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Autore: heliodor    14/12/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Vedere l'invisibile

L'attesa fu snervante. Jhazar rientrò al castello solo in tarda serata, molto dopo la cena. Joyce decise di mangiare nella sua stanza fingendo di sentirsi troppo stanca.
Nessuno le fece domande.
I valletti portarono un tavolo e dei vassoi pieni di carne di vitello, salse dolci e frutta fresca. Toccò appena la carne e mangiò tutta la frutta, ma lasciò perdere le salse, che non le piacevano.
Chiese a un valletto di avvertirla quando Jhazar sarebbe rientrato.
Non appena il servitore le diede la notizia, prese il messaggio e andò alla sua stanza. Bussò due volte prima che lui le desse il permesso di entrare.
"Ti disturbo?" chiese con educazione.
Jhazar si era già cambiato. Indossava degli abiti comodi e informali e aveva gettato quelli usati quel giorno in un angolo.
Joyce notò che erano impolverati e gli stivali pieni di fango.
Dov'era stato? Non certo in città come aveva lasciato detto, a meno che Nazedir non sorgesse in mezzo ai campi.
"Vieni, entra" disse Jhazar
Joyce ubbidì e richiuse la porta alle spalle. "Stamane un valletto ha portato un messaggio per te" disse mostrandogli la pergamena arrotolata e sigillata.
Jhazar sgranò gli occhi. "L'hai aperta?" domandò quasi strappandogliela di mano.
Joyce indietreggiò di un passo. "Non avrei mai osato farlo" mentì. Si era trattenuta solo per timore di essere scoperta. Se avesse conosciuto un modo per aprirla senza che lui se ne rendesse conto, l'avrebbe fatto.
Questo la rendeva una persona meschina?
Decise di no.
Quel messaggio proveniva quasi certamente da suo padre o da qualcuno vicino a lui e conteneva informazioni che lo riguardavano, magari non da vicino, ma erano comunque pertinenti.
Lei aveva tutto il diritto di conoscerne il contenuto e Jhazar avrebbe dovuto capirlo.
Invece si limitò a dire: "Si tratta di messaggi molto privati, non adatti agli occhi di una..."
Stava per dire ragazzina?
Joyce era pronta ad affrontare anche quell'insulto.
"... una persona che non si intende di certe cose" proseguì Jhazar.
Quindi sono troppo stupida per capire "certe cose"?, si chiese Joyce. Stava iniziando a spazientirsi per quel discorso.
"Hai fatto buon viaggio?"
Jhazar si limitò ad annuire. "Diciamo che è stato proficuo, ma non posso dirti altro."
"E io non voglio sapere di più. Mi basta la tua promessa che tutti questi sforzi mi riportino da mio padre."
"È uno dei miei obiettivi."
Ma non l'unico, a quanto pare.
Joyce rimase in attesa.
Jhazar ripose la pergamena sul tavolo senza aprirla. Il contenuto doveva essere davvero importante e riservato per non osare nemmeno darle un'occhiata.
"Perdonami ma ora vorrei risposare" disse con educazione. "Sai, è stata una giornata faticosa."
"Ti lascio al tuo meritato riposo" disse Joyce provando a celare tutta la sua irritazione. Era passato un altro giorno e lei non era tornata da suo padre e non aveva fatto progressi con la ricerca di Rancey. Un altro giorno che sarebbe potuto essere uno degli ultimi di Oren e lei era bloccata lì a farsi prendere in giro da Jhazar.
Avrebbe voluto puntargli contro un dardo magico e fargli confessare tutto quello che sapeva con la minaccia di ucciderlo.
Era così tentata, così vicina a esplodere che faticava a contenersi.
Ma se lo avesse fatto, se avesse ceduto alla rabbia, tutto sarebbe andato perduto. Lei sarebbe morta e anche Oren avrebbe rischiato parecchio.
Era l'unica che poteva fare qualcosa per entrambi.
Respirò a fondo e uscì dalla stanza lasciando solo Jhazar.
Fuori quasi si scontrò con un valletto. Era un ragazzo dalla folta zazzera e le sopracciglia simili a cespugli, un po' incurvato nelle spalle. Sembrava attendere fuori alla porta e Joyce ebbe l'impressione che lo avesse colto di sorpresa a rubare le caramelle, stando alla sua espressione sorpresa.
"Perdonatemi tamisa" si affrettò a dire. Era più anziano dei valletti della fortezza, che di solito erano poco più che dei ragazzi che si guadagnavano da vivere con il loro primo vero lavoro.
Joyce si fece da parte.
Il valletto bussò due volte.
"Che c'è ancora?"
"Daquiri Jhazar" disse il valletto entrando. "Stovoi Selena domanda se vuole cenare con lei o nella sua stanza."
Il valletto chiuse la porta e Joyce non udì il resto della conversazione.
Tornò alla sua camera e si chiuse dentro. Andò all'armadio e scelse un vestito scuro. Sopra indossò una mantellina anch'essa scura, dopo essersi assicurata che avesse un cappuccio in grado di celarle il viso.
Sedette sul letto e attese che le ore passassero.
Aveva meditato a lungo su cosa fare e come farla. Doveva essere accorta, perché un solo passo falso l'avrebbe perduta per sempre.
C'era un solo modo per leggere il messaggio senza che Jhazar lo sapesse e doveva farlo dopo che lui avesse rotto il sigillo.
Quello era l'unico modo.
Solo che Joyce non aveva idea di quando avrebbe aperto il messaggio, anche se poteva immaginarlo. Dal momento in cui l'aveva ricevuto dalle sue mani ogni occasione era buona, ma lei non poteva rischiare di trovarlo ancora sveglio quando si sarebbe recata da lui per leggerlo.
Inoltre non poteva sottrarlo a Jhazar. Lui se ne sarebbe accorto e quello avrebbe potuto cambiare le cose.
Inoltre avrebbe sospettato subito di lei, visto che era l'unica a sapere che aveva ricevuto quel messaggio.
Non poteva rubarlo, ma poteva copiarlo.
Aveva una matita e una pergamena con se. Sarebbero bastati quegli oggetti per copiare il messaggio.
L'ultimo problema era introdursi nella stanza di Jhazar senza che lui se ne accorgesse.
Non poteva rompere la serratura con un dardo magico. Il rumore lo avrebbe svegliato e fatto accorrere le guardie.
Non aveva idea di dove fosse una copia della chiave della stanza, se ne esisteva una, e non aveva tempo di cercarla.
Poteva provare a rubarla a Jhazar, ma non aveva idea di come fare senza che lui se ne accorgesse. Inoltre non poteva andare da un fabbro e farsene fare una copia.
Jhazar l'avrebbe scoperta e si sarebbe insospettito.
Doveva fare in un altro modo e pensava di averlo trovato.
Era pericoloso, ma poteva funzionare. Doveva solo attendere il momento adatto e avere pazienza.
E fortuna.
Quella non doveva mancarle, perché molte cose potevano andare storte e se fosse successo  per lei sarebbe stata la fine.
Il pensiero l'atterriva ma le provocava anche una piacevole sensazione al ventre. Aveva provato la stessa cosa quando era uscita dal palazzo per salvare Oren, quando si era introdotta alla riunione privata dove Fennir l'aveva maledetta o quando a Taloras aveva spiato Rancey e lady Gladia parlare.
Tutte quelle volte aveva avuto paura, ma al tempo stesso quella sensazione le aveva dato la forza di compiere quelle azioni pericolose.
Anche quella sera la paura le avrebbe dato la forza e il coraggio che le servivano.
"Fallo per tuo padre. Fallo per Oren" ripeté mentre aspettava che le ore passassero.
Si alzò e andò alla finestra. Le guardie avevano acceso i fuochi sulle torri. Quello voleva dire che tutto il castello era addormentato e in sicurezza.
La sorveglianza interna si sarebbe allentata, concentrandosi sull'esterno della fortezza.
Era quello il momento di agire, si disse. Inutile rimandare oltre.
Andò alla porta e la chiuse con due mandate, quindi infilò la chiave in una delle tasche del mantello. Se qualcuno fosse venuto a bussare mentre era via, avrebbe pensato che stesse dormendo.
O almeno lo sperava. Quello era un rischio che doveva correre, non poteva fare altrimenti.
Recitò la formula di trasfigurazione e divenne Sibyl. Attese qualche altro secondo e si calò il cappuccio sulla testa. Inspirò a fondo e pronunciò la formula di richiamo.
La sua stanza sparì e al suo posto apparve... il buio.
Sciocca, pensò. Non aveva pensato di spegnere le luci per far abituare gli occhi al buio. Doveva aspettarselo che Jhazar, andato a letto, avrebbe spento le luci.
Sciocca, sciocca, sciocca. Aveva pianificato tutto alla perfezione, ma non aveva badato a quel particolare.
Restò immobile e in silenzio, timorosa persino di respirare.
Era nel posto giusto?
Non poteva saperlo finché i suoi occhi non si abituavano. Evocare un globo luminoso era fuori discussione: il pericolo di svegliare Jhazar era troppo grande.
Non le restava che attendere. I minuti passarono ancora più lenti che nella sua stanza. Nel frattempo i suoi occhi si abituarono al buio, rivelandole qualche particolare.
Accanto a lei c'era uno scrittoio di legno, sopra al quale erano sparse alla rinfusa delle pergamene. Il proprietario non si era preso la briga di rimetterle a posto.
Era stata una buona idea marchiare la pergamena. Questo le aveva permesso di attivare il richiamo verso qualsiasi posto si trovasse in quel momento, visto che Jhazar avrebbe potuto spostarla o nasconderla da qualche parte.
Joyce si complimentò con se stessa per quella brillante idea e iniziò a controllare le pergamene una a una cercando quella col sigillo giusto.
Metà del piano era riuscita alla perfezione, nonostante qualche lieve sbavatura.
Ora doveva solo copiare il testo e...
"Hai fatto un ottimo lavoro."
La voce la fece sussultare. C'era qualcun altro nella stanza insieme a lei?
"Grazie, tamavir Gastaf" rispose una seconda voce.
Gastaf? Che ci faceva nella stanza di Jhazar? E chi era l'altro tizio con cui stava parlando?
Un tenue chiarore si accese alla sua destra. Una porta si stava aprendo verso l'esterno, rivelando una stanza bene illuminata.
All'improvviso gli occhi di Joyce le rivelarono la verità. Non era nella stanza di Jhazar, ma in un posto del tutto diverso. I mobili non erano gli stessi ed erano disposti in maniera del tutto diversa.
"Domani parleremo del tuo compenso, Khadjag."
La porta si aprì e dal leggero spiraglio intravide due figure umane che sostavano sulla soglia.
"È stato un piacere servirvi."
"Ora vai e riporta indietro la pergamena. Jhazar non deve rendersi conto che l'abbiamo presa."
Joyce si risvegliò dal torpore e dalla paralisi che l'avevano assalita. Rovistò tra le pergamene cercando quella che le interessava.
La porta si aprì del tutto e una tenue luce invase la stanza.
"Farò in modo che tu abbia..." Gastaf si fermò a metà della frase.
Sì, esultò Joyce dentro di se. Ecco la pergamena giusta.
"E tu chi sei?" urlò Gastaf.
Joyce sollevò la testa di scatto, la pergamena stretta tra le mani. Stava già sussurrando la formula di richiamo che l'avrebbe riportata nella sua stanza, al sicuro.
La figura accanto a Gastaf alzò una mano. Impiegò un istante a riconoscere il valletto col quale poche ore prima si era quasi scontrata fuori dalla stanza di Jhazar.
Joyce completò la frase e... non accadde niente. Era ancora lì, accanto allo scrittoio, con Gastaf e il valletto che la fissavano.
"Signore... ho annullato l'incantesimo che stava per lanciare, ma non posso trattenerla a lungo."
Gastaf si voltò di scatto e si precipitò verso un angolo della stanza alla sua destra.
Joyce notò che c'era una spada appoggiata al muro.
Presa dal panico, non sapeva che cosa fare.
Khadjag, se questo era il suo nome, aveva annullato il suo incantesimo di richiamo. Poteva riprovarci? Non ne aveva idea, ma per il momento era bloccata lì.
Recitò un'altra formula. La stanza divenne buia di nuovo.
"Oscurità" gridò Khadjag. "È un'illusionista."
Joyce si precipitò verso la porta, ma mentre camminava sbatté contro qualcosa e venne proiettata all'indietro.
Sbatté contro il muro di pietra e lanciò un grido di dolore e sorpresa.
Due dardi esplosero sopra la sua testa in rapida successione.
Joyce rotolò su se stessa e si rialzò. Stavolta non puntò verso la porta ma recitò la formula del raggio magico.
Una lama di luce compatta bucò l'oscurità. Joyce la diresse verso la parete più lontana e poi la fece scorrere ad altezza d'uomo.
Udì un grido di dolore e un corpo che cadeva al suolo, poi il silenzio.
"Dov'è?" gridò Gastaf.
"Non urli o ci troverà" disse Khadjag.
Joyce annaspò nel buio fino alla porta, afferrò il pomello e lo girò a fondo, spalancandola. Si proiettò fuori e cadde al suolo, il viso schiacciato sul pavimento di pietra.
Dietro di lei udì delle grida, ma le ignorò.
Si rimise in piedi e corse via nel corridoio, alla cieca, guidata solo dll'istinto. Mentre correva recitava la formula di richiamo senza ottenere niente.
Khadjag doveva aver bloccato l'incantesimo in maniera permanente. Non aveva idea di come funzionassero le abiurazioni. Nessuno nella sua famiglia aveva quel tipo di potere.
Corse senza voltarsi finché non arrivò a una scala. D'istinto si gettò in basso, sperando di non incontrare nessuno durante la discesa.
Per pura fortuna non incontrò le guardie che di solito pattugliavano i corridoi, ma era certa che prima o poi sarebbero arrivate allarmate dal trambusto che aveva provocato.
Joyce corse a perdifiato per un lungo corridoio ricoperto di arazzi, attraversò una sala deserta e si ritrovò in una specie di magazzino pieno di casse accatastate l'una sull'altra.
Esausta, trovò un nascondiglio dietro una di esse e si accucciò, cercando di nascondersi tra le ombre.
Non si fidava a usare l'invisibilità. Troppe volte aveva visto gli stregoni individuare un avversario nascosto nel buio o invisibile e non voleva correre il rischio di farsi scoprire.
Inoltre Khadjag si aspettava che usasse quel tipo di incantesimo, visto che credeva che fosse un'illusionista.
Era un azzardo ma doveva giocare d'astuzia e provare a ingannarlo.
Sentì il rumore di passi che si dirigevano verso il magazzino.
"È passato di qui" disse una voce.
"Come potete esserne certo?"
"Se avesse preso l'altra strada, si sarebbe imbattuto nelle guardie."
"E se fosse invisibile?"
"Sono lame d'argento. Sono addestrate per questa eventualità" rispose l'altro con arroganza.
"Non lo mettevo in dubbio tamavir, ma non dobbiamo sottovalutare..."
"Tu non sottovalutare noi. Le lame si addestrano da secoli per combattere quelli come voi."
Joyce si appiattì contro la cassa di legno, restando immobile. Trattenne il fiato mentre le voci si allontanavano dal punto in cui si trovava.
"Dobbiamo prenderlo prima che lo trovino le guardie" disse Gastaf.
"Hai un piano, tamavir?"
Le voci si allontanarono e lei non poté udire il resto.
Restò in attesa che tornassero indietro, ma non accadde. Lasciò che i minuti passassero senza osare muovere un muscolo. Era certa che se si fosse mossa, Khadjag sarebbe riuscita a individuarla.
Quando si sentì più sicura, si sporse dal suo nascondiglio per dare un'occhiata in giro. Il magazzino era vuoto e buio, illuminato solo da una piccola torcia che spandeva una luce esitante.
Joyce raccolse il coraggio che le era rimasto e uscì dal nascondiglio. Si diresse dalla parte opposta a quella presa da Gastaf.
Non poteva rischiare di passare davanti a loro o l'avrebbero inseguita di nuovo.
Era in una zona della fortezza che non aveva mai visto prima e faticava a orientarsi. Perché non aveva studiato un percorso alternativo? Perché non si aspettava di dover tornare alla sua camera a piedi, senza poter usare il richiamo.
Khadjag aveva bloccato in qualche modo l'incantesimo proprio nel momento in cui lei si apprestava a usarlo. Un secondo prima e ora sarebbe nella sua camera, al sicuro.
Invece era in giro per la fortezza e non aveva idea di dove si trovasse la sua stanza. Se sorgeva il sole e qualcuno veniva a cercarla, accorgendosi che non c'era...
Una cosa per volta, pensò.
Camminò a passo spedito per i corridoi vuoti, certa che da un momento all'altro sarebbe risuonato l'allarme.
Non accadde.
Per qualche motivo, Gastaf non aveva allertato le guardie o, se lo aveva fatto, aveva ordinato loro di cercarla da tutt'altra parte.
Dopo aver superato una rampa di scale si accorse di essere già passata prima da quella parte. Era stato durante la cena dopo la quale Eryen l'aveva quasi uccisa.
Erano passati di lì per andare nella sala dei giochi e poi vi erano ripassati per tornare alla sua stanza. Ora lo ricordava bene. Non era lontana. Le sarebbe bastato superare un'altra rampa di scale e poi svoltare a destra.
Quella zona della fortezza era deserta e lei camminò indisturbata, prese le scale due volte ed esplorò il livello superiore per quasi mezz'ora prima di incontrare anima viva.
Udì i passi avvicinarsi e si rese invisibile, appiattendosi contro il muro. Non aveva il tempo di cercare un riparo migliore, quindi doveva sperare di passare inosservata.
Il rumore di passi si fece più vicino, nell'ultimo tratto sembrò accelerare e poi rallentare il ritmo.
Il respiro si faceva affannoso mano a mano che i passi si avvicinavano.
Qualche istante dopo apparve una figura maschile dalla parte opposta del corridoio. Indossava una tunica verde e un'armatura argentata.
Joyce lo riconobbe subito. Era Zefyr.
Che ci faceva in giro a quell'ora? E in quell'area della fortezza?
Poi ricordò che era il figlio di Gastaf. Forse alloggiava lì vicino o si era trovato a passare di lì per caso ed era venuto a controllare.
Qualunque fosse il motivo, era lì e lei non poteva farci niente, se non cercare di non farsi scoprire.
Trattenne il fiato mente lui si avvicinava, cercando di restare immobile e silenziosa.
Purtroppo non poteva impedire al suo cuore di battere all'impazzata mentre Zefyr le passava proprio accanto.
Chiuse gli occhi, pregando l'Unico che lui non la scoprisse. Se fosse accaduto...
Zefyr la superò e proseguì per qualche metro, prima di fermarsi. Chinò la testa di lato, come se fosse teso all'ascolto di qualche rumore distante.
Joyce si immobilizzò, i nervi tesi allo spasimo.
Zefyr si voltò, l'espressione accigliata. Appoggiò la mano sull'elsa della spada che portava al fianco.
I suoi occhi saettavano da un lato all'altro del corridoio, come in cerca di qualcosa. Poi scosse la testa e girò sui tacchi.
Joyce si lasciò sfuggire un lieve respiro, uno sbuffo appena d'aria.
Zefyr si fermò di botto e si voltò di scatto, la spada sguainata. I suoi occhi guardavano verso di lei. "Che ci fai qui?"

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