.

Il suo volto pareva invecchiato di un decennio, nel corso di quel breve viaggio di ritorno verso Green Manor, e Max se ne stupì non poco.

A quanto pareva, l’amico aveva trovato finalmente la donna capace di spezzargli il cuore, e questa lo aveva calpestato fino a ridurlo a brandelli.

Sperò soltanto che, da un destino così tragico, egli potesse un giorno riprendersi.

Ferdinand assentì una sola volta, meditabondo, mentre il singhiozzo soffuso di Mrs Withmore galleggiava nell’aria come un profumo amaro.

Ancora, Sophie la consolò, avvolgendole le spalle con un braccio e parlandole soffusamente all’orecchio.

Adelaide si lasciò così andare, addossandosi completamente a lei e Violet, con un breve sospiro, scosse debolmente il capo.

“Non avete idea di chi sia l’uomo con cui lei… lei dovesse incontrarsi, vero?” domandò a fatica Ferdinand, stringendo le mani tra loro con fare spasmodico.

Scuotendo contrito il capo biondo castano, Samuel mormorò: “Nessuna idea, mi spiace, ma mi farò carico di qualsiasi spesa voi vorrete affrontare, se desidererete scoprire dove si trova. Assolderò anche il miglior investigatore della Gran Bretagna, se questo potrà anche soltanto aiutarvi a superare questo momento di prostrazione.”

Adelaide lo fissò con autentico stupore, ma fu Ferdinand a parlare, e lo fece con tono lapidario, che non ammetteva repliche.

“Cynthia ha tradito non solo la vostra fiducia, ma anche la nostra, perciò che viva pure la vita come meglio crede. Di una cosa sono sicuro: per me, lei non esiste più.”

“Padre…” esalò sorpresa Sophie, fissandolo sgomenta.

Ferdinand non retrocedette di un passo dalla sua scelta e, fissandola con un sorriso triste, asserì: “Badammo solo alla sua felicità, quando ci trasferimmo qui, non pensando minimamente che tu, perdendo i tuoi affetti e le tue certezze, potessi soffrire. A cosa è valso fare queste differenze, Sophie?”

“Avete solo pensato a renderla felice, e io ero d’accordo con voi, ma non è colpa vostra se…” iniziò col dire la ragazza, ma il padre la azzittì con una carezza sul braccio.

“Non cercare di giustificare un mio torto nei tuoi confronti, Sophie. Avrei potuto agire in altri modi, invece ho scelto la via più breve e più pratica perché, innanzitutto, dovevo pensare ai miei affari.”

“Sono i vostri affari che ci mantengono, padre” sottolineò Sophie, accigliandosi leggermente.

“Ma dovevano passare in secondo piano, per voi due. Ora, purtroppo, non posso fare più nulla, per Cynthia, ma spero che vorrai credermi quando ti dico che, per te, ci sarò sempre, figliola.”

Sophie si coprì la bocca per soffocare un singhiozzo e, annuendo con le lacrime agli occhi, si limitò a fissare il padre con immenso amore.

Non un abbraccio, però, non un cedimento, notò ancora una volta Violet, cominciando a preoccuparsi seriamente.

Quando infine i coniugi Withmore si elevarono dal divano assieme alla figlia, chiesero cortesemente una carrozza per tornare a York, e Christofer non ebbe problemi a concedergliela.

Ciò detto, Ferdinand condusse la sua famiglia nelle stanze occupate in quelle settimane a Green Manor e, di colpo, tutta la tensione fin lì accumulata si sciolse.

Alexander ed Elizabeth si scusarono con i presenti per poter raggiungere i loro figli, e così fece Wendell assieme a sua moglie.

Max, a quel punto, accompagnò fuori Samuel per fargli prendere una boccata d’aria e, quando infine la porta si fu chiusa alle loro spalle, Violet parlò.

“So che non sono affari miei, ma…” esordì lei, attirando l’attenzione dei rimasti. “… temo che la situazione non si sia affatto risolta.”

“Che intendi dire, Lettie?” le domandò il marito, accomodandosi sul bracciolo della sua poltrona.

Giocherellando con le dita di una mano di Andrew, Violet asserì meditabonda: “In questi giorni, ho avuto modo di conoscere molto bene Mrs Withmore, e posso asserire con assoluta certezza che soffre dello stesso problema di cui soffrivo io.”

“Tu soffrivi di qualche problema, cara?” ironizzò Andrew, dandole un bacetto sulla fronte.

Lei sorrise ai suoceri, ai genitori e al marito, prima di aggiungere: “Mrs Withmore soffre per la presenza di eccessivi protettori. La figlia la coccola come se fosse lei la madre, e Mrs Adelaide la figlia, e il marito è abituato a prendere decisioni senza consultarla, dando per scontato che lei sarà d’accordo. Naturalmente, il tutto è fatto perché la amano, non metterei mai in dubbio il contrario, ma questo porterà Mrs Withmore a un lento, quanto inesorabile, prosciugarsi dell’anima.”

“Temi che, per non mettere in ansia i suoi cari, non parlerà di ciò che sente, tesoro?” domandò Kathleen, sgranando leggermente gli occhi.

“Io lo feci per quasi due anni, quando mi resi conto di essermi innamorata di Andrew, e solo per non ferire voi o i miei genitori…” dichiarò Violet e, con un sorriso, scrutò Anthony e Myriam, fermi accanto alla finestra. “… e, da quel che ho capito su Adelaide, lei non parlerà del suo dolore per la perdita della figlia, esattamente per lo stesso motivo. Ma ne morirà. Si consumerà dentro come una candela fino a spegnersi, e solo per non addossare il suo dolore su di loro.”

Kathleen e Myriam si guardarono preoccupate e Andrew, torvo, le domandò: “Ne sei sicura?”

“Oh, ho riconosciuto tutti i sintomi, e credimi, lei li mostra tutti. E’ perfettamente in grado di reggere il peso dell’angoscia del marito e della figlia, ma loro non la reputano in grado di sopportarlo… in buona fede, perché la amano e temono di farle del male, parlando di ciò che ognuno di loro sta patendo, ma è controproducente per tutti, questo silenzio” disse accorata Violet, carezzandosi distrattamente il ventre.

“Pensi che, se le parlassimo io e Kathleen, potrebbe aprirsi un po’?” domandò a quel punto Myriam, sorridendo orgogliosa alla figlia.

“Potreste fare un tentativo, ma credo che il vero scoglio sia Sophie. Dovrebbe essere lei, a parlare con la madre. A cuore aperto, non tentando di nascondere ciò che prova. Credo sia questo che, più di tutto, desidera Adelaide.”

Andrew la strinse a sé in un mezzo abbraccio e, sorridendole, asserì: “Non solo sei un asso nel creare navi dal nulla, ma anche nel vedere ciò che si cela nei cuori delle persone. Mi sento un po’ intimorito da tanta intelligenza, sappilo.”

Violet rise sommessamente, al pari dei presenti e, con tono irriverente, dichiarò: “E non hai ancora scoperto tutto, su di me, mio caro.”

“La cosa si fa intrigante…” sussurrò malizioso Andrew.

“E su questa frase, penso che batterò in ritirata” asserì Anthony, prendendo sottobraccio la moglie, che ghignò divertita.

“Credo che vi seguiremo a ruota, e intanto aiuterò Ferdinand con i preparativi per il rientro a York” disse a sua volta Christofer, prendendo per mano la moglie per uscire dal salottino.

Una volta rimasti soli, Violet lasciò perdere il suo sorriso divertito per guardare con estrema serietà il marito e dirgli: “Penso dovresti parlare con Lizzie di ciò che ha visto durante il viaggio e, solo in seguito, con Max. Credo che lui sia la persona più adatta per parlare con Sophie del problema di Adelaide, ma non vorrei sbagliarmi.”

Andrew levò sorpreso un sopracciglio, domandandole: “Non vuoi essere tu a parlarne con Max?”

Arrossendo un poco, Violet replicò: “Se ho inteso bene, credo che parlerà solo con il fratello, di certe cose…”

“Oh” esalò soltanto il giovane, lasciandosi andare a un mezzo sorriso.

Prevenendo qualsiasi burla potesse escogitare Andrew, Lettie gli batté una mano su un braccio, borbottando: “Non prenderlo in giro. La faccenda è dannatamente seria, Andy.”

“E chi ha parlato?” ironizzò lui, levandosi in piedi e mandandole un bacio con la mano.
Accigliandosi, Violet mugugnò: “Lo sapevo che avresti reagito così…”

“Stai calma, mia bizzosa moglie, e pensa a nostro figlio. Saprò come fare, al momento adatto” le strizzò un occhio lui. “Vuoi che ti mandi Frank per tenerti compagnia, o preferisci tornare in camera?”

“Mandami Frank, per favore. Non voglio rinchiudermi in camera già adesso” acconsentì Violet.

Andrew, allora, tornò indietro, le baciò il capo e sussurrò: “Vedrai che, con l’avanzare della gravidanza, starai un po’ meglio. Lo ha detto anche il dottore. Sarà solo per un paio di mesi ancora.”

“La prossima volta, lo porti in grembo tu” brontolò per contro la moglie.

“Volesse il cielo che potessi farlo, tesoro” ironizzò lui, avviandosi infine verso la porta.

Quando fu fuori, puntò direttamente al piano superiore, in direzione delle stanze di Lizzie e, nel frattempo, si chiese cosa, quel viaggio, avesse veramente voluto dire per il fratello.

Forse, il problema causato dalla fuga di Cynthia Withmore, non era che la punta di un iceberg?
 
***

Seduta sul lettone assieme ai gemelli e a Rose, che si stavano alternando nel raccontarle le mille e più avventure vissute durante la sua assenza, Lizzie sorrideva a momenti alterni ad Alex, in piedi accanto al camino.

Tutto era andato per il meglio, i figli non avevano sofferto la sua mancanza – non più di quel tanto, ecco – e, nonostante qualche crisi di pianto, Alex se l’era cavata egregiamente.

E non soltanto grazie alla presenza dei suoceri, o dei coniugi Phillips.

Alexander aveva saputo dimostrare alla moglie – se mai ve ne fosse stato bisogno – che i ragazzi potevano rimanere anche con lui, e non solo con Lizzie.

Elizabeth non sapeva esattamente per quale recondito motivo, ma la cosa la fece sentire estremamente meglio.

Inoltre, i figli non sembravano avercela con lei per la sua partenza improvvisa e, anzi, si dimostrarono entusiasti nel sentirle narrare le vicende di quel viaggio pieno di incognite.

Quando, però, Andrew fece la sua comparsa, Lizzie fu costretta a dire loro: “Io e lo zio dobbiamo parlare un attimo da soli.”

“Cose da grandi?” domandò Rose, dubbiosa.

“Temo di sì, tesoro. Noiosissime cose da grandi” assentì Lizzie, vedendola sbuffare per diretta conseguenza.

Allungate le mani ai gemellini, i tre scesero dal lettone con un balzo e, senza dire nulla, si diressero verso la vicina nursery, seguiti dagli sguardi divertiti dei tre adulti.

Adulti che tornarono seri non appena la porta dietro i tre bambini si fu chiusa, e Andrew domandò alla sorella: “Lettie mi ha detto di chiedere a te, circa Max e questo viaggio. Che mi puoi dire, prima che io faccia il terzo grado a quello scavezzacollo di nostro fratello?”

Sospirando, Elizabeth strinse le braccia sotto i seni e dichiarò: “Non posso asserirlo con certezza, ma credo che il nostro fratellino si sia preso una cotta per Sophie, anche se non so quanto sia importante e che, nei limiti dello scibile, lei ricambi in qualche modo.”

In qualche… modo?” borbottò Andrew, confuso. “Che intendi?”

“Che mi è difficile capire a fondo Sophie. E’ molto chiusa in se stessa, quasi non volesse far vedere al mondo ciò che prova, perciò capirai bene quanto sia complesso comprendere un’anima così barricata” sospirò Elizabeth, rilasciando le braccia per scrollarle.

“Però, dici che Max…”

“Lui è confuso, Andrew. Quando mai Max è confuso per via di una donna? Se le cose stessero come al solito, lui sarebbe già in sella a Spartan, pronto a fuggire a gambe levate e il più lontano possibile dalla donzella in questione” ironizzò Lizzie, facendo sorridere i due uomini.

“Un vero cuor di leone, con le donne” sottolineò Alex, ammiccando.

“Non sai quanto!” sorrise Andrew. “Ha rifuggito più donne lui, di non so quale altro nobile di mia conoscenza, anche se so per certo che ha avuto le sue brave avventure.”
Elizabeth fissò il gemello con aria piatta, mormorando: “Lasciate le sconcezze per un altro momento.”

“Parla quella che, quando Lettie era ancora illibata, le raccontava delle sue notti di fuoco col marito…” replicò Andrew, facendo scoppiare a ridere Alexander.

“Cos’hai fatto, Lizzie?” esalò Chadwick, fissando la moglie con aperta curiosità.

Lei si limitò a scrollare le spalle, ribattendo serafica: “Niente di così deprecabile come sostiene mio fratello. Le ho solo detto che, quando fosse arrivata al dunque con il mio adorabile gemellino, avrebbe dovuto esigere certe cose, da lui.”

Alexander, allora, levò le mani per chiedere tregua e disse: “Preferisco non addentrarmi oltre, perché sono più curioso di capire questa faccenda di Max. Davvero pensi che sia innamorato della nostra miss Sophie?”

“Pensarlo è una cosa, saperlo è un’altra… io navigo nella prima opzione, ma posso assicurarti che, il Max che ho visto in questi giorni, è stato molto diverso dal solito” assentì Lizzie, prima di aggiungere: “E ora, se mi volete scusare, ho bisogno di parlare con mamma di un paio di cose ‘da donne’. Con – o senza – il vostro permesso…”

Ciò detto, si allontanò con un gran sorriso e Andrew, nell’osservare il cognato, domandò: “Come sta?”

“Meglio di quanto pensassi. Ha solo pianto un po’, ma niente di tragico. E i bambini sono stati contenti di sentire le sue avventure. Nel complesso, direi che ha fatto bene a tutti, questo piccolo cambio di programma dell’ultimo minuto” scrollò le spalle Alexander.

Annuendo, Andrew si avviò quindi per cercare Max ma, sulla porta, si fermò e domandò: “Vieni con me?”

“Meglio se parli da solo, con tuo fratello. Certe cose, è preferibile farle a tu per tu.”

Andrew assentì, ma non riuscì mai nel suo intento. Non subito, per lo meno, e non per primo.
 
***

Gli era parso assai strano che, subito dopo aver accompagnato Samuel nel parco della villa, Max avesse richiesto di parlargli con una certa urgenza.

Christofer, comunque, accettò di buon grado di ascoltare il figlio, anche perché era curioso di sapere qualcosa di più, di quel viaggio così concitato.

Dopo essersi recati nel suo studio, quindi, il capofamiglia si accomodò alla scrivania e pregò il figlio minore di accomodarsi.

Ciò fatto, intrecciò le mani in grembo e disse: “Prego, dimmi pure ciò che ti rode dentro.”

Max storse la bocca, si passò una mano sulla nuca e, dubbioso, replicò: “Perché pensi che mi stia rodendo qualcosa dentro?”

“Perché, dei miei figli, sei sempre stato quello con meno grilli per la testa. Lizzie è sempre stata esagitata e Andrew riflessivo fino allo sfinimento, ma tu sei sempre stato una buona via di mezzo e, al tempo stesso, quello che mi ha sempre dato meno gatte da pelare, per così dire. Ora, invece, scappi di casa con una giovane fanciulla e, quando torni da questo viaggio improvvisato, sembri avere nella testa un intero mondo di domande.”

Vagamente sgomento, Max impallidì e gracchiò: “Ora so da chi ha preso Lizzie…”

Christofer rise sommessamente, e replicò: “Ti vogliamo bene, perciò notiamo le differenze meglio di quanto farebbe un estraneo. Ergo, cosa vorresti dirmi?”

Lappandosi nervosamente le labbra, Max borbottò: “Ti darebbe molta noia se io, un domani, non mi sposassi con una donna di alto lignaggio?”

Aggrottando leggermente la fronte, Christofer esalò: “Matrimonio? Tu, che parli di matrimonio?”

Ironico, il conte guardò fuori dalla finestra per sincerarsi non vi fosse la fine del mondo in atto e Max, con uno sbuffo infastidito, brontolò: “E smettila di prendermi in giro… non sto affatto scherzando.”

“E’ proprio per questo che controllo” celiò Christofer con un sorriso, prima di tornare serio e aggiungere: “Come mai questa precisazione, comunque?”

“Io non sono erede del tuo titolo, perciò non è necessario che io segua espressamente l’esempio dei miei fratelli, ti pare?” tergiversò Max, massaggiandosi nervosamente le cosce con le mani inumidite dall’ansia. “Inoltre, Lettie è incinta, Lizzie ha tre pargoli e perciò la casata è degnamente rappresentata, no?”

Perché era così difficile mettere a parole ciò che pensava? Davvero credeva che il padre lo avrebbe criticato?

O era dell’altro, a spaventarlo? Forse, mettere a voce ciò che provava per Sophie, lo avrebbe reso finalmente reale, non solo un parto della sua immaginazione.

E a quel punto, sarebbe stato in grado di affrontarlo?

Sorridendo comprensivo al figlio minore, Christofer intrecciò le mani sul sottobraccio della scrivania e, con tono suadente, disse: “Mi interessa soltanto che sia una donna degna di te, e che ti ami. Chiunque essa sia.”

“Anche… anche se si trattasse di Sophie Withmore?” riuscì infine a dire Max.

Christofer sgranò leggermente gli occhi, sorpreso, ed esalò: “E’ successo qualcosa durante questo viaggio, per caso? Qualcosa di cui dovrei essere messo a conoscenza?”

Avvampando come un cerino, Max gracchiò: “Ma… ma che ti salta in mente?!”

Rilassandosi un poco, il conte allora disse: “Bene, la tua reazione mi fa capire che non hai disonorato la ragazza, né te stesso, il che mi rende molto orgoglioso di te. Tolto questo problema, dimmi, Max… come mai sei giunto a questa illuminante scoperta?”

“Non riesco a capire se tu ti stai prendendo gioco di me, o se parli sul serio” mugugnò il figlio, passandosi una mano sulla nuca, ormai infradiciata dall’ansia che provava.

“Ti dirò, figliolo… un po’ mi sto divertendo. Visti i precedenti, per una volta che posso essere io, a parlare con uno dei miei figli di futuri matrimoni, mi sto godendo l’attimo con tutto il cuore” sorrise debolmente Christofer.

“Avrei dovuto andare da Andrew, giusto per evitare questo terzo grado…” sbuffò Maximilian, storcendo naso e bocca.

“Oh, lo avresti passato comunque, credimi. Non pensare che Andrew, o Lizzie, non abbiano subito la stessa sorte. Solo, con loro, sono arrivato in ritardo” si limitò a dire Christofer, serafico.

“Che fortuna…” ironizzò Max, facendo ghignare il padre.

“Parlando in termini meno astratti, vi conoscete da quanto, tu e miss Sophie?”

“Un mese, più o meno. Un mese e mezzo” mormorò Max, facendo due rapidi calcoli.

“E suppongo che, durante il viaggio, abbiate colloquiato molto, anche se eravate in presenza di altre persone.”

Arrossendo leggermente, Max disse a mezza voce: “Ci siamo separati, durante il giorno, e io viaggiavo soltanto con Sophie. Ci riunivamo solo la sera, con Lizzi e lo zio.”

Curioso, Christofer allora domandò: “Idea tua?”

“Di Lizzie, per la verità.”

Il conte rise sommessamente, annuendo, e celiò: “Quella ragazza è davvero tremenda.”

“Dici che lo abbia fatto apposta?” esalò Max, ora dubbioso.

“Forse, voleva solo darti una mano perché aveva intuito qualcosa che tu, ancora, non avevi visto. Sai quanto noi maschi sappiamo essere notoriamente ciechi, quando vogliamo” chiosò Christofer, facendo spallucce.

Storcendo la bocca, Max borbottò: “Mi sento un po’ idiota, al momento.”

“Credo che ci siamo passati tutti, a tempo debito” dichiarò comprensivo Christofer. “Ammetterlo, però, non cambia la realtà dei fatti. Credi di conoscere miss Sophie a sufficienza per chiederle la mano… ed essere felice assieme a lei?”

“So cosa vuoi chiedermi. Pensi che sia un periodo di tempo troppo breve, e che io non abbia vagliato a sufficienza la cosa, ma so cosa ho visto, e quel che ho visto mi ha colpito” asserì a quel punto Max, allungando gli avambracci sulle cosce, lo sguardo perso nel vuoto.

“Parlamene” lo esortò a quel punto Christofer.

Max sollevò appena gli occhi per scrutare il padre, non sapendo bene cosa aspettarsi ma, quando scorse solo reale interesse e un profondo, sincero amore, le parole sgorgarono come un fiume.

Senza più avere timore di ciò che aveva dentro di sé, parlò di come gli fosse sembrata Sophie quando aveva chiesto il suo aiuto.

Gli espresse la sua meraviglia di fronte al suo coraggio, al suo fuoco… a ciò che aveva provato nel baciarla, e cosa aveva sentito nello scoprire ciò che aveva fatto sua sorella.

Christofer ascoltò per tutto il tempo in silenzio, senza mai interromperlo, abbeverandosi della spontaneità dei sentimenti del figlio, dell’assoluta trasparenza del suo cuore.

No, non era una semplice sbandata per una bella ragazza, o la possibilità di avere un flirt estivo con qualcuno che, agli albori dell’autunno, avrebbe potuto lasciare senza rimpianti.

Quello che vedeva nello sguardo limpido del figlio era turbamento, era paura, ma era anche desiderio di portare a compimento ciò che voleva per sé.

Non per un capriccio, ma per autentico affetto… amore.

Quando infine Max terminò di parlare, si sorprese non poco. Alle spalle del padre, il cielo aveva iniziato a prendere i colori del tramonto.

Aveva davvero parlato per ore?

A giudicare dalla gola secca che, in quel momento, lo stava insultando per quel trattamento irriguardoso, doveva essere successo esattamente questo.

E, con suo grande imbarazzo, Max si rese conto che, alle sue spalle, poggiata contro la porta e con gli occhi lucidi, si trovava sua madre.

Maman…” gracchiò lui, avvampando.

Lei non disse nulla, si limitò ad avvicinarsi, lo baciò su una guancia e gli carezzò i riccioli castani, meditabonda.

“Direi che la faccenda si può risolvere in un unico modo…” disse finalmente Christofer, levandosi in piedi per sgranchirsi le gambe. “…e cioè, dovrai chiedere la mano di miss Sophie a suo padre.”

“E… e pensi che accetterà?” mormorò timoroso Max.

“Se la fanciulla è interessata a te, immagino di sì. Se non lo è, dovrai accettare il suo diniego da vero gentiluomo, e non tartassarla con ulteriori richieste” sottolineò Christofer, lanciandogli un’occhiata significativa.

Max assentì debolmente, prima di lanciare uno sguardo alla madre, che annuì a sua volta.

“Allora, forse, dovrei andare…” cominciò col dire Max, levandosi in piedi.

“Dovrai attendere domani. La famiglia Withmore è partita due ore addietro per tornare a York” lo mise al corrente lei, spiacente.

La delusione sul volto di Maximilian si fece evidente, tanto che Kathleen gli carezzò una guancia, mormorando: “Vedrai che andrà bene, caro. Non ti disperare.”

“A voi andrebbe bene, però? Sì, insomma, il fatto che non sia una lady e tutto il resto” si informò a quel punto Max, non sapendo bene cosa aspettarsi.

I suoi genitori erano aperti di idee e molto liberali… ma quanto?

Christofer si fermò in prossimità della finestra, la aprì per respirare i profumi della sera ormai imminente e, nel sorridergli da sopra una spalla, dichiarò: “Diventerà lady quando sposerà te. E, onestamente, piuttosto che vedere al tuo fianco donzelle del calibro di lady Conorswell, o lady Fincher, preferirei saperti scapolo a vita.”

Kathleen rise appena, nel pensare alle figlie di certi lord di Londra che, proprio, Christofer non sopportava e Max, rabbrividendo, esalò: “Oddio, preferirei diventare frate, onestamente.”

“Ne sarei più che orgoglioso, credimi” ironizzò Christofer, prima di tornare serio e aggiungere: “E’ chiaro che, se lei accettasse la tua proposta, dovresti essere poi tu a difenderla da eventuali scorni, perché so già che potrebbero esservi. Sei pronto a snudare metaforicamente la spada per lei? Anche più di una volta?”

“Credo che Sophie potrebbe farlo anche da sola, ma so cosa vuoi dire e sì, sarei disposto a farlo anche cento volte, per lei” assentì con vigore Max.

“Allora, per me nulla osta” scrollò le spalle Christofer. “Tesoro, tu che ne pensi?”

“Penso che mi piacerebbe molto avere un’altra figlia, e Sophie mi sembra una ragazza interessante” dichiarò Kathleen, sorridendo al figlio.

Ringalluzzito da quelle parole, Maximilian si sentì decisamente più bendisposto verso il futuro e, dopo aver lasciato lo studio del padre, tornò con passo lesto verso le sue stanze.

Doveva pensare a come affrontare la situazione con Sophie ma, prima di tutto, doveva andare a recuperare Samuel.

Se, per una volta, aveva ascoltato le sue parole, era ancora in giardino a passeggiare in solitudine e, ormai, era il caso di farlo rientrare,  o avrebbe continuato a oltranza fino a morire di fame.
 
***

Trottando giù per le scale esterne di palazzo per raggiungere il camminamento del giardino all’italiana, Max incrociò la strada del fratello e, con un sorriso, disse: “Vieni con me. Vado a recuperare Samuel.”

“Volevo parlare con te di una cosa, perciò ne approfitto” assentì Andrew, notando subito il suo sorriso ilare. “Come mai tanta allegria? E dove sei sparito per ore?”

“Ero a colloquio con papà. Gli stavo esponendo le mie… prospettive future” gli spiegò Max, ridendo sommessamente.

Andrew mangiò subito la foglia e, bloccandolo a un braccio, esalò: “Vuoi sposare miss Sophie, vero?”

“Lizzie ti ha detto qualcosa?” borbottò a quel punto Max, pur non prendendosela troppo. In fondo, gli faceva piacere che la sorella se ne fosse accorta e ne avesse parlato con Andrew.

“Diciamo che ne ho parlato anche con lei e, a parte dirti che mi fa piacere che l’idiosincrasia per il matrimonio ti sia passata…” e nel dirlo, si guadagnò un’occhiataccia. “…vorrei però metterti al corrente di una cosa che ha notato Violet.”

“Lettie? Che ha mai visto di così preoccupante?” esalò sorpreso Max, bloccando i suoi passi.

Andrew si passò una mano sulla nuca, non sapendo bene da dove iniziare, prima di ammettere: “Vedi, secondo lei, dovresti dire a miss Sophie di aprirsi con sua madre. E dovresti farlo prima di chiederle di sposarti.”

“Spiegati meglio.”

“Lettie ha riconosciuto i sintomi, per così dire. Miss Sophie tende a essere fin troppo protettiva nei confronti della madre, e così pure Mr Withmore con sua moglie e lei, per non farli preoccupare, accondiscende a questa sorta di silenzio assenso in ogni suo atteggiamento.”

Aggrottando leggermente la fronte Max gli domandò: “E com’è arrivata a questa deduzione?”

“Mentre voi eravate via, Lettie ha passato molto tempo con Mrs Adelaide e, a parte i primissimi giorni, in seguito ha dimostrato di essere ben più che in grado di contenere gli attacchi di panico, e di essere altresì una donna molto protettiva e comprensiva” asserì Andrew, sorprendendolo un poco.

Andrew proseguì dicendo: “Da quel poco che Lettie ha compreso, Adelaide ha avuto una crisi quando Cynthia è stata abbandonata all’altare e, da quel momento, Sophie e Mr Withmore hanno fatto di tutto per proteggerla da ulteriori dolori… ma non ve n’era bisogno.”

“E questo cosa c’entra, con la mia proposta di matrimonio?”

“Iniziare una nuova esistenza senza aver chiuso i conti con quella precedente, non è mai un buon modo per vivere felici” gli fece notare Andrew.

“Potrebbe dirglielo Violet stessa, o Lizzie. Non credo voglia sentirsi dire certe cose da me” sottolineò Max, cocciuto.

Andrew sorrise appena, replicando: “Max, sono cose che deve fare un marito, invece. Se vuoi davvero che lei diventi tua moglie, devi anche pensare che, certi discorsi, potrà farli solo con te, perché sarai tu l’altra metà del suo cielo.”

Arrossendo un poco, Maximilian mugugnò: “E devo proprio cominciare da un problema così delicato?”

“I migliori non si scelgono il campo di battaglia. Accettano quello che gli destina il Fato” ironizzò Andrew.

“Spiritoso…” sbuffò Max. “… andiamo a recuperare Samuel, prima che faccia le ragnatele, piuttosto.”

“Ci penserai, comunque? Lettie ci tiene molto.”

Sospirando esasperato, Max esalò: “Sai che farei di tutto per tua moglie, perciò sì, lo farò. Ma non tediarmi oltre, adesso.”

“D’accordo” annuì soddisfatto Andrew.

Allungando il passo, quindi, i due giovani si addentrarono nel giardino, dove le lunghe ombre della sera avevano tinto di scuro l’erba e i cespugli odorosi.

In lontananza, l’abbaiare di un cane attirò la loro attenzione, spingendoli a seguire quel suono ma, in prossimità di un bivio, si bloccarono, nascondendosi dietro un pioppo secolare.

Ben visibili lungo la passeggiata, e impegnati in quella che pareva un’allegra conversazione, Samuel e Sarah Phillips, l’ultimogenita dei duchi Thornton, stavano chiacchierando mentre camminavano in compagnia di un piccolo cocker.

“Dici che dovremmo…?” mormorò dubbioso Max, lanciando un’occhiata al fratello.

“Tecnicamente, non stanno facendo nulla di male, e Sarah non è stata ancora presentata in società, avendo ella solo quindici anni, per cui…” tentennò Andrew, memore di ciò che era successo a lui, quando Randolf l’aveva sorpreso a baciare Violet.

Certo, quella volta aveva avuto molto peso la stanchezza di tutti, la meraviglia per quella novità e il gesto in sé.

Se avessero avuto modo di parlare senza tutte quelle variabili, molto probabilmente si sarebbe risparmiato un pugno in faccia, ma tant’era.

Samuel era un amico di famiglia, perciò conosceva bene i figli dei Phillips, e Sarah era naturalmente portata per chiacchierare con tutti, avendo un carattere solare e aperto.

Il fatto che lei tentasse di tirare su di morale il loro comune amico non era cosa strana, ma non era necessariamente detto che fosse quello l’unico motivo.

“Magari dovremmo dirlo a Myriam… sono più cose da donna, no?” tergiversò Maximilian, terrorizzato alla sola idea di parlare con Sarah di certi argomenti.

“Oh, senza alcun dubbio!” assentì vigorosamente Andrew. “Per ora, comunque, non mi pare ci siano pericoli all’orizzonte, e Samuel è davvero troppo provato sentimentalmente per cercare un nuovo flirt, ti pare?”

“No, certo. Infatti, il mio timore viene da Sarah, non da Samuel, anche se è pazzesco il solo pensarlo” gracchiò Max, notando suo malgrado la mano della ragazzina carezzare il braccio dell’amico. “D’accordo, è il momento di fermare qualsiasi cosa sia quello che stiamo guardando.”

“Non è niente, non temere. Solo due amici che chiacchierano” borbottò Andrew, non credendoci del tutto neppure lui.

Erano finiti dalla padella nella brace, con Samuel? Max sperò davvero di no.

E lui, sapeva veramente quello che stava facendo, o stava facendosi prendere dalla smania? Sperò davvero di no.







Note: il capitolo è un po' lungo, ma mi sembrava uno spregio spezzarlo in due, visto che vi avrei lasciato con il dubbio (anche se non ho sciolto tutti i nodi).
Cosa farà Sophie? E Ferdinand? Accetterà la proposta di Max?


 
  
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