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Autore: heliodor    20/12/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Evasione

Khadjag lasciò l'aula del processo e si lanciò a passo svelto lungo le larghe navate sostenute da colonne che facevano il giro del palazzo.
Sulla destra si aprivano numerose porte, quasi tutte di legno massiccio. Alcune erano decorate con dei simboli che Joyce non aveva mai visto prima. Destrieri rampanti dalla folta chioma, un orso messo di profilo, un'aquila che aveva tra gli artigli un piccolo roditore. E poi lepri, lupi, un mulino a vento e persino una falce.
Dopo un po' smise di farci caso e si concentrò sulla sua preda.
Joyce slacciò la mantellina leggera che aveva indossato prima di uscire e la appallottolò, infilandola in uno spazio dietro una colonna. Sarebbe passata dopo a riprenderla.
Si mantenne a una trentina di passi di distanza, cercando di non farsi vedere da Khadjag. L'uomo non si voltò mai durante tutto il tragitto, camminando a testa bassa come se sapesse dove stava andando e avesse fretta di arrivarci.
Joyce mantenne il passo e riuscì a seguirlo fino a una svolta, oltre la quale lo perse di vista. Accelerò fino alla svolta successiva, ma lo stregone era sparito.
Tornò indietro quasi di corsa e notò che sulla destra si apriva una porticina minuscola. Oltre di essa era buio ma lei ci si infilò senza esitare.
Quasi scivolò sul primo gradino, mantenendo a stento l'equilibrio.
Le scale affondavano nel buio, scendendo in profondità nelle viscere del palazzo.
Joyce si concesse solo un secondo di esitazione, poi scese i gradini uno alla volta facendo attenzione a non scivolare.
Quando arrivò alla base scoprì di essere in un sotterraneo che sembrava scavato nella roccia viva. Doveva estendersi sotto il palazzo.
Non era la prima volta che Joyce si imbatteva in qualcosa del genere. I palazzi più antichi del vecchio e del grande continente erano spesso costruiti su grandi complessi sotterranei. Anche il palazzo reale di Valonde seguiva quella regola e lei spesso si era avventurata in quei corridoi, spinta dal fascino dell'esplorazione.
La maggior parte delle volte con lei c'era Bryce, compagna di avventure in quelle scorribande sotterranee. Era il loro piccolo segreto, andare a giocare sotto il palazzo alle intrepide esploratrici.
Bryce era sempre l'audace strega alla ricerca dell'antro del mago e Joyce il valente cavaliere che l'accompagnava.
Per un attimo la nostalgia l'assalì. Bryce le mancava più di chiunque altro, forse anche più di Vyncent e Oren. L'ultima volta che si erano parlate le aveva detto cose terribile.
Era stata ingiusta con lei. Aveva solo cercato di avvertirla che Vyncent non era la scelta giusta, che doveva pensarci meglio prima di prendere la decisione di sposarlo e lei quasi aveva evocato un dardo per colpirla.
Follia, ora che ci pensava bene. Era a quello che poteva portare la magia impura? Stava diventando sciocca, arrogante e malvagia come i maghi delle leggende?
No, lei non avrebbe ceduto. Poteva ancora controllare la magia, lo sentiva.
Khadjag riapparve dopo una svolta, all'improvviso.
Immersa nei suoi pensieri, Joyce quasi andò a sbattergli addosso. Si ritrasse dietro un angolo un attimo prima che lui la notasse.
Lo stregone era fermo davanti a una porta di ferro battuto e stava armeggiando con la serratura.
Infilò una grossa chiave di ferro nella toppa e diede due giri decisi. La porta si aprì cigolando sui cardini e lui si infilò dentro l'apertura.
Per un attimo Joyce temette che la richiudesse, ma la lasciò aperta. Attese qualche secondo, poi si avvicinò alla porta e guardò oltre la soglia.
Il corridoio era immerso nell'oscurità, ma in fondo si intravedeva una tenue luce ammiccante. Una torcia?
Khadjag non era in vista, quindi entrò nel corridoio e lo percorse con passo prudente, stando attenta a percepire ogni minimo rumore. Mano a mano che si avvicinava alla fonte di luce sentiva aumentare la tensione.
Il condotto finiva a un incrocio a T, dove si congiungeva con un corridoio più ampio e meglio illuminato da torce appese alle pareti di mattoni grigio scuro.
Joyce si sporse prudente e guardò prima a destra  poi a sinistra. Colse un movimento con la coda dell'occhio e scelse quella direzione.
Sui lati del corridoio si aprivano delle celle chiuse da pesanti grate di ferro battuto.
C'era qualcuno in quelle celle buie? Non ne aveva idea, ma non voleva correre il rischio di essere vista e richiamare attenzioni non gradite. Sussurrò la formula dell'invisibilità e sparì.
Accelerò il passo per riportarsi in prossimità di Khadjag.
Lo stregone aveva raggiunto una cella e si era fermato, le mani appoggiate sulle sbarre. Le sue labbra si muovevano ma da quella distanza non riusciva a sentire cosa stesse dicendo.
Doveva avvicinarsi.
La brutta esperienza con Tanisha e Zefyr l'avevano resa prudente.
Anche se invisibile potevano sentirla avvicinarsi. Uno stregone come Khadjar era addestrato in quella tecnica?
Non ne aveva idea, ma la prima volta ch si erano incontrati lei era riuscita a sfuggirgli nascondendosi dietro a delle casse.
Valeva la pena rischiare e si avvicinò con passo prudente, la schiena appiattita contro il muro.
Scivolò per una decina di metri.
"... per aiutarvi" stava dicendo Khadjag.
"Tara Therenduil dice che non dobbiamo provocare le guardie" disse una voce dall'interno della cella.
"Le guardie nemmeno si accorgeranno della vostra fuga."
"Ma tara Therenduil ha detto..."
"Lo so che cosa ha detto" disse Khadjag. "Ma avete visto anche voi che i giudici sono tutti d'accordo. Vi condanneranno anche se siete innocenti."
"I taras del villaggio dicono che dobbiamo rispettare le leggi."
"Le leggi degli alfar" disse Khadjag. "Non quelle dei kodva. Loro odiano quelli come voi e hanno scritto quelle leggi per punirvi."
"Ma..."
"Lascerò qui la chiave" disse Khadjag chinandosi e passando qualcosa tra le sbarre. "Poi starà a voi decidere."
"Perché ci aiuti?"
"Mia madre era per metà kaedil. Mi fece promettere che un giorno, se ce ne fosse stato bisogno, avrei dovuto aiutare i miei vatka."
"Vieni con noi al villaggio, nella foresta."
"Non potrei mai vivere a mio agio. Ormai sono un figlio della città, ma non ho dimenticato le mie origini" disse Khadjag.
"Ora dove andrai?"
"Devo tornare di sopra o si insospettiranno. Vi lascerò il passaggio aperto come vi ho spiegato. Creerò un diversivo per darvi il tempo di scappare. Datemi qualche minuto soltanto."
Khadjag si staccò dalle sbarre e si allontanò a passo svelto in direzione di Joyce.
Lei si appiattì contro il muro trattenendo il fiato.
Lo stregone la superò senza rallentare e sparì oltre un angolo.
E ora?, si chiese guardando entrambe le direzioni. Qualcosa le diceva di restare lì e aspettare, ma un'altra le suggeriva di seguire Khadjag.
Sentì una serratura scattare e una grata di metallo che cigolava sui cardini.
La cella dove Khadjag si era fermato era aperta.
Joyce si avvicinò per guardare meglio, fermandosi a una decina di passi di distanza.
Tre ragazzi uscirono dalla cella. Erano gli stessi che poco prima erano stati processati nel tribunale.
"Daez" esclamò uno dei tre, un ragazzo dalla folta zazzera castana. "Lo facciamo davvero?"
"Zitto" fece l'unica ragazza del terzetto. "Vuoi farci scoprire subito?"
Il più grande dei tre si guardava attorno. "Ormai siamo fuori" disse guardando gli altri due. "Se i kodva ci scoprono, ci uccideranno."
"Ci uccideranno lo stesso se restiamo qui" disse la ragazza. "Andiamo via."
"Tara Therenduil non sarà contento" disse il ragazzo dai capelli castani.
La ragazza fece schioccare le labbra. "Lui non è mai contento di niente. Ci chiama sempre robok. Per lui siamo sempre dei piccoli robok."
"Noi siamo robok" protestò il ragazzo dai capelli castani.
"Basta litigare voi due" disse il più grande. "Abbiamo deciso di andare e andremo. Seguitemi."
I tre si avviarono lungo il corridoio, diretti verso Joyce. Ancora una volta rimase immobile lasciò che passassero. Come avrebbero reagito se ora si fosse resa visibile? Si sarebbero spaventati o le si sarebbero avventati contro? Erano in tre ma lei conosceva la magia, mentre loro...
La ragazza sollevò una mano ed evocò un globo luminoso.
Ecco, si disse Joyce. Finisco sempre per sottovalutare gli altri. Quando imparerò a... scosse la testa e seguì i tre ragazzi alfar da una certa distanza, facendo attenzione a non perderli di vista.
Il corridoio procedeva in linea retta fino a una svolta. I ragazzi alfar la superarono quasi di corsa.
Ora Joyce faticava a mantenere il loro ritmo. Superò una rampa di scale, chiedendosi dove portasse. I ragazzi alfar sembravano sapere dove stavano andando. Aveva già il fiatone e stava per perderli di vista, quando udì le voci provenire dalla cima della scale.
"Da questa parte."
"Non devono sfuggirci. Svelti."
Joyce si appiattì contro il muro e nello stesso istante due guardie con le insegne azzurre le passarono accanto.
Poi un'altra mezza dozzina di uomini armati e,  a chiudere la fila, Gastaf e il figlio Zefyr.
Erano tutti armati di spade e scudi e marciavano decisi, come se sapessero dove andare.
Si avviarono nella direzione presa dai ragazzi alfar.
Joyce lasciò che la superassero e li seguì facendo attenzione a non avvicinarsi troppo a Zefyr, che non sembrava essersi accorto della sua presenza, anche se ogni tanto si guardava in giro come se stesse cercando qualcosa.
Joyce arrivò a trattenere il fiato pur di non farsi scoprire, sperando che quello bastasse a coprire le sue tracce.
Il corridoio finiva in un'ampia sala circolare. C'era una sola uscita e Joyce notò subito i quattro soldati che la chiudevano.
Al centro vi erano i tre ragazzi alfar.
"Molto bene" disse Gastaf avvicinandosi. "Lo sapevo che avreste tentato la fuga. Avevo detto a Selena di non fidarsi di voi selvaggi, ma non mi ha voluto ascoltare."
I tre ragazzi si strinsero l'un l'altro mentre i soldati si avvicinavano, le armi in pugno.
"Se fanno resistenza non esitate a usare le armi" disse Gastaf. "Sono dei fuggitivi e dei criminali."
Zefyr rimase indietro, come a guardare le spalle del padre. Ogni tanto girava la testa di lato, come tenendosi all'ascolto.
Sta cercando me? Si chiese Joyce. Possibile che sappia che sono qui?
Era rimasta sotto l'arco che sosteneva l'uscita della sala, incerta su cosa fare.
Qualsiasi cosa volessero fare a quei ragazzi, non lo poteva permettere. Aveva visto Khadjag aiutarli a scappare e lo stregone era di certo in combutta con Gastaf.
Se voleva fare qualcosa per loro, doveva farlo subito.
Joyce prese la sua decisione. Richiamò la formula della trasfigurazione per diventare Sibyl e si gettò di corsa verso il centro della sala.
Quando passò accanto a Zefyr questi si voltò di scatto verso di lei, cercando di afferrarla con la mano.
"Tu?" disse il ragazzo sorpreso.
Joyce non si voltò per vedere la sua espressione, ma si diresse decisa verso i tre ragazzi, ne afferrò uno per il braccio e lo spinse verso gli altri. "Venite con me" disse diventando visibile.
I ragazzi sussultarono per la sorpresa.
Joyce pronunciò la formula del manto oscuro e il buio riempì la sala.
Non perse tempo e trascinò i ragazzi verso l'entrata, superando di nuovo Zefyr e suo padre.
Come aveva sperato, la sorpresa li aveva disorientati e resi più lenti nelle loro reazioni.
Qualcuno gridò. Sentì Gastaf dire: "Sbarrate le uscite. Non devono andarsene."
Joyce udì il rumore di passi dietro di lei ma non perse tempo a voltarsi. Spinse invece i ragazzi davanti a sé, facendoli uscire dal manto di oscurità che aveva invaso la sala.
Erano a pochi passi dall'uscita e non c'erano soldati a sorvegliarla.
"Via" disse Joyce incitando i tre a seguirla.
Dietro di loro poteva immaginare i soldati vagare nel buio alla ricerca di un'uscita.
Quanto tempo aveva guadagnato? Qualche minuto, non di più, si disse.
Intanto i ragazzi alfar si guardavano l'un l'altro.
"Chi sei?" disse il più grande.
"Un'amica. Mi chiamo Sibyl" rispose Joyce.
"Io mi chiamo Olfin" disse il ragazzo.
"Io sono Indis" disse la ragazza. "E lui è Galaser" concluse indicando il ragazzo più giovane.
"Piacere di conoscervi" disse Joyce. "Ma ora andiamo o sarà stato tutto inutile."
Corsero per il corridoio senza voltarsi né rallentare. Dietro di loro Joyce sentiva il rumore dei passi che rimbombavano sulle pareti di roccia ma non aveva il coraggio di guardare quanto fossero vicini gli inseguitori.
Forse una svolta o due, ma non poteva esserne certa.
Arrivarono alle scale.
"Voi proseguite" disse Joyce. "Dopo due svolte troverete un lungo corridoio. Sulla destra c'è un condotto. Vi porterà fuori di qui."
"Perché dovremmo fidarci di te?" chiese Olfin. "Tu sei kodva e gli anziani dicono che non bisogna fidarsi di quelli come voi."
"Però di Khadjag ti sei fidato."
Olfin si morse la lingua.
"Lui era d'accordo con Gastaf" spiegò Joyce. "Deve aver fatto tutto questo per invogliarvi a evadere e farvi sembrare colpevoli."
"Dost" esclamò Olfin. "Sono proprio uno stupido. Non dovevo fidarmi di lui. E nemmeno di te."
Joyce si fermò vicino alla scale. "Andate. Io cercherò di rallentarli." Ma nemmeno lei aveva idea di come fare.
I tre ragazzi esitarono.
"Svelti" li incitò Joyce.
"Grazie, Sibyl" disse Indis.
I tre proseguirono mentre Joyce preparava due dardi magici. Non aveva intenzione di ferire nessuno, ma solo di rallentare i soldati.
E poi? Che cosa avrebbe fatto lei?
Se la catturavano avrebbero scoperto la sua vera identità, mettendo nei guai Jhazar e tutta l'alleanza.
Perché non ragionava prima di buttarsi in un'avventura?
Il primo soldato emerse da dietro l'angolo. Era Zefyr. Appena la vide sollevò lo scudo rallentando.
Joyce fece partire un dardo, colpendo il pavimento alla sua destra.
Zefyr d'istinto si gettò a sinistra e imbracciò la balestra che teneva legata sulla schiena.
Joyce evocò lo scudo magico, tenendolo davanti a sé come faceva Zefyr col suo.
"Chi sei?" chiese il ragazzo.
"Nessuno" rispose Joyce.
"Arrenditi e non ti farò del male."
Per tutta risposta Joyce lanciò l'altro dardo colpendolo al centro dello scudo.
Zefyr indietreggiò di un passo, poi puntò la balestra verso di lei e fece partire il dardo.
Joyce lo deviò con lo scudo.
Zefyr ne approfittò per lanciarsi in avanti di corsa, urlando e mulinando la spada.
Joyce, sorpresa da quell'attacco, si voltò e corse su per le scale. Dietro di lei Zefyr urlò qualcosa ma lo ignorò. Era troppo presa dal pensiero di trovare una via d'uscita per rendersene conto.
Corse a perdifiato arrampicandosi sui gradini a due per volta. Era stanca per la corsa di prima e non avrebbe retto a lungo. Doveva trovare il modo di far perdere le sue tracce a Zefyr, che la inseguiva a una decina di gradini di distanza e non sembrava intenzionato a mollare la presa.
Come faceva a starle dietro con quell'armatura addosso? A quali allenamenti si sottoponevano le lame d'argento per avere tutta quella resistenza?
Joyce raggiunse con sollievo la cima delle scale e si gettò a sinistra senza badare a dove stesse andando.
Una direzione vale l'altra, si disse.
Poi si rese conto che non sempre era così. Aveva imboccato un vicolo cieco. Il lungo corridoio di pietra terminava con una spessa vetrata.
Dietro di lei Zefyr agitava minaccioso la spada e guadagnava terreno, avvicinandosi.
Joyce usò le ultime forze per evocare due dardi e li lanciò verso la vetrata, mandandola in mille pezzi.
Prima di saltare attraverso l'apertura mormorò la formula della levitazione. Si diede lo slancio con entrambe le gambe e si gettò nel vuoto.
Stava già guadagnando quota quando qualcosa si avvolse attorno alla caviglia destra. Il contraccolpo la fece ruotare come un trottola e poi precipitare verso la facciata del tribunale.
Vide le bianche pareti di marmo farsi sempre più vicine. L'impatto la fece urlare per il dolore e la sorpresa. Sentì il fianco avvampare per il dolore mentre strusciava contro i costoni di dura pietra. D'istinto si aggrappò al capitello di una colonna decorativa. Qualcosa la tirava verso il basso. Guardando in giù vide la corda che le aveva artigliato la caviglia. All'altro capo c'era Zefyr che si sporgeva dalla finestra in frantumi e tirava per farla precipitare.
Joyce annaspò cercando di resistere, ma il ragazzo era più forte di lei e sentiva cedere la presa sull'appiglio.
Si aggrappò con tutte le sue forze, ma Zefyr tirò puntando i piedi. Joyce allora si lasciò andare all'improvviso.
Zefyr venne sbilanciato all'indietro e lasciò la presa per un istante.
Joyce ne approfittò per puntare un dardo verso la corda e tagliarla.
Zefyr fu più veloce e le diede uno strattone deciso, facendole mancare il bersaglio. Il dardo si infranse contro la parete di marmo dell'edificio, lasciando una bruciatura annerita.
Joyce si ritrovò di nuovo a ruotare nel vuoto, sbatacchiata a destra e sinistra dalla corda legata alla caviglia. Aveva lo stomaco sottosopra mentre cercava di capire in che direzione stesse andando, quando si accorse che Zefyr la stava tirando a se.
Joyce si concentrò e usò il raggio magico dirigendolo verso la corda. La lama di energia la tagliò di netto e lei fu libera.
Il contraccolpo sbilanciò Zefyr, che si era sporto oltre la balaustra e si rovesciò in avanti.
Joyce lo vide annaspare nel vuoto alla ricerca di un appiglio mentre le gambe si staccavano e lui cominciava a scivolare verso il baratro.
Da quell'altezza non sarebbe sopravvissuto.
Joyce si lanciò verso di lui e lo afferrò per le spalle. Precipitarono per qualche metro senza riuscire a frenare la caduta. Il peso del ragazzo e l'armatura che indossava erano eccessivi per Joyce.
Si sarebbero schiantati entrambi.
Con un colpo di reni si lanciò verso una finestra. L'impatto fu duro ma lei mantenne la presa.
Zefyr si aggrappò alla balaustra con entrambe le mani.
Usò due dardi per sfondare la finestra. "Ce la fai a reggerti?" chiese Joyce.
Zefyr annuì e con un gesto agile si sollevò oltre il davanzale, atterrando nel corridoio. Si voltò di scatto e imbracciò la balestra, puntandogliela contro.
Joyce restò immobile davanti al dardo puntato verso il suo petto. Da quella distanza non aveva il tempo di evocare uno scudo.
Era stata una stupida ad aiutarlo. Avrebbe dovuto lasciarlo cadere nel vuoto e salvarsi. Invece era tornata indietro e adesso era perduta e con lei l'alleanza con Nazedir e la guerra. E Oren. Quello le faceva male più di ogni altra cosa.
Si fissarono per lunghi secondi.
"Chi sei?" fece Zefyr.
"Mi chiamo Sibyl" disse Joyce. "Ma tutti mi chiamano la strega rossa." Non sapeva perché aveva aggiunto quella frase, ma non le era venuto in mente nient'altro per guadagnare tempo.
"Che ci fai qui?"
"Cerco di fare la mia parte." Ed era vero.
"Aiutando dei criminali a fuggire?"
"Sono solo dei bambini" disse Joyce. "Li hai visti anche tu. Dei guerrieri si sarebbero spaventati così tanto davanti a delle guardie?"
"Se sono innocenti, perché cercavano di fuggire?"
"Se sono innocenti perché vengono tenuti in prigione?"
Zefyr scosse la testa. "Che devo fare con te? Sono tentato di ucciderti subito."
"Lasciami andare via." Era un tentativo pietoso, ma perché non provarci?
"Dammi un buon motivo per lasciarti andare" disse Zefyr.
"Chiedi a tuo padre di Khadjag" disse Joyce.
"Chi?"
"L'uomo che ha parlato con lui nel tribunale."
"Non lo conosco."
"Chiediglielo e basta."
"Lo farò." Zefyr abbassò l'arma. "Adesso vai, svelta."
Joyce non si mosse.
"Una vita per una vita" disse il ragazzo. "Così facciamo dalle mie parti."

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