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Autore: ___Page    04/12/2017    3 recensioni
«Iva tu… non l’hai già acquistata vero?» chiedo in un soffio e un angolo della sua bocca si contrae in un tic.
«A chili» conferma.
«Se non dovessimo trovare un’utilità per questo prodotto, il danno ammonterebbe a una cifra considerevole.»
«Ci serve più tempo!»
«Non lo abbiamo. Ci serve che la questione si riveli un affare entro Settembre o qualcuno del consiglio potrebbe… contrariarsi, diciamo. E la presentazione è programmata per Luglio. E deve essere l’affare dell’anno.»
***
Grazie alla geniale trovata di Iva ora mi ritrovo con il mio migliore amico che si sposa tra sei settimane, Sabo da gestire, un matrimonio da aiutare a organizzare e un progetto assurdo, impossibile, irrealizzabile dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo.
Fantastico! Sono al settimo cielo!
***
«Ehi non mi piace che si usi quel termine per me!» protesta.
«Cosa?! Mestruato?!» domando con sfida, ma lui scuote la testa «Irritante?» riprovo, sollevando le sopracciglia, ma lui nega di nuovo «Gay?!» chiedo ancora. Incredula, lo guardo annuire solenne.
«Precisamente.»
No, io non ce la posso fare.
«Izo tu sei gay!!!»
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Koala, Nami, Nefertari Bibi, Trafalgar Law, Usop | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Le stazioni alla sera sono posti pericolosi.
Glielo dicono da quando è abbastanza grande per capire. Non accettare caramelle dagli sconosciuti, metti sempre il giubbotto catarifrangente quando esci con la bici, se ti perdi chiama un taxi perché l'autobus e la stazione sono posti pericolosi. Soprattutto alla sera.
In meno di mezz'ora ha infranto due regole, il che lo rende quanto meno un recidivo. D'altra parte non è più così piccolo. Lui di sicuro non ci si sente, piccolo, non se si parla di età.
Se ancora un barlume d'infanzia c'era in lui, l'ha distrutta questa sera, da nemmeno mezz'ora. Ha fatto quella cosa che sempre fanno gli adulti.
Ha usato le parole per ferire e, come gli adulti, non riesce a capire come chiedere scusa.
"Tu non sei mio padre".
Le parole risuonano nella testa, come se un disco rotto gli si fosse infilato nel cervello.
"Tu non sei mio padre".
E il viso di Dragon che scivola giù sul pavimento, la bocca che si apre per un attimo, incredula.
"Tu non sei mio padre".
La rassegnazione nei suoi occhi. Il senso di colpa verso se stesso per non aver fatto abbastanza, per non essere abbastanza.
"Tu non sei mio padre".
Distoglie lo sguardo. Non riesce nemmeno a guardare suo figlio.
No, non suo figlio.
"Tu non sei mio padre".
"Tu non sei mio padre".
«Basta...»
"Tu non sei mio padre".
«Basta, basta, basta!!!» picchia i pugni sulle tempie. Il dolore sovrasta la voce e non c'è un attimo da perdere.
Deve concentrarsi su altro, qualsiasi altra cosa, o già sa che quel ritornello tornerà a tormentarlo.
Si guarda intorno. Non è alla stazione centrale di Raftel, la bella, curata, pulita Raftel Central Station, illuminata a giorno anche di notte. Troppo rischioso andare là, troppo facile per loro trovarlo.
E' alla stazione Nord, quella periferica, quella sporca e cadente, dove le panchine scrostate di ferro battuto arrugginiscono così in fretta che si può assistere al fenomeno ad occhio nudo. Come con lui.
E' buio lì e in lontananza ci sono due barboni che litigano per un cartone di vino scadente e annacquato. Forse non è stata tutta questa grande idea. Forse le stazioni sono davvero pericolose, di sera.
Stringe le mani intorno al bordo della panchina e gli sembra di non stringere niente. Dovrebbe esserci altro incastrato nella sua mano sinistra, non un'asta di ferro a chiazze verdi e arancioni. Dovrebbe esserci un'altra mano, la mano che ha stretto così tante volte durante tutti quei temporali ma che ora non può stringere, anche se vorrebbe.
Scuote la testa. Non ha senso preoccuparsi o spaventarsi.
E' alto, sa di sembrare più grande della sua età e pedala veloce. Lancia un'occhiata di striscio alla sua bicicletta. Non l'ha nemmeno assicurata al palo, casomai dovesse allontanarsi in fretta e, comunque, non ha intenzione di lasciarla lì. Dovrebbe pagare un biglietto in più, per la bici, ma tanto che differenza fa? Non ha i soldi nemmeno per sè.
Non spera di arrivare molto lontano. Dressrosa non è nemmeno da prendere in considerazione. Minion forse, se il controllore non sale troppo presto. Stanotte non si dorme.
E una volta là?
Scrolla le spalle.
Ci penserà sul momento. Sa come cavarsela, è un tipo in gamba. E non è più un bambino.
"Tu non sei mio padre".
«Basta!» e i pugni stavolta li picchia sulla panchina.
«Scusami. Non credevo di essere così molesto.»
Inutile fingere, questa volta si è spaventato davvero. Ma non lo si può biasimare, quel tizio seduto di fianco a lui – a un'altra persona distanza ma pur sempre di fianco a lui – sembra spuntato fuori dal nulla, non lo ha nemmeno sentito avvicinarsi.
Non lo riesce a distinguere molto bene ma se non sbaglia ha il cappuccio tirato sulla testa. Sta fumando una sigaretta e dall'odore sembra alla vaniglia. Lo fissa a sopracciglia corrugate, infastidito.
«Non ce l'avevo con te.»
«Mh? Oh beh nemmeno io ce l'avevo con te.» l'uomo si stringe nelle spalle e poi gira il busto verso di lui, appoggia il gomito allo schienale della panchina. «Ma se non ce l'avevi con me, con chi stavi parlando?»
Solleva un sopracciglio. Sarebbe il momento giusto per alzarsi e cambiare panchina ma, per un qualche motivo, resta lì.
Forse se non gli risponde e fa scena muta il tizio capirà l'antifona e se ne andrà lui.
«E tu con chi stavi parlando allora?» domanda. Difficile dire se gli da più fastidio l'atteggiamento di quel pazzoide o il fatto di non essere riuscito a trattenersi. Non lo sa nemmeno lui.
«Nessuno in particolare.» risponde lo sconosciuto con una stretta di spalle che  sembra dire "Non è ovvio". «Lo sai che dicono che parlare da soli è segno di pazzia?» aggiunge, complice, e si piega verso di lui.
E' pazzo davvero e sì, le stazioni sono pericolose e non solo di sera probabilmente. E' il momento di andare. Alzarsi, prendere la bici e allontanarsi il più in fretta possibile.
«La mano ti sanguina?»
Le gambe non rispondono. Ora che gliel'ha chiesto si è accorto che sì, la mano gli sanguina eccome e brucia anche da morire. «Ecco mettici questo.» lo sconosciuto gli mette tra le mani un fazzoletto di stoffa. Basta il tatto per sentire che è di qualità, di quelli che probabilmente hanno le iniziali del proprietario ricamate in un angolo.
Come quelli di Dragon.
"Tu non sei m..."
«Parti o arrivi?»
«E tu?»
Grazie per aver fermato il pensiero. Chiunque tu sia.
«Non lo so. Arrivo, in teoria ma se tu parti temo che dovrò cambiare programma. Che bendaggio ben fatto» si complimenta.
Ormai ci vedono tutti e due come se fosse giorno, anche se è buio.
«Sei un medico?»
«Devo cominciare la specializzazione»
«Qui a Raftel?»
Lo sconosciuto annuisce. «Dicono che è una buona idea cambiare città per specializzarsi. Aiuta a non restare fossilizzati e farsi valere. E poi a me piace cambiare. Magari Raftel diventerà la mia nuova casa. O magari finito qui partirò con i medici senza frontiere. Anche tu stai cercando una nuova casa?»
Si gira a guardare il suo strano interlocutore e una sensazione vecchia ma sempre nuova lo assale. Odia quella sensazione. Odia sentire lo stomaco chiuso e gli occhi che pizzicano. Odia non poter rispondere di no.
Lui ha già una casa ma non ci può tornare. Lì, a Raftel, la sua città dove non può restare. Dalla sua famiglia che non può più chiamare così.
Quindi annuisce e spera che il rumore del nodo in gola, che ha provato a mandare giù ma che è rimasto lì, lo abbia sentito solo lui.
«Hai già scelto dove andare? Da qui si può arrivare a Dressrosa e ho sentito dire che è bellissima»
«Non sono un bambino!» esclama senza coerenza ma lo sconosciuto continua a sorridere imperterrito.
«Certo che no. Ehi mi è venuta un'idea! Perchè mentre decidi dove andare non vieni da me e mi fai compagnia per cena? Ho degli onigiri pronti che sono la fine del mondo!»
Sa che non dovrebbe sentirsi sollevato. Diffidente semmai. Ma il sorriso di quel tizio ha qualcosa di famigliare e amichevole e... rassicurante.
Come la sua mano che vorrebbe stringere ma non può. E tanto l'istinto quanto lo stomaco gli dicono di fidarsi.
«Non ti conosco nemmeno»
Perchè essere testardo è il suo marchio di fabbrica, non c'è niente da fare.
Lo sconosciuto spalanca appena gli occhi, sembra divertito ma non lo sta prendendo in giro, è chiaro questo.
«Ti ho dato il mio fazzoletto e posso offrirti...» si sofferma mentre rovista nella tasca della felpa da cui tira fuori qualcosa di piccolo e tondo. «...una caramella alla liquirizia. Dopo tutto questo se ti dico anche il mio nome possiamo dire che ci conosciamo?»
Guarda la caramella, poi lui, poi di nuovo la caramella.
Non ha mai usato il giubbotto catarifrangente e non ha esitato un istante a precipitarsi lì alla stazione. Una regola in più o in meno che differenza può fare?
Guarda la caramella, guarda lui, prende la caramella.
La mano dello sconosciuto resta tesa.
«Mi chiamo Cora»
Ha smesso di sanguinare, non rischia di sporcarlo. E, comunque, se anche fosse dubita che al tizio importerebbe.
«Law»

 
«Law?!»
Sobbalzo, il cellulare all'orecchio, immobile come una statua in mezzo alla banchina.Non che dia a fastidio a qualcuno, è praticamente deserta.
«Ci sei o hai il cellulare in tasca e ti è partita la telefonata per sbaglio?»
Corrugo le sopracciglia e lancio un'occhiata di striscio al cellulare, come se così facendo potessi vederla. «Koala, se mi fosse partita per sbaglio e con il cellulare in tasca, non avrei potuto dirti che mi era partita per sbaglio» ribatto.
«Un'ipotesi dovevo pur farla» si giustifica e la immagino mentre si stringe nelle spalle. «Oh questa te la devo raccontare! Qualcuno è entrato nella casella di posta di Iva e ha mandato un’email a tutta l’azienda, a nome suo, per indire un contest di parrucche afro per oggi. È un delirio!»
«Un… contest di parrucche afro?»
Devo aver sentito male. 
«Sì! E dovresti vedere Usopp! È veramente pazzesco, non l’ho mai visto così spavaldo, sembra un’altra persona!» ride nella cornetta, una risata così divertita che mi viene quasi voglia di essere lì con lei. 
E a quanto pare ci sento molto bene. Stanno effettivamente tenendo un contest di parrucche afro nel bel mezzo dell’orario di lavoro.
«Affascinante» commento asciutto e senza sarcasmo. Perché è vero, l'ecosistema rappresentato dalla Ivankov&Co. è affascinante. Come può esserlo uno scarabeo stercolario che accumula feci per l'inverno agli occhi di un entomologo o i tempi di pulsazione delle giganti rossi per un appassionato di astronomia.
È affascinante come il livello di degrado che riesce a raggiungere l'umanità.
C'è un tale numero di casi umani là dentro che nessuno obbietterebbe se qualcuno sigillasse gli ingressi e ci mettesse la scritta manicomio. E se ciò accadesse molte poche persone potrebbero uscirne dimostrando la propria sanità mentale.
La cosa confortante è che Koala fa ancora parte di questo esiguo numero di persone, anche se non ho ancora capito come ci riesca. Forse perché, in fondo, è un po' pazza anche lei. In un modo tutto suo e tutto salutare di esserlo.
«Sì, lo so, siamo irresistibili da queste parti. E' un requisito fondamentale per l'assunzione»
«Allora Sabo avrà provato a candidarsi»
«Ha pianto per una settimana quando non lo hanno assunto» mi da corda e io sogghigno. «Come mai mi hai chiamato? Ancora Bon-chan?»
Un brivido omicida mi coglie solo a sentire il suo nome. «No, lui non c'entra» mormoro metallico, gli occhi fissi nel vuoto, ma mi riscuoto subito. Ho già tergiversato anche troppo. »Puoi prendere la mattinata libera Giovedì?»
Per un momento mi risponde solo il silenzio e me la figuro che corruga le sopracciglia e sorride al contempo, in un'espressione divertita e perplessa insieme. Ghigno ancora di più. E' sempre stata così. Odia e adora le sorprese. Adora il brivido dell'attesa, odia non sapere cosa sta per succedere. Ma forse in realtà adora un po' anche quello.
«Hai la prova della cerimonia Giovedì mattina» mi fa notare.
«Alle undici. Volevo farti vedere una cosa prima»
«Beh ecco...» mormora e, lo so anche se non sono lì, posa il mento su una mano.
«Quando abbiamo finito ti riporto in ufficio se vuoi. Ma se ti va di assistere anche alle prove non dovresti farti problemi, viene anche Robin»
«Non è tutta una scusa per usarmi come scudo con padre Gan Forr, vero?»
Sollevo un sopracciglio e faccio per darle una delle mie caustiche risposte ma stamattina sono stranamente – ma non poi così incomprensibilmente – di buon umore.
«Se fosse mi abbandoneresti così?» le chiedo.
«Oh come potrei?!» ribatte lei, marcando apposta il tono melodrammatico. «Va bene. Se c'è qualche problema ti avviso ma in linea di massima facciamo alle nove e trenta?»
Annuisco anche se non può vedermi. «Vengo a prenderti a casa.»
«Perfetto! Ora torno al lavoro. Ma è già arrivato?»   
Apro la bocca per rispondere di no ma la campanella che annuncia l’arrivo del treno – e che mi ricorda ancora una volta quanto è vecchia e per niente tecnologizzata questa stazione – risponde per me.
«È la campanella del treno?»
«Sta passando davanti a me in questo momento.» confermo, osservando locomotiva e vagoni sfilare di fronte ai miei occhi.
«Ti lascio a lui, allora.» soffia Koala, con un sorriso nella voce. «Ci sentiamo stasera.»
«Sì, a stasera.» ribatto, prima di chiudere la telefonata senza staccare gli occhi dal mezzo.
Essendo un treno vecchio, non ha i posti assegnati e non ho la benché minima idea di quale sia il vagone su cui potrebbe trovarsi  così, non appena le porte si aprono con un rumoroso sbuffo, allerto tutti i sensi per essere certo di riuscire a individuarlo.
Una precauzione inutile, me ne rendo conto. D’altra parte, non è certo di un ninja che parliamo e nemmeno di una persona normale. Riconosco immediatamente la sua testa spettinata spuntare da una delle porte. Si sporge con il busto per controllare di avere via libera e poi si piega appena all’indietro, sicuramente per recuperare il bagaglio. Riesco a fare appena due passi nella sua direzione, le mani di nuovo in tasca, prima di vederlo ruzzolare giù dal treno,  rotolare sul gradino di appoggio e spalmarsi infine sulla banchina con il maxizaino a comprimergli il torace.
Giuro che, per quanto mi sforzi, non riesco nemmeno a capire la dinamica dell’accaduto. Una donna con la divisa da capotreno e una fiaschetta in mano gli si avvicina camminando a gambe larghe e piega il busto verso di lui mentre io mi metto a correre per raggiungerlo.
Non c’è niente da fare, è una causa persa.
«…’ngato che una così affascinante signora si preoccupi per me, ma può stare tranquilla. Sto benone.» le sta dicendo, a fiato mozzo ma con uno smagliante sorriso, quando li raggiungo.
«Cora!»
 «Law!» prova ad esclamare e io mi affretto a liberarlo dello zaino. «Ragazzo mio! Non pensavo venissi in stazione!» aggiunge più entusiasta e, finalmente, a piena voce.
Gli rivolgo uno sguardo scettico, a chiedergli silenziosamente se dice sul serio. Come fa anche solo a pensare che non sarei venuto a prenderlo?!
Non sto nemmeno a rispondere e mi piego di nuovo, stavolta per afferrargli il braccio e aiutarlo ad alzarsi. Non che ne abbia bisogno, è in forma smagliante, nonostante la barba incolta e gli abiti un po’ sgualciti.
«Perché non hai preso un treno che arrivava alla Central?» ripeto la domanda che gli ho posto l’altro ieri su whattsapp e a cui non ho ancora ricevuto risposta.
«Come?» chiede, sollevando per un attimo il capo e tornando immediatamente a spolverarsi  i vestiti.
«Dico, perché sei voluto arrivare qui alla North Sea?»
Finisce di ripulirsi e senza troppe cerimonie mi si avvicina, il braccio già teso per abbracciarmi. Diversamente dal solito, non mi ritraggo istintivamente. Esistono solo altre due persone che possono avvicinarsi a me a passo così deciso senza innescare la battuta in ritirata e no, Rufy non è tra queste.
«Non è evidente? È molto più pittoresco e poetico arrivare qui!»
Per un secondo ho la tentazione di roteare gli occhi ma sinceramente non sono sorpreso. Parlando di lui è perfettamente normale aver fatto un cambio e quasi quaranta minuti di viaggio in più solo per arrivare alla sua stazione preferita.
Perché è più romantica e pittoresca.
E perché è il posto dove ci siamo conosciuti.
Avanziamo lungo la banchina e gli impedisco di riprendersi il suo zaino, caricandolo sulla mia spalla. Sarà ben stanco con il jet lag e il viaggio infinito, anche se a guardarlo non si direbbe che un po’ assonnato. Lo studio attentamente e noto subito che ha bisogno di mettere un cinque chili per ristabilirsi per bene e che c’è qualcosa di fuori posto. Nella fattispecie il taschino della sua camicia.
Il taschino vuoto della sua camicia.
Corrugo le sopracciglia, perplesso.
«Le tue sigarette?» domando senza preamboli.
Mi lancia un’occhiata complice e luccicante e per un istante solo inalo con più aspettativa di quanto sia per me accettabile manifestare.
«Ho smesso.»
Lo stomaco mi si contrae e il cuore fa una capriola. Sì, è eccessivo, la mia parte più razionale lo sa. Ma ciò non toglie che, dopo intere lezioni con il professor Crocus passate a vedere diapositive su diapositive degli effetti che un eccesso di fumo può avere sulla salute di un uomo, sapere che una delle persone a cui più tengo al mondo si è finalmente disfato di questa stupida dipendenza mi faccia sentire sollevato.
Immensamente sollevato.
Ben più di quel che mi piaccia ammettere.
Ricordo bene quando è stata l’ultima volta che mi sono sentito così. Ricordo ancora a memoria le parole che il dottor Beckmann disse a Koala quel giorno, sette anni fa.
“Niente che non si possa risolvere con una bella pastiglia ogni mattina, mia cara. Temo che dovrai sopportare Trafalgar qui per ancora parecchi decenni.”
Mi schiarisco la gola quando mi accorgo che sto divagando. «Come mai?» domando con finta indifferenza, tanto per darmi un tono.
«A Harahetternia non sono facili da reperire e ho pensato che liberarmene avrebbe fatto meglio al mio corpo e al mio portafoglio.» risponde con semplicità e io annuisco, discreto.
«Una decisione saggia.»
«Ma tu invece? Ti ho visto dal finestrino, arrivando! Eri al telefono con Koala?»
Stavolta nascondere la mia sorpresa è più difficile. Mi giro a guardarlo apertamente. «Come fai a saperlo?»
«Intuito.» si stringe nella spalle e poi mi arpiona di nuovo con il braccio. «Quindi posso sperare di avere la tua compagnia stasera? Voglio sapere tutto, voglio gli aggiornamenti e poi devi raccontarmi del matrimonio. A che punto siete dei preparativi, come Bibi ti ha fatto la proposta…»
«Come fai a saperlo?!» e stavolta il tono è tra lo sconvolto e il furente ma Cora continua a sorridere imperterrito.
«Oh Law andiamo! Non ho avuto nemmeno mezzo dubbio, quando me lo hai detto, che fosse stata lei a chiederlo a te. Ti conosco come le mie tasche, te lo ricordi?»
Lo fisso a bocca aperta ma ho la forza solo per grugnire. Perché, dico io, le due persone più importanti della mia vita devono essere due mezzi matti con il vizio di sorridere senza motivo ed entrarmi nella testa senza nemmeno chiedere il permesso, attentando costantemente alla mia sanità mentale?
Ovviamente non c’è risposta a questa domanda, perciò tanto vale.
«Allora per stasera?» chiede di nuovo Cora e lui non si preoccupa certo di nascondere la propria aspettativa. E in fondo mentirei se dicessi che la prospettiva di una serata noi due a raccontarci tutto e niente non mi elettrizzi come poche cose a questo mondo, ora che finalmente è tornato e, per chissà quale allineamento astrale, siamo a Raftel tutti e due e nello stesso momento.
«Pensavo di andare da Hacchan a mangiare gli onigiri.»
Gli occhi gli si accendono, il sorriso si allarga. «Che idea geniale!»
«Già.» confermo ancora ghignante, prima di farmi di colpo mortalmente serio. «Purché tu non dia fuoco al locale come l’ultima volta.»
 

§
 

Chiudo la chiamata e lancio una divertita occhiata al cellulare, scuotendo la testa. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho sentito del palpabile buonumore nella sua voce. La cosa comunque non mi stupisce nemmeno un po’, visto che parliamo di Cora.
Sono elettrizzata io all’idea di riabbracciarlo, figuriamoci lui!
Non vedo l’ora di risentirlo stasera, per avere qualche aggiornamento di prima mano. Probabilmente non potrà chiamarmi fino a dopo l’una o le due ma tanto ho in programma di sfruttare abbondantemente la serata per fare ricerche.
Non sono affatto certa che l’idea degli zaini anti-borseggio di Usopp per usare la stoffa sia poi tutta questa fesseria. Magari se ne può ricavare qualcosa di funzionale con i giusti accorgimenti.
Mi decido a mettere via il telefonino e rimango spiazzata quando sollevo il capo. Resto imbambolata a fissare la macchinetta del caffè, domandandomi quando ci sono arrivata e perché.
Io non bevo il caffè normale, non posso, e quello al ginseng è molto più buono al bar, anche se costa 0,70 berry in più. Eppure, quando sono uscita dall’ufficio e prima che Law mi chiamasse, ricordo distintamente che ero diretta qui per un ben preciso motivo. Ma quale? Cosa dovevo fare?  
«Koala, stai bene?»
«Ehi Izou.» lo saluto distrattamente. «Sì, sto bene. È solo che non mi ricordo se dovevo prendere il caffè per Nami oppure no.»
«E trovi la cosa divertente?» domanda Izou e quando mi giro a guardarlo, sorpresa dalla sua domanda, scopro dalla sua espressione accigliata che è una domanda seria.
«Perché dovrei trovarlo divertente?» gli rigiro la domanda, scuotendo appena il capo.
«Eh non so, stai sorridendo.» mi fa presente. Il modo in cui me lo dice, il modo in cui mi guarda mentre lo dice mi ricorda il tono e l’espressione di Nami di un paio di settimane fa, prima che Iva facesse irruzione in ufficio.
È già la seconda volta che mi fanno notare che sorrido come se fosse una cosa strana o inusuale, quando invece è tutto il contrario. Comincio a domandarmi se non ci sia qualche problema con questa mia abitudine a sorridere sempre anche senza un reale motivo e se c’è una persona a cui posso chiederlo apertamente, sperando di ricevere una risposta diretta e sincera, quella è Izou.
«E c’è qualcosa che non va nel fatto che sorrido spesso?» colgo la palla al balzo, attenta a non suonare scocciata o offesa. Perché non lo sono, io davvero voglio solo capire.
Izou si stringe nelle spalle, avanzando verso la macchinetta. «No, è normale vederti sorridere ma è che ora hai un sorriso così…» si blocca alla ricerca delle parole, la mano a metà strada verso la fessura delle monete.
Mi acciglio, quasi preoccupata adesso.
Così come?! Per l’amor del cielo, è già la seconda volta!
«Così?!»
«Così…» ci riflette ancora un momento mentre inserisce la monetina e digita il numero della bevanda scelta. Con un ronzio la macchina si mette in funzione e io sento l’impazienza crescere in me fino quasi a scoppiare. «Così essenziale ecco.» schiocca le dita, soddisfatto per aver trovato l’aggettivo che cercava.
Sbatto le palpebre un paio di volte, interdetta. «Essenziale?»
«Sì.» conferma, voltandosi verso di me.
«E cosa vuol dire?»
Izou mi guarda con rimprovero. «Sei la regina delle parole e non sai il significato di “essenziale”?»
«Izou certo che so cosa significa “essenziale”.» ribatto ma sono impaziente. Voglio sviscerare la questione, voglio capire. Può suonare quasi brutto il concetto di “sorriso essenziale” ma qualcosa mi dice che invece è una cosa bella e voglio una conferma o una smentita. «Solo che non capisco che cosa intendi tu con “sorriso essenziale”.» metto in chiaro, tanto per sicurezza.
«Beh lo intendo in entrambi i sensi principali di “essenziale”.» fa di nuovo spallucce e io lo guardo con tanto d’occhi. Sembra di sentir parlare me e, anche se non avevo idea che Izou fosse cos linguisticamente ferrato, una nuova motivazione del perché siamo tanto in sintonia si va ad aggiungere ad una lista già diventata ben più lunga di quanto mi sarei mai azzardata a scommettere. «”Essenziale” come “fondamentale” ed “essenziale” come la base di qualunque altro sorriso tu possa aver mai sfoggiato.» conclude un momento prima che la macchinetta fischi fieramente la conclusione del suo arduo lavoro.
Izou si volta per recuperare il bicchierino di carta, lasciandomi qui, senza parole. Improvvisamente, è diventato bellissimo sapere di avere un “sorriso essenziale”. Improvvisamente, vorrei sorridere in modo “essenziale” per il resto dei miei giorni ma dubito di poterlo decidere io.
Sto ancora veleggiando felice e rasserenata in questo idillio linguistico ed emotivo quando Izou aggiunge: «Scommetto che tu sei una di quelle che ride dopo un orgasmo intenso.» molleggiando le spalle e sogghignando al proprio caffè.
E tanti cari saluti alla magia.
Incrocio le braccia sotto il seno e lo guardo storto, ad occhi socchiusi. Lui finisce di girare il caffè ristretto con il bastoncino di plastica trasparente, lo beve in un sorso e getta tutto nel cestino accanto alla macchinetta, beatamente ignaro. E nemmeno quando finalmente mi guarda sembra accorgersi della mia contrarietà, non a giudicare da come si illumina.
«Ah! Mi stavo quasi dimenticando!» esclama, infilando una mano nella tasca dei pantaloni finta-tuta, alti in vita, taglio acqua in casa, riga sul davanti.
Sono identici a quelli che ho io.
Estrae un sacchettino di plastica, simile a quelli delle sorprese delle uova di Pasqua e me lo mostra, in bilico sulla punta delle dita. All’interno c’è un sottile anello in ottone con incastonato un piccolo pezzo di vetro, a forma di sole e dipinto per sembrare ambra.
«L’ho trovato nei biscotti stamattina e ho pensato subito che sarebbe stato perfetto per te.»
Sollevo il capo, allibita e, causa ciclo imminente, commossa.
Possibile che stia succedendo veramente? Izou Wano ha trovato un anello nei biscotti e ha pensato a me?! Izou Wano che non ti presta nemmeno un fazzoletto di carta senza palese riluttanza perché non si sa mai che potrebbero servire a Marco e se li finisce poi come si fa?!
«Se non lo vuoi…» comincia, perplesso dalla mia espressione.
«No! Certo che lo voglio!» lo interrompo, attirando l’attenzione di praticamente qualunque altro collega presente nel corridoio delle macchinette.
Ci guardiamo intorno, consci dei molti sguardi puntati su di noi. Izou mi lancia un’occhiata guizzante e capisco immediatamente cos’ha in mente. Con un sorriso grande come il mondo, apre veloce il sacchettino che contiene l’anello e si inginocchia davanti a me.
«Koala Surebo, vorresti accettare questo anello?»
Trattengo a stento le risate di divertimento e mi porto una mano al petto. «Oh Izou! Ho sperato così tanto che me lo chiedessi!» esclamo melodrammatica, simulando un singhiozzo trattenuto. «Certo che lo voglio. Sono così… così felice.» sussurro, a voce abbastanza alta da farmi sentire da tutti i presenti che se la stanno ghignando senza ritegno sotto i baffi.
Torneranno tutti al lavoro di buonumore.
Stendo la mano verso di lui che mi ammicca prima di infilarmi la fascetta di ottone all’anulare sinistro. I nostri colleghi, provenienti da reparti sparsi dell’azienda, scoppiano in applausi, urla e fischi di giubilo mentre Izou si rimette in piedi e, ridendo a più non posso insieme a me, mi si avvicina. Ci giriamo di centottanta gradi per esibirci in saluti e inchini, manco avessimo appena finito di recitare l’Amleto al Kumadori Theatre, poi, quando il rumore dei festeggiamenti scema, ci giriamo di nuovo l’uno verso l’altra.
Izou mi fissa per un decimo di secondo e poi si stringe nelle spalle. «Okay allora ti avviso quando sarò diventato etero.»
«Aspetto la tua telefonata.» rispondo con altrettanta noncuranza.
Si piega a darmi un bacio sulla fronte e poi mi volta le spalle per tornare da dov’è venuto.
Mentre si allontana nella direzione opposta alla mia, saltellando al ritmo di “Marco-chan”, non posso fare a meno di stendere la mano di fronte a me. Di solito sono bianca come l’intonaco ma sono riuscita a prendere un pochino di sole a Goah e, anche se si tratta di una leggera spruzzata di abbronzatura, è abbastanza per far risaltare i colori dell’anello contro la mia pelle.
È un pezzo di chincaglieria eppure a me sembra stupendo e non vedo l’ora di farlo vedere a Law. Mi riporto la mano al petto e sento un grande calore pervadermi, mentre proseguo verso il nostro concubicolo – ovvero un cubicolo condiviso – che raggiungo in pochi minuti.
«Ehi ragazzi! È successa una cosa pazzesca!» esordisco, rientrando nell’open-space.
Entrambi sollevano il capo e Nami mi squadra attentamente dalla testa ai piedi prima di socchiudere gli occhi. La guardo in attesa. Va bene che ha il radar per le cose luccicanti, tipo gazza ladra, ma non posso credere che abbia già notato l’anello.
E in effetti mi basta attendere due secondi per scoprire che no, non è l’anello il problema. 
«Okay, ma dov’è il mio caffè?»     






Angolo dell'
autrice: 
Oooooookay... 
Mi sono accorta tipo ora che è un mese che non aggiorno. Whoopsie. 
Scusate taaaaaaaaaantisssssimo ma sono stata superincasinata però sono viva! 
Farò di tutto per aggiornare prima del 4 gennaio ma purtroppo non avrò tempo per rispondere alle recensioni fino a dopo le feste. I'm sorry. :'( 
Sappiate però che leggo i vostri commenti con un sacco di felicità e che vi ringrazio dal profondo del mio cuore, tutti voi che mi leggete e seguite, in particolare Law e Sara che mi fanno sapere praticamente sempre cosa pensano della storia, nonché Jules, Momo e Zomi che ci sono sempre per aiutarmi con i miei dubbi.  
Un bacio enorme a tutti quanti, pace, bene e tanti biscotti allo zenzero!
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