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Autore: Duncneyforever    25/12/2017    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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Rimiro il paesaggio cupo e desolato di Auschwitz con occhi sbarrati. Mai, prima d'ora, avevo assistito ad un simile abominio, nemmeno durante tutto l'arco della mia permanenza nei suoi territori limitrofi. Non è mai cosa da nulla ritrovarsi testimone dello scenario apocalittico di quella ciminiera fumante e di quella fiumana di corpi sfibrati abbandonati al loro incaritatevole destino ma, questa volta, la scena a cui sono costretta ad assistere è persino peggiore del consueto: non ebbi il tempo di cacciar fuori un piede dal treno che già il tanfo terribile di carne bruciata, proveniente da alcuni chilometri di distanza, mi aveva invaso le narici. Arrivati fin davanti al cancello della storica entrata di Birkenau, provai a scendere dall'auto insieme al colonnello, ma l'odore quasi tossico del fumo nero mi fece torcere le budella dalla nausea e con quella sensazione di malessere fisico arrivò anche il dolore... Provavo tanta ripugnanza per coloro ( o ciò che ne restava ), che in vita avevano portato le mie stesse fattezze, la mia stessa carne e il mio stesso sangue. A causa di quel sapore acre che mi infiammava la gola non riuscii a provare null'altro se non il disgusto e ciò mi fece sentire un mostro per la prima volta nella mia giovane vita, già troppo provata per una ragazzina del mio tempo. In quell'attimo desiderai tanto casa mia, il profumo delle nostre rose rosse e la fresca fragranza dell'erba appena tagliata, che andava fondendosi con il gusto dolce della frutta di stagione e i campi di camomilla profumata. Mi mancava così tanto la mia terra, il mio paesello, la mia famiglia che iniziai a chiedermi se sarei riuscita a far ritorno nella realtà a cui, in fondo in fondo, ero affezionata. E mentre quel rapido e vorticoso senso di repulsione mi stava costringendo a ripiegarmi su me stessa in cerca di sollievo, Rüdiger si decise, in modo del tutto imprevedibile, ad intervenire in mio aiuto, coprendomi la bocca con la spessa uniforme militare che si era prontamente sfilato al solo scopo di alleviare la mia pena. Il rosso aveva un'aria durissima e continuava a storcere il naso, anch'egli schifato dall'odore tremedo che stava rapidamente diffondendosi nell'aria, così come la nube color carbone. Rientrai in auto seduta stante e appurai con orrore che la sua casacca, sul lato esposto, aveva già avuto modo di assorbire la puzza di marciume. Mi distaccai dal capo e cercai di piegarlo accuratamente, ma non ci riuscii a causa del tremolio che mi aveva destabilizzato le mani, così lo spostai in un angolo e mi misi a guardare fuori dal finestrino; notai che all'esterno del campo non c'era un fitto brulicare di soldati, tuttavia, i pochi " superstiti " erano quasi tutti provati dal voltastomaco, molti erano paonazzi in volto o tossicchiavano a brevi intervalli, qualcuno rigettava l'anima, si tratteneva il torace con le mani e si voltava da un'altra parte, vergognandosi della veduta pietosa che stava offrendo. Dopo un'ora passata ad aspettare Schneider, sono ancora qui seduta; le palpebre mi sono ancora un po' pesanti, avrei quasi la tentazione di chiudere gli occhi per riposare, ma chi si addormenterebbe a cuor leggero in un luogo così lugubre? Se disgraziatamente lo facessi, mi garantirei incubi d'oro a non finire. Vedo poco di ciò che avviene nel lager, poiché il tutto è lontano e sfumato o, perlomeno, a me pare tale: in realtà, mi basterebbero pochi passi, appena il tempo di passare oltre alla costruzione di mattoncini rossi, per vedere la sofferenza della povera gente rinchiusa all'interno. Il fumo proviene dalle baracche laterali ( dove la visuale è molto scarsa a causa della coltre di nebbia scura ) e, probabilmente, proprio da roghi appiccati all’esterno. Mi viene l'angoscia a guardare in quella direzione, poiché ho la vaga impressione che non siano solo i cadaveri dei malati a bruciare... Ma che si tratti di omicidio colposo o volontario, sempre di omicidio si tratta! Per me non vi è differenza, perché coloro che sono stati infettati dalla malattia e sono periti a causa di questa, non si sarebbero mai ammalati se i nazisti non li avessero portati qui, sottoponendoli ad un regime igienico-sanitario deplorevole, che farebbe impallidire chiunque, persino gli ammorbati della Milano seicentesca. Se non fossi stata così cocciuta, non mi sarei mai, mai e poi mai posta problemi di questo tipo! Potevo starmene a casa mia, sul mio bel divano, davanti alla mia TV, con una coppa di gelato fra le mani, e invece no! Non sono riuscita nemmeno a mantenere un comportamento neutro, distaccato nei confronti di tutti... Se fossi stata più furba, adesso non me ne starei rannicchiata in quest'auto, ciondolando come una posseduta, terrorizzata al pensiero che anche i miei nuovi amici stiano bruciando nel forno di Auschwitz I o in qualche fossa comune cosparsa di carburante. Mi sento particolarmente legata ad Ariel che, per me, è stato molto più di una semplice conoscenza: è stato un prezioso confidente e un amico leale che ha reso la mia permanenza nel campo molto meno sgradevole di come sarebbe stata altrimenti. Proprio lui, con quel corpicino ossuto e quegli occhioni celesti pervasi di tormento, mi aveva tirata su nei momenti più bui quando, invece, sarei dovuta essere io a consolarlo, a promettergli, forse mentendo, che tutto sarebbe andato per il meglio. Mi ucciderebbe sapere che gli sia capitato qualcosa di brutto, perché davvero il cielo mancherebbe di una delle sue stelle se non ci fossero più i suoi sorrisi timidi e i suoi piatti squisiti ad illuminarmi la giornata. E penserei a molte altre cose ancora, se solo Rüdiger non latrasse così forte! Non gli sono neanche così vicina, eppure credo di poter capire la sofferenza dei golosi nella Commedia di Dante nel sentire sempre le grida rabbiose del mostro Cerbero, perché la sensazione è pressoché la stessa. I soldati a cui si sta rivolgendo sono annichiliti, perché rintronati da tutte quelle urla, dagli insulti o dalle minacce del rosso... Difficile stabilirlo. La lingua parlata è un tedesco piuttosto stretto e faccio fatica a distinguere la fine di una parola dall'inizio di un'altra. " Verdammte Scheiße, dummen Arschlöcher ", ovvero, " dannazione, stupidi coglioni ", questo, beh... Direi di averlo capito anche fin troppo bene. Ad un certo punto, però, Rudy smette di sproloquiare e si volta verso l'auto, forse verso di me, rosso in volto: so di non aver fatto niente questa volta, ma non nego che, comunque, mi faccia una certa impressione vederlo così. Istantaneamente un tremolio mi fa raddrizzare la colonna ed un nodo alla gola mi costringe ad ingoiare saliva a vuoto. Con poche rapide falcate, me lo ritrovo ( di nuovo ) in macchina con me, decisamente infuriato. Ero già schizzata dietro prima e, adesso, ringrazio Dio di averlo fatto dato che, più che impressione, a vederlo bene, mi fa proprio paura. Sembra invecchiato di dieci anni, con alcune spresse rughe a lato delle sopracciglia, proprio sulla radice del naso e nella parte bassa della fronte, il colorito quasi violaceo, le vene pulsanti lungo le tempie e gli occhi scuri, assottigliatisi molto sotto il peso delle sopracciglia arcuate, di un colore plumbeo particolarmente intenso, come nubi cariche di fulmini e saette.

- Riuscirai a rimediare, vedrai. - Dove ho trovato il coraggio per dire queste quattro ciance, solo chi per me lo sa. Le ho dette solo per timore che in questo stato il rosso possa far del male a me o agli altri, visti i trascorsi. Lui mi scocca un'occhiata perplessa, dubbiosa, poi rilassa le spalle tesissime e prende una lunga boccata d'aria, prima di mettere in moto l'auto e ripartire. La villa di Schneider non è molto distante dal lager, quindi la vediamo delinearsi dinnanzi a noi prima di mezzogiorno. Corro subito in casa, passando dalla porta di servizio da cui sta rientrando una delle domestiche, bruciando la distanza che mi separa dalla cucina, allo scopo ultimo di assicurarmi la presenza di Ariel all'interno della casa. Entro spalancando la porta, incurante del disagio che potrebbe provocare il rumore: tutti i presenti scattano verso l'alto, spaventati, ma tirano un sospiro di sollievo non appena vedono me e non il Kommandant. Nella stanza ci sono due domestiche e il sous chef, Ernst, anche lui ex deportato del campo in quanto prigioniero politico, ma di Ariel non vi è traccia. Com'è possibile che non ci sia?! Lui è sempre in cucina, lui deve esserci, lui... Lui non può essere scomparso. No, non lui, non Ariel. Chiedo a tutti del ragazzo ebreo, ma nessuno sa darmi una risposta. Vedo tornare Zlata, la ragazza sinta che non parla mai e la imploro di dirmi dove si trovi il mio amico. 

- Sai dov'è Ariel? Wo ist der Koch?! Ariel?! - Glielo chiedo con gli occhi umettati di lacrime, ma lei non risponde, mi guarda con i suoi occhi spenti e passa oltre, continuando a camminare con la brocca d'acqua tra le mani, fino al tavolo. La poggia lì sopra e poi mi transita di nuovo accanto, sgusciando fuori dalla cucina senza più alzare gli occhi dal pavimento, noncurante delle mie lacrime e di tutto ciò che la circonda. Allora, con il viso irrigato di fiumi salati, chiedo di lui agli altri, ancora e ancora, tuttavia nessuno riesce a darmi una risposta, tutti tacciono, come se avessero paura di parlare. 

- Perché piangete, signorina? Vi avevo promesso che non avrei lasciato questo mondo tanto facilmente, ricordate? Temo mi avrete tra le scatole ancora per un po'. - Lui è lì in piedi, più magro di come lo lasciai due settimane fa, la ferita al braccio rimarginata e lo sguardo celeste ancora malinconico, anche se lucido di commozione.

- Oddio Ariel, sei proprio tu! - Riverso in uno stato tremendo, eppure mi precipito subito da lui non appena lo vedo apparire. Senza pensare a nulla, nemmeno agli occhi indiscreti degli inservienti, gli fascio la vita sottile con le braccia e mi avvicino al suo petto, cingendolo in una sorta di abbraccio. - Ho avuto così paura! Credevo fossi... - Non riesco a terminare la frase, perché nuove lacrime, questa volta di gioia, prendono a scorrermi abbondantemente sulle guance. Egli non si muove, perché non può rischiare di farsi beccare dal colonnello o dalla governante, però capisco che anche lui vorrebbe ricambiare l'abbraccio e questo mi rende felice, molto felice. 

- Non preoccupatevi per me, starò bene per voi, se questo può rendervi meno triste. - Vorrei tanto non ci fosse nessun altro in questa stanza, cosicché lui riesca a trattarmi come un'amica senza doverne temere le conseguenze e io possa chiedergli come se la sia cavata in quest'arco di tempo e se sappia qualcosa riguardo al caos regnante oltre il filo spinato. È frustrante dover temere la sua vicinanza e credo questo valga altrettanto per lui, per cui devo farmene una ragione e lasciarlo stare in presenza d'altre persone.

- È rientrato Herr Schneider, hai sentito? Sarà meglio che io vada di sopra, prima che ci veda. - Con tanto dispiacere, mi separo da lui, salendo al secondo piano per farmi una doccia. Benedico mentalmente la " servitù " per la loro bocca cucita e mi infilo all'interno del box, lasciando che l'acqua faccia scorrer via tutta la tensione accumulata. Il bagno di Rüdiger è decisamente alla moda e di buon gusto, lo definirei spettacolare per l'epoca in cui ci troviamo, una vera avanguardia in stile e funzionalità: il lavandino e la vasca sono color verde-acqua, così come la piattaforma di ceramica della doccia, la mensola sottostante lo specchio e parte dei pannelli divisori; le pareti sono bianche, intercalate da sottili linee nere, così come le piastrelle marmoree ( queste completamente bianche ) e i paralumi delle lampade. Mi rivesto con tutta la calma possibile immaginabile, ovviamente. Chi mai vorrebbe uscire sapendo ciò che attende all'esterno? Mi trovo bene qui e mi troverei ancora meglio, se non fosse per i miei grossi problemi di autostima: mi guardo allo specchio e mi vedo grassoccia, orribile, vedo la pancia gonfia, sporgente quando, invece, dovrei vedere il ventre piatto che, con l'aiuto del tempo e della crescita, sono riuscita ad ottenere; non vedo un paio di gambe tornite e proporzionate, ma vedo le cosce abbondanti e i polpacci spessi, in disarmonia con le braccia sottili e il collo lungo; non vedo, in generale, una bella silhouette, nonostante Rudy mi faccia spesso complimenti riguardo alla forma graziosa del mio corpo e ai tratti dolci del mio viso. Tutto ciò è deprimente perché, tempo fa, riuscivo a trovarmi bellissima pur non essendo perfetta mentre, adesso, non sono più capace di farlo. La cattiveria delle persone mi ha reso terribilmente insicura e, francamente, non so se riuscirò mai ad avere indietro la sicurezza che mi caratterizzava. Sono sempre stata convinta che ogni donna, indifferentemente dal colore, dall'altezza e dalla taglia, fosse bella a suo modo, ma allora perché mi è così difficile accettare me stessa? Perché devo criticarmi ogni cosa, sminuendomi come se non mi considerassi degna delle altre? Strofino i capelli, i miei amati capelli, il mio tesoro, con un panno pulito, cercando di asciugarli con cura. Sento suonare il citofono e non me ne preoccupo, poi mi accorgo che la persona dall'altra parte continua a schiacciare sul tasto, perché nessuno è andato ad aprire la porta. Dovrei andare io? Ma perché nessuno si è mosso, uffa! Rudy dove diavolo è finito? Inoltre non ho voglia di sentire altre brutte notizie o assistere ad altre sfuriate, sono già abbastanza a terra così. Non vorrei farlo io, però il suono squillante di quell'aggeggio mi urta il sistema nervoso, quindi non lo ascolterò un secondo di più. Scendo le scale con i capelli semi-bagnati appiccicati alla fronte e un vestitino da casa ( pressoché una camicia da notte ) indosso. Non trovo nessuno nei paraggi, così decido di andare io alla porta... Apro con un solo scatto per evitare di perdermi in supposizioni inutili, ma chi vi trovo all'esterno è un uomo talmente alto che, a porta aperta, mi è visibile solo per metà ed io sono obbligata ad alzare il collo per poterlo guardare in volto: è uno sconosciuto, dai corti capelli chiari pettinati impeccabilmente all'indietro e tenuti fermi dalla brillantina, con gli occhi fini, dal taglio leggermente allungato, altezzosi e freddi come le nevi della Selva di Turingia. Ha una corporatura massiccia, il petto voluminoso e gli addominali ben delineati, guizzanti sotto la camicia bianca, così come la netta incisione dell'arcata epigastrica. Tutto in quest'uomo trasuda potenza, persino i capi a " panneggio bagnato " che vanno a sottolineare la possanza dei muscoli, simbolo della sua indubbia forza fisica. Credo non abbia molti anni più di Rüdiger.... L’uniforme militare tende a far sembrare uomini coloro che, in realtà, sono poco più che ragazzi e il rosso ne è un esempio lampante. Sì... potrebbero passarsi proprio solo un paio d'anni. Fatto sta, che questo tedesco rappresenti praticamente l'emblema della perfezione ricercata dai nazisti e l'incontaminato frutto della " razza privilegiata " destinata a regnare sopra a tutte le altre. Non smentisco l'idea che mi metta una certa soggezione averlo vicino; gli basterebbe una sciocchezzuola da niente per metter fine alla mia fragile vita e, questo, non mi rende affatto tranquilla. Egli, dapprima sorpreso, ammorbidisce ( e di molto ) lo sguardo non appena realizza di aver davanti a sè uno scricciolo innocuo e non il feroce colonnello di Auschwitz-Birkenau, il boia del lager. 

- Buongiorno, Fräulein. - Piega di poco il capo biondissimo in un vago cenno di saluto, per poi sorridermi cordialmente. 

- Buongiorno anche a voi, signore. Perdonate la curiosità, ma come sapevate in che lingua parlarmi? -  

- Basta guardarvi. - Sul viso del tedesco compare un cipiglio sorpreso, che gli inzucchera i fini occhi acqua-marina. - Permettetemi di dire che sembrate proprio italiana. - 

- E voi sembrate proprio tedesco, allora. Cosa vorreste dire con questo? - Lo riprendo senza vergogna, piazzandomi già sulla difensiva. " Italiano ", pronunciato da uno di loro, sembra quasi una bestemmia, ha una connotazione decisamente negativa e, dato che tanti crucchi sono soliti evocare la mia Italia con odio, ho dovuto imparare a diffidare di coloro che mettono in mezzo la mia terra natia, specialmente di quelli che la utilizzano come pretesto per infastidirmi. 

- Non era mia intenzione insultarvi, signorina. Voi mi ricordate molto la donna che vidi in un dipinto, a Firenze, diversi anni fa: avete la stessa pelle candida e lo stesso atteggiamento sprezzante, pensate un po'... - Pur non essendosi scomposto, l'uomo si è sciolto notevolmente, dimostrando di possedere anche un lato più fresco e gioviale, oltre al tipico rigore nordico e alla fierezza contraddistintiva delle SS più convinte. 

- V'intendete d'arte, Herr? - Questo suo paragone mi ha incuriosita un po', ma non lo ammetterei mai di fronte a lui. Di sicuro si monterebbe la testa e inizierebbe a comportarsi da sbruffone, esattamente come fece Rüdiger il giorno in cui lo conobbi. Il soldato dischiude le labbra per rispondermi, fino a che una voce stridula non richiama entrambi all'attenzione. 

- Was machts du da rumstehst? Öffne die Tür zum Kommandanten, blöde! - La governante sopraggiunge superba ed impettita come sempre, cercando di rimettersi a posto la pettinatura già impeccabile. Non mi era mancata per niente quell'odiosa donnaccia; sinceramente, speravo fosse stata trasferita o qualcosa del genere ma, ahimè, non mi è stata concessa questa grazia. Il fatto che lo abbia chiamato " comandante ", però, mi ha fatta sentire decisamente poco perspicace; insomma, com'è possibile che, in tutta la conversazione, non abbia notato la croce di ferro luccicante spillata sulla sua uniforme? O sono io svampita, oppure è lui ad essere troppo alto. Mah, forse entrambe le cose. 

- Es freut mich, Sie wieder zu sehen, Erika. - Si vede che non è molto interessato alla bionda, ma lei, in estasi per le ( troppe ) attenzioni ricevute, persiste nello sgambettare e arrossire, falsamente imbarazzata. Come giudicare quest'uomo? La personalità della tedesca è praticamente inesistente, piatta e asciutta come la polvere; nessuno vorrebbe accanto a sè una persona così frivola e maligna, anche se conforme ai canoni di bellezza imposti dal Reich. Io di sicuro non la voglio e, adesso che ci sono, ne approfitto anche per " svignarmela " e tornare sui miei passi. Mi allontano e ripercorro le scale, con la netta sensazione di essere ancora scannerizzata dagli occhi indagatori del crucco, più stimolato dalla mia inaspettata presenza all'interno della casa che dalla parlantina della bionda. Al piano superiore, invece, proprio sull'ultimo gradino, trovo Ariel piegato a terra, intento a lavare le scale con un misero straccetto imbevuto d'acqua e sapone: come diavolo fa a " lavorare " in queste condizioni?! Poveretto, non ce la fa proprio più, vorrebbe solo buttarsi a terra e riposare. Impietosita, lo faccio alzare dal pavimento già lucido e lo spedisco in cucina a preparare qualcosa, l'unico modo per permettergli di riposare almeno un po'. Passiamo entrambi dall'altro lato per non farci vedere dai due " ariani " e prendiamo posto nella stanza, io al tavolo e lui ai fornelli; 

- cosa volete che vi prepari, signorina? - Ariel si rivolge a me con la forma di cortesia ma, ormai, mi è innaturale sentirlo parlare così, non ci sono abituata insomma, per cui resto lo stesso di stucco, nonostante appoggi pienamente le sue motivazioni. 

- Non saprei, magari qualcosa di nuovo. Un dolce caratteristico della tua terra? - Lui mi guarda perplesso, chiedendosi di quale terra io stia parlando. In effetti, non avrebbe tutti i torti... È nato su suolo tedesco, ma aveva cittadinanza polacca, prima che gliela portassero via; per di più, è ebreo e sembra molto affezionato alle sue tradizioni. 

- Mi riferisco alla Polonia - aggiungo, schiarendogli parzialmente le idee. Così, mi propone diverse ricette dal contenuto invitante, sicché io abbia la facoltà di scegliere ciò che più mi aggrada. Alla fine, vado per il " makowiec ", un rotolo ripieno di semi di papavero, noci sbriciolate e uva passa, tipicamente polacco ma diffuso in tutta l'Europa centrale. A quanto pare, la praparazione non è molto sbrigativa, ma dalla descrizione sembra davvero squisito, quindi perché no? E poi, le piastrelle sono talmente pulite che ci si potrebbe mangiare sopra, Rudy non avrebbe di che lamentarsi. 

- Ariel? - abbasso il tono di voce per non farmi sentire da nessun altro e mi avvicino furtivamente a lui, intento a lavorare l'impasto per il roll. - Sai qualcosa riguardo alla situazione nel settore B1? Laggiù regna il caos, scoppierà una guerra interna tra i Blocks se i nazisti continueranno ad affamarvi; vi stanno distruggendo e, di questo passo, vi mangerete tra di voi per la disperazione! - Lui lascia cadere la frusta nella ciotola, non potendo ( o non riuscendo ) a credere alle mie parole.  

- Bere acqua sporca non è certo un toccasana per la salute, quindi deduco che la causa debba essere questa ma, per il resto, non ne so molto, solo che fanno scavare delle buche per gettarci dentro i cadaveri e i moribondi. - Sono consapevole che gli pesi molto confidarmi queste cose, perché so che lui vorrebbe essere lì, con suo fratello e che preferirebbe morire di tifo sapendolo in salvo, piuttosto che sopravvivere all'interno di questa casa credendolo morto di una morte orribile, solo e senza pace. 

- Maxim non ha niente a che fare con quelle persone, perché i Blocks che Zeno e Fried mi hanno indicato non sono compresi in quella specifica zona di campo. E poi lui è ancora vivo, me lo sento; arriverà il giorno in cui ti confermerò i miei presentimenti, vedrai. - Sono più che convinta di quel che dico ed è strabiliante, perché questo non capita mai. Anche lui sembra darmi fiducia. - Perché prima non è andato nessuno ad aprire la porta? - Svio il discorso, ponendo una domanda che, già da prima, mi frullava per la testa.

- Ordini del comandante... Pare che non volesse essere disturbato. - Mi risponde, stupendosi della mia perplessità. - P-Perché? Avremmo d-dovuto? - Oltre che alla voce comincia a tremargli anche tutto il resto, dalle mani fin sotto alle ginocchia. La paura di aver commesso un errore per il quale potrà essere punito lo manda completamente in tilt: arretra tanto da urtare una brocca in vetro pregiato ( forse proprio italiano ) esposta su una delle mensole, facendola tragicamente cadere dal piano. Per sua fortuna, riesco a riacchiapparla prima che sia troppo tardi, ma l'espressione terrorizzata di Ariel mi impedisce comunque di star tranquilla. 

- Ho aperto io, ok? Calmati adesso, non è successo niente, assolutamente niente! E se qualcuno provasse a contestarvi qualcosa, rispondete che vi ho preceduti io, va bene? Certo che, se avessi fatto cadere questa, allora sì che sarebbe stata una disgrazia, altro che porta! - 

- Scusa, scusami tanto, davvero, è che non appena sento menzionare quell'uomo io, sì beh, insomma, io vado fuori di testa e... e... - Appoggio una mano sul suo petto per sentirgli battiti e mi accorgo che la frequenza di questi è molto superiore alla norma; 

- inspira piano Ariel, non farmi preoccupare - lo esorto a fare quanto richiesto e, nel giro di qualche minuto, finalmente, riprende a respirare con regolarità. Deve averle prese di santa ragione per aver reagito così, lui solo sa quante botte ha ricevuto in questi mesi, lui che è così gracile, indifeso... Così innocente. - Dimmi ancora una cosa: chi è il gigante biondo? Sai da dove arriva? Non mi sono ancora fatta un’idea di lui, ma di sicuro non mi sono mai sentita così piccola! Quell'uomo è enorme, sembra sia stato forgiato nell’acciaio! -  

- Si chiama Von Hebel, Reiner Von Hebel. Dicono molte cose su di lui, per lo più, si dice che non sia affatto tenero nei nostri riguardi, ma sadico e crudele come pochi altri. A quanto ne so, è stato mandato qui dal campo di lavoro di Buchenwald, non so per quale motivo. Non mi fiderei se fossi in te. - Distoglie immediatamente lo sguardo, subito dopo aver sentito la voce di Schneider rimbombare per tutta la casa. Chiama me, mi vuole in soggiorno, chissà per quale motivo, forse per umiliarmi davanti ai suoi colleghi o per sfoggiarmi di fronte al nuovo arrivo. Lascio la stanza salutando brevemente il mio amico e strascicando i piedi a terra, poco disposta ad abbandonare la mia " comfort zone " ( ovvero la cucina ) per dedicarmi alle pubbliche relazioni. Erika, ancora presente nella sala, impreca sottovoce, maledicendo il giorno in cui arrivai nella casa, la mia nascita e tutta la mia razza, questo per il fatto d'esser stata messa in ombra da una come me, una " puttanella " italiana. 

- Komm zu mir, Süße. - Prende la mia mano nella sua e mi cinge le spalle, esibendomi allo stesso ufficiale di prima. Dal modo in cui mi stringe, intuisco che sia un modo per presentarmi al suo ospite facendo, però, sottointendere la mia presunta " appartenenza " a lui e alle sue proprietà. - Sie ist Sara, das kleines Mädchen von dem ich dir erzählte. - Incrocio gli occhi del colonnello e vi scorgo una certa soddisfazione, per lo più, alimentata dalla reazione lontanamente stupita dell'altro. - Und er ist der Commander Von Hebel, aus Buchenwald. - 

- Così è questo il vostro nome, vi chiamate Sara. - 

- E voi Reiner. - Mi faccio scappare, tappandomi la bocca subito dopo. Mannaggia alla mia linguaccia! Ora cosa mi invento per non farli insospettire?! Avessi almeno una risposta pronta! - Beh, al campo tutti parlano di voi, sapete? - Non è propriamente una bugia, potrei anche essermi salvata, per questa volta. 

- Geh hoch. - Statuisce Rüdiger, innervosito dal dialogo. È strano, ma ho come la sensazione che si senta minacciato: non dal biondo, ma da un qualche altro pensiero a me sconosciuto, come se in un flash avesse rivissuto una brutta esperienza del suo passato o qualcosa di molto simile a questo. Gli obbedisco, tornandomene sopra il più in fretta possibile. Ricordo bene la notte in cui mi puntò la sua pistola contro, senza accorgersene, perché catturato dal suo incubo e non intendo rivivere la stessa paura di quegli attimi, per nulla al mondo. Ancora mi chiedo cosa abbia deciso di farne della sua vita, cosa lui speri di ottenere inseguendo uno scopo vano, una via senza ritorno, perché abbia deciso di sprecare la sua gioventù e la sua vitalità nell'inferno di Auschwitz se non per timore della morte stessa; avrebbe potuto avere tutto ciò che desiderava, gloria, fama, successo, sarebbe potuto partire per il fronte e uscirne in modo dignitoso, sapendo di aver reso un grande servizio alla sua Germania, la terra che ama... Invece no, pur avendone tutte le possibilità, ha preferito sporcarsi le mani con il sangue di coloro che non hanno colpa, piuttosto che di soldati nemici suoi pari, perfettamente in grado di difendersi. Rüdiger non ha paura di niente, è sempre stato sprezzante del pericolo ed ha dimostrato una certa abilità nel combattimento: sarebbe un soldato perfetto, forte e valoroso, ma allora perché, perché mi chiedo io, si comporta come un dannato animale, come un mostro assetato di sangue? Ho così tanti pensieri per la testa e il tempo sembra volar via; mi vedo arrivar su un piatto di torta da parte di Ariel e un bigliettino bianco, il tutto consegnatomi tramite una giovane ragazza dai capelli lunghissimi, forse di origine slava che, tutta intimidita, mi appoggia il vassoio sulla scrivania e si congeda con un piccolo inchino, in segno di riverenza. " Non è necessario " le avrei voluto dire, ma è scappata via in un battito di ciglia. Sono proprio curiosa di assaggiare il makowiec, quindi prima mi dedico al dolce e poi a quel misterioso foglietto finemente ripiegato. Trovo scontato ribadire quanto quel ragazzo sia abile in cucina, è buonissimo! Assomiglia un po' ad uno stollen, un pan brioche per cui esco pazza, quindi mi riempio subito lo stomaco, precipitandomi, poi, su quel famoso biglietto: " indossa il completo bianco, non tralasciare nulla " recita la scritta. Lo esamino spaesata, guardandomi attorno e cercando con lo sguardo abiti di quel colore. Poi mi accorgo delle ante dischiuse dell'armadio. Apro con cautela per evitare di rompere qualcosa e all'interno vi trovo un vestito in stile greco, ma molto più corto, che ricorda quasi un'abito da sposa; insieme a questo c'è anche una coroncina di pietruzze colorate a forma di foglie di acanto e fiori, una collana d'oro bianco e un paio di scarpette, anch'esse bianche e con un tacco di soli pochi centimetri. Mi insorgono subito delle domande quali: " perché devo mettermi queste cose? " e " perché proprio il bianco? " domande che, tra l'altro, ritengo più che legittime, visto che Rüdiger non ha specificato niente a riguardo. Provo ad infilarmi l'abito e ad affiancarci il diadema, ma l'effetto che mi dà, anche solo a pelle, non è propriamente dei migliori, perché è un abbigliamento molto " fru fru " che non si addice nè alla mia personalità nè al mio stile, più gotico e dark. Rimiro la mia immagine speculare e non mi riconosco affatto, intravedo solo una bambola di porcellana dal volto apatico, intrappolata in un eterno vortice di malinconia. La ragazza riflessa allo specchio non sono io, ma ciò che lui vorrebbe che fossi; è lui a vedermi così, è lui che vuole attribuirmi questo contrasto, tra il bene e il male e tra ciò che è sporco e ciò che ancora di puro sopravvive in un mondo insozzato dalla malvagità e dalla violenza. Tolgo tutto, subito, senza aspettare un secondo di più. 

- Signorina, siete pronta? Herr Schneider vi aspetta di sotto, sembra piuttosto impaziente! - 

- Sei tu, Ariel? Cosa ci fai qui? - Rudy gli ha categoricamente precluso il piano superiore, per cui sono molto preoccupata per lui. Se il rosso non lo sapesse e lo venisse a scoprire? 

- Sapete che sono l'unico membro della servitù a parlare la vostra lingua... È stato il comandante ad ordinarmi di salire per avvisarvi. Ditemi che avete finito, vi prego, sapete com'è fatto Schneider! - 

- È sempre nervoso quello! - Esclamo, appoggiando la schiena nuda contro la pediera del letto. - Ariel, io non me lo voglio mettere quel vestito! Se mi avessi vista mi avresti paragonata ad una vestale in procinto d'esser gettata nel fuoco e, credimi, non è bello, specialmente in questo contesto. Il crucco, dopotutto, è un tipo losco, senza scrupoli e se, ad esempio, mi volesse vendere ad uno dei suoi amichetti? Ne sarebbe anche capace. - 

- Ma no che non vi vuole vendere! Voi gli piacete! Ha solo dei gusti un po' particolari, ecco, forse è solo una fantasia sua, gli piace immaginarvi in questo modo, con quell'abito indosso. - Nonostante lui cerchi di rassicurarmi, continuo a non sentirmi affatto tranquilla. È vero, sono una codarda, forse non sono altro che paranoie mie ma, se per qualche disgraziato motivo, non lo fossero? 

- Se non scendessi se la prenderebbe con te, vero? - Lui tace ed io capisco di dovermi rimettere quel completo e scendere di sotto, a tutti i costi. Nessuno deve pagare per il mio errore. Nessuno. - Arrivo subito, aspettami, vorrei sapere cosa ne pensi tu. - Raccatto i vestiti sparsi sul letto, notando anche un paio di calze alte semi-trasparenti che non avevo ancora provato e, avvolta in mezzo ad essi, una giarrettiera di raso bianco con un fiocchettino color perla. Sapevo che Rüdiger fosse ricco, però non avrei mai pensato che avrebbe speso tanti soldi per coltivare i suoi strani fetish. E poi, che cos'è questo casino di sotto? Devo pure farmi vedere in pubblico conciata così?

- Ecco - apro la porta con uno scatto solo, come feci con Von Hebel, trovandomelo appoggiato al muro, con un sorriso interdetto stampato sulle labbra. Arrossisce vistosamente, cercando di non guardare l'abbondante porzione di pelle lasciata scoperta dalla veste, sul petto e sulle gambe. La gonna non è cortissima, l'avrei indossata volentieri al mare, ma qui... No cavolo, è un incubo! 

- Ehm siete molto, beh sì, diciamo uhm, diversa dal solito, non sono esattamente abituato a vedervi così, ecco. - 

- È quello che intendevo io, guarda qui che roba! - Indico la coroncina impreziosita di gemme, fin troppo sgargiante per una ragazzina poco pretenziosa come me. Ah, incredibile quanto sono egoista, però! A lui, di certo, non piace l'uniforme che è costretto ad indossare ventiquattro ore su ventiquattro, eppure non sta a lamentarsi sempre come faccio io. Devo smetterla di comportarmi come una bambina, tanto è inutile, l'ho capito, qui nessuno mi verrà a salvare: Friederick mi ha lasciata settimane fa, Andrea mi ha venduta, non mi resta che contare su me stessa, a questo punto. Non che abbia l'autostima necessaria, però potrei provare ad avere fiducia nelle mie capacità, chissà, potrebbero anche sorprendermi. Faccio cenno ad Ariel di iniziare a scendere le scale senza di me e traggo un lunghissimo respiro, prima di scenderle a mia volta. Sento subito un gran baccano, un chiacchiericcio indistinto di molte genti, un acciottolio di piatti e stoviglie, uno sbattere assordante di tavoli, sedie e mobilia varia, poi un imbarazzante silenzio. Ho tutti gli occhi puntati addosso e mi inibisco all'istante, nascondendo il viso dietro ai lunghi capelli sciolti. Vedo arrivare Schneider da dietro l'angolo ed è ormai tardi per scappare: mi prende per un braccio e mi presenta ai suoi ospiti, vantandosi di aver catturato la piccola fiera selvaggia proveniente dai confini meridionali del Reich. Come se quel barbaro mi avesse conquistata! Mi ha sequestrata, altrochè! Le voci gravi dei soldati e quelle più acute delle poche guardie di sesso femminile mi stordiscono, tanto che ad un certo punto non ci capisco più nulla, nè delle loro parole, nè dei miei pensieri; ciò che giunge alle mie orecchie è una canzoncina appena vociferata:

" es weinte eine Mutter,

   sie weinte an einem Grab,

   sie weinte um ihren Sohn,

   ihr Sohn, er war Soldat! ” * 

Sempre lo stesso ritornello, ripetuto ancora e ancora. È un suono familiare, non tanto la poesia, piuttosto il suo oratore, la sua voce. È la voce di un ragazzo. Ora riesco a vederlo, è proprio un ragazzo. Un ragazzo giovane, biondo, dagli occhi chiari e distratti. Sorride ma, dietro il suo sorriso, vi è solo un’ombra... Un’ombra di morte e distruzione. 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO AUTRICE: 

Finalmente pubblico questo “ attesissimo “ capitolo! Perdonate l’attesa, spero solo che vi sia piaciuto e che non abbia deluso le vostre aspettative... Approfitto dell’occasione per augurare buone feste a tutti i miei amati lettori/recensori! ^^ Un ringraziamento speciale a tutti voi che, in qualche modo, vi siete affezionati alla mia strana storia! Un milione di grazie, davvero! 

 

( E adesso le ) NOTICINE: 

- Wo ist der Koch? = Dov’è il cuoco? 

- Was machst du da rumstehst? Öffne die Tür zum Kommandanten, blöde! = Cosa fai lì impalata? Apri la porta al comandante, stupida! 

- Es freut mich, Sie wieder zu sehen. = È un piacere rivedervi

- Komm zu mir, Süße. = Vieni da me, dolcezza

- Sie ist das kleines Mädchen von dem ich dir erzählte. = Lei è la ragazzina di cui ti avevo parlato

- Geh hoch. = Vai sopra 

* = piangeva una madre, 

      gridava a una lapide,

      piangeva suo figlio,

      suo figlio era un soldato. 

 

 

 

 

  
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