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Autore: Acqua e Alloro    16/12/2017    3 recensioni
Interattiva: iscrizioni chiuse
[…] Le gambe di Febo cedettero e il ragazzo cadde in ginocchio di fronte al padre, tremante di colpe e con nel cuore una consapevolezza amara. Strinse le mani come in preghiera, negli occhi un terrore immane che gli occluse i sensi.
“Padre, perdono. Mi è sfuggito” […]

Sono passati secoli dal giorno in cui Teodosio ha spento i fuochi di Vesta a Roma. Tutti ricordano le proteste, le statue distrutte e quei settemila politeisti massacrati a Tessalonica, ma ben pochi sono a conoscenza della guerra che si è combattuta sull’Olimpo. Una guerra che non ha portato nient’altro che macerie e odio, una lotta che si è conclusa con la fine degli dei e l’avvento del Cristianesimo.
Ma gli dei non sono mai morti per davvero.
Il loro più grande nemico si è risvegliato e ha deciso di finire il lavoro che aveva lasciato in sospeso.
I mezzosangue saranno chiamati a combattere, ma cosa succederebbe se il loro nemico … fosse Dio?
Gli anni del Terrore Cristiano stanno per avere inizio. Di nuovo.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gli Dèi, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brutti Ricordi
 
 
 
L'infanzia non va dalla nascita a una certa età,
quell'età in cui
​il bambino è cresciuto e mette da parte le cose infantili.
​L'infanzia è il regno in cui nessuno muore.
 

In qualità di medico Kahl avrebbe dovuto chinarsi a controllare attentamente l’eventuale ferita del compagno, ma conosceva Florian abbastanza bene da sapere che non si era fatto assolutamente niente. Si stava solo lamentando, come al solito, e Kahl non aveva voglia di sorbirsi un’altra delle sue scenate. L’avrebbe strozzato, piuttosto.
Ragazzino ricco del cazzo, borbottò tra i denti mentre si avvicinava di malavoglia al figlio di Afrodite, ancora cocciutamente seduto sull’erba a stringersi il fianco. Lo smosse con la punta della scarpa lanciandogli una bieca occhiata dall’alto. Florian ebbe un lieve sobbalzo al contatto e alzò il capo per controllare chi fosse stato, già pronto a inveirgli contro, ma non appena vide il figlio di Apollo il suo volto si rasserenò, cosa che lasciò Kahl piuttosto interdetto. Forse pensava si trattasse ancora di Max, si ritrovò a ragionare dopo un attimo di sconcerto.
« Ohi. » esclamò il più grande con le mani in tasca, senza degnarsi di nascondere la smorfia che gli balenò sulle labbra. Non provò neanche per un secondo a mascherare il fastidio che provava nello stargli accanto, ma per qualche ragione Florian non se ne accorse. Oppure se ne accorse, ma non lo diede a vedere.
« Mi ha infilzato con la spada! » proclamò subito il figlio di Afrodite, la voce leggermente ansiosa. Il suo volto esibiva un’espressione allarmata e insieme furibonda, come se il suo cervello non avesse ancora deciso se essere più preoccupato per la “ferita” o più incollerito con Maximilian e la sua stupida spada. Kahl lo trovava semplicemente ridicolo e il suo disinteresse per l’intera faccenda trasparì in un irritato « Ok. » che lasciò Florian a bocca aperta.
« Mi ha infilzato, ti ho detto. » ripeté con gli occhi sgranati, apparentemente incapace di credere all’indifferenza del compagno. « Con la spada », specificò, « Di proposito. »
« Vi stavate allenando. » ragionò Kahl con una nuova smorfia guardando l’altro dall’alto in basso, « Se fossi un bravo spadaccino, ora non mi troverei qui a farti da balia. »
Il volto di Pride divenne rosso di rabbia a quelle parole.
« Infatti ho chiesto un medico, imbranato, non una balia! »
Kahl strinse forte i denti prima che i suoi occhi baluginassero di qualcosa di molto pericoloso. Scattò con un braccio e afferrando Florian per la collottola lo costrinse ad alzarsi in piedi, allontanandolo poi da sé con uno spintone.
« Ehi! »
« In guardia. » ordinò il ragazzo stringendo il bastone di Jonah con forza, ma Pride rimase fermo dov’era.
« Ho detto … » cominciò Kahl piuttosto scazzato, ma Florian lo interruppe bruscamente.
« Sei il peggior medico che abbia mai incontrato! » sbottò per poi inveirgli contro tutto quello che gli veniva in mente. Urlava con talmente tanta foga che un paio di rapaci appollaiati sugli alberi si staccarono dai rami e volarono via. Sbatté persino i piedi e Kahl fu tentato di mollargli un ceffone, ma poi si ricordò delle parole di Max e del valore della missione che stavano compiendo. Non poteva permettersi di picchiare un compagno di squadra, non finché non fossero tornati al Campo Mezzosangue, lì si sarebbe potuto sfogare del tutto, ma fino a quel momento avrebbe dovuto reprimere i propri istinti e rigare dritto.
Cercò invano di dirgli di darsi una calmata e mettersi in guardia, ma quando si rese conto che Pride non era minimamente intenzionato a dargli retta il figlio di Apollo strinse forte il bastone e tirò fuori le lame celate all’interno, mettendosi in posizione. Se non altro avrebbe potuto sfruttare l’allenamento per pestare quell’idiota.
I casi erano due: o Florian sarebbe stato abbastanza lesto da scansarsi e contraccambiare il colpo con la lama della sua spada, oppure Kahl l’avrebbe preso in pieno. Non sarebbe stato male cucirgli quella boccaccia.
Con uno slancio si buttò in avanti, la lama sinistra serrata a proteggere il petto e quella destra tesa in attacco. A Pride bastò un attimo per abbandonare le sue moine e alzare la spada d’intinto, gli occhi sgranati. Un sonoro clang risuonò tra gli alberi quando i due bronzi celesti cozzarono l’uno contro l’altro, poi Kahl si tirò indietro, piegò appena le gambe e tornò all’attacco più agguerrito di prima. Questa volta provò a colpire Florian al fianco, nel punto esatto in cui Max l’aveva punzecchiato con la schiavona, ma all’ultimo secondo Pride si scansò verso sinistra e inciampò via in un goffo tentativo di fuga.
« Sei impacciato. » lo sbeffeggiò il figlio di Apollo, senza dargli tregua. A mano a mano che combattevano Kahl passò dal tentare di farlo a pezzi al roteare le lame in modo strategico: sgualembrati dritti e roversi, ridoppi e fendenti, di nuovo sgualembrati … aveva così tanta energia dentro di sé che non riusciva a fermarsi. Più di una volta Florian lo pregò di smettere, ma il figlio di Apollo continuò a infierire con ferocia.
Passò il tempo: dieci minuti, venti, mezzora, a volte rallentavano il ritmo per riprendere fiato o si allontanavano l’uno dall’altro di qualche passo in una breve pausa, ma poi ricominciavano. Il figlio di Afrodite inciampava in qualche radice di tanto in tanto e Kahl aveva la decenza di aspettare che si rimettesse in piedi. Una volta constatato che il medico non aveva intenzione di fermare l’allenamento infatti Florian aveva cominciato a collaborare: le lamentele si erano ridotte al minimo e nonostante il sudore gli imperlasse fronte e volto, Pride continuava a parare i colpi che gli venivano inflitti.
« Puoi anche attaccare. » gli ricordò Kahl indietreggiando di un paio di passi. « Su, forza, attacca! »
Pride non se lo fece ripetere una seconda volta; tirò la spada fin sopra la testa e fece per colpirlo, ma invano. Il figlio di Apollo si limitò a incrociare le lame davanti a sé con una smorfia, già pronto a sfottere l’avversario per la pessima tecnica, quando un calcio ben assestato al ventre non lo obbligò a piegarsi in due, boccheggiando per respirare.
Il volto si Pride si aprì in un ghignetto vittorioso, che sfumò subito in un’espressione di orrore quando si rese conto di cosa aveva effettivamente fatto. Sgranò gli occhi, già vagamente impallidito, e li puntò sul volto scuro del compagno. Si sarebbe incazzato? L’avrebbe preso a sberle? O avrebbe tentato di strozzarlo come in infermeria? Florian si chiese quanto Sam si trovasse nelle vicinanze in quel momento. Poi però Kahl alzò il mento e sul suo viso, Florian non ci poté proprio credere, vi era lo stampo di una risata.
« Che stronzo che sei! » sillabò, ancora a corto di fiato, facendo aggrottare le sopracciglia al figlio di Afrodite. Nessuno l’aveva mai chiamato “stronzo”, non in quel modo, almeno. Un modo … amichevole.

Dopo qualche minuto di velata sofferenza, Kahl si rimise finalmente dritto con la schiena rilassando le spalle e facendo cenno al compagno di seguirlo verso il tronco di un albero abbattuto. Posarono le armi e si sedettero, sfiancati, mentre il sole piombava giù all’orizzonte e il fantasma della luna cominciava già a risplendere nel cielo. Non che loro potessero godere di quello spettacolo, la foresta era dannatamente fitta e lasciava trasparire solo quei minimi filamenti di luce sufficienti a farli avanzare tra la boscaglia.
Il figlio di Apollo prese un profondo respiro per sopprimere la sete che provava, non aveva voglia di alzarsi per recuperare la borraccia dal proprio zaino. Si passò una mano sulla fronte, rendendosi conto solo allora di quanto poco facesse freddo rispetto alla sera prima, poi si guardò le dita rovinate con sguardo assorto. Se avesse avuto una madre, e questa madre avesse avuto un nome come Susan, probabilmente gli avrebbe insegnato a non mangiarsi le unghie.
« Sei lento. » esclamò invece rivolgendosi verso il figlio di Afrodite. Florian alzò gli occhi verso di lui, vagamente preoccupato che il ragazzo volesse riprendere l’allenamento. Kahl semplicemente lo ignorò, « Non fai che aspettare che le mie lame siano vicine, solo allora ti prodighi per parare i colpi. Devi imparare a intuire le mosse dell’avversario se vuoi rimanere vivo, primo. Secondo, il tuo obbiettivo è colpire me, non le mie spade; è la prima cosa che insegnano al Campo. E terzo, non servono due mani per tenere quella spada. »
« Ma è pesante! »
« Non così pesante », replicò il figlio di Apollo passandosi la spada di Florian tra le mani, « Te la sei fatta costruire alla fucina del Campo? »
Florian annuì lentamente, lo sguardo che si alternava dagli occhi attenti di Kahl alla lama ancora scintillante della sua spada. « Me l’ha fatta Josh. »
« Josh? Josh Tanner? Dev’essere fantastica, allora. Quel ragazzo è un bastardo, ma ha una precisione scioccante per costruire armi. E queste pietruzze qua? »
« Swarovski. » rispose Florian prontamente e con voce leggermente esasperata, come se fosse una cosa ovvia. Kahl non ci fece caso e continuò a scrutare la spada in bronzo celeste: era a doppio filo e aveva delle rifiniture in argento che coprivano tutta l’elsa. Incredibilmente bella, non c’era che dire.
« Il suo nome? »
« Kalh. »
Il figlio di Apollo scoppiò a ridere. Avrebbe dovuto aspettarselo. In quel momento gli sembrò stupido persino avergli posto una simile domanda, d’altronde non c’erano molti nomi tra cui Pride avrebbe potuto scegliere e Kalh era senz’altro il più scontato. Troppo prevedibile.
Con ancora le labbra piegate in un sorriso tornò a rimirare la spada e la impugnò ben bene con la mano destra. « Vedi? », esclamò con un movimento del polso, « Si tiene così. »
« È troppo pesante. » ripeté Florian, cocciuto, scuotendo la testa in dissenso.
Kahl alzò gli occhi al cielo, « È pesante perché non ti sei mai sforzato per tenerla con una sola mano. Dovresti darti più chance, sai? Sei più forte di quello che sembri. » Non voleva fargli un complimento, a dire il vero, la frase era uscita spontaneamente dalla sua bocca e Kahl si era ritrovato a pronunciarla senza neanche pensarci sopra. Però era vero: Florian, con tutte quelle sue pagliacciate da damerino di corte e l’aria da civettuolo benestante del Galles, non sembrava altro che uno smidollato senza muscoli, invece Kahl aveva dovuto ammettere che ne aveva di forza, il signorino. Il suo era solo un problema mentale. E come biasimarlo, d’altronde? Magari Kahl fosse cresciuto nei comfort di una bella casa, senza mai doversi sforzare né tantomeno preoccuparsi  di cucinare per sé o per la sua famiglia, se un padre alcolizzato si poteva definire una famiglia. Il flusso dei suoi pensieri si interruppe bruscamente a quel pensiero, lasciandolo incredibilmente silenzioso per diversi minuti. Suo padre. Ah, quel bastardo! Chissà cosa stava facendo in quel momento mentre suo figlio rischiava la vita per l’Olimpo, probabilmente era in un bar a piangersi addosso e provarci spudoratamente con la barista. Tanto non sarebbero finiti a letto insieme, Kahl lo sapeva bene, così come sapeva che il caro Joseph Jason avrebbe comunque passato la serata a importunare le cameriere insieme ai suoi amici del cazzo. Poi sarebbe tornato a casa senza quasi reggersi in piedi da solo, avrebbe rivoltato l’appartamento da cima a fondo –un sudicio bilocale nella periferia di Memphis- e avrebbe continuato a inveire contro la sua stupida vita fino a crollare addormentato sul divano. Razza di idiota!
Un calore al braccio lo ridestò all’improvviso, riportandolo alla realtà. Florian lo stava fissando tacitamente da dov’era seduto. Doveva essere rimasto fermo a lungo perché il figlio di Afrodite sembrava aver colto l’ombra che era discesa sul suo volto, e ora lo osservava senza sapere bene cosa dire.
Kahl stava per sorridergli, giusto per allontanare definitivamente quei brutti pensieri, ma invece si ritrovò a chiedersi cos’avrebbe detto suo padre se l’avesse visto insieme a Florian. Niente di buono, ragionò il ragazzo irrigidendosi una seconda volta, papà gli aveva sempre detto di stare alla larga da quelli come lui.

-Portano solo guai!- ricordò cupamente, -Solo guai. Oh Kahl, dammi retta: se vedo anche solo uno di quei finocchi giuro che …- poi si fermava sempre, riprendeva fiato, guardava la finestra e si rivoltava verso Kahl con uno sguardo diviso tra l’orgoglio e il dispiacere, -Ma tanto non serve che faccia niente, vero, figliolo? Li pesti benissimo già da solo, non hai bisogno del mio aiuto.-

Aveva ragione, suo padre. Kahl aveva riempito di botte decine di ragazzi a scuola o per la strada, per i motivi più disparati. Ciò che gli faceva rabbia però era il fatto che suo padre non l’avrebbe mai aiutato in questo, le sue erano solo parole vuote. Disperdeva disprezzo a destra e a manca, ma quando si trattava di mettere in atto quelle prediche, si tirava indietro come un codardo. Si sfogava solo su di lui. Kahl, non fare questo. Kahl, tieniti lontano da quest’altro. Kahl. Kahl. Kahl. Gli aveva riempito la testa di stronzate sin dalla più tenera età, e Kahl faticava a credere che quegli insegnamenti sarebbero mai sfumati col tempo.

Florian gli sfiorò il braccio con le nocche perché il ragazzo sembrava essersi perso un’altra volta.
« Ehi. » lo chiamò, interrogativo. Proprio ora che avevano cominciato ad andare d’accordo, il figlio di Apollo sembrava essersi rinchiuso di nuovo nella sua bolla. « Kahl? »
Al suono del suo nome Kahl Jason tornò di nuovo alla realtà puntando gli occhi verdi sul compagno. La sua espressione cambiò radicalmente passando dalla confusione all’odio. Serrò la mandibola con forza e lasciò cadere Kalh a terra, sotto lo sguardo sbalordito del figlio di Afrodite.
« Ma che …?! » cominciò Florian aggrottando le sopracciglia, ma Kahl non gli diede il tempo di aggiungere altro.
« Sparisci. »
Si alzò dal tronco senza tanti complimenti, già in procinto di allontanarsi, ma Florian lo bloccò prendendolo per un braccio.
« Si può sapere che hai?! » Kahl si fermò un attimo a fissare le nocche chiare dell’inglese, assorto. No, suo padre non avrebbe mai approvato quella situazione. Riusciva quasi a sentire la sua voce, i suoi ammonimenti, il suono tedioso delle sue parole. L’avrebbe sbattuto contro il muro fino a fargli passare la voglia di stare con le checche, poi, una volta sbollito del tutto, lo avrebbe preso da parte e gli avrebbe detto: “Lo faccio per te, perché sei mio figlio, perché ti voglio bene.” E Kahl, con la faccia gonfia di botte e con in corpo più odio che sangue, avrebbe finto di credergli.

Joseph fottuto Jason, suo padre.

Scosse impercettibilmente il capo a quel pensiero e si ritrasse dalla presa del figlio di Afrodite, « Stammi lontano! »
Florian rimase così sbigottito che per qualche istante non fiatò, poi però il suo volto parve infervorarsi. Mai nessuno gli aveva gridato una cosa simile in tanti anni.
« Ma tu sei pa-! »
« Senti », lo attaccò Kahl acchiappandolo di nuovo per la collottola, « Non provare a fingere con me, è chiaro?! Credi che siamo amici?! Io e te?! Davvero? Credi che tu o un altro di voi frocetti possa essere mio amico?! L’unico motivo per cui non ti ho ancora spaccato la faccia è perché … »
« KAHL! » un urlo furibondo lo fece voltare di scatto alla sua destra, dove i suoi compagni di squadra avevano smesso di allenarsi per fissarli a bocca spalancata. Kahl non vi badò molto, i suoi occhi rimanevano incatenati all’espressione disgustata di Max, che lo squadrava con occhi d’acciaio. Sentì un brivido freddo percorrergli tutta la spina dorsale a quella vista, ma cercò di non scomporsi. Strinse maggiormente la presa sul colletto del figlio di Afrodite, la mano che tremava visibilmente, e lo lasciò bruscamente andare. Sentiva i muscoli bruciare dalla voglia di spezzare qualcosa e, senza dire una parola, voltò le spalle e se ne andò.

Fanculo tutti.

 

 


 
 
« Chiudete ogni porta! Ogni porta! Nessuno di loro deve poter entrare nel palazzo. »

Erano ormai ore che Zeus ripeteva quegli ordini, ma nessun dio osava lamentarsi. La barba incolta e tempestosa saettava fulmini, gli occhi baluginavano di nervosismo e il corpo tonico era ammantato di una rigidezza alquanto preoccupante. Nonostante questo però il signore del cielo continuava a fare da guida ai suoi figli, consapevole che mai come in quel momento avevano bisogno di lui.
Era tardi, il crepuscolo era finito già da un pezzo, eppure di quei vili bastardi non c’era traccia. Se si fermava un attimo a odorare l’aria poteva percepire distintamente il puzzo acre del pericolo, talmente potente da scuotergli membra e tendini. Mancava poco all’assalto, ne era certo.
Era buffo, l’ultima volta che li aveva affrontati era in veste di Giove, attorniato dagli dei di Roma, che seppur stanchi e amareggiati dal Fato infausto che gravava sulla loro civiltà avevano combattuto con gran vigore, senza però crederci davvero. E come biasimarli? Seduti sui loro scranni, appoggiati al vento invisibile della sera, nascosti nell’ombra dei ginepri, avevano visto Roma cadere giorno dopo giorno, consumata dalla corruzione dei politici, straziata dalle epidemie e dai magri raccolti, tradita dalle rivolte dei suoi stessi figli … Oh! Didone doveva averne goduto dall’Aldilà!
Al tempo nessun dio era pronto per combattere contro Geova. Giove ricordava di averli spronati, di aver fatto di tutto per far comprendere loro che la vittoria degli angeli avrebbe portato solo disgrazie, ma nessuno aveva capito. E così avevano perso e si erano ritrovati a guardare in silenzio l’Occidente cadere sotto la Chiesa: ogni virtù venir oppressa, ogni libertà venir negata, tutto ciò che aveva reso quelle terre floride e gloriose non esisteva più, o meglio, non era che un vago e nostalgico ricordo. Al diritto di vendetta si era sostituita l’ingiustizia, all’amore il peccato, alle gioie della vita la paura della morte. Il tutto sotto gli occhi degli dei.
Zeus sperava che questa volta sarebbe stato diverso. Ora c’era un briciolo di speranza. Se Geova aveva deciso di dichiarare guerra a loro, agli idoli, era perché si era reso conto che sempre più umani stavano voltando le spalle alla Chiesa, sempre più umani stavano tornando all’antica religione. Dio si sentiva minacciato, era chiaro, e voleva risolvere il problema nell’unico modo che conosceva: distruggere e sterminare, il motto del Cristianesimo in tre semplici parole.

« Padre, vieni a vedere. » la voce di Atena lo riscosse da quei cupi pensieri. Sbatté le ciglia come ad allontanare quei brutti ricordi e si concentrò sugli occhi biadi della dea. Tra tutti i suoi figli, era forse quella di cui andava più fiero: così intelligente, così perspicace, così astuta ma letale al tempo stesso. Sapeva che l’avrebbe reso orgoglioso anche in quella battaglia.
Senza titubare un attimo le tenne dietro fino a raggiungere la loggia bianca, al secondo piano. Appoggiò le mani al parapetto di pietra e puntò gli occhi nel buio dell’orizzonte, oltre le stelle che timidamente avevano cominciato ad affacciarsi all’Olimpo.
Per i primi secondi non vide nulla ed era così concentrato che anche il suono del vento si zittì d’improvviso. Assottigliò le palpebre, strinse le nocche fino a farle sbiancare, ma non distolse lo sguardo. Quella sensazione di pericolo non si decideva a svanire, anzi sembrava essersi fatta più forte, come un campanello che continua a trillare senza sosta, frenetico.
Non aveva mai aspettato così nervosamente una guerra, nemmeno Troia gli aveva dato così tanto da pensare. Non poteva credere di essere alle porte di una battaglia che avrebbe potuto segnare la fine, la vera fine, dell’Olimpo. O magari no?
Mentre pensava a tutto ciò un guizzo nell’aria gli fece drizzare le orecchie, gli occhi profondi e penetranti che correvano per l’orizzonte alla ricerca di qualcosa, qualcuno. Poi finalmente lo vide: un rapido, istantaneo movimento quasi impercettibile che sferzava l’aria morta a centinaia di metri da loro: un’ala!
« Chiamate i rinforzi. » mormorò nello stesso frangente di secondo continuando a seguire quel movimento semi-invisibile. Se le sue supposizioni erano corrette, nel giro di un minuto li avrebbero avuti tutti addosso.
Vedendo che nessuno sembrava in procinto di eseguire il suo ordine, strinse forte la mandibola voltandosi verso di loro e strepitò: « CHIAMATE I RINFORZI! »

Non potevano permettersi di perdere, quantomeno in nome del bene che ancora sembrava pervadere il cuore dell’Occidente. Non avrebbero lasciato quella terra in mano a degli stranieri mediorientali, se lo potevano scordare!
 



 
 
Acqua e Alloro
 
Mamma mia! Questo capitolo proprio non si decideva a venir fuori! >.<
Ehm *si schiarisce la voce* ciao, vi ricordate ancora di me? Sono Acqua … e questo aggiornamento batte ogni record in quanto a ritardi ^^’’
Ormai credo che molti di voi abbiano capito di che pasta sono fatto perciò non sto qui ad inventare scuse di alcun tipo e dico le cose come stanno: abbiamo avuto un blocco, abbiamo deciso di prendere una piccola pausa da questa storia nella speranza di tornare più forti di prima, ma abbiamo perso la cognizione del tempo, è iniziata la scuola e con essa tutti i vari impegni, infine Alloro si è fatta male a una mano mentre faceva l’idiota sullo skateboard (sì, lo so che non dovrei farlo ma … ahahhah dovevate esserci! xD) ma non vi preoccupate perché le hanno messo una fascia e non dovrebbe tenerla ancora per molto.

Beeene, dopo questa Odissea direi di chiudere con una notizia: abbiamo creato un account Ask.fm perciò se avete qualsiasi domanda sulla storia o un giorno non sepete cosa fare e avete voglia di assillare qualcuno questo è il nostro profilo. Sarò principalmente io a rispondere e vi do il permesso ufficiale di intasarci di domande ogni qualvolta tarderemo troppo con gli aggiornamenti. È sempre bello avere qualcuno che ti sprona e ti ricorda che il tempo sta passando.

Uhm altro da dire? Ah sì, probabilmente non riusciremo ad aggiornare di nuovo prima di Natale perciò ci tenevamo a minacciarvi ricordarvi che questa non è una festa cristiana ma un insieme di tradizioni politeiste di tutta Europa (l’albero addobbato, le luci (probabilmente scriveremo una breve one shot a riguardo), la tradizione di farsi i regali, la leggenda di Babbo Natale, l’agrifoglio …) e che pertanto non è giusto, almeno nei confronti dei popoli cui appartiene questa festività, festeggiare il Natale come se fosse cristiano. Se avete anche una sola singola oncia di rispetto o una coscienza, non date corda alle stronzate della Chiesa ;)
Detto questo, Buon Vero Natale (o Buon Yule) :*




 
 
   
 
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