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Autore: ciabysan    25/06/2009    2 recensioni
Giappone. Urumi ha 17 anni e si è appena trasferita con la sua famiglia in una nuova casa. Quasi per caso, trova in soffitta una fotografia che ritrae una donna, sul cui retro c'è scritto che lo scatto risale a dieci anni prima. Con l'amica Yumi, Urumi tenterà di scoprire l'identità della donna, che si rivela essere la vittima di un assassinio, di cui non si è ancora trovato il colpevole. Le due ragazze sospettano dei due precedenti padroni di casa, ma la verità è un'altra
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Attraversammo il nastro giallo con facilità inquietante e bussammo stupidamente, pur sapendo che la casa fosse deserta

Attraversammo il nastro giallo con facilità inquietante e bussammo stupidamente, pur sapendo che la casa fosse deserta. Forse per abitudine o per semplici buone maniere, ma una volta che Shuya bussò, anche io lo seguii nel futile gesto.

Ovviamente nesusno rispose, dunque passammo alla maniglia. La porta era aperta.

Davanti a noi l’interno si rivelava inquietante: di una lacerante oscurità. Tastai il muro alla ricerca di un interruttore e finalmente, trovatolo, un fioco lampadario posto al centro dello spazioso ingresso illuminò in modo assai smorto quell’ambiente. Forse per i lunghi anni passati da quando quella casa era abitata. Ragnatele e polvere regnavano sovrani.

Ripensai a Yumi e alla sua allergia alla polvere. Sarebbe morta in un ambiente come quello.

Cominciammo a camminare verso l’ignoto, mentre sotto i nostri piedi toccavano quel parquet una volta ordinato, ma ora un totale disastro. Il vecchiume scricchiolava sotto i nostri passi, mentre Shuya chiuse la porta dietro di lui.

“E’ un luogo tetro” sussurrò Shuya
“Perché sussurri? Mica siamo in chiesa”
“Sarà questo luogo che mi fa sussurrare, allora”
“Ascolta, Shuya, tu resta qui e va un po’ in giro alla ricerca di qualcosa interessante, io salgo al piano di sopra”
Annuì, ma vedevo la paura nei suoi occhi. Salii le scale, così tremolanti da farmi sussultare ad ogni gradino. Avevo il cuore in gola. Un lungo e oscuro corridoio si aprì davanti a me, varcandosi in varie porte, come un ventaglio. Aprii la prima, che mi portò ad una camera di ragazza.

La polvere era ancora, una volta la protagonista di quelle quattro mura, infestate dai poster.  La targhetta sulla porta presentava la scritta “Kayako”. La sua stanza.

La tensione saliva alle stelle e cominciai a tremare come una foglia. Mi avvicinai alla scrivania, posta sotto la finestra, dopo aver cercato di illuminare una stanza fin troppo oscura.

La lampadina doveva essere rotta, perché non rispondeva al richiamo dell’interruttore, dunque aprii la finestra e finalmente regnò la luce. Grazie a quel clima solare cominciai a sentirmi meglio. Aprii i cassetti della scrivania, in cui il caos regnava.

Fogli volanti, pastelli inutilizzati e…una fotografia spiegazzata.

La presi tra le mani e sospirai: c’era Kayako, sorridente e con quell’abito di raso viola e rosa che avevo intravisto tra le lenzuola stese poco tempo prima e un uomo, che indossava uno splendido smoking nero, con tanto di fazzoletto bianco ripiegato nella tasca sul davanti della giacca. Era un ragazzo snello, ma il suo volto non era presente. Era stato stracciato con ferocia. Cercai tra i fogli volanti, con la speranza che ci fossero altre foto di quell’uomo misterioso, ma al suo posto trovai una specie di busta, marchiata da una goccia di sangue. La aprii, con il cuore che cominciò a battermi. C’era una lettera.

Appoggiai la busta, curiosa, sulla scrivania e cominciai a leggere. La scrittura era femminile e aggraziata, grondante di qualsiasi emozione celata.

 

“Cara Famiglia.

Non so se avete sentito ciò che la gente dice sul mio conto e su noi in generale,

ma il fatto è che non ne posso più di queste dicerie, che dicerie

in realtà non sono completamente.

Vorrei chiedere a scusa a Takeo: lui mi amava ma io e mia sorella l’abbiamo usato solamente per salvarci.

Vorrei chiedere scusa ai miei genitori, perché se non fosse per colpa nostra la gente non avrebbe iniziato a parlare.

Vorrei chiedere scusa a mia sorella, perché le voglio bene e non avrei mai voluto

Che soffrisse così tanto.

E vorrei chiedere scusa a (un nome cancellato da una striscia di sangue), perché lo amo e lo amerò per sempre e perché so che sarà il primo a piangere una volta che vedrà il mio cadavere.

Vorrei solamente che la gente la smetta di parlare.

Il mondo è un prato fiorito che nasconde serpenti velenosissimi.

Il desiderio di porre fine alla mia futile vita mi consuma letteralmente le interiora.

Un giorno avrò il coraggio di portare a termine il mio volere e quel giorno

Troverete questa lettera.

Kayako”

 

Kayako, così voleva morire. Voleva suicidarsi. Avrei voluto sapere che cosa riguardassero quelle leggende urbane sul suo conto e cosa le avesse scatenate.

Ma soprattutto mi spaventava il fatto che Takeo non fosse in realtà il ragazzo di Kayako, ma semplicemente una persona che usava.
Probabilmente lui serviva da copertura, ma per cosa? Domande su domande mi devastavano la mente, come un mucchio di aghi affilati con l’intenzione di trapanarmi il cervello. Inquietata appoggiai la lettera sulla scrivania e ricontrollai la busta. C’era anche una fotografia. Era ancora quell’uomo, ma questa volta il suo volto era ben presente. Solo gli occhi erano stati oscurati con una lunga linea nera, forse creata con un pennarello. Era sorridente e in giacca e cravatta. Un primo piano da fotografo professionista. Mi servivano, però, quegli occhi per poter confermare la mia idea.
Quella persona mi ricordava incredibilmente qualcuno che non riuscivo a spiegarmi. Non riuscivo a capire dove avevo già visto quella fisionomia. Presi lettera e fotografia e li misi nello zaino, quando all’improvviso un rumore.


Shdung.

Sobbalzai, con un fremito e iniziai ad ansimare. Mi voltai di scatto e vidi che sulla superficie dello specchio di quella stanza si era creata una crepa. Spaventata mi avvicinai, incredula. Quello specchio era rimasto intatto sin dal momento in cui avevo fatto ingresso in quella camera. Come diavolo aveva fatto a spaccarsi da solo?

Ansimante avvicinai la mano destra allo specchio, con l’intenzione di toccarlo, ma all’improvviso un’altra crepa si formò, trascinandosi l’inevitabile Shdung.

Gridai, poi, guardando che gocce di sangue cominciarono ad uscire una dopo l’altra da quella crepa. Impietrii. Ero terrorizzata.

Il sangue riprese a scorrere, sempre più velocemente e in quantità maggiore.

Indietreggiai con orrore, quando anche l’orologio della stanza, appeso al muro, cominciò a spezzarsi e ad emettere sangue. Grida lancinanti di donna avvolsero la stanza.

Cosa diavolo stava succedendo? Continuavo a chiedermelo, anche quando le mie stesse mani furono coperte di emoglobina. La porta si chiuse di colpo e sobbalzai nuovamente.

  
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