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Autore: Hikari_Sengoku    29/11/2017    2 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dead Awake
 
Gabriele odiava l’allegra famigliola felice. Da quando era stato trasferito negli alloggi del Capitano Hatsuharu Hasegawa, alias il galante coglione che aveva salvato lui e quella piagnucolante gatta morta, Tomoe, non aveva dovuto far altro che subire le loro smancerie, dato che per il momento erano coinquilini. Quell’insopportabile smorfiosetta aveva accettato pure con troppa gioia l’invito del Capitano, e ora regnava incontrastata nel cuore del nerboruto marine e nel minuscolo appartamento che, suo malgrado, erano costretti a condividere. Quell’uomo si era pure messo in testa di volerlo addestrare. Un giorno era arrivato da lui, tutto impettito come una gallina, e gli aveva detto che ormai ciò che era successo era tutto acqua passata e che lui sarebbe stato felice di addestrare il suo “primo allievo!”, sghignazzando e sridacchiando all’idea. Lui sulle prime l’aveva poco elegantemente mandato a quel paese con un bel dito medio, finché nel pomeriggio non se l'era di nuovo trovato fra i piedi mentre sfogava la sua rabbia sul salottino. Quello, con fare sapiente, lo aveva fermato con una mano sul braccio, poi d’improvviso gli aveva tirato i capelli e ringhiando lo aveva sfidato a sfogare la sua rabbia con lui. Inutile dire che aveva accettato, e si era ritrovato poi a fare i conti con la sua inevitabile sconfitta, che aveva dato fuoco al suo sangue e l’aveva spinto giorno dopo giorno a cercare quell’uomo. Tomoe, con sua grande soddisfazione, continuava ad evitarlo il più possibile, anche se questo non la salvava dai suoi improperi e dalle sue crudeli battutacce. Con un’ostinazione che raramente aveva pari, passava ore intere a sbattere il grugno contro Hatsuharu. Alla fine, ammise, ci stava prendendo gusto. Gli piaceva sentire dissolversi l’insicurezza sotto la spacconeria, strato dopo strato. Non che per questo amasse essere sottoposto a quella specie di gallina tronfia e alla sua insignificante amante, oltre che a quella specie di medicastro dai lunghi baffi che veniva a fargli visita ogni giorno in concomitanza con la sua voglia di uccidere. Ovvero ogni mattina al risveglio. Cominciava quasi ad abituarsi all’idea che avrebbe potuto considerare di farsi presentare da Capitan Gallina per l’addestramento ufficiale da marine, quando gli giunse la Notizia, la Fuga da Impel Down. Tutto cominciò ad andare a scatafascio. Un manipolo di marine entrò nell’appartamento sfondando la porta e urlando. Capitan Gallina lo tirò via, salendo sul davanzale della finestra e issandosi sul tetto. Gabriele lo seguì, poi si buttarono insieme sulle tegole.
“Cosa hai combinato?” lo incalzò il marine.
“Io non c’entro. È quella bastarda, è scappata di prigione!” imprecò.
“La ragazza per cui stai qui? È riuscita a scappare con Mugiwara no Rufy?” per tutta risposta il ragazzo tirò un pugno, spaccando una tegola.
“Ohi, Gab, tranquillo. Ti tiro fuori io da questo pasticcio, non c'è bisogno di agitarsi. Tu devi solo promettermi che il tuo cammino per l’inferno sará lastricato di buone intenzioni. Entrerai nella Marina, solo così potrò aiutarti” gli disse diventando di colpo serio. Ad un tratto, un nodo gli aveva stretto lo stomaco: Nonostante i suoi modi a dir poco barbari ed i suoi meschini pensieri, si era affezionato a quel ragazzaccio di borgata, e non avrebbe voluto perderlo per una delle sue ostinate convinzioni da mulo. Dal canto suo, Gabriele non era affatto uno stupido.
“Finirò nella merda prima di subito…” borbottò, lasciando che Hatsuharu lo sollevasse e lo portasse di sotto.
 
Si risvegliò di soprassalto, facendo schizzare a mille l’elettrocardiogramma e squillare come un pazzo il campanello di allarme. Le sue iridi nocciola si strinsero alla luce fredda e improvvisa del faretto sopra di lei. Si agitò, scuotendo debolmente gli arti addormentati e alzando con un grosso sforzo la testa dal cuscino, per poi farla ricadere. Passato il primo, sconvolgente momento di stupore, si rilassò. Era nel sottomarino dei Pirati Heart, era al caldo e al sicuro. Era sorprendente quanto tutto il resto svanisse, di fronte all’impossibilità di sopperire a questi bisogni primari. Sentiva una sorta di torpore in tutto il corpo, e aveva i muscoli così indolenziti da farla desistere da ogni velleità di muoversi. Di fronte a lei un letto vuoto, sul quale era ancora impressa l’orma del corpo che vi aveva riposato. Le lenzuola erano scomposte come i resti di un’esplosione intorno al lettuccio da ospedale. L’unico rumore che sentiva era il ritmico bip dei macchinari intorno a lei, prima che in quel surreale silenzio irrompessero i veloci passetti di due pirati, seguiti dal flemmatico passo del loro Capitano. Ovviamente, non poteva non riconoscerlo: Trafalgar D. Water Law, detto Traffy, Capitano dei Pirati Heart e alleato di Rufy. Ma ad una piú attenta seconda occhiata, notò anche che era stanchissimo. Le occhiaie che di norma sfoggiava erano di un brutto colore verdastro, gonfie e pesanti, e anche il colorito non era dei migliori. Portava indosso un camice da chirurgo. Cori lo scrutò, indecisa su cosa aspettarsi da lui, mentre i due ragazzi si affaccendavano intorno a lei, uno porgendole qualche sorso d’acqua che la ragazza prontamente rifiutò con un conato. Le erano sempre piaciuti gli esami medici, per lei erano divertenti, quindi non aveva problemi di sorta nel vedere gli aghi nella sua pelle o i lividi lasciati dall’elettrocardiografo. Si accorse di avere almeno cinque sei fori abbandonati tra le mani e i gomiti di entrambe le braccia. L’avevano cambiata: Indosso portava una camiciola da ospedale, che lasciava ben in vista i nervosi fasci muscolari delle gambe.
“Mi avevano riferito delle tue strane condizioni, Cori-ya, ma devo ammettere di essere stato troppo occupato per interessarmene fino ad adesso” esordì il chirurgo avvicinandosi e ruotandole con gesto clinico la testa dal lato destro, quello che fino a poco tempo prima era stato roso dalla macchina. Cori capì solo allora cosa mancava: I suoi capelli! Non ne sentiva piú il peso e la morbidezza dietro la testa. Uno dei due pirati si rese conto del suo turbamento e si scostò per concederle libero sguardo ad un piccolo specchio. La sua testa adesso assomigliava a quella del protagonista di One Punch Man, e Cori avrebbe giurato di averla vista luccicare. Dal lato sinistro, facevano bella mostra di se le cicatrici color magenta che circondavano irregolari l’orecchio, insieme ai sei piccoli fori degli spinotti. Senza capelli, la nuova magrezza del suo viso era ancora più evidente, e gli occhi sembravano enormi e luminosi nelle orbite.
“Se te lo stai chiedendo, ti sono stati rasati i capelli per facilitare lo studio delle tue condizioni fisiche. Anche se piú probabilmente è stato a causa dei parassiti che li abitavano” ghignò il moro. Cori alzò gli occhi al cielo. “Sai com'è, non è che in prigione abbiano questo granché di servizio clienti” gracchiò sarcastica. Aveva la gola secchissima.
Traffy la ignorò. “Sembra che i miei compagni abbiano riscontrato una serie di anomalie nel tuo stato fisico. Questi fori che hai nel cranio… non sono sevizie casuali. E anche la colonna nera apparsa per qualche secondo a Marineford era opera tua, anche se indirettamente, a quanto dice Bashe in questo rapporto” disse indicando i fogli che aveva in mano.  ‘Ti volevano studiare. Mi sai dire perché, Cori-ya?” le chiese poggiando le mani sull’estremità metallica del letto e appoggiandovi sopra il mento. Aveva come l’impressione che Bashe avesse già riferito quanto sapeva.
“Mi sai dire perché ti interessa, Trafalgar Law? Credo tu sappia perfettamente che non sono in grado di gestirlo, quindi perché me lo chiedi?” forse era stata una pessima idea sfotterlo. Decisamente una pessima idea.
“Perché mi interessa non ti riguarda. Ora che hai finito di sfogare la tua frustrazione repressa, gradirei che mi raccontassi ciò che desidero sapere” ribatté prontamente il giovane moro, inchiodandole quel suo sguardo d’acciaio negli occhi.
“E va bene” ringhiò Cori, raccontandogli nel modo più caustico e asettico che conosceva le poche nozioni sicure che sapeva. In fondo, che importava? Non era mica un Segreto di Stato. Il ragazzo sembrò riflettere profondamente per un paio di minuti, prima di proferire di nuovo parola.
“Sarebbe interessante se sapessi dominare questa… capacità. In mancanza d'altro, per adesso potremo studiare le tue analisi, anche quelle rivelano molte cose. Ad esempio, il collegamento fra il tuo stato emotivo e la manifestazione della tua capacità. Anche questi sei fori sembrano interessanti” masticò Law, girandole di nuovo la testa. “Sei un caso clinico curioso, Cori-ya, e mi piacerebbe studiarti più nel dettaglio, ma nonostante le apparenze non sono un ente filantropico, e quindi ti chiedo semplicemente quanto sei disposta a promettermi in cambio del mio aiuto”. Il bello era che Trafalgar contava davvero di avere una risposta gentile e pacata mentre con quella lunga mano fredda le rigirava la testa in ogni angolazione e si divertiva ad usare quei suoi strumentini per essere sicuro che, che ne so, non fosse diventata sorda nell’intervallo fra una parola e l’altra o chissà cosa! Ma in fondo la richiesta non era così assurda. Insomma, Traffy l’aveva curata sicuramente per il legame che aveva col suo compagno, non certo per un improvviso desiderio di fare nuova zavorra per il suo sottomarino giá fin troppo affollato.
“’Ti devo un favore’ non è abbastanza vero?” chiese Cori. Con tutta la buona volontà, e per quanto Law fosse il sogno segreto di tante ragazze (non che lei non ci avesse fatto un pensierino), aveva altre priorità al momento piuttosto che chiudersi in un cassone di metallo dal colore dall’indubbio uso mimetico.
“’Ho un debito con te’, è piú appropriato. Quando ce ne sarà il bisogno, saprai esattamente cosa fare, va bene?” voleva proprio marcare il divario fra loro due, eh? Ma evidentemente non aveva le idee chiare, altrimenti le avrebbe dato un compito preciso. O forse voleva aspettare che maturasse la sua capacità. In ogni caso, era sempre meglio che perdere tempo in giro per imbarcazioni alternative subacquee, così accettò.
“D’accordo, mi arrendo. Ma voglio l’esclusiva sulle scoperte che farai. Vorrei essere la prima a sapere ciò che mi riguarda, almeno finché sarò a portata di orecchio” puntualizzò Cori gracchiando. Si sentiva molto stupida a credersi tanto superiore, sapendo che in realtà pochi esseri potevano essere più in basso di lei nella catena alimentare che comprendeva Law come erede di Simba nel grande Cerchio della Vita, per cui noi alla fine diventiamo cibo per antilopi. In quel caso, riteneva di essere l’antilope, se non l’erba. “Pensi di…” cominciò a dire, ma all'improvviso la testa ricadde sul cuscino e Cori svenne. Traffy all’inizio ne fu sorpreso, poi si rese conto che Cori era svenuta nel momento in cui lui aveva fatto pressione sul secondo foro sopra al lobo, una scoperta interessante. Bashe entrò in quel momento e chiese perplesso cosa fosse successo. Law diede una risposta evasiva e uscì, aggrottando le sopracciglia quando avvertì un campanello dalla sala di comando.
Bashe si era ripreso già poche ore dopo il salvataggio, e adesso ciondolava in giro per il sottomarino con indosso una camiciola da ospedale che gli lasciava scoperta la schiena e una flebo attaccata al braccio. Avrebbe dovuto attendere un nuovo approdo per procurarsi un nuovo nastro o un nuovo elastico per capelli, quindi li teneva sciolti sulle spalle come una cascata nera. Aveva una frangia lunghissima, che gli superava di gran lunga gli occhi e che lui si ostinava a scostare ignorando i tentativi dell’unica donna della ciurma di dargli un paio di malefiche mollette. Era smagrito, e questo gli dava un pallido aspetto spettrale mentre si aggirava senza meta negli asettici corridoi. Ma era felice. Felice di essere tornato a casa, con i suoi compagni e la sua nuova amica, di essere sano e salvo in un bel posto caldo, e questo lo rendeva irrequieto.  Quando vide il suo capitano dare l’ordine di risalire non resistette e corse subito sul ponte secondario, ansioso di rivedere il mare, e magari qualcosa di interessante.
E infatti qualcosa di interessante c’era. Le navi della Principessa Serpente e di Emporio Ivankov avevano accostato il sottomarino, lasciando che la donna più bella del mondo scendesse sul loro ponte principale e berciasse come un aquilotto tutte le sue pretese. Poi arrivò quel testardo uomo-pesce, Jimbee, che diede il via alla sua ennesima crociata per il bene di Rufy, mostrando le sue innumerevoli ferite ed il suo ineguagliabile desiderio di assolvere al compito designatogli dal compianto Hiken no Ace. Bashe seguì con scarso interesse i loro discorsi infarciti di vibrante pathos finché intravvide in lontananza una grande imbarcazione dalle sponde alte, con una velatura ridotta, tutta tirata a lucido, probabilmente nuova di zecca. Li raggiungevano da dietro, lenti a causa della loro ingombrante mole, ma la prima cosa che Bashe riuscì a scorgere sul loro alto ponte erano due esili figurette. La prima era una bambina dalla lunga capigliatura bionda, che si sporgeva dalla prua come per vedere meglio. L’altra era una ragazza bassa, che la teneva stretta per la vita per timore di perderla, avvolta da una nube turbinante di lunghi ricci castani. Non era possibile! Non potevano essere loro! Per nessuna ragione il Governo Mondiale avrebbe permesso loro di viaggiare liberi allo sguardo del mondo, di raccontare la loro storia. A meno che…
Le navi dei pirati erano appena salpate. “Capitano!” gridò, “Nave a poppa!”. Law con un balzo salì sul ponte secondario e osservò. Appena furono a portata di sguardo, si rese subito conto di chi erano.
“Capitano, posso avere il permesso di parlare alla mia famiglia? È tanto tempo che non li vedo…” mugolò Bashe con il suo sguardo da cane bastonato.
“Cinque minuti, non di più” concesse il ragazzo, che ben sapeva quanto la famiglia fosse importante per il suo compagno. Bashe fece segno alla nave di fermarsi, e presto sul ponte del sottomarino c’era la famiglia al completo. Law scrutò con sommo disinteresse i loro animaleschi attributi. Dopo un momento di imbarazzante silenzio, Symon si gettò su Bashe, abbracciandolo stretto quanto più poteva.
“Bashe! Sei tutto intero! Temevamo potesse esserti accaduto qualcosa di male…” esplose con la voce carica di emozione, facendo un cenno di ringraziamento a Law.
“Non a lungo, se continui a stringermi così, Sy…” tossicchiò rosso come un peperone mentre le dava gentili pacche sulla spalla. Appena la ragazza si fu staccata fu la volta di Lerik. Con lo sguardo torvo, gli si avvicinò e gli tirò uno schiaffone a mano aperta sul viso. Bashe girò la testa, troppo scioccato per reagire, ed il fratellastro lo strinse forte, in silenzio. Chiyo si avvicinò allo zio con circospezione, osservando con attenzione i grandi, verdi occhi familiari. Appena si fu ripreso, il ragazzo distolse lo sguardo vergognoso dal fratello e chiamò la bambina: “Vieni Chiyo! Sono io, lo zio Bashe, non mi vuoi venire in braccio?”
La bimba si avvicinò piano piano, e alla fine strinse le braccine grassocce intorno alle sue gambe, fissandolo dal basso con i suoi occhioni. Lo zio la prese in braccio e la coccolò mentre i due genitori parlavano.
“Siamo stati tanto in pensiero per te. Perché non ci hai detto niente?” chiese Sy, appoggiata dal marito silenzioso.
“Avevo paura che mi fermaste, che non lo  avresti accettato” rispose, passando direttamente a parlare col suo biondo fratello. I due si guardarono. Anche adesso avrebbero voluto fermarlo. Tacquero. “Ma ora che stiamo di nuovo insieme é tutto risolto, no?”. Il silenzio era imbarazzante.
“Fratellino… no, niente. vienici a trovare qualche volta, se puoi” sospirò Lerik dandogli le spalle. Symon prese tra le braccia Lurichiyo e si avviarono alla nave. Bashe voleva trattenerli, così sparò la prima cosa che gli venne in mente: “In prigione ho conosciuto una ragazza. Si chiama Cori. Dice di conoscere Lurichiyo.” la famiglia si bloccò, e Symon lo guardò con tanto d’occhi. “Come sta?”
“Beh, si sta riprendendo. Sta qui con noi nel sottomarino” rispose sommesso.
“La possiamo vedere?” chiese la ragazza esitando, strisciando lo sguardo implorante verso Law.
“La bambina no” rispose Law categorico. Doveva smetterla di essere così indulgente, dovevano reimmergersi in fretta, ma per questa volta lasciò correre. Lerik prese in braccio la figlia. “Resto io con lei, andate”.
Mentre si allontanavano, sentirono la piccola chiedere al padre: “Perché non posso vedere anch’io la zia Cori?”
 
Law, Symon e Bashe si addentrarono nei corridoi, prima di entrare in una piccola stanzetta con due letti da ospedale. Quello a destra era vuoto e scomposto, l’altro conteneva Cori, smagrita e nervosa, ma viva. il petto si alzava e si abbassava sotto la copertina azzurra, mentre la testa era girata sul lato destro, mostrando tutto l’orrore di quelle cicatrici. Sy la guardò con le lacrime agli occhi, con la punta delle dita ambrate ne accarezzò la pelle magenta intorno all’orecchio.
 “È in coma?” chiese con la voce tremolante.
Il Capitano ripensò a quello che era accaduto poco tempo prima. “No”.
“E dove andrà quando starà bene?” chiese ansiosa.
“Dove le pare” borbottò in risposta.
“Potremmo portarla con noi. Può viaggiare?” Law si chiese perché quella ragazza volesse curare una quasi sconosciuta. Bashe invece comprese che era il senso di colpa a guidare le azioni della cognata, in modo da permetterle di avere una buona convalescenza, e nel caso un posto dove stare.
“Avete i macchinari necessari per mantenerla?” le rispose omettendo una risposta affermativa.
“Oh, sì. Stiamo su una nave arca, non è un problema. Dovremo solo mentire sul nome” assicurò Sy.
“Allora è tutta vostra” disse con un gesto della mano. Diede una voce, e due pirati staccarono il letto dall’ancoraggio e cominciarono a portarlo sul ponte. Bashe e Symon li precedettero, e con l’aiuto di Lerik issarono la barella sul ponte della nave arca. Il ragazzo ancora convalescente con un balzo ridiscese sul sottomarino, evitando per un pelo di essere issato a bordo anche lui, e con la mano salutò la sua famiglia che si allontanava. Anche se un po’ gli sarebbe mancata, era felice che fosse la famiglia di suo fratello ad occuparsi di lei, ed era ancora più felice di averli rivisti.
 
Cori si svegliò, ma credeva di star sognando, perché sopra di lei c’era il volto iridescente di Symon, dove la luce balenava come sui giocarelli per neonati. Gli occhi castani, liquidi, studiavano il suo volto con attenzione, e si illuminarono quando si accorse che era sveglia.
“Sei sveglia!” gridò infatti.
“Che è successo?” chiese con una smorfia, tirandosi su sui gomiti.
“Ti abbiamo portato sulla nave arca” le rispose mentre le porgeva un bicchiere d’acqua.
“Nave arca?” chiese bevendo un sorso. Appena l’ebbe ingoiato le salì la nausea, ma la trattenne. Il suo stomaco non era più abituato.
“Il Governo Mondiale ha deciso di trasferirci”. Disse mentre si affaccendava intorno ad un vassoio.
“Ah. E io?” domandò confusa. Non aveva nemmeno salutato Bashe...
“Il Capitano Law ci ha dato il permesso di portarti qui, gliel’ho chiesto io. Così starai più tranquilla” rispose mentre le si avvicinava con un piatto di brodo caldo.
“Gabriele non è più con voi? E Jord?”
“Non ti preoccupare. Quel cattivo ragazzo se n'è andato insieme a te, e Jord non ha idea che tu sia qui. La gente malata non gli piace, fa di tutto per non avvicinarsi a quest’ala della nave. Purtroppo abbiamo più malati di quanti dovremmo, e non abbiamo letti per tutti, mi dispiace” si scusò mentre le avvicinava un bel cucchiaio. Notò di essere stesa su un semplice futon. “Ora apri la bocca”. Cori obbedì, ma appena chiuse la bocca intorno al cucchiaio sentì la nausea montarle potente. La sola idea di mangiare le dava il voltastomaco. Si forzò ad ingoiare il brodo, ma subito vomitò. Symon era stata abbastanza previdente da metterle una bacinella affianco. Notò anche che diversamente dall’ultima volta che l’aveva vista, teneva i capelli stretti in uno chignon, indossava un sobrio abito nero dal colletto rigido e teneva vicino a se una lunga valigetta altrettanto nera.
“Stavi per andare a lavorare?” chiese.
“Purtroppo sì.” Sospirò. “Oggi è morto un altro dei nostri. Io… preparo le esequie” spiegò, quasi vergognandosi.
“Mi dispiace…” soffiò Cori, tendendole le braccia.
“Non preoccuparti, va bene. Ormai ci ho fatto l’abitudine”. Ma l’espressione sul suo viso diceva tutto il contrario. Cori le strinse una mano in segno di solidarietà. “Chiamo Lurichiyo per farti fare un po’ di compagnia” si girò per alzarsi.
“Aspetta! Fasciami la testa prima, non vorrei che si impressionasse!” la richiamò trattenendola per un braccio. Sy, con infinita pazienza, raccolse le bende e con pochi, morbidi movimenti avvolse le candide strisce di cotone intorno alla sua testa, coprendo lo scempio magenta vicino all’orecchio.
“Così va bene?” le sorrise.
“Benissimo”. Symon si allontanò a passo svelto.
Una decina di minuti dopo, Lurichiyo la placcò con tutta la potenza delle sue gambine cicciotte. “Zia Cori!”, gridò inondandola delle sue belle onde bionde. Mentre ancora si stringeva a lei, Cori notò, nascosti dietro un paio di sacchi imballati, un paio di curiosi occhi grigi e due tenere orecchiette da mulo.
“Ehi” la chiamò, ma la creatura si ritrasse. “Vieni qui, non avere paura. Non ti faccio niente”, allungò una mano verso di lei. La bambina uscì, impaurita. Era una creaturina piccola, più minuta di Chiyo, ma con un visetto tondo, occupato da due grandi occhioni grigi sopra ad un nasino ed una boccuccia rosea. Una lunga, folta chioma scomposta di capelli castani faceva da allegro contorno. Le gambe erano ritorte e pelose, e la sua corporatura assomigliava a quella di un antico fauno. Aveva poi questo paio di orecchie pelosine e soffici! Con calma, allungò la mano perché ci prendesse confidenza, poi lentamente la accarezzò. La piccola spalancò ancora di più gli occhioni e immerse il visino nella grande mano bianca di Cori, scuotendolo come se fosse un uccellino intento a lavarsi.
“Significa che gli stai simpatica” le sussurrò Chiyo all’orecchio, poi scese dal suo braccio e prese per mano l’altra bambina. “Giochiamo a prendere il tè!”
 
Quando Symon ritornò, credeva che avrebbe trovato un paio di bambine che strapazzavano una povera ragazza ferita. Si ritrovò invece a far visita a tre anziane signore, un po’ bizzarre sicuramente, che sorseggiavano con il mignolino alzato delle splendide tazzine di tè immaginario. Avevano rimediato qualche asciugamano variopinto e Cori doveva averlo acconciato perché sembrasse un cappello. Era abbastanza sicura che l’elegante copricapo rosa che portava la dama bionda appartenesse al suo necessaire da viaggio.
“Mi dispiace interrompervi, mie signore, ma è giunta l’ora del pranzo” le richiamò afferrando entrambe per la collottola.
“No, mamma!” protestò la ragazzina, mentre la sua compagna si esprimeva in un potente Spaccatimpani. I cappelli ritornarono asciugamani, le tazzine si volatilizzarono e le anziane signore tornarono ad essere due bambine urlanti ed una ragazza sorridente su un futon. Quando Sy tornò, più tardi, la prima cosa che disse fu: “Dovrei affidartele più spesso, si sono divertite un sacco e hanno fatto meno casino del solito”.
“Quando vuoi” ribatté lei, accomodandosi a gambe incrociate. Teneva gli occhi fissi nei suoi e sorrideva.
“Sicura che non ti diano fastidio?” chiese premurosa l’altra, portandosi la lunga chioma folta su una spalla.
“Mi fanno compagnia”. Cori alzò le spalle con una smorfia. Bastava guardarsi intorno: quel grande salone, che nel progetto avrebbe dovuto essere una sala comune, ospitava invece due fitte file di malati lamentosi e urlanti, che facevano ancora più impressione ogni qual volta dalle coperte emergeva una coda squamata o delle zampe palmate. D’un tratto qualcosa cominciò a sbattere furiosamente sotto il pavimento, accompagnato da urla disumane. Un drappello di uomini corazzati le oltrepassò di corsa, e dopo poco alle urla si sostituirono i gemiti ed i rumori di lotta.
“Cosa succede?” chiese Cori.
“Sono gli Alienati che danno del loro meglio” rispose Sy, preoccupata. “È da quando siamo partiti che danno di matto così”.
Poco dopo il drappello ritornò dalle viscere della nave, un po' scorticati ma interi. Tra gli uomini di punta c’era Lerik, che appena le vide si allungò verso di loro e strinse la moglie a sé con un braccio solo. “Ehi, tesoro. Come sta andando?”
“Bene, amore” ridacchiò lei schioccandogli un bacio sulla guancia leggermente squamata. “Allora, com'è andata?” gli chiese poi corrugando la fronte in mille scagliette di luce.
“Bene, ma abbiamo dovuto di nuovo usare il gas soporifero, non c'è niente da fare” rispose con un bacio sulla tempia e strofinandole con tenerezza la spalla.
“Aspetta, che ti disinfetto” gli prese il mento fra due dita e con delicatezza tamponò le escoriazioni sul viso e poi sul braccio. L’intensità dei loro sguardi era quasi dolorosa. “Sei stata a lavoro. Va tutto bene?” le chiese lui premuroso, sciogliendole la stretta crocchia sulla nuca. Symon scosse la testa, liberando la folta capigliatura. “Non ti preoccupare. Torniamo in cabina, ti va?” arrossì, o meglio, avviolò quando il marito tentò di baciarla davanti a lei. Cori sorrise intenerita. Era come guardare un vecchio film romantico.
“Scommetto che a Cori non interessa se ci baciamo davanti a lei, non è vero?” ghignò malizioso Lerik.
“Oh, no, siete così carini!” proferì con nonchalance. Symon la fulminò con lo sguardo, per poi passare ad un'espressione da Gatto con gli Stivali. Carini e coccolosi ragazzi, carini e coccolosi. Lerik rise, poi si alzò tirandosi dietro Sy e le diede un bacio a schiocco che la fece diventare più viola di quanto giá non fosse.
“Ciao Cori!” la salutò, accompagnato dal balbettante saluto di Sy: “Ci-ciao!”
Cori scoppiò a ridere. “Ciao Sy! Lerik!”.
Fu un momento, forse perché era ancora lontana dalla guarigione, perché aveva tutte quelle bende addosso (era praticamente una mummia dal bacino in su, e da quando si era svegliata non aveva mai nemmeno provato a posare un piede), o perché aveva la pelle gialla, quasi itterica per i lividi, ma fu grata per quel momento. Quando Sy e le bambine non c’erano si sentiva sola, e non faceva che rimandare il pensiero a ciò che aveva subito, e la nostalgia di casa, la nostalgia di suo fratello la soffocava. Spesso pensava al freddo della prigione, alla fame, al dolore continuo, quasi come la nenia di una vecchia, alla tortura di quei tubi spinti dentro il suo cervello. Si stringeva nella coperta, tremava. Il salone era troppo ampio, disperdeva facilmente il calore, o forse era lei che sentiva freddo, non ne aveva idea. Aveva paura di addormentarsi per sognare quell’incubo, ma in ogni movimento che percepiva con la coda dell’occhio rivedeva l’ombra della massa impazzita, mostruosa fuori dalla sua cella, nel soffio di una coda bionda il volto deformato dall’ira di quella donna. Teneva le spalle spinte contro la parete, e ringraziava Sy per averle procurato un cantuccio all’angolo, dove poteva rifugiarsi e rigirarsi. Osservava la massa delirante dei malati e si rintanava nel suo angoletto. Ad una certa un medico e due infermiere spensero tutte le lucerne, lasciando tutti al buio.  Se prima Cori aveva aborrito la massa di malati, ora se ne sentiva rincuorata. Affrontare il buio da sola sarebbe andato oltre le sue attuali facoltà di sopportazione. Nonostante questo, impiegò davvero tanto tempo ad addormentarsi, ed il suo fu un sonno agitato e intermittente, durante il quale si svegliava in preda al terrore di incubi la cui memoria svaniva entro pochi minuti, lasciando solo la strisciante sensazione di paura che scivolava, umida, negli interstizi che la realtà lasciava alla sua immaginazione. Le ombre si riempivano di mostri e voci sussurranti, si sentiva chiamare di continuo. Gli abiti in fondo al letto si trasformavano in un pallido cadavere, rigonfio e bluastro, con la bocca lorda di sangue, le ombre sulle pareti, appena visibili nella penombra, nei movimenti convulsi e sincopati di un essere pauroso. Nelle macchie umide del soffitto rivedeva due occhi che la fissavano, imputandole una colpa, le facevano paura, non aveva il coraggio di girarsi. Come quando era piccola, si ricoprì dalla punta dei piedi fino agli occhi con la coperta, per non vedere più nulla, ma appena lo fece si sentì soffocare, finché non cadde, poco prima dell’alba, in un sonno profondo.
 
 
Ovunque si girasse non vedeva che blu: Fra cielo e mare non c'era che una sottile linea. Il mare era in bonaccia, e non vi era sole, solo un’azzurro uniforme, slavato. Lei era lì, nel mezzo del nulla, immersa in quella infinita distesa d’acqua. All’improvviso, qualcosa le solleticò la pianta. Appena abbassò lo sguardo, una chela le agguantò la caviglia e la trascinò sott’acqua. Odiava andare in apnea. Cominciò a scendere, i timpani urlarono di dolore mentre i polmoni cominciavano a collassare. Scalciò, più forte che poteva, ma quella cosa non la lasciava. Annaspò, la bocca si aprì automaticamente per respirare e inghiottì l’acqua, direttamente nei polmoni. Cercò di nuotare in senso contrario, ma più la trascinava giù più faceva male. I timpani stavano per spaccarsi, la vista cominciò ad offuscarsi e il dolore al petto diventava insostenibile. Poco prima di svenire vide una grande mano protendersi verso di lei, ma per quanto potesse sforzarsi non riusciva a raggiungerla.
 
Aveva di nuovo fra i sei e gli otto anni. Stava dormendo, lo sentiva, intrappolata nel corpo della se stessa più piccola, percepiva le sue sensazioni in un angolo della sua testa. All'improvviso, esplosero, invadendo completamente i suoi pensieri, catapultandola al posto della bambina che era stata. Era sveglia, aveva gli occhi aperti, ma non riusciva a muoversi. Sapeva di avere le mani, le braccia, le gambe, lo sentiva ad un livello profondo, ma non le percepiva! Sentiva solo amplificata la coperta contro la guancia schiacciataci pesantemente sopra, provò a muovere il braccio, ma non lo vedeva ne lo sentiva muoversi. Provò a gridare aiuto, ma le labbra erano serrate, e la sua gola non emetteva alcun suono, non si contraeva. Il panico le chiuse la gola, mentre il terrore atavico, quello di non potersi difendere, la attanagliò, la morse con violenza, schiacciandole lo sterno. Sentiva nelle orecchie il rombo del sangue amplificato e distorto, e delle voci, delle parole prive di senso. Vedeva la sua stanza, ma era strana, distorta, oscura. Vedeva lunghe, alte ombre strinare le pareti,  avvicinarsi a lei, sentiva il loro soffio gelido sulla pelle. Provò a muovere le dita, e sentì finalmente i polpastrelli vibrare sotto lo sforzo immane che stava facendo per muoverli. Pensò intensamente: Devo svegliarmi, devo svegliarmi… E finalmente riuscì a urlare. O meglio, emise un lungo verso roco, inarticolato, che le sfuggì dalle labbra appena socchiuse. Pochi secondi dopo, la porta si spalancò di colpo. Doveva aver urlato piú forte di quanto non avesse sentito. Un Ottavio di dieci anni corse nella stanza, i suoi passi rimbombavano nella testa della piccola Cori mentre lo vedeva avanzare con la coda dell'occhio, sfigurato da quella strana distorsione. Appena la afferrò per le braccia, tutti i muscoli gridarono come per un crampo, ma riuscì finalmente a muoverli. Una lacrima le sfuggì, e il fratello spaventato la abbracciò stretta. Le stava dicendo qualcosa, ma non lo sentiva, percepiva solo le sue labbra muoversi. La stanza tornò normale, smise di essere spaventosa. Nello stesso istante in cui finalmente riuscì a percepire il sollievo – suo e della se stessa del passato – nell’avere il fratello affianco, nel sentire di nuovo il suo calore, tutto si sciolse in un brodo caldo e azzurrognolo.
 
Si svegliò, ma fu come se non fosse mai successo, perché l’incubo non era finito. Il panico la morse. Era di nuovo bloccata, con il petto schiacciato dalle bende, e non riusciva a muoversi. Solo gli occhi ruotavano impazziti nel vedere il salone piegarsi e incurvarsi su di lei, le ombre allungarsi, e di nuovo il sangue nelle orecchie. C’era qualcuno, nell’ombra, lo percepiva ergersi minaccioso, era lì, anche se non riusciva a vederlo. Non sentiva niente, era tutto ovattato. Avrebbe voluto respirare più forte, ma non poteva, si sentiva soffocare, non riusciva a muoversi, era tutto bloccato, no, no, no, no… il panico. Sentiva i nervi urlare, ordinare ai muscoli immobili e contratti di muoversi, sentiva la mascella stridere di dolore, le tempie scoppiare, finché riuscì a socchiudere i denti e ad urlare, per un tempo che le parve infinito, nel silenzio della nave addormentata.
 
 
 
 
 
 
 
 
Ehm ehm, eccomi qui! Scusate per il ritardo, ma vi assicuro che la parte su Law (di cui tuttora non sono molto convinta) è stata un vero parto. Allora, come vi è sembrato questo nuovo capitolo? Come potete vedere, ho messo la parola fine al mio slancio sadico, ma non per questo posso eliminarne le conseguenze! Quindi ecco a voi questo fantastico capitolo, che tiene il piede in due staffe tra Marineford e… beh, il resto della storia. Il fenomeno descritto nell’ultima parte esiste davvero, non è un effetto post-Haki o altre cose (almeno nella realtà, nella mia storia chi lo può sapere?), si chiama paralisi del sonno, e i suoi sintomi sono allucinazioni visive, uditive e tattili, paralisi muscolare, incapacità di parlare e stato di ansia e terrore provocato dai problemi respiratori e dalle allucinazioni di cui sopra. Dura al massimo due minuti e avviene nella fase di transizione tra sonno e veglia, coinvolge spesso, ma non esclusivamente, persone sotto stress o in stato d’ansia ed è spesso associato alla narcolessia. Mi è venuto in mente perché anche a me capita frequentemente, e vi assicuro che non è una bella sensazione, ma voglio chiarire che il motivo per cui Cori ne è afflitta e il fatto che lo sia non è in nessun modo legato, almeno in questo caso, ad un parallelismo tra me e lei, o almeno non nella sua parte più importante. Spero di aver scritto cosa gradita, mi auguro recensiate numerosi, alla prossima,
Hikari_Sengoku
 
P.S. Ringrazio chi mi recensisce abitualmente, che è per me grande fonte di gioia e che mi aiuta a migliorare (in un futuro lontano, quando farò la revisione):
WillofD_04
Elgas,
E tutti coloro che hanno recensito saltuariamente. Le critiche sono importanti!


http://www.grandeblu.it/index.php?url=saccheggio&id=53936
   
 
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