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Autore: _Lady di inchiostro_    16/12/2017    2 recensioni
C’è chi dice che la nostra strada è già stata decisa, che è il destino che stabilisce quali difficoltà dobbiamo incontrare durante il cammino, o chi ci accompagnerà durante il percorso.
C’è chi dice che la nostra strada, invece, ce la costruiamo da soli, che siamo noi a decidere chi incontrare, siamo noi padroni delle nostre azioni.
Iwaizumi Hajime aveva sempre creduto nella seconda opzione. Finché non ha incontrato Oikawa Tooru. E allora si chiese se il destino non volesse farli incontrare per davvero, in qualsiasi modo possibile.
***
[Future Fic and What if?] [Tanto angst e cose belle ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIV


~
 


[1 aprile 2017]





Alla fine, Bokuto e Kuroo erano stati di grande aiuto. Gli aveva spiegato tutto quella stessa sera, dopo che aveva urlato in mezzo alla strada quanto in realtà amasse Oikawa. Aveva raccontato tutto fin dal principio, davanti a una birra, e i due atleti avevano annuito, spalancando appena gli occhi non appena Hajime arrivò alla parte più saliente e cruda dell’intero discorso. Tuttavia, non l’avevano guardato con pietà, e Iwaizumi gli sarebbe stato per sempre grato per questo.
Gli avevano mollato un pugno sul braccio, giusto per dirgli che avrebbe potuto dire tutto prima e che nessuno l’avrebbe mai biasimato, eppure entrambi sapevano perché l’aveva fatto, non c’era bisogno che lo dicesse ad alta voce: in una situazione come quella, Iwaizumi aveva paura che la reputazione di Oikawa sarebbe stata infangata per sempre. E lui non voleva rovinargli la vita. L’aveva rovinata già a troppe persone.
Per i due giocatori – così come per lo stesso Hajime – adesso tutto tornava ad avere un senso, e di certo non si sarebbero tirati indietro di fronte al favore che gli aveva chiesto.
Avevano smosso mari e monti pur di aiutarlo, coinvolgendo anche Ushijima, spiegandogli l’intera situazione; Bokuto aveva persino chiesto l’aiuto del padre di Akaashi, un poliziotto ora in congedo, per quanto non corresse buon sangue tra lui e il figlio. Alla fine, dopo mille insistenze, l’uomo aveva accettato di aiutarli. E Hajime non poteva fare a meno di sentirsi commosso dalla faccenda.
Insomma, quei ragazzi lo conoscevano a malapena, eppure non avevano mai smesso di farsi sentire per fargli sapere come procedevano le indagini, oltre per chiedergli come stesse.
Iwaizumi stava un po’ meglio, si era decisamente tolto un peso dal cuore, ma non era ancora abbastanza. Il bruciore dovuto allo schiaffo c’era ancora. La paura per quello che avrebbe detto Minori, ora che avevano scoperto gli scheletri dentro l’armadio, era tanta. L’ansia per la reazione che avrebbe potuto avere Akane quasi gli mangiava gli organi.
Tuttavia, la voglia di vedere Oikawa superava persino l’ansia e la paura. Ogni volta che si svegliava, la mattina, sperava di trovarlo lì, accanto a lui, perché significava che ogni problema era svanito come neve al sole, perché significava che lui poteva toccarlo, abbracciarlo, baciarlo senza alcun remore. E puntualmente, si svegliava con un senso di nausea che gli pervadeva persino le narici; puntualmente, afferrava il telefono con l’intento di chiamarlo, di sentire la sua voce, e sapeva che se lui avesse risposto avrebbe sicuramente detto che l’amava. Che gli dispiaceva da morire per quello che gli aveva fatto. Che poteva picchiarlo, se questo lo faceva stare meglio – e detto da uno come lui, significava tanto.
Che voleva vederlo sorridere tutte le mattine. Che voleva baciarlo un’altra volta, e ancora, e ancora, finché non ne avesse avuto abbastanza, e non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Ma, puntualmente, riposava il telefono, il respiro che gli mancava e la testa che vorticava. Per quanto volesse seriamente vederlo, Iwaizumi voleva anche sentirsi al sicuro. Voleva che lui fosse al sicuro. Per questa ragione stava per mettere a nudo quello che, per troppi anni, aveva tenuto nascosto anche alle persone a lui più care.
La musichetta fastidiosa di Skype arrivò alle sue orecchie, segno che stava ricevendo una chiamata, e Iwaizumi diede un’ultima veloce occhiata ai documenti che aveva in mano, prima di avvicinare la sedia alla penisola, la schermata celeste davanti. C’era una foto di Minori e Akane nell’icona, e fece un piccolo sorriso, prima di schiarirsi la voce e cliccare il pallino verde.
In un primo momento, l’immagine apparve distorta, confusa, ma dopo un paio di secondi si trovò davanti alla figura di Minori, non troppo nitida, ma abbastanza da vedere che la donna aveva le braccia incrociate e il volto livido. Le volte in cui Hajime l’aveva vista in quel modo si potevano contare sulla punta delle dita. Lei era sempre gentile e sorridente con tutti, di rado si arrabbiava.
In questo caso, però, Hajime se l’aspettava.
Nessuno dei due disse niente, si limitarono solo a fissarsi negli occhi, il rumore di alcune canzoni che proveniva da lontano, segno che da qualche parte si stava svolgendo una qualche festa.
Alcune urla di gioia furono il pretesto perfetto per il ragazzo per dire almeno qualcosa. «Come sta procedendo la festa di Akane?»
Non si era di certo dimenticato del compleanno di sua figlia, ancora adesso avrebbe potuto descrivere il momento dell’attesa e della sua venuta al mondo con enorme gioia e malinconia in egual misura. Ancora ricordava il momento in cui l’aveva tenuta in braccio, la testolina scura che si era posata sulla sua giacca rovinata, e Hajime aveva sentito le gambe farsi molli. Credeva che non si potesse piangere di gioia, eppure quel giorno l’aveva fatto.
«Bene» rispose Minori, piatta, senza dare alcuna intonazione alla sua voce.
Iwaizumi aveva sentito la figlia quella mattina, avevano parlato per quasi un’ora, perché lei doveva raccontargli di come stesse organizzando la sua festa di compleanno. Per la prima volta da quanto quella storia era iniziata, aveva sentito che il loro rapporto era tornato come quello di prima, anzi era nettamente migliorato.
Avrebbe voluto esserci, come l’anno precedente, ma anche se ce ne fosse stata la possibilità, non era più tanto sicuro che Minori glielo avrebbe concesso, dopo quello che le aveva mandato via mail.
Si grattò la nuca, cercando di trovare le parole giuste, anche se aveva lo stomaco completamente sottosopra. Non gli piaceva mettere zizzania. Per niente. «Minori, io…»
«Che significa questo?» Fu la donna a parlare, sollevando un paio di fogli, e Iwaizumi li riconobbe subito: erano i documenti che le aveva mandato, gli stessi che aveva lui proprio lì accanto. «Se è uno scherzo, non è per niente divertente, Iwaizumi!»
Da quando la conosceva, non l’aveva mai chiamato per cognome, e questo significava che non era solo arrabbiata: era furibonda, e adesso Hajime non era più tanto sicuro di essere pronto a un suo scatto d’ira.
Non era la stessa ragazza che, timidamente, gli aveva chiesto di uscire. Non era la stessa donna che aveva sposato. Non era la stessa donna che, distesa su un lettino d’ospedale, gli sorrideva, mentre lui teneva la loro figlioletta in braccio.
Era diversa. Era troppo simile alla donna che l’aveva umiliato, schiaffeggiandolo.
Prese un bel respiro, guardandola negli occhi, serio. «Non è uno scherzo, Minori…» disse, pacatamente. «Tutto quello che c’è scritto lì è la pura verità!»
«Ti rendi conto che stai infamando i miei genitori?» disse la donna, la crocchia che teneva legati i suoi bei capelli color oro adesso completamente sfatta. «Come ti permetti, dopo tutto quello che hanno fatto per te?»
Iwaizumi si lasciò sfuggire una mezza risata. Certo, lei credeva che avesse ottenuto il lavoro da giornalista per merito loro, non sapeva che quel posto aveva dovuto guadagnarselo con il sudore e la fatica, lavorando prima in sala stampa, a contatto con i macchinari. Non sapeva che era stato merito solo ed esclusivamente di Tomoko se lui era riuscito a mandare qualcosa a Ooashi-sensei. Lui le aveva fatto credere che i suoi genitori fossero degli eroi, quando invece…
«E adesso? Perché questa risata?» La sua voce era simile al veleno che un serpente rilascia sulle sue prede.
Iwaizumi si prese un attimo prima di parlare. «I tuoi genitori mi hanno trovato un lavoro solo per tenermi occupato.» Alzò la mano, in modo che Minori capisse che doveva lasciarlo continuare. «Non gliene importava nulla del fatto che volessi fare il giornalista, è stato solo un caso. Cercavano un addetto alla stampa, e l’hanno trovato. Sono diventato un giornalista solo perché Tomoko ha mandato un pezzo al mio capo redattore.»
Minori rimase in silenzio, la bocca semi spalancata, la sua mente che cercava di elaborare quello che aveva appena detto il ragazzo.  
«E non volevano neanche che io pagassi gli alimenti, se proprio vogliamo essere sinceri…» aggiunse, quello che aveva tenuto dentro per anni che veniva finalmente fuori.
«Cosa?» disse lei, incredula.
«È così, a quanto pare il mio misero stipendio non vale quanto la loro pensione. I miei soldi sono troppo… sporchi
Hajime si ricordava ancora le parole che gli aveva detto la madre di Minori, dopo che gli aveva dato uno schiaffo e l’aveva minacciato di stare lontano da sua nipote.
«E riprenditi il tuo sporco denaro. Non abbiamo bisogno dei soldi di un pezzente come te!»
Minori non aveva mai sospettato nulla. E come poteva?
Se i suoi genitori avessero detto qualcosa sul fatto che la loro nipotina vedeva quel pezzente di suo padre ogni sera, tramite il computer, sarebbero stati troppo sospetti; se avessero detto qualcosa sul fatto che Hajime si era presentato al compleanno di Akane su invito di Minori, sarebbero stati troppo sospetti; se avessero insistito per non mandare la bambina da lui, per Natale, sarebbero stati troppo sospetti.
Eppure, Hajime si ricordava ancora lo sguardo che gli avevano rivolto, quando Minori l’aveva fatto accomodare in casa. Gli occhi grigi di quella donna avevano la capacità di raggelarlo sul posto. Lo sguardo di puro odio del padre aveva la capacità di farlo sentire piccolo e insignificante come un insetto.
Anche per questo motivo Hajime non era lì, a festeggiare i cinque anni di sua figlia, perché era già venuto una volta, e tanto bastava. Non doveva succedere più.
Abbassò lo sguardo, gli occhi di Minori che si erano riempiti di lacrime, come se stesse maturando in lei una nuova consapevolezza che però tentava di scacciare con tutte le sue forze. Provava una profonda stima verso i suoi genitori, due violinisti come lei che, fin da quando era piccola, le avevano insegnato l’amore per la musica. Eppure, adesso che ci pensava… ogni volta che provava a dire che avrebbe voluto fare un altro mestiere, da grande, le loro espressioni si facevano cupe, severe…
«Ti rendi conto di cosa stai insinuando?» disse, la voce che tremava. Non riusciva neanche ad alzarla. Prese nuovamente i fogli, quasi sbattendoli sullo schermo. «Ti rendi conto che stai insinuando che i miei genitori avrebbero truccato il mio provino per l’orchestra di Tokyo?»
Ecco su cosa avevano indagato lui e i giovani giocatori di pallavolo in quegli ultimi giorni. Hajime già sapeva che i genitori di Minori avevo chiesto a una loro vecchia conoscenza di truccare il provino, in modo che non venisse presa come membro dell’orchestra e che, di conseguenza, fosse costretta ad accettare l’incarico ad Osaka. Non avevano avuto esitazione a dirglielo, quando li aveva sentiti parlare, e gli avevano sputato addosso il loro disprezzo e il loro desiderio di tenerlo il più lontano possibile da Akane.
Iwaizumi si toccò la guancia, sentendola ancora bruciare per via dello schiaffo, gli occhi lucidi e carichi di odio piantati in quelli grigi e piccoli della donna, così simili a quelli che aveva adesso davanti.
«Hai già rovinato la vita di mia figlia, non ti permetterò di rovinare anche la vita di mia nipote!»
Chiuse la mano a pugno, imponendosi di rimanere calmo, anche se ogni cellula del suo corpo sembrava tremare per via della tensione. Del resto, sapeva benissimo che la sua parola sarebbe stata contro quella dei due idoli per eccellenza di Minori, i suoi genitori, e Hajime odiava con tutto se stesso questa situazione. Nessuno dovrebbe essere portato a odiare i propri genitori. Nessuno dovrebbe impedire a un padre di vedere la propria figlia, per questa ragione aveva chiesto aiuto a Bokuto e Kuroo, in modo da poter avere qualche prova da tenere in mano, in modo da poter dimostrare alla sua ex-moglie quanto in realtà quei due fossero dei farabutti. In modo da aprirle gli occhi.
Tirò su col naso, gli angoli degli occhi che pizzicavano. «Te l’ho detto, tutto quello che è scritto lì è la pura verità» disse, piano, sentendo il petto improvvisamente pesante.
«E io dovrei crederci?» domandò la ragazza, retorica. «Perché i miei genitori avrebbero dovuto farti una cosa del genere?»
«Perché mi odiano, cazzo!»
Iwaizumi non aveva mai alzato la voce con lei, e adesso Minori lo stava guardando con gli occhi colmi di stupore, mentre quelli del ragazzo stavano cominciando a inumidirsi.  Era riuscito ad ammetterlo ad alta voce, finalmente. Anni e anni di soprusi, insabbiati solo per non far dispiacere Minori e sua figlia. Solo per non rovinargli la vita.
Hajime si era sempre sentito in colpa, per qualsiasi cosa, come se trasportasse una croce sulle sue spalle, come se fosse stato marchiato a vita e tutti potessero vedere i segni lasciati dai suoi errori. Era come se non accettasse di essere umano e di poter sbagliare. Come se non accettasse quello che gli era stato dato dalla vita, anche se forse era troppo poco, ma era ugualmente importante. Da quando i suoi genitori se n’era andati, il mondo per lui era definitivamente crollato, non importava se c’erano delle persone accanto a lui pronte a proteggerlo.
Le uniche persone che l’avevano fatto sentire davvero al sicuro erano davvero poche. E Oikawa era una di queste.
Le parole dette dai genitori di Minori, dai nonni di Akane, l’avevano convinto a tal punto che sì, credeva seriamente di essere un male per la gente che lo circondava.
Smetteva di crederci solo quando vedeva Akane sorridere. Smetteva di crederci solo quando vedeva Oikawa sorridere al suo indirizzo.
Perché era colpa di quelle sue maledette paure se aveva fatto soffrire Oikawa.
Tenne la testa bassa, cercando di immettere nei polmoni quanta più aria possibile, le mani che gli tremavano, mentre Minori continuava a fissarlo con un’espressione di puro sconcerto.
«Io non sono mai stato un buon partito, per te» cominciò Iwaizumi, fissando con serietà la donna che, un tempo, era stata sua moglie. «Insomma, guarda Katsu: è un ottimo violinista, i suoi genitori lavorano in banca, era ovvio che avrebbero approvato di certo! Ma io? Io per loro sono solo il ragazzino orfano la cui più grande ambizione era fare il giornalista sportivo!» Rimase in silenzio, la bocca impastata di saliva. «Non mi hanno mai voluto come genero, Minori. E quando sei rimasta incinta… Merda, mi sono sentito così in colpa, e… e loro mi hanno detto quello che ho sempre temuto, che ti avrei rovinato per sempre la carriera…»
Sentiva gli zigomi bagnati, la voce che andava scemando sempre più, incrinata per via dell’emozione. Immagini veloci gli passarono davanti, assieme al momento in cui lui e Minori avevano deciso che tra loro due non funzionava, che loro due non erano veramente innamorati l’uno dell’altra. Era una scelta che avevano preso insieme, nessuno li aveva costretti. Non dovevano stare assieme, se non si amavano. Tuttavia, per i genitori della ragazza era solo colpa sua, perché in realtà il suo intento era rovinarla per sempre, rovinare la loro reputazione.
Anche Minori aveva iniziato a piangere e a singhiozzare, come se quella consapevolezza fosse finalmente sbocciata in lei, e adesso vedeva le cose da una prospettiva diversa: i suoi genitori non volevano che seguisse la sua strada, volevano che seguisse la strada che loro avevano costruito per lei. E questo includeva la scelta del marito perfetto e che, di fronte alla stampa, le avrebbe fatto fare una bella figura.
«Mi sono innamorato, Minori…» disse il ragazzo, senza dare una parvenza di logicità al suo discorso. «Mi sono innamorato di un uomo…»
Lo disse tutto d’un fiato, lasciando la ragazza di stucco – come se l’intera situazione non stesse già ribaltando completamente quello in cui aveva sempre creduto. Si portò una mano alla bocca, come a cacciare dentro l’ossigeno, le lacrime che lasciavano scie bagnate sulle sue guance, e Iwaizumi la guardava come se da lei dipendessero le sorti del suo cuore. Come se lei potesse decidere se gettarlo via o ridarglielo in mano.
Abbassò la testa, stringendo poi le dita tra di loro. «Ti ricordi quando mi hai detto che credevi alla leggenda del filo rosso?» In un primo momento, la ragazza non capì, ma annuì ugualmente. «Io ti ho detto che ho sempre pensato che fosse una favola per bambini, ma… ma da quando ho conosciuto lui… sai, ho cominciato a crederci…»
Si lasciò sfuggire una risata amara, ripensando a Oikawa disteso accanto a lui, al parco, nel momento esatto in cui gli aveva confessato che la sua vita non era mai stata del tutto completa. E lui si era sempre sentito allo stesso modo.
Si era chiesto, più volte in quei giorni, che cosa sarebbe successo se loro si fossero conosciuti prima, se fossero andati nella stessa scuola.
L’avrebbe amato allo stesso modo? Probabilmente sì.
Il giornalista alzò lo sguardo, gli occhi ora gonfi e rossi, e rivide la stessa medesima espressione nel volto niveo di Minori.
«Non m’importa, i tuoi genitori possono rovinare la mia vita… ma lui è troppo importante…» disse, quasi in un sussurro. «Non posso scegliere tra lui e Akane… Non posso…»
Un singhiozzo risalì lungo la sua gola, e lui cercò malamente di sopprimerlo, mentre gli apparve in mente l’immagine di Akane che apriva appena gli occhietti ancora privi di colore e lo fissava. Le sue orecchie si riempirono della sua risata, e Iwaizumi ricordava di essersi messo a piangere come un perfetto sciocco; poi, quella stessa risata si unì a quella di Oikawa, e adesso li vedeva entrambi, mentre giocavano con le carte.
Fece un lieve sorriso malinconico, osservando il pavimento, poiché non aveva davvero il coraggio di guardare Minori in faccia.
Il motivo per cui era sempre stato restio ad ammettere i suoi sentimenti non dipendeva solo dalla paura di poter perdere per sempre Akane, ma anche dalla paura che quei due potessero rovinare per sempre la carriera e la vita di Oikawa. E lui non se lo sarebbe perdonato, né ora né mai.
«Tu lo ami?» Guardò Minori come se stesse fissando un miraggio, la ragazza che scioglieva la crocchia e inclinava la testa di lato. Non c’era più rabbia nella sua voce, solo tristezza. «Lo ami sul serio?»
Iwaizumi non esitò a rispondere. Gli passò tutto davanti, come una pellicola veloce, da quando aveva conosciuto Oikawa, fino alla sua confessione, arrivando poi al momento in cui l’aveva baciato, a casa sua. Voleva sentire ancora quel sapore sulle sue labbra.
«Sì» disse, per poi lasciarsi sfuggire una risata nervosa. «Diresti che è l’ultima persona sulla faccia della Terra di cui potrei mai innamorarmi… ma è così.»
La ragazza sorrise. Non c’era alcun segno di disgusto, perché aveva già visto quell’espressione sul volto di Hajime: avevo lo stesso sguardo quando aveva tenuto Akane in braccio. Amava sua figlia più di qualsiasi altra cosa al mondo, e lo stesso valeva per quella persona. E anche se Minori non la conosceva, era sicura che quella fosse la persona giusta per Hajime, proprio perché aveva quell’espressione. Proprio perché significava che era innamorato perso di lui, poco importava di che sesso fosse.
Rise anche lei, asciugandosi il naso con il dorso della mano, e si guardarono allo stesso modo con cui si erano guardati in ospedale, seppur tra di loro non ci fosse più l’intesa di prima, solo un sincero affetto.
«Parlerò con i miei» esordì poi Minori. «Ma sappi che hai la mia approvazione, se è questo il problema. E no, nessuno ti impedirà di vedere Akane… Nemmeno i suoi nonni…»
Iwaizumi si mise una mano davanti agli occhi, cercando di nascondere le lacrime, e si sentì improvvisamente leggero, come se fosse stato liberato da quella maledetta croce, come se le piaghe delle sue colpe si fossero finalmente rimarginate. Minori non l’odiava.
Non si era mai sentito così in vita sua.
«Grazie…» disse con un filo di voce.
Stava ancora piangendo quando sentì lo scricchiolio di una porta che si apriva, proveniente dall’altro lato dello schermo. Le lacrime gli offuscavano la vista, ma vide chiaramente Minori che voltava la testa di lato e cercava di asciugarsi velocemente il viso.
La vocetta di Akane arrivò in un secondo momento, e Iwaizumi cercò di ricomporsi come meglio poteva, prendendo profondi respiri. «Scusami se ti disturbo, mamma, ma la mamma di Akihiko vuole vederti. Mi ha portato anche un sacchetto di cioccolatini!»
«Oh, perfetto, era da parecchio che non la vedevo!» disse Minori, cercando di apparire il più allegra possibile, anche se sentiva un groppo pesante lungo la gola. «Ha il braccio ingessato?»
Iwaizumi non poteva vederla, ma era quasi sicuro che la bambina avesse annuito. «Mamma, hai pianto? Sei triste? È successo qualcosa?»
«No, tesoro, è solo che – guardò un attimo Hajime e sorrise lievemente e con tenerezza – tuo padre mi ha raccontato una cosa tanto bella!»
«E allora perché hai pianto?»
«Perché sono felice per lui!» Gli occhi verdi di Iwaizumi si spalancarono. «Sono felice perché lui ha ottenuto quello che si meritava, finalmente!»
Era sincera, e il giovane si ritrovò a sorridere a sua volta, mentre lei si alzava dalla sedia e faceva accomodare sua figlia. «Adesso sarà lui a raccontartelo!» disse, facendo l’occhiolino a entrambi. «Io intratterrò gli ospiti per un po’, okay?»
La bambina annuì contenta, anche se non era del tutto convinta dalle parole della madre. Aveva i capelli completamente sciolti e indossava un completino celeste che le calzava perfettamente. Era splendida, ma questo Hajime lo pensava sempre, e avvertì il bisogno di poterla abbracciare ancora una volta.
«Come sta andando la festa?» chiese, dolcemente.
La bambina fece un sorriso a trentadue denti, tenendo il mento appoggiato sulla scrivania. «Benissimo! Lo sai che mi hanno portato un sacco di regali? Non vedo l’ora di aprirli! Oh, e sono convita che la torta che ho fatto con la mamma sarà buonissima! Poi la facciamo assieme quando vengo da te, va bene?»
Il sorriso di Iwaizumi si aprì maggiormente. Adesso era certo che le cose sarebbero cambiate radicalmente, che avrebbe avuto più possibilità di passare del tempo con sua figlia. Per la prima volta nella sua vita, si ritrovò a pensare positivo.
«D’accordo.»
«E inviti anche Tooru-san quando la facciamo? Ti prego, sono convinta che si divertirebbe un mondo!»
Hajime spalancò appena gli occhi: non si aspettava una proposta simile, ed era convinto che sua figlia si fosse completamente dimenticata di Oikawa, presa com’era dalla sua festa di compleanno e dalle altre mille cose che aveva vissuto in quel periodo. Eppure, Akane aveva abbracciato Oikawa senza alcun problema, e questo stava a significare che per lei era più di un semplice conoscente.
Si grattò la nuca, in leggero imbarazzo. «A proposito di questo…» cominciò, la voce che vibrava appena, guardando negli occhi sua figlia, le iridi verdi che risplendevano alla luce artificiale della lampada. «Come la prenderesti se ti dicessi che mi piace Oikawa?»
Lo disse tutto d’un fiato, sembrava un palloncino che era appena stato sgonfiato, mentre sua figlia inclinava la testa di lato, perplessa. «Credevo che ti piacesse Tooru-san…» disse.
«Ecco…» Hajime chiuse le mani a pugno, cercando di trovare le parole giuste. Doveva dirglielo. Sua figlia aveva il diritto di saperlo, era pur sempre la sua consulente numero uno, no? «Se ti dicessi che provo per lui la stessa cosa che prova la mamma per Katsu… come la prenderesti?»
I secondi che seguirono – e che ci mise Akane per elaborare la notizia – furono interminabili, per Hajime. Come se ogni secondo si portasse via dieci anni della sua esistenza. Alla fine, con suo enorme stupore, sua figlia si mise in piedi sulla sedia, sbattendo le mani sulla scrivania.
«Allora si possono avere due papà?» esordì, lasciando Hajime di stucco.
«Eh?»
«L’altra volta, una hostess mi ha detto che tu e Tooru-san sembravate come due papà. Pensavo che non fosse possibile una cosa del genere, anche se mi piacerebbe un sacco avere Tooru-san come secondo papà… Ti prego, non lo dire a Katsu-san!» La bambina era sovraeccitata mentre parlava, come se l’idea di poter vedere Oikawa al fianco di suo padre stesse finalmente prendendo forma.
Katsu l’aveva in parte cresciuta, era sempre gentile e buono con lei, ma Tooru… con lui  aveva provato una complicità che aveva con una sola persona su questo pianeta: suo padre. Per questa ragione l’idea che potesse divenire come un secondo padre non le dispiaceva affatto. Anzi, era come se un desiderio oltremodo impossibile si stesse invece realizzando.
«Oh, papà, sono tanto contenta! Tooru-san mi piace un sacco, e quando sei con lui sei più felice, sai? Quando ti vedevo con Tomoko-san, invece, eri molto triste… Ti prego, non dirlo nemmeno a lei, le voglio un sacco di bene, però…» Akane non riuscì a continuare la frase, poiché fu interrotta dalla successiva risata del padre.
Una risata liberatoria, che cancellava per sempre tutti i suoi timori, tutte le sue preoccupazioni, la sua paura di non riuscire a fare abbastanza e di essere un peso per tutti.
La sua famiglia voleva che fosse felice. Sua figlia voleva che fosse felice.
«Papà, perché piangi?» chiese la bambina, incrinando la voce. «Riguarda qualche cosa che ho detto?»
Hajime si asciugò le lacrime di gioia che gli avevano solcato le guance, sorridendo alla figlia e cercando di rassicurarla. «Sono sollevato. Credevo che mi avresti odiato perché mi sono innamorato di Oikawa.»
«Cosa?» disse lei, quasi indignata. «E perché? Io voglio che tu sia felice!»
Cercò di trattenersi dal ricominciare a piangere, sorridendo ancora e ancora, ricambiando quel sorriso a trentadue denti che aveva davanti. Avrebbe voluto dirle che era la cosa più preziosa al mondo, l’unico motivo per cui si svegliava ogni mattina da quando era nata. E adesso, anche Oikawa sarebbe diventato qualcun altro da proteggere, il suo più grande tesoro.
«Ti prometto che faremo quella torta tutti e tre assieme.» S’interruppe, come se gli fosse balenata in mente un’idea. «Anzi, sai che ti dico? Glielo proporrai tu domani stesso, durante la videochiamata, che ne pensi?»
«Che sarebbe bellissimo, papà!»
Era sicuro che Oikawa ci sarebbe stato l’indomani, quando padre e figlia avrebbero parlato su Skype. Perché, non appena avrebbe chiuso la chiamata, sarebbe subito schizzato fuori per andare a parlare con lui. 




Aveva cominciato a tuonare e a piovere a dirotto da una mezzoretta circa. Tomoko era in piedi, davanti alla finestra, mentre fissava le gocce di pioggia che lasciavano una scia bagnata sul vetro, la luce arancione del lampione che si accendeva a intermittenza. Dovevano ripararla da un paio di settimane.
Sua madre stava lavorando, era leggermente in ritardo rispetto alla scadenza e il capitolo non era del tutto pronto, ma non per questo era meno serena del solito. Aveva imparato a gestire la sua terribile ansia, e adesso stava ascoltando della musica, probabilmente una qualche boy band che aveva apprezzato molto da giovane.
Non si accorse di lei mentre si sedeva sul cuscino, la tazza bianca in ceramica posata sul tavolo e colma del tè verde che si era preparata qualche minuto prima. L’aveva lasciata a riposare un po’, rimanendo ipnotizzata da quello spettacolo così suggestivo.
Sbuffò. Non era triste, anzi, da quando aveva avuto quella specie di rottura con Hajime si sentiva molto più tranquilla, come se fosse stata la svolta necessaria alla sua monotona vita. Tuttavia, il ragazzo non l’aveva più contattata, e lei non se l’era sentita di mandargli un messaggio per sapere come stesse, temeva solo di peggiorare le cose e di renderlo più confuso.
Doveva capire da sé quello che provava veramente.
Bevve un sorso di tè, e quasi come se le avesse letto nel pensiero, il suo telefono cominciò a vibrare, la chiamata fatta da Iwaizumi che aspettava di essere agganciata. Tomoko quasi si strozzò, ma riuscì a prendere al volo il telefono, rispondendo con affanno.
«Pronto?» Uno scrosciare lontano interferiva con la chiamata. «Pronto? Hajime?»
«Tomoko…?» Il ragazzo parve cadere dalle nuvole, come se non riuscisse a credere di poter sentire la voce della ragazza. «Grazie di aver risposto…» 
«Si può sapere dove sei? Ti sento malissimo!»
«Sono per strada...»
«Per strada?» La ragazza si alzò nuovamente in piedi, scostando la tenda. «Hajime, sei impazzito? Dove vuoi andare con questo tempaccio?»
Il ragazzo non rispose subito. Respirava con affanno, Tomoko poteva sentirlo benissimo, e a giudicare dagli altri rumori che provenivano in sottofondo il ragazzo non era nemmeno chiuso in macchina. Era letteralmente per strada.
Beh, almeno non guidava con il telefono in mano.
«Devo andare da lui…» disse, quasi sussurrando, e Tomoko credeva di essersi sbagliata. Si fece rigida, come se aspettasse, trepidante, un altro segno da parte del ragazzo. Segno che non tardò ad arrivare. «Devo dirgli che lo amo, Tomoko…»
La giovane giornalista sorrise. L’aveva capito, finalmente, anche se ce ne aveva messo di tempo. Qualsiasi cosa avesse voluto raccontarle Hajime, sarebbe comunque stata pronta ad ascoltarlo. Lo conosceva troppo bene, se lui si metteva in testa una cosa, niente e nessuno poteva fermarlo. Se esitava, era perché c’era qualcosa che lo turbava.
«E allora perché stai chiamando me?» disse lei, canzonandolo.
«Perché mi sono perso.» La ragazza sbarrò gli occhi. «Volevo prendere la macchina, ma poi ho cominciato a correre senza che lo volessi… Merda, si è pure messo a piovere!»
Si avvicinò alla scrivania della madre, il piccolo portatile aperto e semi sommerso da una marea di fogli, strappandolo dalla grinfie del genitore, che non mancò di mostrare il suo disappunto. Solo allora si accorse che la figlia stava parlando al telefono, e cogliendo degli sprazzi di quella bizzarra conversazione intuì che stava dando indicazioni a Iwaizumi su un certo posto, non sapeva bene quale. La ragazza le fece cenno, dicendole che le avrebbe spiegato dopo.
«Sulla destra dovrebbe esserci una scorciatoia. Arriverai in una quindicina di minuti» disse poi, la schermata di Google Maps aperta davanti agli occhi.
«Perfetto, grazie!» Esitò un attimo. «Tomoko… Io ti devo delle scuse…»
«Hajime, ti ho già detto-»
«No, lasciami parlare!»
La ragazza rimase sorpresa, scoccando un’occhiataccia a sua madre, che si era letteralmente appiccicata alla sua faccia per ascoltare anche lei quello che avesse da dire il ragazzo. Alla fine, fu costretta a mettere il vivavoce, attendendo che il ragazzo formulasse una qualche frase.
«Sono stato meschino con te, e tu non ti meritavi tutto questo.» Prese un bel respiro. «Sei una persona splendida, Tomoko. Sei brillante… e divertente… e porca la miseria, sei stata capace di farti amica la persona più burbera e antipatica dell’universo!»
La ragazza si mise a ridere, gli angoli degli occhi che pizzicavano, mentre sua madre le accarezzava la schiena, sorridendo a sua volta.
«Non ti permetto di pensare che rimarrai da sola, okay? Non te lo permetto!» le disse con voce severa, ma non troppo da risultare un rimprovero. «Probabilmente incontrerai una persona che saprà apprezzarti come io non sono riuscito a fare e che mi darà del cretino per essermi lasciato sfuggire una come te!»
Tomoko tirò sul col naso, asciugandoselo poi con dorso della mano. «Questo è un modo carino per chiedermi se siamo rimasti amici, Iwaizumi Hajime?» chiese, senza cercare di far trasparire quanto avesse pianto mentre lui aveva parlato.
«Ti prego, non sono proprio capace a farmi degli amici… Sono già fortunato se gli amici di Oikawa non mi hanno pestato a sangue!»
Si mise a ridere, e lei non poteva vederlo, ma Hajime era felice di sentirla ridere così. Significava che non era triste, dopotutto.
Tutto si stava aggiustando, piano piano, e Iwaizumi ancora non riusciva a crederci.
«Sì, Hajime, siamo ancora amici!» Rimase un attimo in silenzio. «Adesso basta perdere tempo con me, devi andare a riconquistare il cuore di Oikawa, perciò muoviti!»
Sì, tutto stava decisamente tornando al suo posto. Mancava solo l’ultimo tassello.




Era seduto all’angolo del divano, le mani sulle ginocchia, rigorosamente portare al petto. Stava sempre seduto così, nell’ultimo periodo, quasi come se potesse nascondersi per sempre dalla faccia della Terra. Quasi come se potesse sparire per sempre dalla vita di tutti. Era un peso per chiunque, oramai.
Sbuffò, i canali televisivi che ogni tanto saltavano per via del brutto tempo, e afferrò il cellulare. Aprì Line, la schermata delle chat che gli apparve davanti. L’ultima persona con cui aveva parlato era stata Eiko, e di seguito trovò subito il gruppo che aveva creato Bokuto con lui, Kuroo e Ushijima, che rispondeva di rado.
Osservò la foto che aveva la ragazza, accompagnata da alcune sue amiche. Gli aveva confessato che avrebbe voluto cambiarla e metterne una con Akio, ma fino a quando non avrebbe annunciato la loro relazione in diretta nazionale, sarebbe risultato troppo compromettente. Ed era frustante, per lei, perché avrebbe voluto fregarsene allegramente e dire che sì, era innamorata di un uomo decisamente più grande di lei.
Fece un mezzo sorriso, rileggendo quello che si erano detti a proposito di questo discorso, tornando poi indietro. Senza volerlo, il suo dito scorse le varie chat, arrivando a quella che aveva avuto con Iwa-chan quasi un mese prima.
Il suo volto si fece improvvisamente serio, mentre guardava la fotografia che il ragazzo aveva con sua figlia.
Non poteva continuare così. Non poteva continuare ad essere un peso per tutti. Non poteva continuare ad aspettare una persona che, in realtà, non lo voleva nella sua vita. Doveva andare avanti. Doveva cercare qualcuno che avrebbe cancellato per sempre il suo amore per Iwa-chan.
Stava per eliminare la chat, quando qualcuno bussò freneticamente alla porta, come se un bue impazzito avesse preso la ricorsa e fosse andato a sbattere contro la porta. Oikawa trasalì, spegnendo la televisione. All’inizio credeva di essersi sbagliato, forse era stato il vento a provocare quel rumore; ma subito dopo sentì il campanello suonare, accompagnato da quel bussare insistente, e a quel punto si disse che qualcuno stava decisamente smaniando per entrare.
«Chi diavolo…?» disse, lasciando il cellulare sul tavolino basso.
Ottenne subito la sua risposta.
«Oikawa, apri la porta!»
Conosceva perfettamente quella voce. Raggelò sul posto, come se le sue vene fossero state ricoperte da un sottile strato di brina, il cuore che batteva dentro le sue orecchie e contro la cassa toracica. Aveva paura di collassare da un momento all’altro, e si avvicinò alla porta con cautela, reggendosi a tutto ciò che poteva.
Si mise le scarpe e guardò dall’occhiello della porta, trattenendo poi il respiro.
Era lui. Era Iwa-chan.
Cosa… cosa ci faceva lì? Come diavolo aveva fatto ad entrare?
Aveva… aveva scavalcato il cancello?
Si girò, aggrappandosi alla porta e imponendo ai suoi muscoli di non cedere alla tentazione di aprirgli e di gettargli le braccia al collo.
«Oikawa – bussò ancora, e quel rumore gli rimbombò dentro il cervello –, ti prego, apri!»
Strisciò contro la superficie, rannicchiandosi per terra e cominciando a singhiozzare, piano, in modo da non farsi sentire. Dio, quanto gli era mancata la sua voce. Avrebbe voluto sul serio aprire la porta e stringerlo a sé, sentire l’odore della sua pelle addosso, ma quel minimo di razionalità che gli era rimasta lo costringeva a stare fermo.
Non poteva soffrire ancora. Non ce l’avrebbe fatta questa volta, non si sarebbe limitato a un semplice scottatura, sarebbe morto bruciato. E non poteva. Ne aveva abbastanza.
«Ti prego…» Il cuore di Oikawa si incrinò per un attimo. Lo stava implorando…?
«Sono stato un bastardo, lo so, e tu...» s’interruppe un attimo, come se stesse cercando di riprendere fiato. «Ti meriti decisamente qualcuno migliore di me, okay?»
Sentì la fronte del ragazzo che sbatteva contro la porta, mentre Oikawa lo ascoltava parlare, gli occhi completamente spalancati. Si diede un pizzicotto sulla guancia, rendendosi conto che no, non stava sognando.
«Ho mentito» disse, la voce un po’ roca. «Quella sera, al parco, ho mentito. Non è vero che non ho mai avuto la sensazione che qualcosa mancasse nella mia vita. L’ho sempre avuta. Sempre. Come se avessi perso qualcosa e non me ne fossi accorto. Solo che, col tempo, non ci ho più fatto caso.» Gli sfuggì un singhiozzo, e Tooru pensava di stare per impazzire. Stava piangendo. Iwa-chan, la persona più seria di questo mondo, stava piangendo per lui. «Pensavo che fosse qualcosa legata alla perdita dei miei genitori, che non se ne sarebbe andata mai, eppure… da quando ho incontrato te, non l’ho più avvertita. E per colpa tua, mi sono convinto che questo è successo perché non ci siamo incontrati prima. Per colpa tua, ho cominciato a farmi anch’io tutti quei film mentali assurdi su noi che andavamo nello stesso liceo, che giocavamo nella stessa squadra, e tutte le stronzate che mi hai detto! Per colpa tua, cazzo, ho cominciato a credere a quella stupidissima leggenda del filo rosso, sulle persone che sono destinate assieme, e…»
Seguirono dei lunghissimi attimi di silenzio, in cui Oikawa credette di essersi immaginato tutto e di essere diventato completamente matto; invece, sentì la risata un po’ roca di Iwaizumi arrivargli alle orecchie e mai, mai avrebbe detto che c’era un suono migliore di quello.
«Spero che tu sia in casa, perché non lo ripeterò un’altra volta…» disse, sovrastando la pioggia che continuava a scrosciare. «Oikawa Tooru sei la persona più fastidiosa che io abbia mai conosciuto. Ti lamenti per qualsiasi cosa, ti comporti come un bambino e fai sempre il cascamorto con la prima fan che ti passa davanti… Però ti amo anche per questo…»
Il castano trattenne il fiato. Aveva detto che… aveva sul serio detto che…
«Quella sera, quando ti ho baciato, avrei voluto dirtelo» continuò. «Avrei voluto dirti che preferisco di gran lunga il sorriso che fai quando stai con me, rispetto a quello che fai davanti alle telecamere. E che ero stanco di farti soffrire così…»
Tutto rimase immobile dopo quella dichiarazione, i muscoli di Oikawa che divennero pietra, la mente pesante come un macigno, mentre registrava le parole del giornalista.
Lui ha detto che…
Ha detto…
Cazzo, ha detto che mi ama!

Si alzò in piedi, aprendo in tutta fretta la porta, e lo vide lì, sulla soglia, completamente fradicio. E anche così, con quello sguardo stralunato e che lo guardava come se fosse un’illusione ottica, era la cosa più bella che avesse mai visto nella sua vita, mai come in quei giorni grigi e spenti.
«Ciao…» disse, gli occhi smeraldini lucidi e il fiato che gli usciva in pesanti respiri. Rimase immobile per paura di fare qualche mossa azzardata, ma non ce ne fu veramente bisogno.
Oikawa si gettò tra le sue braccia, stringendolo per non lasciarlo più andare via, perché quello non era sogno, quello era il vero Iwa-chan e gli aveva appena detto che l’amava.
«Hajime…» mormorò tra un singhiozzo e l’altro, nascondendo il viso nella curva del suo collo.
«Sì, sono qui…» gli disse, quando riuscì a riprendere fiato, ancora incapace a credere che stesse abbracciando Oikawa e che quest’ultimo stesse singhiozzando freneticamente contro la sua spalla.
Strinse tra le dita il cardigan di lana che il castano portava addosso, chiudendo gli occhi, nuove lacrime che cominciarono a solcargli le guance, assieme alle gocce di pioggia che gli bagnavano il viso. «Ti amo Tooru… ti amo… ti prego, perdonami…»
Lo continuò a ripetere più e più volte, abbracciando con sempre più forza quel corpo caldo e che tremava contro il suo.
In quel momento, tutto quello che c’era stato prima non contava più nulla. Erano lì, assieme, stretti l’uno all’altro, ed era bellissimo.
Fu Oikawa a spostarsi, scostando poi le ciocche bagnate dal viso del ragazzo per guardarlo meglio. Aveva gli occhi gonfi e rossi, esattamente come i suoi, ma quelle sfumature verdi di cui si era innamorato perdutamente c’erano ancora. C’erano sempre state. Premette la fronte conto la sua, la tensione di quell’ultimo mese che fluì improvvisamente via, un ultimo tuono che si protraeva in lontananza.
«Ti amo…» sibilò Iwaizumi, tenendo sempre la fronte premuta contro quella di Oikawa, e quando lo sentì ridere ringraziò qualsiasi entità esistente per aver ricevuto il suo perdono.
Gli accarezzò la guancia con il pollice, studiando il suo volto con intensità, prima di coprire definitivamente la distanza che c’era tra loro due.
Le labbra di Oikawa avevano un sapore dolce, ora se l’era finalmente ricordato, mentre approfondiva il bacio.
Oikawa, invece, ricordava benissimo il sapore delle labbra di Iwaizumi: era aspro, deciso, esattamente com’era lui, eppure avrebbe voluto sentire quel sapore sul palato e sulla lingua per sempre, fino a che avesse avuto respiro. Lasciò che la lingua dell’altro entrasse, intrecciandosi alla sua, mentre faceva un passo indietro, dentro casa.
Fu Iwaizumi a richiudere la porta, e si staccarono solo per riprendere fiato: entrambi videro negli occhi dell’altro gli stessi medesimi sentimenti.
«Mi sento morire…» Oikawa non avrebbe voluto dirlo ad alta voce, ma se lo lasciò sfuggire ugualmente, e dall’espressione che fece Hajime capì che anche per lui era lo stesso.
Ripresero a baciarsi, disseminando i loro indumenti superiori per la casa, mentre si dirigevano verso la stanza da letto, senza mai allontanare le labbra dell’altro. 

 



~
 



[2 aprile 2017]





Iwaizumi aveva baciato ogni porzione di pelle, lasciando dei segni rossi evidenti.
Oikawa aveva graffiato quella carne bollente, e sentiva sulle mani quel profumo che era capace di mandarlo in confusione in un millisecondo.
Aveva pianto per tutto il tempo, mentre Hajime lo guardava e gli diceva, ogni volta che poteva, che l’amava. Come se dovesse recuperare del tempo che aveva inevitabilmente perso.
Era così diverso dal giornalista che aveva conosciuto la prima volta, in quel bar. Era diverso dal solito Iwa-chan.
E non era una cosa così negativa.
Lo aveva trattato come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Come se dovesse proteggerlo. Come se fosse finalmente riuscito ad averlo per sé, e adesso non se lo sarebbe più lasciato scappare. Non avrebbe commesso lo stesso errore.
Entrambi ansimarono, si lasciarono sfuggire qualche gemito, mentre sentivano che il cuore dell’altro batteva allo stesso identico ritmo del proprio.
Quando Hajime venne dentro di lui, Oikawa si era lasciato sfuggire un suono gutturale, reprimendo un singhiozzo.
L’avevano fatto. Avevano fatto l’amore e Hajime era ufficialmente suo.
Hajime voleva essere suo e di nessun altro.
Aveva fatto un mezzo sorriso – uno di quelli che quasi lo facevano morire –, per poi asciugargli le lacrime e stringerselo addosso.
Oikawa aveva un buon profumo. Sapeva di… casa, affetto, amore…
«Mi dispiace…» aveva detto, ispirando ancora una volta quel profumo, e il castano non sapeva perché si stesse scusando.
Per quello che era successo? Perché pensava di avergli fatto male?
Si era solo limitato a scuotere il capo, chino sulla spalla del giovane, continuando a singhiozzare come un bambino. Un bambino finalmente felice.
Poi, più nulla.
Oikawa, semplicemente, si svegliò, le tende della finestra tirate e il sole che gli feriva gli occhi. Si guardò attorno, frastornato, il panico che cominciò a strisciare come una biscia dentro di lui. 
Era stato tutto troppo intenso. Non poteva… non poteva essere un semplice sogno…
L’altro lato del letto era vuoto, ma sfatto, e se Tooru passava le dita tra le pieghe sentiva che il tessuto era caldo, come se qualcuno avesse effettivamente riposato lì.
Che Iwa-chan se ne fosse andato?
Si morse il labbro inferiore. Certo, non poteva chiedere di più da Iwaizumi, del resto.
La porta della stanza scricchiolò e il ragazzo alzò di scatto la testa, trovandosi davanti Iwaizumi, due tazze fumanti in mano. Indossava soltanto i boxer, e lo stava guardando con gli occhi colmi di stupore: forse, non si aspettava di trovarlo sveglio, e Oikawa di certo non si aspettava di trovarlo lì.
Era rimasto.
«Buongiorno…» mugugnò, scostando lo sguardo.
«Buongiorno» disse Oikawa, inclinando la testa di lato e sorridendo, un sorriso che lasciava intendere quanto in realtà fosse felice della sua presenza.
Rimasero in silenzio, in estremo imbarazzo, prima che Iwaizumi si sedesse a letto e gli porgesse la tazza. «Ci ho messo un po’ per capire come funziona la tua macchinetta per il caffè… Spero vada bene…»
Il castano bevve un sorso del suo caffè macchiato, sorridendo, le labbra premute contro il bordo caldo. «Va benissimo, grazie.»
Calò nuovamente il silenzio, entrambi senza sapere che cosa dire, anche se c’era davvero tanto di cui parlare.
Stavano ufficialmente assieme, adesso? Oikawa era ancora arrabbiato? Perché Iwaizumi si era comportato così nei suoi confronti?
Il giornalista guardò con la coda dell’occhio il ragazzo, accorgendosi che il rossore sulle sue guance si era protratto anche sulla punta dell’orecchie, e il suo cuore perse un centinaio di battiti.
Stava per aprire bocca, ma fu Oikawa a precederlo. «Credevo te ne fossi andato…»
Il ragazzo richiuse la bocca, accorgendosi che quel sorriso non era sparito per niente, le labbra ancora tenute sul bordo in ceramica. Si era addormentato con lo stesso medesimo sorriso.
Non era la prima volta che Hajime dormiva con qualcuno, ma era la prima volta che dormiva con qualcuno che… sì, insomma, che amava veramente.
«Mi sento morire…»
«Ti… – esitò un attimo, la gola arsa come il deserto del Sahara, mentre il ragazzo si voltava a guardarlo – ti ho fatto male?»
Oikawa sbatté gli occhietti, per poi sorridere nuovamente. «Un po’» ammise. «Ma non è niente, tranquillo!»
Iwaizumi abbassò la testa, scrocchiandosi le dita, alla ricerca di un modo facile e indolore per spiegargli il motivo del suo pessimo comportamento. Del perché avesse atteso così tanto per confessargli quello che provava veramente.
«Però adesso capisco che cosa provano le ragazze.» Il giovane alzò la testa, perplesso. «È imbarazzante dover allargare le gambe…»
Iwaizumi alzò un sopracciglio. «È una questione biologica, Shittykawa.»
«Quindi mi stai dicendo che sostieni che noi siamo contro natura?»
«Non ho detto questo!»
«Facciamo così, la prossima volta sarai tu a dover allargare le gambe, mh? Così capirai che cosa significa!»
Nel momento in cui vide il volto del ragazzo farsi più cupo, Oikawa credette di aver sbagliato a dire quella frase. Era tornato ad essere l’Iwa-chan che gli aveva detto che non voleva più avere contatti con lui, che sosteneva di amare Tomoko quando in realtà… non era vero.
«La prossima volta?» La voce gli tremava. «Vuoi… vuoi seriamente stare con me?»
Oikawa posò la tazza sul comodino, facendosi più vicino al ragazzo, che fece i suoi stessi gesti. «Certo» disse, ammorbidendo il suo sorriso.
«Dopo tutto quello che ti ho fatto?»
Un brivido gli percosse la schiena. «Tu non vuoi stare con me… vero?» disse, la voce rotta dal pianto.
Iwaizumi ci mise un po’ a rispondere, poiché il suo respiro si era fatto più pesante e non riusciva seriamente a parlare. Alla fine, calò le labbra su quelle di Oikawa, in un bacio lungo e che sapeva di panna, caffè e zucchero.
«Ti devo delle spiegazioni…» disse, dopo che si furono staccati, ansimando leggermente. «Non posso vivere con il rimorso per quello che ti ho fatto…»
Aveva la fronte premuta contro quella del castano, gli occhi color cioccolato che brillavano alla luce del sole, e sentì le lunghe dita del setter che stringevano le sue. «Okay…» sussurrò, come a dire che era pronto ad ascoltarlo.
E senza mai staccarsi, senza mai spostare lo sguardo da quegli occhi bellissimi, Iwaizumi raccontò tutto fin dal principio. Raccontò quei retroscena che Oikawa  non sapeva, raccontò dei genitori di Minori che lo detestavano e che l’avevano per giunta picchiato; raccontò delle minacce e dei metodi meschini che l’avevano fatto allontanare da Akane. E gli occhi di Oikawa si fecero sempre più grandi ogni volta che il ragazzo diceva qualcosa di nuovo.
Ora capiva. Ora capiva tutto.
Si guardò il polso, il nastro giallo e blu stretto per bene. «Perché… perché non me l’hai detto?» disse, interrompendolo mentre stava ancora parlando.
«Perché avevo paura…» ammise, quasi come se fosse una colpa. «Perché non volevo rovinarti la vita…»
Ci fu un attimo di silenzio. «Rovinarmi la vita?» domandò, retoricamente, l’alzatore. «Hajime, tu sei praticamente l’unica cosa che rende la mia vita decisamente completa, perché pensi che potresti rovinarmela?»
Gli occhi di Iwaizumi pizzicavano, e sentì il bisogno di staccare la fronte da quella dell’altro, anche se le dita erano ancora intrecciate tra loro. «Tu non li conosci… ti avrebbero distrutto la carriera…»
«Ah, ci devono anche solo provare!» esclamò.
«E mi avrebbero costretto a scegliere tra te e Akane…»
Il respiro gli morì in gola, osservando Iwa-chan che, con tutto se stesso, stava cercando di non piangere, di non piegarsi un’altra volta.
Ecco. Era questo l’Iwa-chan che avrebbe voluto conoscere. Quel bambino fragile che non aveva avuto modo di consolare.
«E io non posso scegliere tra te e lei…»
Due lacrime sfuggirono al controllo del setter, e se le asciugò con la spalla, perché era troppo bello tenere le mani intrecciate a quelle calde di Iwaizumi.
Hajime non l’odiava.
Hajime aveva sbagliato, certo, aveva scelto Tomoko credendo che, stando con lei, non avrebbe avuto problemi, ma si sbagliava.
Hajime l’amava.
Hajime non poteva scegliere tra le due persone più importanti della sua vita.
«Non ti facevo così, Iwa-chan» disse, facendo alzare lo sguardo al ragazzo. «Ho sempre pensato che fossi un gorilla insensibile, brutale e assolutamente incapace di provare empatia.» L’altro stava per protestare, ma Oikawa continuò. «E, invece, quando ti ho visto giocare con tua figlia… ho visto un Iwa-chan diverso, gentile, altruista, che si preoccupa sempre per gli altri…»
I loro occhi si incontrarono, e attuarono quel gioco di sguardi che solo loro sapevano fare. Gli era mancato da morire.
«Non ti devi preoccupare per me, okay?» Gli prese il viso tra le mani, e sentì quelle dell’altro che andavano a posarsi sul dorso, carezzando quella pelle candida e ruvida. «Qualsiasi cosa accadrà, in futuro, la supereremo assieme... E sappi che farò di tutto per impedire che ti portino via Akane… Anzi, sai che ti dico? Più tardi chiamo il mio avvocato-»
Oikawa non riuscì a finire la frase, le labbra di Iwaizumi che gli impedivano di parlare, e si rese conto che avevano il sapore delle lacrime salate che il ragazzo aveva versato mentre lui straparlava.
Si staccarono, condividendo lo stesso respiro, e Hajime lo guardò negli occhi, donandogli per la prima volta il suo cuore e i suoi sentimenti in mano. «Voglio stare con te» sussurrò, sottovoce, quasi come se fosse un segreto, eppure Oikawa riuscì a sentirlo benissimo perché riprese a baciarlo subito dopo.
«Ti amo…» soffiò poi tra le sue labbra.
Si staccarono solo per stringersi in un forte abbraccio, pelle contro pelle, e Oikawa sentì la voce vibrante e profonda di Iwaizumi che diceva: “Ti amo anch’io” .
Non c’era niente di più bello di sapere che i propri sentimenti erano ricambiati.
«Allora – esordì poi, spostandosi solo per guardare Iwaizumi in viso –, devi raccontarmi altro?»
Oh, aveva ancora da raccontare parecchio: la cena con Tomoko, l’incontro con Bokuto e Kuroo, il loro preziosissimo aiuto, la chiamata su Skype e il fatto che sua figlia volesse vederlo quella stessa sera. Tuttavia, avevano ancora tutta la mattina per poterne parlare, magari mentre facevano colazione.
Iwaizumi si mise a mordere il mento del giovane atleta, stappandogli una mezza risata, seguito da un gemito, per poi passare al labbro inferiore.
«Facciamo che “la prossima volta”  è adesso?» disse, usando un tono di voce così sensuale, che Oikawa sentì la carne che si rizzava improvvisamente.
Fece un mezzo sorriso. «Significa che sei tu a stare sotto.»
«Voglio vedere se mi imbarazzerò ad allargare le gambe…»
Oikawa lo spinse contro il materasso, baciandolo con foga, entrambi senza smettere mai di sorridere.





Molto spesso, gli eventi della vita ci fanno prendere una strada diversa da quella che, in un’altra occasione, avremmo certamente seguito.
L’essere umano, però, non smette mai di chiedersi che cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente, se in una guerra avesse vinto l’altra fazione, se si fosse sposata un’altra persona, se si fosse scelto il lavoro alla famiglia.
Oikawa e Iwaizumi erano destinati a passare l’infanzia assieme, ad andare nella stessa scuola fino al liceo, dove poi si sarebbero separati per andare in università diverse.
Si sarebbero rincontrati? Questo neanche il destino lo sa, poiché le cose sono andate diversamente, e i due giovani hanno dovuto percorrere una strada piena di spine prima di conoscersi.
Su una cosa, però, il destino era assolutamente sicuro: le loro anime erano legate da un filo rosso. E non importava in quale modo si sarebbero conosciuti, che strade avrebbero percorso…
Erano comunque destinati a stare insieme.


 
[They say love is pain, well darling, let's hurt tonight 
If this love is pain, then honey let's love tonight]
 




Delucidazioni:
Vi racconto una storia. Questa storia comincia con una ragazza che, il cinque gennaio del 2017, era andata a vedere “Collateral Beauty”. Dopo essere uscita dalla sale con le lacrime agli occhi ed essere tornata a casa, ha ascoltato la canzone che faceva da sfondo a questo film. Piccolo spoiler: ha continuato a piangere come una disperata.
La verità è che quella ragazza ero io e che la canzone era Let’s Hurt Tonight dei OneRepublic, che siano fatti santi. La verità è che da questa canzone è nata questa storia e l’idea di sfruttare la leggenda del filo rosso. La verità è che questa storia è cominciata dal finale, dalla scena di Iwaizumi che corre come un matto in mezzo alla pioggia e scavalca un cancello per poter parlare con Oikawa. La verità è che io non vedevo l’ora di arrivare a questa scena, e lo so che avrei pianto con quella dannata canzone nell’orecchie. Non so voi, ma io piango rileggendo di loro due che si riappacificano con quella canzone, CHE MALATTIA.
Also, diamo un po’ di spiegazioni: dopo che Minori è rimasta incinta, la sua famiglia ce l’ha sempre avuta con Iwaizumi. Lo vedevano come il classico poveraccio senza alcun obiettivo nella vita e che avrebbe solo rovinato la carriera della figlia. Per questa ragione, non solo sono riusciti a fargli ottenere un posto di lavoro, così che gli venisse difficile spostarsi in una nuova città, ma hanno anche truccato il provino di Minori per l’orchestra di Tokyo. Facendo domanda a Osaka, Akane è cresciuta senza conoscere suo padre, se non per sentito dire. Fino all’arrivo del suo quarto compleanno, quando l’ha conosciuto di persona.
La paura di Iwaizumi stava non solo nel rischiare di perdere Akane se si fosse scoperto che era omosessuale – e che quindi avrebbe insegnato valori sbagliati alla figlia –, ma anche che la famiglia di Minori potesse rovinare la vita di Oikawa per semplice ripicca. Inolte, temeva che attuassero il giochetto del: "scegli lui o scegli lei", no okay, sono dei bastardi. 
E qui si chiude il cerchio. Alla fine, dopo tutto l’angst, le cose si sono risolte :’) *le lanciano pomodori*
Che dire, io sto ancora piangendo, non ci credo che manca solo l’epilogo… *piange più forte*
Ringrazio davvero tutte le persone che hanno commentato questa storia, sia con un recensione sia che con un semplice messaggino su Twitter. Vi amo ♥
I ringraziamenti finali li farò la prossima settimana, con l’arrivo dell’ultimo capitolo ufficiale ;)
Alla prossima,
_Lady di inchiostro_  
 
  
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