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Autore: Katty Fantasy    18/12/2017    2 recensioni
Sul pianeta di Cybertron vivevano due razze aliene robotiche in conflitto: gli Autobot, coloro che lottano per la libertà, e i Decepticon, coloro che vogliono la tirannia; a causa della guerra, Cybertron venne devastato, Autobot e Decepticon partirono alla ricerca di Energon per sopravvivere, finché giungono sul nostro pianeta Terra: la guerra è destinato a riprendere.
Ma questa guerra coinvolgerà molte persone tra cui un’adolescente molto speciale: Mariangela Sharon Witwicky Bianchi, orfana di entrambi i genitori, viene affidata dalla zia, Rodhy Witwicky, assieme alla figlia adottiva Zoe, anche ella orfana e nata muta. La famiglia Witwicky si trasferisce a Jasper, in Nevada, dove le due ragazze faranno amicizia con tre coetanei: Jakson “Jack” Darby, Miko Nakadai e Raphael “Raph” Equivel. La vita di Sharon cambierà radicalmente quando lei e i suoi amici si imbattono con i Decepticon ma riescono a scappare e, in seguito, salvati dai Autobot….
Ora, Sharon e Zoe saranno coinvolte in questa guerra, dovranno superare molti ostacoli e le loro paure, nuovi Transformer, nemici e nuove avventure.
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(la storia ci sarà anche su Wattpad)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Transformers: Prime
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Capitolo 3: Scoperte

 
 
Il cielo si tinse di un leggero azzurro leggermente sul chiaro-scuro e le nuvole sembrano delle ovatte bianche, solo alla base si intravede un leggero celeste chiaro. L’alba sta per arrivare. La piccola cittadina di Jasper rimase ancora dormiente sotto i primi raggi del sole tra le possenti parete rocciose del canyon, nessuno non diede retta tra le tapparelle abbassate e le tende coperte. Tutti dormono, tranne una.
Nel salotto della vecchia casa, la piccola famigliola dei Witwicky continuarono a dormire nei loro sacco a pelo sul duro e polveroso pavimento, nonostante abbiano spazzato, la polvere continua a venire. Invece di utilizzare i loro pigiami, utilizzarono le vecchie tute; il russare leggero di Rodhy non diede molto fastidio alle due ragazze, no, almeno sanno che c’è qualcuno con loro, Zoe può dormire tranquillamente rimanendo in mezzo alle due parenti: la zia alla sua destra, sua sorella alla sua sinistra. Si sente più protetta e meno paura del buio.
Decisero di passare la nottata lì, in quella casa, con la luce delle candele intorno al trio. Non diede proprio a genio di dormire in una casa che cade letteralmente a pezzi, a dormire in macchina come nelle notti precedenti non è proprio una bella cosa di avere un doloroso mal di schiena. Il duetto dormirono come ghiri, ignare del fatto che il sacco a pelo, alla sinistra di Zoe, rimase vuota. La corvina si alzò del propria giaciglio, si sveglia sempre a quell’ora prima che iniziasse la giornata, recuperò le sue scarpe che si trova al suo fianco per non fare rumore, indossò la felpa a cerniera e sgattaiolando verso il retro della cucina a passo felpato.
Sharon ama vedere l’alba.
Da quando i suoi morirono, fece fatica a dormire e le notti di insonnia diedero segni di occhiaie sotto i suoi occhi blu spenti; si ricordò perfettamente che fu un periodo difficile e disastroso per lei. Per tutti quei anni a prendere farmaci e sedute di strizzacervelli le fecero rovinare l’infanzia per colpa di quei insignificanti incubi, al contrario, lei seppe che non è così. La frase e le immagini sono sempre presenti nella sua mente. L’aria fresca mattutina le pizzicò le guance, aria pulita da poter respirare… pensò che cambiare aria sia stata una cosa saggia, allontanarsi dalla città e dallo smog è gran un sollievo. La ragazza uscì dalla casa cercando di non fare rumore, chiudendo la porta con un scricchiolio sinistro, balzò superando i scalini che la sera prima le fecero venire i brividi dietro la schiena. Alzò la zip della felpa e si strinse leggermente le spalle, fece un appunto mentale che ogni mattino si deve portare una coperta.
Raggiunse la macchina parcheggiata nel vialetto, non hanno avuto il tempo di aprire il garage e i bagagli sono ancora nel veicolo, a scaricare la roba avrebbero pensato il giorno seguente; si arrampicò sul cofano dell’auto e facendo attenzione a non ammaccarlo, meglio non far infuriare sua zia, e si sedette comodamente con la schiena sul regi-cristalli. Si godette il paesaggio del deserto come se fosse uno spettacolo naturale: vedere i gran canyon come se fossero giganti viventi, immobili e torreggianti, nel buio.
Il cielo dipinto di un celestino chiaro verso l’orizzonte come per distaccarsi del blu scuro, per poi gradualmente schiarirsi e il rosa dell’alba annuncia il passaggio del sole che si deve innalzare. Sharon si ricordò la prima volta che vide l’alba con sua madre: all’età di tre anni, sua madre le aveva promesso di farle vedere il sole sorgere prima che partisse per l’Egitto, l’aveva portata sulla terrazza di casa. Era un periodo autunnale, faceva molto freddo. L’aveva fatta coprire per bene con il giubbottino e il cappello di lana, il play sulle spalle le i stivaletti che si utilizzano per la pioggia, con i calzoni pesanti per non prendere freddo; aveva assistito lo spettacolo, vedere i colori chiari colori che gradualmente vanno verso al celeste acceso e vivo, le nuvole che diventano bianchissime come il latte e il sole appena sorto. Sua madre le disse: “Guarda, sembra l’Aurora Boreale.” Le diede retta. Un’Aurora boreale che proviene dal Polo Nord, si sia spostato verso l’Italia di giorno, come per magia.
Da quel giorno, Sharon continuò a vedere ogni giorno l’alba, le ricorda molto sua madre.
Il sole non tardò molto ad arrivare.
I primi raggi colpirono i giganteschi canyon e creando delle ombre minacciose e fredde da far intimorire chiunque le guardasse, a lei non diede molta impressione. Sentì il contatto di calore sulle guance fredde e gli occhi fissi da quello spettacolo, sembra che il paesaggio si dipinto apposta da un pittore professionista. A Sharon piacque molto nel vederlo in prima persona.
Per lei, quell’alba, sarebbe stato l’inizio di una nuova vita.
 
 
 
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Sono passati quasi tre giorni che Rachet continuò ad analizzare lo strano oggetto trovato dai suoi compagni. Non è riuscito ancora a scoprire cosa potrebbe essere il misterioso cubo spaccato a metà, per la maggior parte del tempo osservò i simboli della sua lingua natia, la sua mente fece riportare indietro quando Cybertron non era colpita dalla guerra: gli alti palazzi di metallo che arrivano sopra le nuvole, le strade affollate della sua razza e le capitali sicure e libere dalle minacce. L’era del crepuscolo era solo ai primi tempi della nuova era dopo che Primus divenne il cuore del pianeta. Rachet, a quei tempi, non era un medico a tutti gli effetti, diciamo che era alle prime basi, non aveva ancora conosciuto di persona la sua squadra ma aveva conosciuto Optimus, a quei tempi lo aveva conosciuto come Orion Pax, un archivista e allievo di uno dei tredici Prime, Alpha Trion, della capitale di Iacon; divennero buoni amici, si aiutavano a vicenda e si capivano l’uno con l’altro quando c’era qualcosa che non andava, si ricordò come a quei tempi Orion non era sempre stato così severo come adesso, no, era un tipo come Jack.
Beh, dopotutto, era stati dei bei tempi…, pensò l’Autobot.
Dovette scacciare da quei ricordi e concentrarsi sul suo lavoro, non è il momento adatto nell’essere malinconici. Osservò i simboli cybertroniani, per gli umani sembrano dei disegni senza alcun senso come li definisce l’Agente Flower la prima volta, per loro è il loro linguaggio attuale prima di conoscere quello umano. Alcuni di quei simboli gli sembrano famigliari, lettere per esattezza, sembrano compore una frase oppure un nome. Solo uno gli andò nell’occhio.
Rachet rimase perplesso, non lo aveva mai visto una lettere così particolare in vita sua, posizionò la metà del cubo sul piano di lavoro e girò il braccio meccanico della lente d’ingrandimento a grandezza di robot con fermezza, curioso di sapere se sia veramente della loro lingua oppure no. Lo analizzò attentamente il simbolo che lo ha preso di mira:


rimase ancora di più perplesso, non ebbe la più pallida idea di cosa significhi quella lettera o numero inciso sulla scatolina. Si grattò l’elmo, continuando ad analizzarlo e togliendolo dalla lente d’ingrandimento. Dei passi pesanti si avvicinarono alla sua destra, sono di Optimus Prime.
<< Novità, Rachet? >> chiese il leader.
Il medico si voltò verso la figura imponente del leader dei Autobot.
<< Non ancora… non so cosa si tratti, ma ho trovato qualcosa che devi assolutamente vedere. >> rispose lui, rimettendolo di nuovo sotto la lente per permettere al leader di vedere meglio.
Optimus osservò bene la scatoletta sulle incisioni, lui se li ricorda perfettamente nonostante gli anni di guerra e come archivista del Palazzo del Consiglio sotto la guida di Alpha Trion. L’amico indicò col dito sulla incisione trovata poco fa, lui lo guardò solo dopo pochi secondi che qualcosa gli risvegliò nella sua mente. Sobbalzò letteralmente e sgranando le ottiche azzurre, rimase completamente schoccato nel vedere qualcosa dimenticato euroni orsono, fin dalla creazione di Cybertron.
<< Optimus? Qualcosa non va? >> chiese il medico.
Il leader non rispose, non staccò gli occhi dall’oggetto neanche per un secondo. In quel momento, capì per quale motivo Megatron aveva riconosciuto l’oggetto mentre lui no, si diede dell’idiota mentalmente per non avere capito fin da subito. Quella non è una semplice scatola spaccata da far sembrare a tutti.
<< Rachet… questo simbolo che hai trovato, è una lingua ormai dimenticata dall’inizio dell’età dell’oro. Questo linguaggio è usata soltanto coloro che sono destinati ad essere dei Prime. >> disse con voce ferma.
Rachet capì immediatamente cosa vuole intendere l’amico, sgranò leggermente le ottiche e guardò l’oggetto sconosciuto.
<< Non può essere… questo significa che è… >>
<< È la lingua di Primus. >>
 
 
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<< Oh, andiamo. Dopotutto non possiamo di certo rimanere con lo stomaco vuoto, no? >> disse raggiante Miko, prendendo un pacco di patatine dallo scaffale.
Jack sbuffò, rassegnato. Stranamente ammise di avere ragione ma non lo vuole ammetterlo. Stare alla base sì è divertente ma senza mettere qualcosa sotto i denti non lo è affatto. I tre ragazzi gironzolarono nel reparto dolciumi del supermercato, la musica della radio sui auto-parlanti stimolarono un po’ di tranquillità e con qualche interruzione per l’arrivo di qualche offerta della gastronomia. Anche Raph diede ragione all’amica, dato che ogni volta che si mette a giocare con la console per le macchinine da corsa con loro oppure con Bee, il suo stomaco comincia a gorgogliare per la fame.
Così il trio decise di non essere impreparati, Miko convinse gli Autobot di fermarsi al supermercato per portare qualcosa da mangiare alla base, inizialmente Arcee non è d’accordo ma capì che sono dei terrestri e devono mangiare per vivere, mentre loro sono dei robot e hanno bisogno solamente di Energon, alla fine accettò della proposta dell’umana; gli Autobot rimasero al parcheggio in attesa del loro ritorno.
Jack cercò di tenere cinque bottiglie da un litro tra le braccia, per via del loro peso, continuano a scivolare via e a riprenderle prima che cadono. << Ehm, un aiutino? >> La sua proposta venne ignorata dato che la quindicenne continuò a prendere dei pacchi di diverse patatine e a darle al dodicenne, Jack sospirò rassegnato nell’avere aiuto e continuando a non far scappare le bottiglie di mano.
Rimasto concentrato sulle bottiglie e non a vedere davanti a sé, Miko e Raph si allontanarono con gran fretta dal reparto per andare alla cassa senza nemmeno aspettare l’amico che li raggiunga, sbatté contro qualcuno poco dopo l’uscita del reparto.
Jack si massaggiò il fondoschiena per il dolore, le bottiglie che sono volate e rotolarono in alcune direzioni fino a fermarsi ai spigoli dei scaffali, lo sconosciuto fece altrettanto. Ok, se fosse scontrato con Vince e di riprendere il discorsetto delle gare illegali di corsa lo può mandare al diavolo in un altro modo.
Il ragazzo guardò lo sconosciuto, anzi, la sconosciuta che si è buttata contro… semplicemente un’adolescente della sua stessa età, maglietta a maniche corte rossa con scritte gialle, i jeans celesti a pinocchietto e delle scarpette di ginnastica bianche e nere… lui sgranò gli occhi nel vedere la stessa ragazza al Mc.
<< Uova salvate! >> esclamò lei, alzandosi anche se dolorante, con una confezione di uova tra le mani ancora intatte. Sorrise mortificata per l’accaduto. << Scusami, non l’ho fatto apposta, ma sto andando di fretta e->> si scusò gentilmente e anche con un po’ di fretta, si fermò a metà frase guardando il ragazzo di fronte a sé.
Sharon rimase stupita nel rivederlo, intuì che vive in questa cittadina ma non se lo  immaginò di rincontrarlo in quelle circostanze. Come diceva lo zio Sam? Il mondo è piccolo.
Entrambi rimasero in silenzio per un minuto forse, per entrambi sembrano passate già ore, ritornarono alla realtà, vedendo tutte le persone che si sono fermati a guardare la scena. Che situazione imbarazzante, pensarono entrambi.
<< Mi dispiace, non l’ho fatto apposta. Stai bene? >> si giustificò la ragazza, abbastanza imbarazzata.
<< No. Tutto apposto. >> rispose lui, frettolosamente << Ero… distratto nel tenere le bottiglie. >> aggiunse poi.
Sharon notò le quattro bottiglie sparse per terra, si propose di aiutarlo nel raccoglierle e ignorando il rifiuto ricevuto dal ragazzo; la ragazza è sempre stata cortese e aiutevole con il prossimo, come era successo nei suoi anni durante le sedute di terapia, aveva fatto amicizia con una bambina della sua età – anche se leggermente più piccola di età – che avevano lo stesso problema. Lei aveva perso entrambi i genitori, l’altra invece sua madre. Nonostante che abbia un padre, la bambina non era riuscita ad accettare la morte di sua madre e, come lei, di sedute psichiatriche… Sharon sosteneva che aveva trovato qualcuno che poteva avere come amica e compagna di giochi. Quell’amicizia era durato solo tre anni, poi si persero le tracce. Tutt’ora non si ricorda neanche il suo nome, solo il suo buffo soprannome: Green. Per il fatto dei suoi bellissimo occhi di colore verde smeraldo.
Dopo aver preso le due bottiglie, Jack prese le altre due che sono le più vicine.
<< Grazie… non devi disturbarti se sei di fretta… >> disse il ragazzo.
<< Nah, tanto mia sorella può aspettare un altro po’. Comunque, se vuoi, ti accompagno fino ad un certo punto alla cassa, tanto anch’io sto’ andando lì. Che ne dici?>> propose lei, sorridendo.
<< Sul serio che non ti disturbo…? >> richiese dubbioso lui.
<< Sicurissima. E poi, non puoi di certo tenere tutte queste bottiglie da solo, no? >>
Jack le diede ragione a quel punto, mentalmente, quindi accetto il suo aiuto e si incamminarono alla ricerca dei suoi amici, guardò ogni tanto la ragazza al suo fianco, ammise che è molto carina e gli occhi blu quasi notte ma notò un velo di malinconia. Non se lo spiegava con precisione ma è così.
<< Ah, non ci siamo presentati. Io sono Sharon. Se non sbaglio, tu sei lo stesso ragazzo dell’altra volta al Mc, giusto? >> chiese poi la ragazza, porgendogli la mano libera.
<< Già. Ci lavoro lì. Io sono Jack. >> disse, ricambiando la stretta con la mano libera. << Quindi, sei nuova qui di queste parti? >> chiese poi.
<< Si, mi sono appena trasferita con mia zia. Abito infondo la strada. >>
<< In quella… catapecchia di 300 anni? Oh, scusa, non volevo…>>
<< Nah, tranquillo, hai ragione. >> sorrise lei << È vecchia ma si può sempre aggiustare. Con un po’ di olio di gomito e con gli attrezzi giusti, si può fare di tutto. >>
Jack sorrise << Sei una tipa positiva. >>
<< Lo sono da sempre stata. >>
Il ragazzo riuscì a trovare i suoi amici che lo stanno aspettando impazientemente alla cassa, lo si nota dalla posizione di Miko con le braccia conserte, lui propose di proseguire da solo. Sharon non era sicura di lasciarlo solo per vedere le bottiglie cadere di nuovo, si fece convincere dal ragazzo e lasciando le due bottiglie. I due ragazzi si diedero un ultimo sguardo per l’ultima volta per poi andare per la propria strada, Jack pensò che si sarebbero rincontrati di nuovo, Jasper è una cittadina piccola; si avvicinò al duetto che lo stanno aspettando.
<< Oh, era ora! >> esclamò Miko, alzando le braccia. << Dove eri finito? >>
<< Primo, mi avete lasciato indietro. Secondo, una mano in più vi faceva male? >> li rimproverò.
Raph si scusò per non essersi accorto, mentre Miko non sembrava affatto in pena che prese le bottiglie per metterlo sullo striscione trasportabile della cassa. Jack sbuffò, quella ragazzina non cambierà mai.
 
Zoe continuò a sbadigliare, stufa di continuare ad aspettare, mettendo i gomiti sul freddo metallo della carrello. Non ha dormito bene per tutta la notte. Il sonno continua a tormentarla da quando sono uscite per fare la spesa. Questo per due motivi: la prima è che il pavimento non era messa bene, duro e polveroso, la seconda è che ad ogni suo movimento nella sua sacca o dalle pareti si sentivano dei scricchiolii sinistri da farla svegliare continuamente. Si chiese come fanno Rodhy e Sharon a dormire tranquillamente? Buon per loro, pensò lei.
Sharon arrivò correndo verso di lei << Eccomi! >> l’avvisò, mostrando la confezione in mano << Eccole le uova! Te l’avevo detto che venivo subito. >> disse, cominciando a posizionare la spesa nastro trasportatore.
Zoe sbuffò contrariata, facendo l’orario sul suo orologio da polso.
La ragazza si grattò la nuca << Ehm… scusa, un piccolissimo imprevisto. >>
La sorella minore sbuffò di nuovo.
 
Uscirono dal supermercato, dopo aver pagato, con le buste della spesa. La loro auto si prova a pochi passi dall’uscita, il peso delle buste è troppa per loro due, infatti Zoe strinse i denti per resistere al peso. Sharon ridacchiò sotto i baffi nel vedere le facce buffe della sorella minore, dopotutto non è abituata a dei pesi maggiori per via della sua gracilità, le disse una volta di andare in palestra per fare peso ma non le diede retta, la castana si pentì di non aver dato retta.
La ragazza aprì l’auto con la chiave automatica a distanza, sentendo un click meccanico, aprì il portabagagli una volta arrivati. Zoe lasciò le buste con fatica, con le dita indolenzite e diventate bianche per via della stretta della busta.
Sharon rise << Te l’avevo detto di fare palestra. >> disse, prendendola in giro.
Zoe sbuffò per l’ennesima volta, facendo il broncio.
Mentre le due ragazze misero la spesa nel retro, Arcee e Bumblebee continuarono ad aspettare che i loro amici umani uscissero dal supermercato, i ragazzi uscirono con le buste e che Jack e Miko stessero litigando sull’accaduto; Miko non è riuscita a digerire sul fatto che lui sia stato su Cybertron per ridare la memoria ad Optimus, bisticciano spesso. La femme sospirò rassegnata.
<< Continueranno così per molto? >>
*Non lo so.* rispose l’altro.
Bumblebee aprì il cofano posteriore e fece accomodare il suo migliore amico sul sedile passeggero; i due ragazzi non finirono di litigare fino a quando non si chiuse il cofano con un tonfo sordo, facendo lasciare la questione sospesa, vedendo l’amica salire sull’auto. Jack sbuffò, prendendo il casco.
<< Non prendertela, Jack. Le passerà. >> disse Arcee.
<< Non credo proprio… >> commentò Jack, mettendosi il casco.
Si guardò per tutto il perimetro del parcheggio, solo a pochi metri di distanza dal gruppetto identificò la figura di Sharon e che chiude il cofano della sua auto mentre l’altra si sedette al sedile passeggero; la corvina lo guardò con la coda nell’occhio, intuendo che se ne stia andando via anche lui con i suoi amici, lo salutò con la mano e salire in macchina alla guida.
Arcee assistette alla scena << Una nuova amica? >>
<< Credo di sì. >>






Angolo Autrice:
Ecco un altro capitolo, solo che ho dei problemi di impostare le immagini, stessa cosa con la foto del profilo, spero che il problema lo risolverò. Comunque, la storia sarà disponibile anche su Whattpad, il mio profilo è Fantasy_Wolrd_Story, potete anche seguire lì.
Alla prossima!
   
 
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