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Autore: _Pulse_    18/12/2017    1 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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Buongiorno bella gente :) Mi scuso come sempre per il ritardo, ma ne sono successe parecchie. Anyway, ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine e nel capitolo che state per leggere vedremo finalmente Alex alle prese con la sua famosa visione! Come andrà a finire? E il matrimonio, alla fine si farà oppure no? Beh, lo scoprirete solo leggendo...
Perciò grazie a chi ancora sta seguendo questa storia, non sapete quanto conti per me!
Ne approfitto anche per farvi gli auguri di Natale e di un felice Anno Nuovo :)
Buona lettura e alla prossima!

Vostra,

_Pulse_

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29. The coming of Alex


«Vorrei proporre un brindisi», esclamò Edwin alzandosi da capotavola col proprio calice di vino in mano.
Alex sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma dopo la sua ultima chiacchierata con Merlino era così devastata che non ne era più spaventata. I sensi di colpa erano spariti, schiacciati sotto il peso della paura di perderlo per sempre, e tutto il resto la lasciava indifferente.
«Ho sempre voluto il meglio per te, bambina mia. E ammetto di non aver esattamente fatto i salti di gioia scoprendo che il tuo cuore aveva scelto Merlino, ma ora... ora capisco che siete due anime affini, destinate a stare insieme. Tua madre sarebbe così orgogliosa di voi...».
Merlino, seduto al fianco sinistro di Edwin, si alzò a sua volta e gli strinse una spalla per spazzare via le lacrime che gli avevano improvvisamente inumidito gli occhi.
Il signor Greenwood sorrise imbarazzato, scuotendo il capo. «Scusatemi».
«Se ti emozioni adesso, chissà domani!», lo prese in giro Abraham dall'altro lato del tavolo, beccandosi uno scappellotto amorevole da parte di sua moglie Wanda.
Già, Alex non voleva immaginare che cosa sarebbe successo se alla fine il matrimonio fosse andato a monte. Era tutto nelle sue mani, ancora una volta Merlino aveva dato a lei la responsabilità di scegliere come sarebbe stato il loro futuro.
Edwin ridacchiò. «Dov'ero rimasto? Ah, giusto. Brindiamo. A Merlino e a mia figlia, alla loro felicità».
I bicchieri dell'intera tavolata si alzarono e Alex non poté che fare lo stesso, pretendendo di essere felice e scambiando persino uno sguardo con Merlino, il quale, abituato da secoli a nascondere la sua vera natura, sembrava davvero a suo agio. Gli unici che non era in grado di imbrogliare erano Artù e Cathleen, seduti proprio di fronte a loro, i quali durante tutta la cena non avevano fatto altro che guardarli di sottecchi e poi scambiarsi occhiate, come se sapessero esattamente che quella che avevano davanti era una recita messa in piedi in fretta e furia per evitare scandali riguardanti quella complicata situazione che forse, con un po' di fortuna, poteva ancora essere risolta.
Alex buttò giù tutto il vino che c'era nel suo bicchiere (era già al terzo) e quasi rischiò di strozzarsi quando Mark iniziò ad incorare: «Bacio! Bacio! Bacio!», finendo per essere seguito da tutti i bambini e persino da Abraham e Wanda.
Sarebbe sicuramente scappata via in lacrime, se Merlino non avesse intrecciato le dita delle loro mani e cercato il suo sguardo. I suoi occhi azzurri come il cielo...
Lo stregone abbozzò un sorriso e sollevò l'altra mano per posargliela sul profilo del viso, l'avvicinò a se e la baciò delicatamente sulle labbra.
Come faceva a mentire in quel modo? Come poteva baciarla ancora, dopo aver ricevuto conferma dei suoi sospetti?
Una lacrima le scivolò sulla guancia, non poté fare nulla per impedirlo, e quando Merlino si scostò gliel'asciugò col pollice, ma Edwin notò quel gesto e per fortuna lo interpretò male, esclamando: «Vedete? Non sono l'unico ad emozionarsi!».
Alex però quasi non lo sentì, come non sentì le risate e i commenti su quanto quella scena fosse sdolcinata. Merlino l'aveva stretta a sé e con la bocca premuta contro il suo orecchio, nascosto dagli occhi di tutti, le sussurrò: «Mi dispiace, Alex. Non avevo alcun diritto di dirti quelle cose, alle stalle. Io ho mentito alle persone che amavo per anni e avevo le mie ragioni. Mi fido di te e ti amo, ti amerò sempre. Spero solo che... che mi renderai parte di tutto, un giorno».
L'infermiera rischiò ancora una volta di scoppiare in singhiozzi, perciò si aggrappò alle sue spalle ed affondò il viso nell'incavo del suo collo, stringendolo più forte che poté nel tentativo di fargli capire che odiava la situazione in cui si era cacciata e che avrebbe cercato di risolverla nel minor tempo possibile, così che potessero sposarsi serenamente e senza segreti a dividerli.
Quando si scostarono l'uno dall'altra, tra gli applausi e gli auguri della tavolata, Alex si sentì più leggera, ma fu una sensazione breve: infatti bastò incrociare lo sguardo di Artù - deluso e rattristato - perché tutto tornasse come prima, se non cento volte peggio. Il modo in cui Cathleen abbassò il capo confermò il suo più grande timore: Artù sapeva della sua possibile gravidanza. Temeva la sua reazione, forse anche più di quella di Merlino, ma da un lato sapere che non avrebbe dovuto parlargliene in prima persona la rincuorò.
Si erano appena riseduti a tavola, eccetto Wanda, Rebecca e Merlino, il quale aveva insistito per aiutare a sparecchiare nonostante fosse anche la sua festa, quando Abby attirò l'attenzione di tutti dicendo: «So che prima delle nozze si dovrebbero celebrare gli addii al nubilato e al celibato, i maschi con i maschi e le femmine con le femmine, ma che ne dite se invece facciamo una festa collettiva?».
«Che cos'hai in mente?», le domandò Cathleen, felice di potersi concentrare su qualcosa che non fosse il segreto della sua migliore amica.
«Pensavo ad un falò», rispose sorridendo a trentadue denti. «Sotto le stelle, con i marshmallow... L'ultima volta che l'ho fatto avevo sei anni».
La signora Chapman impallidì all'improvviso, ma si sforzò di sorridere e accarezzò la testa della nipote. Più o meno lo stesso accadde ad Alex, la quale stava assistendo in diretta all'avverarsi della sua visione.
La rossa si alzò in piedi, eccitata. «Idea fantastica! Io e Alex finiamo qui e ci occupiamo dei marshmellow, mentre Artù e Merlino andranno a cercare il posto adatto. Su su, andate!».
Il sovrano avrebbe ribattuto, se solo la sua ragazza non gli avesse lanciato un'occhiata truce, abbastanza eloquente, che lo convinse a seguire Merlino fuori dalla sala vuota.
«Voi bambini andate pure in salotto a giocare con Rufus, non ci metteremo molto», disse ancora.
Alex non aveva molta voglia di parlare e scoprì che, al contrario di ciò che aveva pensato, nemmeno Cathleen era dell'umore. Di solito faceva in modo di rimanere sola con lei quando voleva spronarla a fare qualcosa a cui lei si sarebbe opposta, ma quella volta doveva essere stato un caso. Il paramedico infatti non la guardò nemmeno, concentrandosi sui piatti sporchi da portare in cucina, e questo anziché tranquillizzarla la fece ancora più insospettire. Ecco di cosa si trattava! Psicologia inversa.
Sospirando, si posizionò nel lavello di fianco a quello in cui Cathleen stava sciacquando la sua parte di piatti e a bassa voce sussurrò: «So cosa stai facendo».
«Ci credo, lo stai facendo anche tu».
«Non intendo... lavare i piatti. Stai tenendo per te tutto quello che pensi nella speranza che sia io ad iniziare il discorso. Non funzionerà, Cath».
«Ah no? E come mai?».
«Beh, ho intenzione di sistemare le cose con Merlino questa sera stessa, dopo...».
Cathleen si fermò per voltarsi a guardarla, incuriosita dalla sua improvvisa interruzione. «Dopo che cosa?», la incalzò.
«Dopo il falò», concluse frettolosamente.
Ovviamente ciò che intendeva era dopo il suo incontro con quella che ormai era convinta fosse Morgana, ma non poteva dirglielo. Cathleen conosceva già un suo segreto e metterla al corrente di un altro non sarebbe stato d'aiuto. A tal proposito...
«L'hai detto ad Artù, non è vero?».
A quell'accusa il paramedico si lasciò quasi scappare dalle mani il piatto che stava sistemando nella lavastoviglie. Si risollevò in fretta e furia e la fronteggiò, o almeno aprì la bocca per farlo. Il suo volto era dello stesso colore dei suoi capelli e Alex provò addirittura tenerezza nei suoi confronti.
«Non ce l'ho con te», le disse alla fine, sorridendo.
«D-Davvero?».
«Davvero. Mi sorprende che tu abbia resistito così tanto».
«Che cosa...?».
«È la verità: sei terribile a mantenere i segreti. Prega che Artù non lo sia altrettanto, perché se si dovesse lasciare scappare qualcosa con Merlino...».
Cathleen scorse il proprio riflesso nella superficie del coltello che le aveva puntato contro e deglutì, senza capire se stesse scherzando o meno.

***

Artù guardò Merlino con la coda dell'occhio mentre si chinava a prendere un bastone abbastanza resistente per usarlo come appoggio, poi tornò ad ispezionare il terreno alla ricerca di un buon punto dove accendere un fuoco.
Si erano lasciati l'agriturismo e le stalle alle spalle, dirigendosi verso il limitare del bosco da dove quel pomeriggio avevano visto Alexandra arrivare in groppa al suo destriero nero.
Più ci pensava, meno si raccapezzava: da quando era entrata in contatto con la magia aveva iniziato a mentire, a prendere decisioni incomprensibili e ad allontanare i suoi amici; ora che sembrava sul punto di disintossicarsene perché aveva deciso di portare con sé Excalibur? E alla vigilia del proprio matrimonio per giunta! Cos'altro stava nascondendo loro?
«Artù».
L'ex-re si voltò di scatto, allarmato dal tono sofferente dell'amico, ed infatti trovò Merlino acquattato a terra, con il capo posato contro il bastone a cui era aggrappato con entrambe le mani.
«Ehi! Ehi, Merlino, stai male?». Si inginocchiò di fronte a lui e gli portò una mano sulla schiena. «Parlami».
Lo stregone respirò profondamente e quando aprì gli occhi per incrociare i suoi, Artù venne colto di sorpresa da delle iridi dorate. Fu solo un attimo però: quella stessa luce magica gli attraversò il corpo e poi il bastone che teneva tra le mani, annerendolo; infine si riversò nella terra sotto di loro, disperdendosi in un reticolo di vene sempre più sottili.
«Che cosa diavolo...?», mormorò Artù, spaventato.
«Freya», rispose debolmente Merlino, mentre un'altra ciocca dei suoi capelli si colorava di bianco. «Ha appena formulato un potente incantesimo».
«Quale incantesimo? Che intenzioni ha?».
Il mago si afflosciò, ma Artù fu abbastanza pronto di riflessi da prenderlo al volo. Si sistemò il suo capo in grembo e gli diede qualche schiaffetto in viso, esclamando: «Avanti, riprenditi. Merlino, ti ordino di riprenderti! Ti prego...».
Non poteva perderlo, aveva giurato che l'avrebbe protetto! Ma come poteva contrastare la magia? Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse stato sfrontato ed arrogante nel fare quella promessa.
Sbatté più volte le palpebre per asciugare le lacrime che minacciavano di rigargli il viso e guardò il cielo scuro ricoperto di stelle, affranto. «Ti supplico Merlino, non mi lasciare. Lo sai che sarei perso senza di te...».
«Potreste sempre trovarvi un altro George», esalò alla fine lo stregone.
Artù non riuscì a trattenere un sorriso, replicando: «Di certo mi darebbe meno noie. Tu... buffone che non sei altro!».
Con delicatezza fece per spostare il capo di Merlino per alzarsi e andare a chiamare aiuto, ma il moro gli afferrò un polso e aprendo gli occhi gli disse: «Rimanete qui, per favore. Ho solo bisogno di un momento».
Artù valutò i pro e i contro e decise che forse era meglio non coinvolgere Alex, non dopo ciò che aveva appreso da Cathleen. Aveva faticato a guardarla negli occhi a cena, come poteva rivolgerle la parola sapendo che sarebbe scesa in battaglia rischiando di mettere a rischio la vita di suo nipote?
«Va bene», rispose, posando con incertezza una mano sulla fronte di Merlino per scostargli i capelli.
Rimasero in silenzio per quella che gli sembrò un'eternità, ma una volta tanto godette di quella pace: ascoltò il vento frusciare tra le fronde degli alberi e il frinire dei grilli, seguì i movimenti di alcune lucciole e il tragitto di un aereo che per un attimo confuse per una stella cadente.
«Sembra Camelot, non è vero?», gli chiese piano Merlino ad un tratto.
Artù non incrociò il suo sguardo. «Sì, ma non lo è».
«Manca anche a me, ora più che mai. Era tutto così semplice...».
«Davvero? Mentire a tutti, mentire a me a tempo pieno lo trovavi semplice?».
Merlino abbozzò un sorriso e con uno sforzo si puntellò sui gomiti per sollevarsi e guardarlo dritto negli occhi. «Alla fine della giornata ne valeva la pena, ve l'assicuro».
«Continuo a chiedermi che cos'avrei fatto se avessi saputo prima che tu eri uno stregone, o che mi avevi visto morire per mano di Mordred».
«Mi sono torturato con questi quesiti per più di mille anni, Artù», rispose il mago, posandogli una mano sulla spalla. «Non fate il mio stesso errore».
«Ma che senso ha conoscere il futuro se non lo si può cambiare?».
«Posi esattamente la stessa domanda a Gaius quando faceste arrestare Mordred. Volete sapere che cosa mi disse?».
Artù annuì con un cenno del capo.
«Alcune trame sono così intrecciate nelle fibre del mondo che non si può fare nulla per cambiarle».
«Mi stai dicendo che quindi tutti i nostri sforzi sono inutili? Non importa quanto coraggiosamente combatteremo, quello che succederà è già scritto?».
Merlino sospirò, rispondendo: «Probabilmente». Quindi usò la spalla di Artù come sostegno e con l'ennesimo sforzo si alzò. Si spolverò i vestiti e gettò via il bastone ormai carbonizzato, avviandosi lentamente verso il limitare del bosco, dove aveva visto dei tronchi che avrebbero potuto usare come panchine naturali.
«Se è davvero così... sono grato che tu non mi abbia mai detto nulla riguardo alla mia morte. Forse avrei potuto salvarmi, ma a quale costo?».
Merlino si girò e lo sguardo che gli rivolse, pieno di dolore e rimorso, lo ferì più di mille spade.
«Il peso che hai portato sulle tue spalle... Non oso nemmeno immaginarlo».
«Il passato è passato», liquidò in fretta la questione Merlino. «Ciò che mi preoccupa è che ora quello stesso peso sia ricaduto sulle spalle di Alex».
Artù impiegò qualche secondo di troppo per rispondere a quell'insinuazione, scioccato e col cuore in gola. «Credi che abbia avuto delle visioni?».
«Oh, ne sono certo. Glielo leggo negli occhi: il conflitto che si prova sapendo più di ciò che si dovrebbe è inconfondibile».
Il sovrano pensò che probabilmente i suoi segreti non riguardavano solo il futuro, ma anche la possibile gravidanza. Non poteva dirlo a Merlino però, vero? L'aveva promesso a Cathleen. Aveva fatto un sacco di promesse senza avere l'assoluta certezza di poterle mantenere e non era da lui.
«Va tutto bene?».
La domanda del moro lo riportò bruscamente alla realtà e disse la prima cosa che gli venne in mente: «L'incantesimo di Freya. Non dovremmo...?».
«Non possiamo andare a cercarla ora, rischieremmo di mettere tutti in pericolo», rispose saggiamente Merlino, indicando l'agriturismo. «Ci penseremo domani, dopo il matrimonio».
Artù stesso volse lo sguardo verso la cascina e si accarezzò la nuca, mordendosi  l'interno della guancia. Non era un fan dei segreti o delle cospirazioni, non lo era mai stato dato che solitamente era lui quello all'oscuro di tutto, tuttavia quel matrimonio sarebbe potuta essere l'ultima occasione che avevano per stare tutti insieme, per essere felici. Ma sarebbe stata vera felicità, in fondo?
«Artù? A che cosa state pensando?».
Fu colto nuovamente di sorpresa, tanto che quasi sobbalzò. «Cosa? A niente».
Merlino si sciolse in un sorriso. «Già, perché ve l'ho chiesto?».
«Ah-ah, molto divertente!», esclamò sarcastico, dando le spalle a tutte le sue preoccupazioni nella vana speranza che sparissero magicamente.

***

«La prima volta che l'ho visto pensavo fosse un po' ritardato, lo ammetto».
«Non fatico a crederti, Mark: mio padre ne era assolutamente certo».
Artù si beccò una fiacca spallata da parte di Merlino, ma il sorriso carico di tenerezza che gli rivolse subito dopo gli fece dimenticare l'offesa. Anche se Alex avesse saputo che cosa significava avere una sorella, non avrebbe potuto comunque quantificare l'amore fraterno che c'era tra l'ex-re di Camelot e il suo ex-servitore: un amore così grande e così forte da durare nei secoli; una luce che non si era mai affievolita, nemmeno nei periodi più bui.
«Insomma, si è presentato nella sala comune con il suo libro di favole e quelle orecchie a sventola...».
«Non è colpa mia se sono così!», provò a difendersi lo stregone, coprendosi gli organi uditivi che gli avevano fatto guadagnare il soprannome di Dumbo.
Abby si accucciò un po' di più tra le braccia di Mark, sollevando gli occhi per guardarlo in viso. «Io le trovo tenere».
«Ah davvero? Per te niente più marshmallows», la castigò il ragazzino, sporgendosi per prendere tra i denti la caramella che la fidanzatina stava facendo raffreddare. Lui ovviamente non se n'era curato e per questo si ustionò la lingua, scatenando le risate di tutti, eccetto Alex.
Cathleen, seduta proprio al suo fianco, notò la sua serietà e il modo in cui si stava rigirando tra le mani l'impugnatura del suo nuovo pugnale, recuperato da ciò che era rimasto dell'armeria di Merlino dopo la perquisizione fatta da Scotland Yard.
Si schiarì un poco la gola e si chinò in avanti, con le braccia incrociate sulle ginocchia, per sussurrarle: «Va tutto bene?».
Alex le rivolse a malapena un'occhiata ed annuì con un cenno del capo per tornare a concentrarsi ed evitare di perdersi dei dettagli.
Il desiderio di Abby era stato accontentato e una volta trovato il luogo giusto per accendere il falò, gli adulti vi avevano accompagnato i bambini per dare il via a quell'insolito addio al celibato/nubilato. A turno, tutti avevano raccontato come avevano conosciuto lei e Merlino e che cosa amavano di loro, singolarmente e come coppia. Separati dalle lingue di fuoco, i due futuri sposi avevano incrociato gli sguardi più di una volta, ricordando con sorrisi velati di amarezza i giorni in cui tutto era infinitamente più semplice.
Il tempo era volato e un po' per il freddo e un po' per la stanchezza, Abraham, Edwin e Wanda erano stati costretti a portare nelle loro camere gli addormentati Gabriel e Jessica, mentre Danilo si era ritirato di sua spontanea volontà usando come scusa le smancerie di Abby e Mark.
Così erano rimasti solo i protagonisti della sua visione: Cathleen, Artù, Abby, Mark, Merlino e lei stessa.
Lo scoppiettio delle fiamme ardenti al centro di un cerchio di pietre, il frinire dei grilli nei campi e le risate; le fronde degli alberi mosse dalla brezza serale, i tronchi come panchine e i bastoncini coi marshmallows. Ogni cosa era esattamente come nella sua visione, eppure non era ancora arrivato il momento che lei aveva visto e rivisto nei suoi sogni.
Continuava a pensare a quello che le era successo quel pomeriggio, quando aveva deciso di usare ciò che aveva visto per agire di conseguenza. Il risultato? Tutto era cambiato. Si era trattato di un semplice sogno o comportarsi diversamente era bastato a cambiare il futuro? L'unico modo per avere chiarezza era sperimentare un altro approccio. Aveva dunque deciso di non modificare nulla, di recitare la sua parte e sperare che alla fine la donna misteriosa si sarebbe fatta viva.
«Tocca a te Artù», esclamò Mark dopo aver fatto prendere aria alla sua lingua scottata. «Raccontaci come hai conosciuto Merlino».
«Come...? Oh, è... è una lunga storia», balbettò a disagio, abbassando il volto arrossato. Nessuno vi fece troppo caso però, grazie ai bagliori delle fiamme.
«Abbiamo tempo», insistette il ragazzino prima che Abby potesse convincerlo a desistere.
Artù guardò Merlino e ad un suo cenno d'assenso tornò a voltarsi verso il fuoco. «Uhm... okay. Avevamo qualche anno più di voi, all'epoca. Merlino... Merlino si trasferì nel mio paese e non sapeva minimamente chi fossi, o quali fossero le regole».
«Aspetta, mi sto già perdendo. Quali regole? Perché avrebbe dovuto conoscerti?».
«Hai ragione, Artù è pessimo a raccontare storie», intervenne Merlino. «Posso continuare io?». E senza aspettare una risposta affermativa ricominciò il racconto: «Il padre di Artù possedeva diverse fabbriche a nord di Carleon, le quali davano praticamente lavoro a tutti gli abitanti dei paesi vicini. Mio zio sapeva che avevo bisogno di un lavoro e grazie alle sue conoscenze di medico riuscì a trovarmi un posto in una delle fabbriche del signor Pendragon, così mi trasferii da lui.
«Il giorno dopo il mio arrivo, mio zio mi mandò a fare alcune commissioni perché ne approfittassi per guardarmi intorno e fu allora che incrociai Artù. Come stava dicendo, io ero nuovo della zona e non sapevo che fosse il figlio del mio datore di lavoro. L'importanza delle fabbriche Pendragon era tale che Artù si comportava come se fosse il figlio del re, facendo il bullo con gli altri ragazzi della nostra età e rimanendo impunito».
«Mi stai dipingendo come un mostro», disse tra i denti Artù, sempre più imbarazzato.
«No, solo come un asino», replicò lo stregone dandogli una pacca sulla schiena. «Ma non preoccuparti, grazie a me sei diventato una persona migliore!».
Cathleen si coprì la fronte con entrambe le mani, trattenendo le risate, e persino Alex si concesse un sorriso, nonostante la capacità di Merlino di rigirarsi come voleva le storie del suo passato la lasciasse sempre esterrefatta.
«Vai avanti!», lo pregò impaziente Mark, infilando l'ennesimo marshmallow nel proprio spiedino.
«Passai davanti ad un parco giochi e vidi Artù lanciare delle pigne contro un ragazzo con un coperchio dell'immondizia tra le mani. Credo lo stesse usando come bersaglio mobile per migliorare la propria mira, non è così Artù?».
«E lasciami indovinare: tu hai preso le difese del ragazzo», esclamò Abby, sorridendo orgogliosa.
«Ma certo! L'avrebbe fatto chiunque!».
«Io non ne sarei tanto sicura, ma continua».
«Artù non prese bene la mia intromissione e dopo avermi umiliato per bene, mi disse chi era e che cosa mi sarebbe successo al lavoro il giorno dopo. Mantenne la parola e venni messo a pulire i bagni e la mensa».
«Che schifo!».
«Già. Però l'avrei rifatto comunque. E infatti, la seconda volta che lo incrociai sul mio cammino non mi tirai indietro».
«Non sapevo fossi un tipo così coraggioso», commentò Mark, davvero colpito. «Sapevi in partenza che Artù ti avrebbe sconfitto e l'hai comunque fronteggiato?».
«Oh, ha fatto molto di più», furono le prime parole di Alex, la quale non era più riuscita a resistere. Rivolgendo un sorriso ai due ragazzi, concluse: «In effetti, nonostante Artù non avesse fatto altro che trattarlo come una pezza da piedi, gli ha salvato la vita».
«Che cosa?! Aspetta un momento... ho capito». Mark sogghignò, scuotendo il capo. «Questa storia è identica al primo capitolo del tuo libro di favole, Merlino».
«Perché è alla storia della loro amicizia a cui si è ispirato», gli disse Abby, togliendo tutti quanti dai guai. Abbassando la voce, aggiunse: «Te ne avevo parlato, non ti ricordi? Artù, disturbi della personalità...?».
Mark deglutì forzatamente, quindi sorrise nella direzione del biondo. «Oh. Oh, sì. Scusa, vai avanti Merlino».
«Beh, la versione breve è che durante la mia terza giornata di lavoro si è presentata alla fabbrica una signora che poco tempo prima aveva perso suo figlio mentre lavorava ad una delle fornaci. È stato un incidente, ma quella donna era così distrutta dal dolore che non riusciva a capirlo. Voleva far provare al signor Pendragon quello che stava provando lei... così ha estratto una pistola e BAM!».
Mark sobbalzò e rimase a fissarlo a bocca aperta, gli occhi sgranati per lo shock.
Merlino si sciolse in un sorriso, posando la mano sulla spalla di Artù, e concluse: «Il proiettile l'ha mancato perché sono riuscito a gettarmi su di lui. Come segno di gratitudine, sono diventato il segretario di Artù: praticamente facevo tutto quello che lui non aveva voglia di fare. Ma col passare degli anni siamo diventati ottimi amici».
«Migliori amici», lo corresse Artù porgendogli la mano. Merlino, scacciando la sorpresa, lo afferrò all'altezza dell'avambraccio come era usanza tra i cavalieri di Camelot. «Grazie per avermi salvato, Merlino».
Quella frase ebbe l'effetto di far inumidire gli occhi dello stregone, il quale abbassò il capo per sfuggire agli occhi blu del sovrano. Alex sapeva fin troppo bene il motivo della sua improvvisa tristezza, ma non ebbe il tempo per curarsene.
«Mark!», gridò Abby, e tutti si voltarono verso il ragazzino per vedere il suo marshmallow andare a fuoco.
Ecco l'inizio della sua visione. Alex era così scioccata che si pietrificò sul posto mentre Artù, Merlino e Cathleen si alzavano per assistere Mark mentre tentava di spegnere il mini-incendio sventolando lo spiedino. Tutti avevano iniziato a ridere per la comicità della scena e alla fine Merlino decise di porvi fine gettando direttamente tutto nel fuoco.
«Caspita, c'è mancato poco!», esclamò Mark in tono sollevato.
Artù alzò gli occhi verso il cielo scuro e gettò un'occhiata al mago: «È tardi, non dovremmo...?».
«Oh no, vi prego, restiamo qui un altro po'!», fece gli occhi dolci Abby, convincendo Artù seduta stante.
«Okay, allora noi uomini andiamo a prendere altre coperte», disse Merlino. «Non vogliamo nessuno col raffreddore domani!».
Alex ricambiò lo sguardo dello stregone, ma distrattamente: di fatto, non era ancora riuscita a superare lo shock di essere davvero nel bel mezzo della sua visione.
Quando lei, Abby e Cathleen rimasero sole, quest'ultima fece proprio quello che si aspettava da lei: si sedette a terra, con la schiena contro il tronco e le mani unite dietro la nuca, gli occhi rivolti verso il cielo stellato sopra le loro teste.
«Non avrei mai immaginato di poter provare ancora tutto questo».
Il silenzio che calò fu tanto profondo, tanto strano, come se mancasse qualcosa. Quando Alex ricordò di dover recitare la sua parte, non riuscì a risultare naturale.
«Già… Ci voleva, dopo quello che è successo», disse meccanicamente, gettando un’occhiata verso Abby in attesa che si sporgesse verso di lei per stringerle una mano tra le sue.
E così fece, dicendo: «Hai fatto anche troppo per me, non mi sdebiterò mai».
«Ehi, non è ancora detta l’ultima parola», ricordò Cathleen con gli occhi fiammeggianti, e non perché vi erano riflesse le lingue di fuoco del falò.
Alex annuì, ma non fu in grado di fingersi sincera quando ripeté a memoria: «No, infatti. Insieme ce la faremo, ne sono sicura», né quando si sporse per stringere la ragazzina in un abbraccio delicato. E questa volta la causa era l'altra visione, quella in cui aveva visto Abby in una bara.
Sia Abigail che Cathleen la fissarono stranite, cosa che non sarebbe dovuta succedere. Presa dal panico, rubò la battuta della ragazzina: «Noi tre».
Il paramedico inarcò le sopracciglia e la guardò con circospezione, mordendosi il piercing sulla lingua per il nervosismo prima di parlare.
«Alex, è da quando Abby ha proposto il falò che ti comporti in modo strano».
«No, no ti sbagli», rispose frettolosamente. «Che stavamo dicendo? Ah sì. Non credete che noi tre potremmo fare grandi cose insieme? Potremmo salvare il mondo, se solo lo volessimo!».
«Che cosa...?», balbettò Cathleen, ma per qualche strana ragione Abby le fece segno di darle corda e la realtà tornò in linea con la visione.
«Non saprei», ammise la ragazzina, stringendosi nelle spalle. «Non riesco a prendermi cura di me, come potrei fare qualcosa di buono per gli altri?».
Alex fissò Cathleen, col cuore in gola, ma la rossa non si mosse dal suo posto. Al diavolo, stava mandando a monte tutto il suo duro lavoro!
Trattenendo la rabbia, le disse: «Dovresti dirle qualcosa. Tipo... Se dovessi descriverti con una sola parola, sarebbe "coraggio". No? Nulla?».
«Alex, tu... tu hai già visto tutto questo», esclamò Cathleen ad occhi sgranati, alzandosi in piedi. Alla fine ci era arrivata. «È la visione di cui non volevi parlarmi! Dimmi, è perché ci sono anche io? Avevi paura che potessi cambiare le cose sapendolo?».
«Che importanza ha ora?!», gridò piantando il pugnale nel tronco cavo ed alzandosi a sua volta. «Hai già rovinato tutto!».
«Cosa? Alex, come potevo...?».
«Lascia perdere, okay? Ho bisogno che voi... facciate quello che vi dico. Ne ho bisogno. Ho bisogno che questa cosa vada nel verso giusto».
Cathleen e Abby si guardarono e nonostante le rimostranze della prima, acconsentirono con un cenno del capo. Rigidamente, Alex tornò a sedersi ed indicò alla rossa di mettersi alla sinistra di Abby.
«A questo punto le avresti detto che lei è la persona più coraggiosa che conosci, non solo perché non si è mai arresa alla malattia ma perché è in grado di dare speranza a chiunque le stia vicino, indipendentemente dalla sua condizione. E io ti avrei detto che non avrei saputo dire di meglio». Si sentiva una stupida nel spiegare come sarebbero dovute andare le cose e non sapeva se questo avrebbe modificato o meno il futuro, ma doveva provarci: aveva bisogno di vedere la donna misteriosa, ad ogni costo.
«E poi?», chiese Abby.
«Poi tu avresti chiesto a Cathleen quale parola avrebbe usato per descriversi».
Il paramedico scrollò le spalle. «Io non ho alcun talento particolare».
«È esattamente quello che hai detto nella mia visione! Oh Dio, sta funzionando!», gridò entusiasta Alex, ricominciando a sperare. Incrociò lo sguardo sperduto di Cathleen e inarcando le sopracciglia disse: «Ah no? Tu non te ne rendi conto Cath, ma hai una forza incredibile; Artù me l’ha detto più volte. Nonostante tutto quello che hai passato, nonostante tu ti sia trovata sul fondo di un baratro, non ti sei mai data per vinta e sei riuscita ad uscirne. Hai lottato per stare a galla e guardati ora… sei di nuovo felice».
«Non ci sarei mai riuscita senza di voi», provò a sminuirsi Cathleen, ma Alex le tirò un pugnetto su un ginocchio, mordendosi un sorriso.
«Invece sì, perché hai un fuoco al posto del cuore. Magari ci avresti messo più tempo, ma ce l’avresti fatta alla fine».
Cathleen si strinse il naso e poi si soffermò a fissarla, proprio come Abby, la quale disse: «Manchi solo tu ora. Io so qual è la parola che ti descrive».
«Anche io», aggiunse il paramedico.
«Anche io lo so, ma farò finta di no», sussurrò con un sorriso divertito sul volto. «Quale sarebbe?».
«Magia», esclamarono in perfetta sincronia le due, per poi battersi il cinque.
Alex mise su un finto broncio e si strinse le braccia al petto, ribattendo: «Ah, quindi io sarei la ragazza coi poteri magici? Senza non sarei niente, uh?».
«È proprio il contrario!», disse Abby, ricambiando con più forza il suo abbraccio. «Tu sei sempre stata magica, anche quando non sapevi di esserlo. Non sei perfetta, ma sei la persona migliore che conosco».
«Concordo», le diede man forte Cathleen, unendosi all’abbraccio.
«Farò finta di credervi», sussurrò Alex, e - visione o meno - le lacrime di commozione le appannarono veramente gli occhi.
«Come... come siamo andate?», le chiese dopo qualche secondo di silenzio la rossa, stringendosi le mani tra le gambe.
Alex annuì, ricomponendosi. «Bene, bene. Grazie. Ora c'è un'ultima cosa che dovreste chiedermi».
«Che cosa?».
«Abby, dovresti chiedermi di farti vedere qualcosa. Una magia».
«Oh. Okay». Respirò profondamente e la pregò: «Per favore, ci fai vedere qualcosa?».
«Merlino non vuole che usi la magia se non è strettamente necessario», disse Alex come da copione, guardando pure verso l’agriturismo, nonostante sapesse che i ragazzi non sarebbero tornati per almeno un altro paio di minuti.
«Ma Merlino ora non c’è, giusto?», la stuzzicò Cathleen, senza bisogno che le suggerisse nulla. Probabilmente aveva capito che Alex doveva usare la magia. «Dai che non vedi l’ora di mettere in mostra i frutti del tuo allenamento».
L'infermiera aveva visto quel momento in due versioni diverse e nonostante ne fosse spaventata, doveva sapere quale fosse la verità in merito ai suoi poteri.  
«Okay, mi hai convinta», sussurrò.
Sopraffatte dall'emozione, Cathleen e Abby le lasciarono un po’ di spazio e Alex si concesse un respiro profondo prima di stendere una mano verso le fiamme e chiudere gli occhi, bisbigliando: «Upastige draca».
La forza della magia non le incendiò le vene come al solito, ma dopo un attimo le sue iridi diventarono dorate e Alex si ritrovò addirittura a sospirare di sollievo. Le ceneri incandescenti si sollevarono sopra il falò e diedero vita al solito drago, il quale però non fece in tempo a mostrare interamente la propria apertura alare: come nella visione gentilmente offertale dai cristalli, l'essere si accartocciò su se stesso con un grido di dolore e svanì in una nuvola di scintille e polvere.
Alex conosceva la magia da poco, eppure si ritrovò a pensare che c'era del vero in ciò che aveva detto prima a Cathleen: lei era la ragazza con i poteri, che cos'era senza?
Il dolore le inumidì gli occhi, mentre Cathleen, preoccupata, domandava che cosa fosse successo.
La bionda non le rispose: si alzò in piedi e senza preoccuparsi delle voci di Merlino, Artù e Mark, di ritorno dall'agriturismo con le coperte, si voltò verso il delimitare del bosco. Oltre le fiamme del falò, la donna misteriosa le stava rivolgendo il suo sorriso enigmatico.
Scossa dalla rabbia, Alex si chinò per estrarre il pugnale dal tronco e quando si risollevò scorse solamente un lembo del suo pesante mantello di velluto verde prima che venisse inghiottito insieme al resto della sua figura nell'oscurità del bosco.

Ormai aveva corso tra quegli alberi così tante volte nei suoi sogni che sapeva perfettamente dove fossero le radici sporgenti e gli avallamenti naturali del terreno che l'avevano fatta cadere faccia a terra notte dopo notte. Ciò nonostante, la donna misteriosa manteneva sempre un certo vantaggio e non importava quante volte la pregasse di fermarsi, lei si limitava a rivolgerle un'occhiata da sotto il cappuccio e a sparire per poi ricomparire qualche metro più avanti.
Al massimo della frustrazione, Alex smise di correre e a causa del fiato grosso si ricordò di poter gridare anche mentalmente.
"Morgana!"
La donna si fermò a sua volta, come pietrificata, e un brivido le corse sotto pelle pensando che allora aveva ragione, allora era davvero la nemesi di Merlino, la sorella di Artù, la sua lontana... prozia?
«Fatti vedere», sussurrò con la bocca impastata, l'impugnatura in cuoio del pugnale umida di sudore. Abbassò gli occhi e dandosi della stupida per la propria ingenuità sollevò entrambe le mani e poi con cautela lasciò il pugnale a terra. Colpendolo con la punta di una scarpa per farlo rotolare nella sua direzione, aggiunse: «Non ho cattive intenzioni».
"E conosci anche le mie, di intenzioni?"
L'infermiera deglutì nuovamente, ma cercò di mantenere un tono di voce fermo e deciso. «No, non le conosco. Ma se avessi voluto farmi del male avresti potuto lasciare che mi schiantassi semplicemente contro quel tir».
La donna finalmente si girò verso di lei e sollevò le mani lentamente, fino a prendersi i lembi del cappuccio. Con un movimento altrettanto calcolato, se lo lasciò cadere sulle spalle e lasciò che i loro sguardi si incrociassero per la prima volta.
Era così bella, così regale... La pelle diafana in contrasto con i lunghi capelli neri, gli zigomi alti e affilati, le labbra piene e gli occhi di un verde così chiaro da sembrare trasparenti, fieri e determinati. Ora capiva perché Artù - prima di scoprire il loro grado di parentela - fosse stato attratto da lei, perché Merlino l'aveva sempre considerata il suo amore proibito, perché tutti a Camelot avrebbero dato qualsiasi cosa per un suo sorriso. Poi qualcosa era cambiato, il suo cuore si era spezzato e tutta la sua bontà, la sua compassione e il suo senso di giustizia erano stati avvelenati dalla magia nera.
«Sei così simile al mio fratellino», furono le prime parole che le rivolse muovendo le labbra tremanti.
«Artù e Merlino sono là», esclamò, indicando le luci arancioni del falò. «Perché non...?».
«Loro non possono vedermi, Alexandra. Solo tu puoi».
«Non capisco».
«Excalibur. La spada mi ha liberata, ma una parte della mia anima vi è rimasta imprigionata, costringendomi a vagare per queste terre per secoli, nella più completa solitudine. È la mia punizione, ciò che mi merito per aver causato così tanta morte e sofferenza. Ma forse ora posso rimediare ai miei sbagli, posso aiutarti. Alexandra, tu sei l'ultima Pendragon, su di te grava il destino del mondo».
«Sì, lo so, lo so», la interruppe portando le mani avanti. «Abbiamo già avuto questa conversazione nella mia testa: la profezia della Triplice Dea, la maledizione di Merlino, il mondo che sta collassando su se stesso... so tutto».
«Il dono della Vista va usato con saggezza, Alexandra».
«Ah, inizio a dubitare fortemente che sia un dono. Comunque sia, hai detto di volermi aiutare, giusto? Beh, ho un paio di domande: come posso fermare Freya senza la magia? I poteri che ho assorbito da Excalibur si stanno esaurendo e in tutta onestà non voglio tornare ad essere una psicopatica per riottenerli. Non che tu fossi una... forse un pochino, ma...».
Le labbra di Morgana si incurvarono in un sorriso fino a che non furono costrette ad aprirsi a causa di una risata argentina. Ancora una volta, Alex fu colpita dolorosamente dal ricordo di sua madre. Le somigliava così tanto...
«Credo di avere la soluzione al tuo problema», le disse alla fine. «Seguimi, presto».
La bionda si guardò alle spalle, chiedendosi perché Merlino e Artù non la stessero già cercando, quindi trasse un respiro profondo per farsi coraggio e seguì lo spirito della prozia tra gli alberi. Non le chiese dove stessero andando, anche perché non ce ne fu bisogno: ormai conosceva bene quella strada.
Alex uscì dall'ombra degli alberi e guardò come la luce della luna facesse brillare i capelli corvini della strega, rendendola simile ad una vera e propria Dea.
Morgana, in piedi accanto alla sua stessa tomba, le sorrise dolcemente e poi si portò una mano sul ciondolo che portava al collo, il ciondolo con lo stemma druido che Alex aveva visto nei brevi flash di visioni che aveva avuto quando era stata nella caverna di cristallo. Se lo tolse e tenendolo tra le mani a coppa disse qualche parola nella lingua della Religione Antica: i suoi occhi brillarono d'oro e successivamente anche le incisioni sul ciondolo.
Quando sulla radura tornò ad essere illuminata esclusivamente dalla luce lunare, Morgana gemette e il suo spirito parve affievolirsi, in agonia proprio come il drago che poco prima aveva cercato di creare con la cenere del falò. Istintivamente Alex fece un passo verso di lei per sostenerla, ma come quel pomeriggio non appena la sfiorò sentì un gelo bruciante avvilupparle le dita, così doloroso che dovette rinunciare.
«Sì, hai proprio il cuore di mio fratello», mormorò la sacerdotessa stirando un sorriso come ringraziamento per il tentativo.
Morgana posò il ciondolo sulla pietra più alta della sua tomba ed incredibilmente le parve di vederlo diventare reale, concreto contro la roccia.
«Indossalo. Quando impugnerai Excalibur ne assorbirà la magia nera».
Alex fissò il simbolo druido, poi rivolse lo sguardo verso Morgana e nonostante le incertezze fece un ulteriore passo in avanti per allungare una mano verso il ciondolo d'argento. Lo trovò freddo al tatto, ma non tanto quanto lo spirito della strega.
Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma il pensiero di fallire, di non essere abbastanza, le tolse la voce. Alla fine fu Morgana a parlare, dopo essersi concessa un sospiro mesto.
«Il nostro tempo è esaurito, Alexandra. Dì a Merlino e ad Artù che mi dispiace tanto, per tutto».
Il suo spirito era quasi svanito, quando l'infermiera alzò il capo e trovò la forza di gridare: «Aspetta!». Le fu quasi doloroso ricambiare il suo sguardo, mostrarsi a lei tanto debole e fragile, sull'orlo del pianto. «Dev'esserci un altro modo. Dev'esserci! Merlino non può...».
L'espressione desolata di Morgana fu fin troppo eloquente e Alex non riuscì più a contenere la sofferenza: si acquattò a terra e con le unghie conficcate nei palmi lasciò che le lacrime le rigassero le guance e che i singhiozzi le mozzassero il respiro, sconquassandole la schiena.
«Oh, mia cara...», mormorò la strega inginocchiandosi al suo fianco, una mano stesa sopra la sua nuca. Anche da quella distanza, sentiva il freddo pungente penetrarle la pelle.
«Non lo guarderò morire», sussurrò. «Non lo permetterò, hai capito? Morgana?». Alex alzò il capo e non vide nessuno al suo fianco. In compenso, sentì dei rumori alle sue spalle e facendosi forza si ricompose, alzandosi ed asciugandosi il viso.
«Alex! Alex, che diavolo...?». Artù comparve nella radura, subito seguito da un Merlino rigido come un manico di scopa, e si ammutolì ed impallidì quando si rese conto di essere al cospetto della tomba della sorella.
«Scusate, io... pensavo di aver visto qualcuno nel bosco e mi sono ritrovata qui», disse con una mano sulla fronte, fingendosi veramente desolata di averli fatti preoccupare.
Il mago fece in modo che lo guardasse dritto negli occhi e Alex si sentì nuda, completamente esposta, ma allo stesso tempo riuscì a capire che Merlino sapeva più di quanto volesse far credere. E la prova definitiva la ebbe quando non pose domande, bensì si limitò ad esclamare in tono grave: «Torniamo all'agriturismo, è tardi».
L'infermiera annuì con un cenno del capo e dopo essersi infilata il ciondolo di Morgana nella tasca della giacca li raggiunse. Artù sospirò, lanciando un'occhiata triste verso l'insieme di pietre, dopodiché l'afferrò per un gomito e la tenne stretta al suo fianco come avrebbe fatto un genitore in un luogo affollato.
Alex si voltò solo una volta, quando ormai si erano già inoltrati nel bosco buio e silenzioso, e le parve di vedere la figura di Morgana in piedi accanto alla sua tomba, col volto sorridente ma rigato di lacrime. Fu solo un attimo però: un battito di ciglia ed era già scomparsa.

***

Artù non riusciva a dormire. Si sentiva preoccupato, inquieto come lo era stato nelle ore che precedevano la Battaglia di Camlann.
Sdraiato nella tenda reale, solo la vicinanza di Ginevra era stata in grado di farlo addormentare, mentre la voce di Merlino, apparsogli in sogno per avvertirlo delle intenzioni di Morgana, l'aveva svegliato.
Tenendo una mano sotto il capo, voltò il viso verso il letto dello stregone, il quale gli dava le spalle. Per quanto lui si sforzasse, i ricordi della sua vita a Camelot si affievolivano giorno dopo giorno, portandolo sull'orlo della pazzia, eppure la sua memoria non lo abbandonò quella volta: sembrava ieri, quando lui e Merlino erano partiti alla ricerca dell'ultimo Signore dei Draghi e si erano fermati in quella squallida locanda per la notte. Pur di farsi dire che cosa lo turbasse, aveva detto a Merlino che se non fosse stato un principe avrebbero potuto essere amici, quando in realtà il suo orgoglio gli impediva di confessargli che lo riteneva già tale da tempo. Contava sul fatto che il servitore tenesse conto delle sue azioni - più volte aveva già rischiato la vita per la sua - più che delle sue parole.
Se il suo istinto non lo traeva in inganno ed erano davvero alla vigilia della battaglia con Freya, allora avevano bisogno di riposare. Con questa convinzione nel cuore, chiuse gli occhi e si sforzò di cadere nel mondo dei sogni, ma fu allora che lo stregone sobbalzò spaventato e si tirò su seduto, le mani sopra il viso e le ginocchia strette al petto.
«Merlino, ti senti bene?», gli domandò sollevando la testa dal cuscino.
Il mago si voltò di scatto verso di lui e dopo un attimo di esitazione gli rivolse un sorriso forzato. «Sì, tutto okay. Era solo un incubo».
Artù sospirò e tornando a guardare il soffitto mormorò: «Dovrei crederti?».
«Perché siete sveglio?», cambiò argomento il moro, infilandosi nuovamente sotto le coperte, quella volta rivolto verso di lui.
«Domani Freya farà la sua mossa, ne sono sicuro. Per quale motivo avrebbe fatto quell'incantesimo, altrimenti?».
«Avete paura?».
L'ex sovrano lo guardò in viso e non vi trovò alcun segno di ironia. «Non temo per me, bensì per Alex, per Cathleen... per te».
«Per me?», ripeté Merlino, lasciandosi sfuggire un sorriso divertito mentre nei suoi occhi calavano le tenebre. Cosa diavolo aveva sognato?
«Mi hai salvato la vita innumerevoli volte e non hai mai chiesto nulla: niente denaro, niente riconoscimenti, nemmeno un grazie. Hai dedicato la tua intera vita a me e non posso permettere che tu ti metta ancora in secondo piano. Sarà un onore morire per il più grande stregone di tutti i tempi».
«Voi non morirete, non una seconda volta».
«Pensa ad Alex! Non puoi lasciarla sola, non ora che...!». Si interruppe, ricordando della promessa fatta a Cathleen. Si schiarì la gola e concluse brevemente: «Hai ancora tanto da insegnarle».
Merlino si passò le mani sopra il viso e sospirò, per poi bofonchiare: «Alex se la caverà».
«Perché sei così testardo? Giuro sul mio nome che non ti sacrificherai, Merlino».
Lo stregone a quel giuramento ridacchiò, intrecciando le mani sullo sterno. «Avete ragione. Quando arriverà il momento, non sarò tanto coraggioso».
«E questo che cosa vorrebbe dire?», domandò con la fronte aggrottata per l'irritazione. Forse non sarebbe arrivato a vedere il sole sorgere, forse l'avrebbe ucciso lui con le sue mani tant'era l'odio che provava nei suoi confronti in quel momento. Ma odio e amore erano due facce della stessa medaglia, proprio come lui e Merlino: non erano nulla senza l'altro e una metà non poteva veramente odiare ciò che la rendeva completa.
«Niente. È inutile fasciarci la testa prima di essercela rotta», rispose alla fine lo stregone, deviando il suo sguardo. E prima che Artù potesse replicare, aggiunse: «Sforzatevi di dormire ora».
«Non puoi dirmi che cosa fare, Merlino», bofonchiò e subito dopo gli arrivò un cuscino in faccia, proprio come aveva fatto lui quella notte di tanti secoli prima per convincerlo a parlare con lui.
«Quest'epoca inizia a piacermi», disse ancora, nell'ultimo, disperato tentativo di fargli cambiare idea. «Ma non voglio viverci senza il mio migliore amico. Vivremo entrambi, o non vivremo affatto».
Merlino aprì gli occhi per incrociare i suoi e si sciolse in un sorriso commosso. «Anche io vi voglio bene, asino».
«Io non... non intendevo nulla del genere!», balbettò preso in contropiede, ma venne interrotto dal bip bip del cellulare di Merlino, il quale si sporse verso il comodino per leggere l'SMS che gli era appena arrivato.
Artù lo guardò mentre si alzava e si vestiva, serio in volto.
«Che succede?», gli domandò ad un tratto, allarmato dal fatto che l'amico avesse tirato giù Excalibur dall'armadio.
«Niente. Al mio ritorno voglio vedervi addormentato, ci siamo intesi?».
Il re si scostò bruscamente le coperte di dosso e alzò a sua volta, avanzando minaccioso verso il moro.
«Ah-ah, hai capito male se pensi di potermi lasciare qui mentre tu te ne vai in giro nel cuore della notte con...!».
«Mi dispiace», sussurrò Merlino e Artù non riuscì a capire a che cosa si riferisse. Aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma non un suono uscì dalle sue labbra quando vide le iridi del mago tingersi d'oro. Dopodiché un sonno improvviso ed incontrastabile gli fece chiudere gli occhi mentre ricadeva storto sul letto.
Maledetto Merlino!

***

Lo stregone dovette addossarsi alla parete per non svenire e fu costretto ad aspettare qualche minuto prima di muoversi, scosso dalle convulsioni. Quando si stabilizzò, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto di stoffa e si tamponò il naso sanguinante, quindi inghiottì le ultime pillole della sua scorta di antidolorifici ed uscì dalla stanza chiudendosi dolcemente la porta alle spalle.
Stava percorrendo il corridoio col cuore pesante come piombo, le parole di Artù ancora nelle orecchie e ciò che aveva visto nel suo così detto incubo di fronte agli occhi, quando un rumore alle sue spalle lo fece voltare.
«Mark?», lo chiamò sorpreso.
Il ragazzino arrossì incrociando il suo sguardo, ciò nonostante mise su la sua solita aria spavalda e lo salutò con un cenno del capo.
«Ehi, Merlino. Come mai sveglio?».
«Potrei chiederti la stessa cosa».
«Ahm, io...».
Merlino arricciò le labbra in un sorriso. «Si tratta di Abby, non è vero?».
«Forse», mormorò portandosi una mano sulla nuca. «E tu stai andando da Alex, nonostante non dovreste vedervi fino a domani?».
«Che ci vuoi fare: le donne chiamano e noi corriamo». Gli strizzò l'occhio e senza aggiungere altro si allontanò, col cuore ancora più pesante nel petto ed Excalibur stretta nella mano destra.
Aveva notato lo sguardo di Mark posarsi sul fodero, ma non gli aveva dato il tempo di formulare la domanda di cui lui per primo non sapeva la risposta: perché impugnava quella spada. Era stata Alex a chiedergliela, come post scriptum del messaggio con cui lo aveva pregato di raggiungerla al falò. Aveva avuto qualche dubbio? Certo, ma dopo gli squarci di futuro che aveva visto non aveva potuto fare altrimenti.
Merlino si strinse nel giubbotto e con la spada inguainata appesa sulla spalla camminò a testa bassa verso il fuoco che Alex stava ravvivando aggiungendoci dei ceppi da camino. Quando lo vide si portò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni color verde militare e respirò profondamente, facendogli poi segno di accomodarsi accanto alle fiamme.
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie tant'era l'ansia di scoprire cosa voleva dirgli. Aveva così tanti interrogativi... e non era sicuro di voler sapere tutte le risposte.
La guardò girarsi e rigirarsi nel dito l'anello di fidanzamento, proprio come faceva Artù quand'era immerso nei propri pensieri, e alla fine non poté più aspettare: posò una mano sulle sue e Alex sbatté le palpebre, tornando nel mondo reale.
«Scusami, io... non so da dove cominciare», confessò gettandosi i capelli dietro le spalle.
Merlino abbozzò un sorriso. «Sono qui, non me ne vado».
In qualche modo le sue parole, pronunciate con l'intenzione di rassicurarla, ebbero l'effetto contrario: l'infermiera si strinse le braccia intorno alle ginocchia, il volto accartocciato in una smorfia di dolore.
«Mi dispiace, mi dispiace tanto...».
«Ehi», sussurrò stringendola a sè, baciandole la tempia e cullandola nel suo abbraccio. «Va tutto bene. Qualsiasi cosa sia... la supereremo. Insieme. Okay?».
Alex rimase in silenzio, aggrappata alle sue spalle, per quella che gli sembrò un'eternità. Magari avesse potuto trascorrere davvero un'eternità del genere: ci avrebbe messo la firma senza pensarci su due volte.
Quando alla fine la stretta della bionda si allentò, Merlino la lasciò andare a malincuore e la guardò negli occhi con tutto l'amore che riusciva a dimostrare, sfiorandole anche la guancia con il dorso delle dita.
Lei respirò profondamente e tornò a torturare il rubino che aveva al dito, decidendosi a parlare.
«Mi è sempre piaciuto giocare con i Lego. Mi ha sempre dato pace... rovesciare tutti i pezzi sul pavimento, seguire passo passo le istruzioni e vederli trasformarsi nell'immagine stampata sulla scatola. Dare un senso al caos, capisci?». Alex accennò un sorriso guardando verso l'alto e Merlino rimase in silenzio, scioccato: dire che non si aspettava un prologo del genere era poco.
«È da quando mia madre è morta che ho la sensazione che la mia vita si sia frantumata in mille pezzi. Penso spesso a lei, ultimamente. Penso a quello che ancora avevamo da dirci, a quello che ancora avrebbe potuto insegnarmi. Sento... so che se quella notte avesse saputo che una volta addormentata non avrebbe più riaperto gli occhi mi avrebbe detto che cosa fare. Ma non è successo e mi ritrovo alle prese con qualcosa che non so gestire, un destino che a stento riesco a comprendere, figuriamoci...».
A quel punto, scorgendo le lacrime intrappolate tra le sue ciglia e il tremore delle sue mani, Merlino non poté più stare in silenzio.
«Alex, capisco fin troppo bene come ti senti». Le posò una mano sul ginocchio e con l'altra la costrinse a guardarlo negli occhi, prendendole il mento tra le dita. «Nemmeno io avevo idea di quale fosse il mio destino prima di mettere piede a Camelot. Credimi, se l'avessi saputo sarei corso nella direzione opposta».
«Davvero? Davvero l'avresti fatto?», gli chiese, riservandogli un'occhiata piena di scetticismo. «Perché per quanto io cerchi di volgere lo sguardo dall'altra parte, non ci riesco mai fino in fondo. È qualcosa di profondo, viscerale... semplicemente non posso ignorarlo».
Tutti gli anni trascorsi al fianco di Artù gli passarono davanti agli occhi: quante volte si era chiesto, nel buio della sua stanzetta, perché continuasse a subire gli insulti e le umiliazioni, a servire un re che se avesse saputo la sua vera natura lo avrebbe messo al rogo, a correre pericoli per un principe con cui non poteva essere se stesso, a lottare per la salvezza di un regno che forse non avrebbe mai visto nascere? Centinaia, forse addirittura migliaia. Avrebbe potuto fare i bagagli e andarsene in qualsiasi momento, eppure... era come diceva Alex: qualcosa gliel'aveva impedito, tutte le volte. Non l'amicizia di Artù, di Ginevra e dei cavalieri. Non l'affetto che nutriva per Gaius. La responsabilità, la consapevolezza di essere stato scelto per quel compito e del fatto che se si fosse tirato indietro avrebbe avuto tutte le persone a lui care sulla coscienza. Ecco perché era riuscito a spezzare il legame con la magia solamente quando ormai non gli era rimasto più nessuno per cui lottare.
«So che avrei dovuto essere sincera con te fin dall'inizio, che probabilmente avresti saputo guidarmi, ma se ho scelto di tenerlo segreto è perché io per prima volevo vederci chiaro. Avevo paura di aver interpretato male i segni, non volevo farti preoccupare ulteriormente... o farti soffrire», concluse, abbassando gli occhi sulla mano ancora sul suo ginocchio. Intrecciò le loro dita e sospirò, scuotendo piano il capo. «Non voglio perderti, Merlino».
Lo stregone socchiuse gli occhi, ma fu costretto a riaprirli a causa del sogno premonitore che l'aveva svegliato col cuore sul punto di scoppiare.
«Come ho detto prima... qualsiasi cosa sia, ne verremo a capo», trovò la forza di dire, riservandole persino un sorriso rassicurante.
L'infermiera annuì con un cenno del capo, con la stessa attitudine di un galeotto che aveva appena accettato la propria condanna, e si infilò una mano nella tasca della giacca. Merlino osservò ogni suo movimento e trovò tutto di una lentezza esasperante: la suspance l'avrebbe ucciso ben prima della propria visione.
Alex aprì il pugno e nel suo palmo vide qualcosa di impossibile, qualcosa che pensava di aver sepolto millequattrocento anni prima, figurativamente e letteralmente: il ciondolo con il simbolo druido di Morgana. 

«No», affermò scuotendo il capo. «No, no, no».
«Merlino...».
Alex allungò l'altra mano per afferrargli il braccio, ma Merlino arretrò e cadde persino dal tronco su cui erano seduti, continuando a fissare il ciondolo con occhi sbarrati e ciò nonostante a negare che fosse ciò che stava vedendo.
«Ti prego, calmati», lo supplicò l'infermiera, senza rendersi conto dello sforzo assurdo che stava già facendo per non perdere definitivamente il senno.
Aveva impiegato anni, secoli per contenere il dolore che la morte di Morgana gli aveva causato. Non aveva mai smesso di rivivere in sogno il momento in cui l'aveva uccisa a sangue freddo e più di una volta gli era sembrato di avvertire la sua presenza nel bosco dove si trovavano sia Avalon che la caverna di cristallo, oltre che ovviamente la sua tomba. Ad osservarlo da dietro i tronchi, a sussurrargli parole di perdono tramite i fruscii delle fronde, a piangergli addosso lacrime di rugiada o a porgergli i frutti più belli avvicinandogli i rami. E se non fosse stata opera della sua immaginazione? Se Morgana fosse sempre stata lì, ad un passo da lui, e non se ne fosse mai accorto?
Alex si alzò dal tronco e con cautela si chinò su di lui, le mani avanti come se avesse a che fare con un animale feroce che necessitava di cure.
«Ora capisci che cosa intendevo quando ho detto che non volevo farti soffrire?», gli disse dolcemente, inginocchiandosi perché i loro sguardi fossero allineati.
Merlino aveva così tante domande in testa da temere che gli sarebbe scoppiata, ma mantenne il controllo e dopo aver deglutito chiese: «Come l'hai avuto?».
«Me l'ha dato lei», confessò con un sospiro, rigirandosi il ciondolo tra le dita come una moneta. Morgana lo indossava su una collana di argento rigido, ma Alex l'aveva infilato in una di quelle semplicissime catenine a pallini.
Ogni suo sospetto si stava avverando, peggiorando le sue condizioni di minuto in minuto.
Si portò una mano alla fronte bollente e al contempo si avvicinò al fuoco, scosso dai tremori di freddo. Alex lo seguì, riuscendo finalmente a toccarlo: gli accarezzò i capelli e fece in modo che le loro dita si intrecciassero nuovamente prima di infilare la testa nell'incavo della sua spalla.
«Lo so che è scioccante Merlino, o almeno posso immaginarlo», disse piano, con sensibilità. «Perciò prenditi tutto il tempo che ti serve, non me ne vado nemmeno io».
Con Alex stretta tra le braccia, Merlino respirò profondamente tra i suoi capelli e paradossalmente riuscì a calmarsi solo quando si concentrò sulle visioni avute poco meno di un'ora prima.

Merlino aprì la pesante porta del fienile, lasciando entrare i primi raggi di sole di quel nuovo giorno, e Flash lo accolse con un nitrito. Gli accarezzò il muso passandogli accanto, poi proseguì fino alle scalette che portavano al soppalco in cui aveva spostato tutto ciò che non apparteneva ad una stalla: attrezzi da giardinaggio, vecchie sedie, pezzi di ricambio della Pininfarina, una ruota di bicicletta arrugginita. Fu lì che trovò Alex, rannicchiata in un angolo. Aveva i capelli scompigliati, gli occhi gonfi ed arrossati per il pianto, la ferita alla fronte che aveva ripreso a sanguinare sotto il grosso cerotto.
Non appena lo vide sul suo volto si accese una scintilla di speranza, ma bastò un cenno del capo per farla ripiombare nello sconforto.
«È tutta colpa mia», farfugliò nascondendo di nuovo il capo tra le ginocchia.
Merlino la raggiunse e si lasciò scivolare seduto al suo fianco sulla segatura, quindi le avvolse un braccio intorno alle spalle e la invitò ad appoggiare il capo contro la sua spalla.
«No che non lo è. Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato».
Rimasero in silenzio per un po', ognuno immerso nei propri pensieri, confortati dalla presenza l'uno dell'altro. C'era una pace quasi surreale dopo tutto ciò che era accaduto in poco più di quarantotto ore. Fino ad allora la loro luna di miele era stata un disastro.
«Non posso sopportarlo», mormorò Alex ad un tratto, stringendogli forte le mani. «Ci dev'essere qualcosa che possiamo fare!».
«Una cosa c'è, lo sai».
Alex alzò gli occhi per incrociare i suoi e nonostante l'impegno non poté evitare di tremare rispondendo: «No. Non se ne parla, Merlino».
«È la nostra unica possibilità».
«La Triplice Dea non ci aiuterà senza pretendere nulla in cambio e sai perfettamente che cosa chiederà! Aspetta da secoli un'occasione del genere e non se la lascerà sfuggire, soprattutto se siamo noi a servirgliela su un piatto d'argento!».
Merlino sorrise teneramente mentre si interessava alla sua ferita: le tolse il cerotto e controllò che i punti che aveva applicato non fossero saltati e che non ci fossero infezioni.
«Io ho vissuto il mio tempo, Alex. Ho vissuto anche troppo, ad essere onesti. Sono pronto ad andarmene, se servirà a...».
«No, no, no», lo interruppe posandogli le dita sulla bocca ed affondando il viso nel suo petto, scossa dai singulti.
«Io sto morendo in ogni caso», le disse ancora, accarezzandole la schiena e baciandole i capelli. «Vai dalla Triplice Dea e strappa il miglior accordo che puoi. Credo in te, Alex».

«Quindi è giunta l'ora?», domandò Merlino, lo sguardo fisso in direzione di Avalon. Il sole nascente tingeva di rosso le cime degli alberi e le montagne ancora innevate sembravano ad un passo di distanza.
Si voltò solo quando sentì l'inconfondibile rumore che faceva Excalibur quando veniva estratta dal fodero.
Alex lo fissò con espressione determinata, nonostante le lacrime le stessero rigando il volto. «Mi dispiace», mormorò con un fil di voce.

Un'auto sporca e scolorita dalle intemperie si fermò sulla strada sterrata e la portiera del passeggero si aprì ancor prima che la polvere potesse essere spazzata via dal vento primaverile.
Una bambina con indosso una maglietta azzurra a maniche corte, una salopette di jeans che le lasciava scoperte le ginocchia sbucciate, delle scarpe da tennis che sembravano aver percorso chilometri e chilometri e un fazzoletto rosso legato al collo scese dall'auto e ne fece il giro per potersi fermare di fronte al vialetto di quella grande casa rovinata dal tempo, con le imposte sverniciate se non addirittura scardinate e persino un grande buco tra le tegole della torre di destra. Non c'era traccia però di vandalismi: nessun graffito, nessuna pubblicità abusiva.
«Tu e papà vivevate qui?», domandò con semplicità, continuando ad osservare quel piccolo castello col naso all'insù e la bocca dischiusa per lo stupore.
«Sì tesoro», rispose una voce morbida, piena d'amore e al contempo di malinconia.
«Che cosa facciamo adesso?», chiese ancora la bambina, voltandosi per guardare la madre, la quale le accarezzò il volto da folletto, con tanto di orecchie un po' a sventola, e poi le tirò indietro la frangetta nera che spesso e volentieri le copriva gli occhi azzurri come il cielo, gli occhi di suo padre.
«Zio Artù e zia Cathleen saranno qui presto, perciò...».
«Vado in esplorazione!», esclamò prima di allontanarle le mani e correre verso la casa abbandonata.
«Enid!», gridò Alex, per poi scuotere il capo con un sorriso sulle labbra e le mani sui fianchi.
Dio, non era invecchiata di un giorno. Solo i suoi occhi mostravano i segni del tempo, sfacciato ed implacabile.
"Stai attenta, okay?", le disse col pensiero quando la perse di vista.
"Sono la figlia del mago più potente che questa Terra abbia mai visto, posso cavarmela", rispose la bambina.
 
Merlino, le labbra incurvate in un sorriso quasi impercettibile, aprì gli occhi e guardò il ventre ancora piatto di Alex. Sapeva già di essere incinta? Lo sospettava, almeno? Conoscendola, era sicuro che avrebbe fatto il test solo una volta sconfitta Freya: come sarebbe scesa sul campo di battaglia se l'esito fosse stato positivo?
«Va un po' meglio?», gli domandò dolcemente, guardandolo profondamente negli occhi e prendendogli le orecchie tra le mani proprio come aveva fatto con la loro Enid.
Lo stregone annuì con un cenno del capo, poi disse: «Raccontami tutto. Devo sapere».
E così Alex gli raccontò della prima visione in cui era comparsa la donna misteriosa, dei ricordi e delle sensazioni che aveva provato da quando era entrata in contatto con Excalibur, della connessione che aveva capito essersi creata tra lei e Morgana, del modo in cui solo quella mattina l'aveva salvata e del loro ultimo e a conti fatti primo incontro.
«Mi ha detto di dire a te e ad Artù che le dispiace, per tutto», concluse la bionda, accarezzandogli una spalla.
Merlino scrollò il capo, sentendo il peso che aveva sul cuore ingigantirsi sempre di più. «È tutta colpa mia. L'ho condannata io a questo».
«Lei non è d'accordo, te lo posso assicurare. E vuole davvero aiutarci, per quel che può. Mi fido di lei».
Il mago incrociò il suo sguardo. Ma certo che si fidava, era una Pendragon.
Il suo istinto gli gridava di metterla in guardia, di impedirle di fare l'errore che Artù aveva fatto più e più volte, ma pensava davvero ciò che le avrebbe detto nel futuro.
Abbozzò un sorriso, prendendole le mani tra le sue. «Credo in te».
Alex si concesse un respiro profondo, rincuorata, e persino un sorriso. Si allacciò al collo il ciondolo appartenuto a Morgana e poi chiese a Merlino di passarle Excalibur. Lo stregone fu percorso da un brivido quando sguainò la spada e gliela porse, realizzando che presto Alex l'avrebbe impugnata per compiere il suo destino.
«Sei mai rimasto senza poteri, Merlino?», gli chiese all'improvviso, ritraendo di scatto la mano, come a voler prendere tempo. Che non fosse poi così sicura delle buone intenzioni di Morgana?
«Perché me lo chiedi? Sai che non ho usato la magia per gli ultimi quattordici secoli».
«No, questa è stata una tua scelta. C'è stato un momento, prima di allora, in cui hai avuto la sensazione di aver perso... tutto ciò che eri?».
Merlino si accigliò, ma ben presto capì il motivo di quelle domande. «Alex, è proprio questo il motivo per cui ho abbandonato la magia. Non capisci? Ne basta un assaggio e anche le persone più forti si sentono perse senza di essa. Il mio stesso padre pensava che io fossi la magia stessa, che fossi parte del cielo, del mare e della terra, e forse è davvero così, non lo so, ma la cosa importante è che io gli ho creduto. E dove mi ha portato questo? Mi sono affidato totalmente ai miei poteri, senza mai chiedermi quale fosse il costo da pagare. La verità è che la magia non ci rende ciò che siamo, voglio che tu lo capisca bene. L'Alex di cui mi sono innamorato... se qualcuno le avesse detto che un giorno si sarebbe trovata alle prese con Excalibur si sarebbe fatta una grassa risata, non pensi?».
L'infermiera annuì, convincendosi che sì, Abby aveva ragione a dire che lei era sempre stata speciale, magia o meno.
«Se non vuoi, non sei obbligata a farlo», le disse ancora lo stregone, tirando la spada verso di sé, ma ancor prima che potesse finire la frase Alex si era alzata su un ginocchio e si era sporta in avanti per afferrare l'elsa.
La magia le percorse le vene della mano, del braccio, del collo e il suo viaggio terminò nei suoi occhi, rendendoli dorati. Alex, sopraffatta da tutto quel potere, perse i sensi e Merlino, già pronto a quell'eventualità, fece in modo che gli cadesse addosso.
Guardò il suo volto privo d'espressione, le accarezzò i capelli e le posò un bacio sulla fronte, mentre la propria mano si muoveva quasi per riflesso incondizionato. Si posò sul suo ventre e le lacrime gli velarono gli occhi, pensando che da lì a nove mesi sarebbe nata una bellissima bambina che molto probabilmente non avrebbe mai conosciuto. Quel pensiero lo addolorò tanto, in modo così inaspettato, che lasciò il capo di Alex accanto alle fiamme ormai morenti del falò per alzarsi e correre in mezzo agli alberi, dove gridò tutta la propria sofferenza. 
   
 
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