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Autore: heliodor    02/12/2017    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La fortezza

La fortezza di Nazedir apparve in tutto il suo splendore dopo un paio d'ore di viaggio.
Vista da vicino era uno spettacolo impressionante. Nove torri ottagonali formavano la muraglia esterna. Questa racchiudeva una collina sulla quale sorgeva una seconda muraglia collegata da cinque torri. Al suo interno, il gigantesco mastio, una costruzione esagonale in pietra grigia dall'aspetto solido.
Un'enorme cancello ad arco si apriva nelle mura. Sopra di esso, intagliati nella pietra, vi erano tre enormi grifoni con le ali spiegate.
I cavalieri erano minuscole formiche al cospetto dell'enorme cancello. La saracinesca era azionata da dieci soldati disposti tra due carrucole gigantesche.
Ognu carrucola azionava parte della saracinesca grazie a catene spesse due palmi della mano.
Passando sotto l'enorme arco, Joyce rimase impressionata dall'enorme corrtile in cui stavano entrando. Quello da solo avrebbe potuto accogliere l'intero palazzo di Valonde e i suoi giardini. Ed era quasi del tutto vuoto, fatta eccezione per una dozzina di figure umane che li attendevano a due o trecento metri di distanza.
I cavalieri si dispersero, lasciando da soli Jhazar e Joyce con Gastaf e Gajza.
Si avvicinarono al gruppo di persone che attendevano al centro del cortile.
Quattro di esse, notò Joyce, indossavano il mantello grigio. Erano due donne e due uomini.
Una donna indossava un mantello dai colori sgargianti sopra vestiti di morido raso. Una seconda figura femminile sostava vicino a lei. Da quella distanza sembrava più giovane.
Gli altri sei erano visi anonimi che non le dicevano niente e li ignorò.
Tranne due di essi.
Due uomini, uno anziano e uno giovane, che indossavano pesanti armature di metallo brunito. Non indossavano l'elmo, così poté studiare i loro visi. Entrambi avevano un viso ovale incorniciato da capelli castano scuro e lineamenti delicati. Il più anziano aveva fili grigi tra i capelli mentre il più giovane guardava altrove.
Jhazar smontò da cavallo e l'aiutò a scendere. "Fai attenzione a quello che dici" le sussurrò.
Si avvicinarono al gruppo scortati da Gajza e Gastaf.
La strega fu la prima a parlare. "Stovoi Selena" disse facendo un leggero inchino rivolta alla donna dai vestiti sgargianti.
Solo allora Joyce notò che era una donna di mezza età, piuttosto piacevole. La ragazza al suo fianco le somigliava. Si guardava attorno con aria annoiata come se non attendesse altro che la fine di quell'incontro.
"Ti presento Tamish Jhazar di Himladrin" aggiunse Gajza indicando Jhazar.
Selena inclinò la testa di lato. "È un piacere conoscerti, tamish."
"Il piacere è mio, Stovoi Selena."
Joyce capì allora che quelli erano solo dei titoli. Non aveva idea del loro significato, ma alla prima occasione si sarebbe informata.
"A cosa debbo la tua visita?" chiese Selena.
"Porto un messaggio da parte di re Andew."
"Nissaq Andew ha un messaggio per me? Nemmeno ci conosciamo."
"Ma lui ha sentito parlare di te" disse Jhazar.
"Spero in termini lusinghieri."
"Dicono che tu sia una governante leale e saggia."
Selena storse la bocca. "Leale? Sicuro. Saggia? Ne dubito, o avrei dovuto ordinare di farti esiliare subito dopo aver saputo della tua prossima venuta."
Jhazar trasalì. "Se ti ho offeso ti chiedo scusa."
"Non scusarti. Vieni nelle mie terre come un ladro. Cosa dovrei pensare di te?"
Jhazar annuì. "È stato solo per sicurezza, mia signora. Le spie di Malag ni avrebbero atteso al varco, se avessero avvistato la mia scorta. Per questo ho deciso di farne a meno e di viaggiare da solo per le restanti cinquanta miglia."
Selena annuì. "Venite. Continueremo questa chiacchierata all'interno della fortezza."
Il corteo si mise in marcia verso il mastio. Prima di arrivarci superarono un secondo cancello e poi un terzo, oltre il quale si entrava nella fortezza vera e propria.
L'edificio esagonale si innalzava per almeno cinquanta metri. All'interno c'erano sale enormi e vuote.
Soldati in uniforme rossa sorvegliavano ogni stanza a coppie, armati di picche e scudi.
Una piccola porzione di quei soldati indossava i colori blu che aveva visto addosso a Gastaf e al figlio.
Jhazar e Selena si chiusero in una delle sale, protetta da una pesante porta di legno massiccio.
Rimasta sola, Joyce non trovò meglio da fare che sedere su una della panche.
Nessuno l'aveva presentata e tutti sembravano ignorarla.
Tranne Gajza.
La vide avvicinarsi in compagnia della ragazza che aveva accompagnato Selena.
Joyce sfruttò quei pochi secondi per studiarla. Indossava un abito riccamente decorato con ricami floreali in oro e argento. I capelli erano biondo chiaro, simili a quelli di sua sorella Bryce, ma le somiglianze si fermavano lì.
La ragazza era di corporatura minuta ed era bella, ma non al livello di Bryce.
"Tamisa Jasmyna, consentimi di presentarti Tamisa Eryen, della nobile casata di Nazedir" disse Gajza indicando la ragazza.
Joyce si inchinò. "È un piacere conoscerti."
"Vi lascio sole" disse Gajza. "Così potrete conoscervi."
"I tuoi capelli" disse Eryen ridacchiando. "Sono strani."
Ci risiamo, pensò. Joyce se li accarezzò con la mano. "Non li avete mai visti?"
"Certo che sì, sciocca" rispose Eryen con tono aspro. "Non sono una provinciale, io."
Quel cambio di tono sorprese Joyce.
Eryen continuò a fissarla. "In città molte donne usano i pigmenti per colore i capelli, ma la tua tonalità è strana. Come hai detto che ti chiami?"
"Jasmyna."
"Jasmyna" ripeté Eryen. "Da dove vieni tutte le ragazze hanno capelli come i tuoi?"
"No. È un colore piuttosto raro."
"Allora perché non li colori?"
Joyce si strinse nelle spalle. "Mi piacciono così."
Eryen ridacchiò di nuovo.
Joyce cominciava a irritarsi. Si sentiva presa in giro. Peggio, si sentiva derisa e non ne capiva il motivo.
"Ora scusami, ma ho da fare" disse Eryen allontanandosi senza darle il tempo di rispondere.
Joyce fu contenta di rimanere sola.
Gajza tornò poco dopo. "Non fare quella faccia. Eryen è abituata così."
Joyce scrollò le spalle.
"Vieni con me. Ti mostro la tua stanza."
Joyce la seguì al livello superiore, due rampe di scale sopra quello dove si trovavano le ampie sale.
Gajza si fermò davanti a una pesante porta di legno. "Starai qui. Spero sia di tuo gradimento."
"Ti ringrazio" disse Joyce con educazione.
Gajza aprì la porta e la invitò a entrare.
L'arredamento era essenziale: c'erano un letto, un armadio, uno scrittoio e persino unn piccolo bagno. L'unica finestra le permetteva di gettare uno sguardo sull'immenso cortile.
Joyce ebbe l'impressione di essere in cella. Una cella comoda, ma pur sempre una cella.
Stava per dirlo a Gajza, ma la strega la anticipò dicendo: "Mettiti a tuo agio. La cena sarà servita al tramonto. Fino ad allora ti sconsiglio di andartene in giro da sola per la fortezza."
Chiuse la porta e per fortuna Joyce non sentì alcuna serratura scattare.
Era libera di andarsene, ma quell'ultima frase la preoccupava.
Perché era così pericoloso lasciare quella stanza? E cosa stava succedendo davvero?
Ripose le sue cose in uno dei bauli e aprì l'armadio. C'erano molti vestiti di tutte le taglie e passò le ore successive a selezionare quelli che potevano andarle bene.
Ne scelse uno di colore bianco con ricami in oro e argento e lo indossò per provarlo.
In quelle ultime settimane era dimagrita e le andava un po' largo sui fianchi, ma per il resto le calzava a pennello.
In uno degli armadi trovò uno specchio e persino dei cosmetici. A Valonde non li usava spesso e non aveva idea di quali fossero le usanze lì a Nazedir.
Gajza non era truccata e se non ricordava male anche Selena portava un trucco leggerissimo. Eryen invece aveva un rossetto accesso sule labbra e l'ombretto sugli occhi.
Decise di rinunciare e ripose gli altri vestiiti nell'armadio. Mise la sua sacca in fondo, in modo che nessuno la vedesse alla prima occhiata. Era una precauzione inutile visto che non aveva niente di valore con sè, ma erano le uniche cose che possedeva davvero e non voleva separarsene.
Attese l'ora di cena sdraiata sul letto, ripetendo a memoria gli incantesimi che aveva imparato.
Il compendio le mancava e avrebbe voluto averlo lì con sé. Non c'era modo di recuperarlo e doveva arrangiarsi con quello che era riuscita a imparare.
Se almeno avese avuto il tempo di studiare quello di Zanihf. Era sicura di poterlo tradurre, se ne avesse avuto il tempo. Lindisa c'era riuscita e chissà adesso cosa stava facendo con il libro.
Lo stava usando come lei aveva fatto con quello di Lacey?
In quel caso correva un pericolo doppio: lei era anche una strega e non l'avrebbero mai perdonata per aver usato la magia impura.
La notte scese veloce sulla fortezza e dalla finestra notò che venivano accese delle torce per rischiarare il cortile.
Joyce vide che c'era un certo fermento e parecchi cavalieri erano partiti al galoppo senza fare ritorno.
Cominciava a sentire i morsi della fame quando qualcuno bussò alla porta.
"Avanti" disse, senza sapere chi sarebbe entrato.
Era Jhazar.
L'uomo sembrava stremato e stanco. "Scusami se ti disturbo. Mi hanno detto che non hai ancora cenato."
Joyce annuì.
"La riunione è finita solo adesso e... ma andiamo di sotto. Non è educato far attendere i nostri ospiti."
Joyce voleva sapere che cosa si erano detti, ma dall'espressione di Jhazar non traspariva alcuna emozione. Invidiava la sua capacità di nasconderle. Lei arrossiva o si indignava senza riuscire a celare quello che pensava.
Bryce diceva che era un libro aperto. Le bastava fissarla per qualche secondo per capire se stesse mentendo o meno.
"Come sono andati i colloqui?" chiese mentre scendevano per le scale. Joyce aveva indossato l'abito che aveva scelto con cura.
"Meglio di quanto credessi, peggio di quanto sperassi" rispose Jhazar mantenendosi sul vago.
"Dobbiamo ripartire subito?"
"Temo di no. Selena vuole discutere di alcuni dettagli dell'accordo prima di impegnarsi.."
"Credevo che mi avesti riportata da mio padre." A quel punto non desiderava altro. Una volta riunita con il re era certa di poterlo convincere a dare la caccia a Rancey. Era la sua unica speranza di trovarlo prima che Oren...
"Purtroppo dovrai pazientare ancora, principessa. Ma si tratta solo di pochi giorni dopo tante settimane, che vuoi che siano?"
Pochi giorni potevano significare la morte per Oren. Doveva trovare un modo per velocizzare quelle discussioni o tutti i suoi sforzi sarebbero risultati vani.
"Non potrei andare con una scorta? Tu rimarresti qui e io potrei raggiungere il re ovunque si trovi."
Jhazar scosse la testa. "Non mi fido a lasciarti nelle mani di queste persone. Il fatto è che..."
"Cosa?"
Jhazar sospirò. "Ne parleremo un'altra volta."
"Voglio saperlo adesso."
"Ascolta, io non..."
"Eccovi qui" disse Eryen. "Credevo che non arrivaste più. La zia vi sta attendendo."
Sembrava di buon umore. Indossava un abito rosso sgargiante con ricami floreali in platino nero. I capelli lunghi erano legati da un vistoso fiocco azzurro che le ricadeva sulla schiena.
Eryen prese sotto braccio Joyce e la scortò per i corridoi della fortezza. "Quest'abito ti sta benissimo" disse la ragazza.
"Grazie" rispose Joyce.
"Non eravamo sicuri di cosa ti stesse bene addosso, perciò quando Gajza ha fatto preparare la stanza ha ordinato di mettere negli armadi vestiti diversi. Domani potrai sceglierne altri di tuo gradimento."
"Questi andranno benissimo" rispose sperando di non risultare scortese.
Eryen rise. "Che sciocca. Non vorrai indossare lo stesso abito due volte di seguito."
"Che c'è di strano?"
"Non sta bene" fece Eryen scandalizzata. "Cosa direbbe il popolino?"
Joyce si strinse nelle spalle.
"Tamisa Eryen" intervenne Jhazar. "Mia nipote è solo molto stanca per il viaggio e non pensa ad altro che riposarsi. Domani sarà più che lieta di indossare i magnifici abiti della vostra collezione."
Eryen ridacchiò. "Ma certo, ovvio. Domani sistemeremo tutto" disse soddisfatta. "Da questa parte, cara."
La sala era occupata per un terzo da un lungo tavolo imbandito. Al centro esatto erano stati sistemati vassoi colmi di frutta e coppe piene di verdure e pane. Altri vassoi contenevano carne appena cotta e un intero animale, un maiale suppose Joyce dalla sua forma. E anche un paio di grossi volatili.
Non era diverso da qualsiasi ricevimento di Valonde, ma lì sentiva un'estranea.
Sedette al fianco di Eryen e notò subito che al tavolo c'erano delle facce nuove. E giovani.
Due stregoni e una strega sedevano alla sinistra di Eryen, mentre Zefyr e un altro giovane con la cappa degli stregoni sedevano alla sua destra.
Joyce prese posto vicino a Zefyr. Il giovane la salutò con un leggero inchino cui lei rispose con un gesto educato della mano.
Selena sedeva a capo tavola. Alla sua destra Jhazar e alla sua sinistra Gajza. Poco lontano sedeva una strega anziana dai capelli bianchi e la pelle cadente. Nessuno la presentò, perciò Joyce si limitò a prendere atto della sua presenza.
Joyce mangiò senza tanto entusiasmo. La carne era troppo speziata per i suoi gusti ma si costrinse a buttarla giù per non sembrare maleducata.
Per quasi tutto il tempo ebbe l'impressione di essere osservata.
Ogni tanto gettava una rapida occhiata a Gajza, certa di coglierla mentre la guardava, ma la strega aveva sempre lo sguardo rivolto altrove.
Anche Eryen sembrava più interessata a conversare con lo stregone che sedeva al suo fianco, un bel ragazzo dai capelli biondo scuro che doveva avere l'età di Vyncent.
"Non sembri molto a tuo agio" disse Zefyr a voce bassa.
"Scusami?" disse Joyce fingendo di non aver capito.
"Se la carne non ti piace non mangiarla" disse il ragazzo.
"Chi ti dice che non mi piaccia?"
"Il fatto che mastichi ogni boccone per un'eternità, tamisa Jasmyna."
"Si nota così tanto?" chiese Joyce dopo aver valutato le parole da usare. Non sapeva se fidarsi o meno del ragazzo, ma sembrava sincero e non vedeva pericoli ad aprirsi un po'.
"Fai come fanno tutti" disse Zefyr. "Mangiane un paio di bocconi e lascia il resto nel piatto. Se non tocchi il cibo non è educato."
Joyce fece come le diceva. Mangiò altri due pezzi di carne e lasciò il resto.
Poco dopo un valletto passò a raccogliere i piatti e Joyce notò che erano quasi tutti pieni.
Le portate successive furono meno indigeste e lei si rilassò.
Jhazar e Selena parlavano tra di loro ma lei era troppo distante per udirli. Discutevano di affari? O stavano pianificando un accordo?
Avrebbe tanto voluto sentire quello che si dicevano, ma Eryen l'aveva costretta a sedere a troppi posti di distanza.
"Ti diverti cara?" le domandò tra la terza e la quarta portata.
"Molto" disse Joyce sforzandosi di sorridere.
"Davvero?" fece lei sorpresa. "Queste cene sono di una noia mortale..."
Almeno su quello erano d'accordo.
"Più tardi ci riuniremo nella sala dei giochi. Sei dei nostri o sei troppo stanca?"
Sala dei giochi? Non aveva idea di cosa stesse parlando ma rifiutare poteva farla sembrare maleducata. Se voleva dare una mano a Jhazar a fare andare in porto quell'accordo doveva fare la sua parte. "Ne sarò lieta."
"Molto bene" fece Eryen soddisfatta.
"Hai fatto bene ad accettare" le sussurrò Zefyr.
"Come?"
"Vuole mostrarti quanto è abile. Lo fa con tutti i nuovi."
"Abile?"
Zefyr fece spallucce. "Tuo zio non ti ha detto niente? Eryen è una strega."
Quella era una novità. "Non lo sapevo" ammise.
"Ora lo sai."
"È molto abile?"
"No, è appena accettabile, ma nessuno osa dirle la verità. Gajza è stata chiara su questo punto."
"Gajza?"
"È la sua maatsiba."
"Cos'è una maatsiba?" Joyce sperò di aver pronunciato bene la parola.
"È una specie di guida per una giovane strega, ma non chiedermi altro perché è tutto quello che so sulle regole del circolo."
"Una maestra" disse Joyce. Stava per dirgli che anche sua sorella Bryce era una maatsiba, ma si fermò. Lei era Jasmyna, la nipote di Jhazar.
"Credo di sì. In ogni caso, Gajza ha ordinato a tutte le streghe e agli stregoni del circolo di non infierire troppo su Eryen."
"Perché?"
"È pur sempre la futura sovrana di Nazedir. Il circolo non vuole inimicarsela umiliandola pubblicamente."
"E se succedesse?"
"Lady Selena non ne sarebbe contenta."
"Quindi lo sa anche lei che la nipote è un'incapace?"
"Abbassa la voce" la rimproverò Zefyr. "Io non ti ho detto niente. Intesi?"
Joyce annuì. Zefyr era simpatico e non sembrava ostile come suo padre Gastaf. Ora che lo notava, lui non era presente alla cena.
I valletti portarono via i piatti pieni a metà e li sostituirono con altri colmi di frutta dolce e speziata.
Joyce fece come le aveva suggerito Zefyr e superò anche quello scoglio.
Ci vollero altre sei portate perché Selena si alzasse e dichiarasse conclusa la cena. La Lady si ritirò nel suo studio con Jhazar, Gajza e altri.
L'anziana strega dai capelli bianchi si allontanò con passo lento. Solo allora Joyce notò che si appoggiava a un bastone.
Uno dei valletti si offrì di aiutarla ma lei lo scacciò con un gesto brusco. "Posso ancora farcela da sola" disse con voce tremante.
Joyce si era alzata e si stava guardando attorno.
"Tutti nella sala dei giochi" disse Eryen con l'entusiasmo di una bambina.
Le streghe e gli stregoni attorno a lei annuirono.
"Zefyr, vieni anche tu" disse Eryen.
Il ragazzo si profuse in un inchino. "Preferirei ritirarmi, tamisa."
"Io invece preferirei che tu venissi nella sala dei giochi" rispose Eryen con tono arrogante. "O dovrò pensare che mi stai mancando di rispetto."
Zefyr tacque fissandola per un lungo istante, poi le rivolse un largo sorriso. "In tal caso sarò lieto di partecipare ai vostri giochi, tamisa."
"Non voglio che tu ne sia lieto. Voglio che tu lo faccia e basta. Andiamo?" chiese rivolgendosi agli altri.
Joyce la seguì in silenzio.

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