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Autore: heliodor    16/12/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Nazedir

Il cuore di Joyce smise di battere per un istante. Zefyr, la spada stretta nella mano, marciò spedito verso di lei.
D'istinto Joyce si staccò dalla parete e fece un paio di passi nel corridoio.
Fu quello a salvarla.
Un istante prima Zefyr aveva sollevato la spada ed era partito all'attacco.
Joyce sentì la lama sibilare sopra la sua testa un attimo prima che si abbattesse sul muro, nell'esatto punto dove lei si era trovata.
Sussultò a quell'attacco improvviso, rischiando di scivolare a terra, ma riuscì a mantenersi in piedi.
Zefyr fece ruotare il bacino, fendendo l'aria con la spada.
Joyce fece un balzo all'indietro evitando l'assalto d'un soffio.
Non poteva restare lì. Si voltò e cominciò a correre nella direzione da cui Zefyr era venuto.
"Fermati" urlò il ragazzo alle sue spalle.
Joyce non osava voltarsi, ma sapeva che la stava seguendo. Sentiva i suoi passi? O era un potere da stregoni? Non ne aveva idea, ma fino a quel momento era stata certa che Zefyr non avesse i poteri.
Era stata così sciocca da sottovalutarlo? Così sembrava. Il suo piano perfetto stava crollando davanti ai suoi occhi.
Nulla aveva funzionato e nemmeno i suoi poteri, sui quali aveva fatto tanto affidamento, l'avevano protetta da quello che stava accadendo.
Per cercare di seminare Zefyr prese le scale e salì al livello superiore, quindi prese due svolte a caso immergendosi nelle viscere della fortezza.
Attraversò corridoi tutti uguali, dove regnavano il silenzio e l'oscurità.
Non aveva idea di dove stesse andando e temeva di perdersi proseguendo, ma ormai il panico aveva preso il sopravvento e non riusciva a fermarsi.
Se Zefyr l'avesse raggiunta l'avrebbe fatta a fette con la sua spada.
Inciampò in qualcosa e ruzzolò al suolo. Gridò per la sorpresa e il dolore, finendo distesa sul duro pavimento di roccia.
Incapace di rialzarsi, senza fiato e senza forze, attese che Zefyr arrivasse a darle il colpo di grazia.
Attese, ma non accadde.
L'unico rumore era il suo respiro affannato. Si sentiva stremata e priva di forze.
Vincendo la paura si voltò. Il corridoio era vuoto e buio, tranne che per un paio di torce che ardevano lungo le pareti.
Non c'erano arazzi né dipinti o ornamenti che abbellissero il corridoio. Quell'ala sembrava abbandonata da tempo.
Joyce si alzò appoggiandosi al muro. Le servirono un paio di minuti per smettere di tremare e riprendere la calma.
Era stata una sciocca a fuggire in quel modo, si disse. Poteva avere ragione di Zefyr. Anche se riusciva a vederla, lei aveva incantesimi che potevano farla levitare o creare il buio. E aveva i dardi e il raggio magico che poteva usare come arma.
Ma lui l'aveva colta di sorpresa. Era così concentrata a nascondersi che non aveva previsto nessun piano nel caso fosse stata scoperta.
Aveva avuto troppo fiducia in uno solo dei suoi incantesimi, così come aveva fatto con il richiamo.
Si era fidata troppo e per poco non era stata scoperta. Ma poteva ancora rimettere le cose a posto.
Le bastava raggiungere la sua stanza, infilarsi dentro e chiudere a chiave la porta.
Cercò le scale che la portassero al livello inferiore e le trovò dopo una mezz'ora di giri a vuoto. Stavolta, aiutata dall'invisibilità si accertò che non ci fosse anima viva nelle vicinanze.
Scese i gradini uno per volta, cercando di fare meno rumore possibile e stando sempre all'erta. Solo una volta udì delle voci in lontananza, ma non seppe dire a chi appartenessero. Non si dirigevano verso di lei e tanto le bastò per sentirsi più tranquilla.
Sgattaiolò per i corridoio camminando rasente al muro. Anche invisibile aveva già pronto l'incantesimo del dardo magico.
Stavolta, se l'avessero scoperta, sapeva come reagire a qualsiasi attacco.
Poi rifletté sul fatto che Zefyr non le aveva fatto niente di male, anzi le aveva salvato la vita. Non poteva ferirlo o fargli del male, così alla leggera, nemmeno spinta dall'istinto di sopravvivenza.
Se lo avesse incontrato, sarebbe fuggita, sperando di riuscire a seminarlo di nuovo.
Persa in questi pensieri giunse alla porta della sua stanza.
Nessuno era nelle vicinanze e il corridoio era vuoto e tranquillo come lo ricordava.
Estrasse la chiave e la infilò nella serratura, sperando che si aprisse senza problemi.
La porta si aprì e lei si precipitò all'interno. Era buio come l'aveva lasciato, tranne per la luce delle stelle che filtrava dalla finestra aperta.
Chiuse la porta a chiave, quindi si liberò del mantello che gettò in un baule. Infilò la pergamena tra due vestiti pesanti, in modo che nessun la potesse trovare per caso. Se fosse accaduto le conseguenze sarebbero state tremende.
Tra poco Jhazar si sarebbe accorto che la pergamena mancava. Non era stata lei a rubarla ma lo stregone con cui stava parlando Gastaf. Come ci fosse riuscito era un mistero che Joyce avrebbe volto svelare, ma doveva attendere.
Per quella notte si era cacciata in guai sufficienti. Indossò una vestaglia leggera e si infilò nel letto, attendendo che Jhazar desse l'allarme scoprendo il furto subito.
Dopo quasi un'ora di attesa il sonno e la stanchezza prevalsero e si addormentò.
Si svegliò a mattino inoltrato, la luce che filtrava dalla finestra.
Si alzò controvoglia. Era ancora stanca e scossa per quello che era successo. Il suo piano era copiare la pergamena, non certo impossessarsene. Doveva ricopiarla e poi liberarsene prima che qualcuno la scoprisse. Il rischio era troppo alto.
Mancava ancora un'ora alla colazione e decise di approfittarne per dare un'occhiata alla pergamena.
La recuperò dall'armadio e l'aprì.
"Non di nuovo" si lasciò sfuggire leggendo le terne di numeri da cui era formato il messaggio.
Era simile a quello che aveva tradotto a Valonde, ma senza il libro di Ambar era per lei incomprensibile.
Il codice era contenuto in quel tomo, se anche quel messaggio seguiva la stessa logica.
Doveva trovarne una copia e consultarla, ma doveva farlo senza destare sospetti.
Copiò il messaggio e rimise la pergamena nell'armadio. Invece nascose la copia in fondo a un baule, dopo aver piegato in quattro il foglio. A un'occhiata distratta sarebbe sembrato solo un pezzo di carta senza alcun valore.
Si lavò e poi indossò un vestito di raso leggero, verde con ricami in oro. Si aggiustò i capelli nella consueta coda di cavallo e uscì facendo attenzione a non chiudere a chiave per non sollevare sospetti.
Cercando si sembrare serena e normale raggiunse la sala da pranzo. Selena e Eryen erano già sedute, insieme a Gajza e Jhazar. Gastaf non era in vista e con lui il figlio. Nemmeno dello stregone c'era traccia, ma quello non la sorprese. Era sicura che avesse già lasciato la fortezza o si fosse nascosto da qualche parte.
Sedette accanto a Jhazar dopo aver salutato i presenti con un leggero inchino.
"Non hai dormito bene?" chiese Jhazar.
"Affatto" rispose lei.
"Sembri stanca."
"Lo sono."
"Ieri sera stavi bene."
Joyce cercò una scusa credibile. "Sarà la lontananza da casa e dai miei cari." Joyce non riuscì a evitare che le sue parole sembrassero polemiche.
Jhazar fece per rispondere, ma si trattenne.
"Smettila di tormentarla, Jhazar" disse Selena. "Tua nipote ha solo nostalgia di casa. Non è vero, cara?"
"È così, stovoi" rispose Joyce cortese.
"Oggi cercheremo di farle dimenticare Himladrin per un po'" disse Gajza rivolgendosi a Joyce. "Ti mostreremo la nostra città e la nostra giustizia."
"A proposito di questo" disse Jhazar. "È proprio necessario che mia nipote assista a questo processo?"
Doveva aver saputo dei progetti di Selena.
"Tra poco sposerà un Besfort, è bene che impari le nostre usanze" disse la stovoi.
Jhazar non poté fare altro che chinare la testa. "Sei sempre saggia."
Dopo la colazione, a Joyce fu concesso di ritirarsi nelle sue stanze per prepararsi. Delle ancelle portarono dei vestiti nuovi e l'aiutarono a indossarli. Lei ne scelse uno di raso verde e nero, con ricami floreali. Indossò delle scarpe comode mentre una delle ragazze le sistemava i capelli.
Sto andando a un processo o a un ballo?, si chiese Joyce.
Le usanze dei Nazedir le sembravano sempre più strane e bizzarre. Erano così diverse da quelle informali di Valonde. Lì poteva vestire come voleva nei giorni normali, senza preoccuparsi di dover apparire pronta per presenziare a un'incoronazione.
Lì invece ogni gesto, ogni particolare, anche quello più piccolo, sembravano importanti. Quando Joyce suggerì di allargare un po' il corpetto che le andava stretto, un'ancella quasi inorridì.
"Oh no, tamisa. Sarebbe vadik."
Joyce ancora non comprendeva certe espressioni del dialetto locale. "Che vuol dire vadik?" chiese all'ancella.
Lei arrossì. "Mi perdoni. Prima mi è sfuggito."
"Dimmelo lo stesso" insisté Joyce. Voleva apprendere tutto ciò che poteva su quelle persone.
"Vadik è come si vestono gli alfar, tamisa."
"Ne ho sentito parlare. Cos'hanno di così strano?"
"Sono selvaggi, tamisa" disse un'altra ancella. "Vivono nella foresta."
Questo lo sapeva già. La locandiera le aveva raccontato qualcosa. "E perché sarebbero strani... vadik?"
"Loro non badano molto alla buona educazione, tamisa. Vestono con le pelli dei loro animali e si costruiscono da soli i vestiti."
Questo era interessante. Non esisteva niente del genere nel grande continente, dove tutti i popoli vivevano nelle città e nei villaggi.
"Vanno a caccia in branco, come i lupi."
"Anche le donne."
"E rapiscono i bambini per portarli nella foresta e crescerli come loro figli."
Joyce aveva già sentito quella leggenda. Ne aveva lette diverse versioni, ma tutte erano più o meno uguali: esisteva un popolo che viveva nel profondo delle grandi foreste. Di solito avevano lunghe orecchie e denti aguzzi. Attaccavano quelli che osavano profanare i loro boschi sacri e di tanto in tanto si spingevano nei villaggi vicini per rapire i bambini e portarli nella foresta.
Era una storia che le vecchie tutrici usavano per spaventare i bambini e farli ubbidire. Non si sarebbe mai aspettata che avesse un fondo di verità.
"Questi alfar fanno cose così terribili e sono tollerati?" chiese Joyce incredula.
"Tutti hanno paura della foresta, tamisa. È un posto pericoloso, pieno di animali terribili, come i lupi giganti e gli orsi dal pelo rosso."
"Vorrei proprio vedere un posto simile" disse Joyce provocando lo scompiglio tra le ancelle.
"Non lo dite nemmeno per scherzo, tamisa. O gli alfar cattivi verranno a prendervi."
Che vengano pure, pensò Joyce spavalda. Io ho la magia dalla mia parte.
Ecco, si disse, sopravvaluto di nuovo le mie capacità.
Jhazar mandò un valletto ad avvertirla che stavano per partire. Le ancelle finirono di vestirla e prepararla e lei fu libera di uscire. Prima però si assicurò che nessuna delle ragazze mettesse le mani tra le sue cose. Non voleva che scoprissero la pergamena o la sua copia neanche per caso. Potevano sembrare svampite o superficiali, ma aveva l'impressione che fosse tutta una facciata.
Lì a Nazedir, dove tutti seguivano un codice di comportamento strettissimo, era difficile capire chi era sincero o chi fingeva.
Come Jhazar.
O Zefyr.
Non riusciva a inquadrare la giovane lama d'argento.
Joyce lo trovava interessante come persona e sembrava di carattere aperto e sincero. Era l'unico col quale aveva scambiato due chiacchiere in semplice amicizia e senza tante formalità e quando ne aveva avuto bisogno l'aveva anche aiutata, per quanto poteva.
Inoltre l'aveva messa in guardia da Gajza, dicendole che aveva spie dappertutto.
Se era così l'altra sera aveva rischiato grosso.
Immersa in quei pensieri raggiunse il cortile, dove erano pronte cinque carrozze coperte.
Salì sulla terza, dove presero posto due cortigiane e due stregoni che non aveva mai visto prima di allora.
Jhazar e Selena presero posto sulla carrozza in testa al convoglio, mentre Gajza si accomodò su quella successiva.
Le altre due vennero occupate da persone che non conosceva.
Sporgendosi dal finestrino notò che le lame d'argento scortavano il convoglio. Tra di esse c'erano Gastaf e Zefyr.
Il primo, in sella al suo cavallo, apriva il convoglio.
L'altro si mise di fianco, tra la seconda carrozza e quella di Joyce.
Pensò di chiamarlo, ma si trattenne. Non voleva fare una brutta figura violando qualche norma non scritta di Nazedir.
Sedette al suo posto in silenzio e immobile, ascoltando le chiacchiere all'interno della carrozza senza prestarvi molta attenzione.
La prima parte del viaggio fu noiosa. Appena usciti dalla fortezza si immersero in un bosco dagli alberi dal fusto enorme. Ognuno di essi era altro almeno cinquanta metri e i loro rami pieni di foglie oscuravano il sole.
Nella carrozza faceva caldo, nonostante fosse inverno. Joyce sbuffò e cercò di allentare il corpetto che la tormentava.
"Sopporti poco il caldo per una ragazza che viene da Himladrin" disse Zefyr.
Si era avvicinato alla carrozza e aveva parlato sporgendosi un poco verso il finestrino.
Joyce fu grata di quella sorpresa. "Non ho mai sopportato il caldo" disse senza mentire. A Valonde le estati erano miti, grazie alla vicinanza col mare e le montagne a nord.
"Non ti facevo così delicata" disse lui sorridendole. Sembrava di buonumore nonostante quello che era successo quella notte.
Joyce non osava accennare a quegli eventi e nessuno sembrava avesse voglia di parlarne. Persino Jhazar non aveva detto niente al riguardo, eppure doveva essersi accorto che non aveva più il messaggio.
Joyce indicò la foresta. "Credi che incontreremo gli alfar?"
"Spero di no" disse Zefyr. "Ma se anche dovesse accadere.." Sfiorò l'elsa della spada.
"Tu sai qualcosa di questo processo?"
Zefyr si strinse nelle spalle. "Niente di niente."
"Ma è normale?" A Valonde la giustizia era amministrata dai giudici, che venivano nominati da suo padre su consiglio dei saggi del regno.
"In città ci sono dei giudici per queste cose" spiegò Zefyr. "Ma stovoi Selena è la giudice suprema, se così si può dire. È lei che amministra la legge per conto di Malinor e che nomina i giudici. Di solito viene richiesta la sua presenza solo per i casi molto gravi."
"E quante volte è successo?"
"Questa è la prima, che io ricordi."
Quindi andavano a giudicare una persona importante o che aveva fatto qualcosa di molto grave, pensò Joyce. Anche suo padre a volte era chiamato a fare da giudice, ma di solito votava solo se la giuria era divisa equamente.
Nazedir apparve una volta superata la foresta. La città sorgeva alla convergenza di due fiumi ed era situata al centro di un'ampia valle.
Era difesa da mura alte un trentina di metri e da numerose torri. Da questa spuntavano soldati sia sui merli che nei camminamenti.
La strada che stavano percorrendo portava a un ampio cancello in ferro battuto. Era già aperto come in attesa e numerosi soldati erano sull'attenti.
C'erano anche dei comuni viandanti in attesa ai lati della strada. Al passaggio delle carrozze si spostarono in maniera ordinata, sotto lo sguardo minaccioso delle lame d'argento e dei soldati di guardia.
Joyce gettò un'occhiata veloce a quelle persone. Molte erano a piedi, altre a cavallo o su carri trainati da buoi che trasportavano merci. Sembravano tutti molto poveri, nei loro abiti. Alcuni indossavano lunghi mantelli che scendevano fino alle caviglie e cappucci calati sul viso nascondevano le loro espressioni.
La maggior parte di essi teneva la testa china e non stava a guardare in direzione del corteo, ma qualcuno sfidava quel modo di fare.
Joyce notò una ragazza dai capelli biondi come l'oro che li fissava con aria di sfida, quasi a volerli provocare. C'era una fierezza in quello sguardo che la colpì. Fu un attimo perché il corteo la superò subito e proseguì verso il cancello.
Alcuni soldati erano a cavallo e si unirono alle lame d'argento quando sfilarono sotto l'arco che faceva da ingresso.
Oltre di esso si apriva una piazza d'arme circondata da edifici bassi e lunghi di mattoni rossi.
Molti soldati, quasi tutti a piedi, sostavano vicino a essi.
Altri soldati, armati di lancia e scudo, si disposero ai lati del corteo mentre sfilava nella piazza e lo accompagnarono per tutto il tragitto verso una strada ampia e pulita che sembrava tagliare in due la città.
Joyce aveva partecipato ad altri cortei simili, a Valonde e Taloras, ma Nazedir sembrava diversa. Non c'era gente per strada, né per festeggiare il passaggio del corteo né per protestare.
Le finestre delle case, quasi tutte a due o tre piani, erano chiuse o sbarrate. I pochi passanti si limitavano a lanciare una rapida occhiata alle carrozze e poi proseguivano per la loro strada.
Solo i bambini sostavano ai lati della strada e guardavano affascinati carrozze e cavalli sfilare in un tripudio di bandiere.
"La freddezza di questa gente è proverbiale" disse Zefyr accostandosi di nuovo alla carrozza.
"Credevo che stovoi Selena fosse una sovrana gradita" disse Joyce.
"Lo è, ma i Nazedir sono fatti così. Non danno mai a vedere i loro veri sentimenti. Questa gente è abile nel nascondersi. Potrebbero pugnalarti alla schiena e continuare a sorriderti come se nulla fosse."
Ecco perché Eryen sembrava così fuori luogo in quel posto. Lei non era altrettanto abile nel mentire e dissimulare i suoi veri sentimenti, ma li esternava nel modo più diretto e violento. Forse era una specie di ribellione contro quel modo di fare?
Più imparava sui Nazedir, più riusciva a mettersi nei panni di Eryen, che doveva sembrare una pazza in mezzo a gente abituata a mentire fin dalla nascita.
Zefyr però era cresciuto lontano da lì. Tutto quello che le stava raccontando sui Nazedir doveva averlo imparato a proprie spese.
Le venne in mente che non gli aveva mai chiesto perché Eryen ce l'avesse tanto con lui. A pensarci bene, poteva trattarsi di una cosa seria come di una sciocchezza.
Eryen aveva cercato di ucciderla solo perché le aveva dato torto.
Il corteo di carrozze raggiunse una larga piazza dove sorgeva un edificio ottagonale. Era imponente, di marmo grigio e bianco con ampi archi che sostenevano sei livelli. In cima si ergeva la statua di una figura umana.
Joyce notò subito che era nudo ma senza attributi sessuali. Poteva essere sia un maschio che una femmina.
Era la prima volta che vedeva una cosa del genere.
"Azhat, dio della giustizia. O dea, se preferisci" disse Zefyr scortandola di persona verso l'edificio.
"Perché è nudo... nuda?" chiese Joyce.
Zefyr sorrise. "Si nota subito, vero? Secondo la religione dei Nazedir, si è uguali di fronte alla legge. Non importa se sei maschio o femmina, quindi il loro dio della giustizia non può avere sesso. Inoltre, quando vieni giudicato, devi spogliarti di tutto ciò che porti addosso. In un certo senso rappresenta la sincerità." Sottolineò l'ultima frase con una leggera risata.
"Cosa c'è di così divertente?"
"Non ti fa ridere il fatto che una civiltà di bugiardi consideri così importante il concetto di sincerità?"
"Forse perché è rara?"
"Giusto, non ci avevo mai pensato. La sincerità è rara e non solo tra i Nazedir, a quanto pare."
Cosa voleva dire?
Le lame d'argento accompagnarono all'interno il corteo mentre i soldati della guardia cittadina si disposero all'esterno.
Joyce fu contenta di potersi riparare dal sole alto, che adesso era diventato fastidioso. Faceva molto caldo e il vestito di raso non l'aiutava.
"Scusami, ma oggi faccio parte della scorta personale della stovoi" disse Zefyr congedandosi con un inchino.
Joyce si stava guardando attorno quando sopraggiunse Jhazar. "Vedo che hai legato molto col figlio di Gastaf."
"Hai detto tu di essere cortese con tutti."
"Non fino a questo punto. Ricorda che devi sposarti tra poche settimane."
"E tu ricorda che devi riportarmi da mio padre."
"Lo farò. Ho giurato di farlo" disse Jhazar. "Ma devi avere pazienza. Le trattative stanno andando bene. Anche troppo."
"Troppo?"
Jhazar annuì. "Gajza e gli altri non sono affatto contenti. Credo che questo processo sia una trappola" disse a voce bassa.
"Una trappola?"
"Per sabotare i nostri accordi. Mi hanno chiesto di fare da giudice al processo."
"Non è una buona cosa?"
"Se faccio la mossa sbagliata, l'intera alleanza sarà a rischio. Potrebbe dipendere tutto da quello che accadrà oggi."

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