13
“Causa del
viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato,
in corpo le iniettò un
veleno, che la vita in fiore
le ha reciso.
Avrei voluto poter sopportare, e non
nego di aver
tentato:
ha vinto Amore! Lassù,
sulla terra, è un dio ben
noto questo;
se lo sia anche qui, non so, ma almeno
io lo spero:
se non è inventata la
novella di quell'antico
rapimento,
anche voi foste uniti da
Amore.”
[Ovidio;
Le Metamorfosi, X]
-
Non
dovresti essere qui. È buio. – disse Emma,
avvicinandosi a Regina, che sostava
davanti alle tre tombe sulle quali Ade aveva inciso i tre nomi.
Biancaneve
Lilith
Page
Regina
Mills.
Regina
non si voltò nemmeno a guardarla. – Non ho bisogno
della babysitter.
-
Non
sono venuta per farti da babysitter, infatti.
Le
loro voci risuonavano in modo sinistro, come la brezza gelida che
rumoreggiava
tra le foglie.
Il
cimitero era avvolto dai densi vapori rossi dell’Oltretomba,
che strisciavano
fra lapidi rovesciate e lapidi erette o spezzate, in compagnia delle
ombre.
-
Ti
cercavo. Volevo parlarti.
Regina
sapeva benissimo di cosa avrebbe voluto parlare Emma. Dei ricordi. Di
quei
ricordi che erano riemersi dopo...
Dopo
il bacio del vero amore. Quando sei quasi
morta per colpa dello Spettro.
Oh,
no. Era pazzesco. Non poteva essere.
-
Erano... voglio dire, lo Spettro era... non era soltanto uno. Erano in
due una
volta. – disse Regina, spezzando il silenzio.
-
In
due?
-
Erano fratelli. – Regina le parlò di Aegnor e
Aeglos, i due ragazzi che un
tempo erano... solo quello, ragazzi. Ragazzi poco più grandi
di Henry finiti
nelle mani dell’Oscuro Signore.
Emma
non disse niente.
-
Emma... quello che abbiamo ricordato... – si decise infine,
sapendo di non
poter evitare l’argomento. – Io non...
-
Hai
cancellato la mia memoria. L’hai cancellata perché
non potevi sopportare quello
che era successo.
Regina
la guardò per la prima volta. Stava per rispondere, stava
per dirle che era
molto più complicato di così, ma aveva la gola
talmente secca che le sarebbe
costato uno sforzo immenso parlare. Restò là,
nell'oscurità, ad ascoltare il
proprio respiro e quello della Salvatrice. Restò
là a guardare gli occhi verdi
che non lasciarono mai i suoi. L'espressione di Emma era fiera,
risoluta,
l'espressione della Emma che aveva conosciuto qualche anno prima,
quella che
aveva tagliato l'albero di mele, sfidandola apertamente. La stessa
espressione
della Emma che l'aveva salvata dalla folla inferocita dopo la rottura
del
sortilegio.
-
Se
ti baciassi ora, ricorderei qualcos'altro, secondo te? - chiese Emma,
fissandole le labbra.
Regina
deglutì a vuoto. - No... credo di no.
Emma
le lasciò scivolare una mano sulla nuca, sotto i capelli.
L'attirò a sé e
Regina afferrò il risvolto della sua giacca rossa. Non
esitò ad approfondire il
contatto subito, non appena le bocche si toccarono. Sentì
una mano di Emma fra
i capelli, decisa e salda, calda anche se lei era morta e la notte
infernale
era gelida.
-
Mi
scuso se mi intrometto in questa tenera scenetta.
Emma
si spostò di scatto e si girò, con gli occhi
sbarrati. Regina aveva già
sollevato un braccio, pronta a scagliare la sua magia contro Ade.
Lui
non se ne curò. – Non sono venuto per farvi del
male. In realtà sono qui per
chiedervi... oh, caspita, questo sì che è
difficile. Aiutarmi. Devo chiedervi
di aiutarmi.
-
In
che modo potremmo aiutarti? – chiese Emma, aggrottando la
fronte.
-
Semplice. Sono tornato nel mio covo dopo aver sbrigato qualche...
piccola
faccenda. E ho trovato uno dei miei servi svenuto. Aveva questo.
– Mostrò loro
il pezzo di pergamena che aveva trovato nelle mani di
quell’idiota.
Regina
glielo strappò di mano e lo srotolò per leggere
il messaggio. – No.
“Per questi luoghi paurosi,
per questo immane abisso, per i
silenzi di questo immenso regno,
vi prego, ritessete il destino
anzitempo infranto di Euridice!”
-
Zelena è stata rapita da Gold e da Artù?
– Mary Margaret non riusciva a capire
che cosa stessa succedendo. – Artù? Che cosa ci fa
qui?
-
Ha
affrontato la regina di Dunbroch in duello ed è... morto.
– disse Ade.
-
E ha
troppe cose in sospeso. - continuò Lily, contrita.
Il
Signore dei Morti annuì, con aria grave. - Vogliono
incontrarmi domani mattina.
-
E
Gold vuole che strappi il contratto che ti lega al suo secondogenito.
– osservò
Killian.
-
Vedo
che ne siete al corrente.
-
Ovviamente. – Malefica aprì la mano e in essa
comparve lo scettro. – Ci ho
pensato io. Ho osservato l’Oscuro in questi giorni. Molto
spesso. E ho
sistemato il suo stesso padre. In questo momento Peter Pan è
impegnato con il
Minotauro.
-
L’avete gettato nel labirinto? – chiese Marian,
incredula.
-
L’ho
colto alla sprovvista. Non si aspettava intoppi né
tantomeno... un drago.
Lily
sorrise, immaginando Pan alle prese con l’enorme uomo-toro,
in un labirinto dal
quale era molto difficile uscire.
-
Ottima mossa. – commentò Ade. – Ma non
avete pensato al fatto che l’Oscuro può
trovare altri alleati, se lo vuole.
-
Che
cosa aspetti a strappare quel contratto, quindi? –
domandò Regina. – Io e
Zelena non saremo in buoni rapporti, ma non posso permettere che Gold
la
uccida. Ha una figlia appena nata. Ed è comunque mia
sorella.
-
Nemmeno io voglio che le accada qualcosa. Per questo gli
darò ciò che mi
chiede.
-
E
Artù? Gli darei quello che ti chiede? –
domandò Killian, alzando la voce e
anche l’uncino. – Vuole tornare in vita. Glielo
concederai?
-
Cominciamo dal contratto. – tagliò corto Ade. -
Come stavo dicendo, farò ciò
che mi chiede, ma conosco bene l’Oscuro. Non
manterrà la parola. Per questo
devo avere un asso nella manica.
-
Per
fortuna ne hai uno. – disse Regina.
-
Regina, no... – intervenne Emma.
-
Sono
d’accordo. Non possiamo fidarci dell’Oscuro, ma non
possiamo fidarci nemmeno di
lui. O di Zelena. – Killian si avvicinò di
più ad Ade.
-
Regina è molto motivata. Forse. Visto e considerato che...
c’è di mezzo Emma. Ma
Lilith lo è molto di più di lei, credo.
– Spostò l’uncino che il pirata teneva
a pochi centimetri dalla sua faccia con il dorso della mano. Gli fece
molto
piacere vedere la smorfia che gli deformò i lineamenti.
Lily
attese di capire che cosa intendesse.
-
Sei
stata tu ad uccidere la Salvatrice. E sei stata tu ad avere la...
brillante
idea di condurre tutti quaggiù per riportarla indietro. Ora
dovresti fare
qualcosa per... aiutare le persone che ti hanno seguita e quella a cui
tieni di
più.
-
Non
avvicinarti a mia figlia, viscido essere... –
iniziò Malefica.
-
Lascia perdere, mamma. Ha ragione. – replicò Lily,
ignorando lo sguardo
costernato di sua madre. Guardò Ade negli occhi per
dimostrargli che non aveva
paura. – Cosa vuoi dire?
-
Propongo un accordo. Se tu mi aiuterai e Zelena ne uscirà
viva... cancellerò i
nomi sulle tombe. E vi indicherò la via per andarvene.
-
Sappiamo come andarcene. – rispose Mary Margaret. –
Uno di noi può dare una
parte del suo cuore ad Emma.
-
E
non funzionerà. Perché Emma è morta da
troppo tempo. Il vostro adorato principe
era... come dire... appena spirato e la sua anima non aveva ancora
raggiunto
questo regno.
Regina
ebbe l’impressione di essere stata raggirata da tutto e da
tutti. Non solo da
quel bastardo di Gold, ma anche dal regno di Ade. Dal tempo.
-
Ma
io conosco un modo per uscire dall’Oltretomba. Non
è una via sicura. Vi
aspettano... momenti molto duri. Prove. – Ora fissava Regina,
non più Lily.
-
Non
me la bevo. – sentenziò Killian. – Non
fidatevi assolutamente.
-
Lasciate
che vi dimostri che le mie intenzioni sono buone. – Ade
agitò una mano e una
nube nera li strinse rapidamente nelle sue spire.
Il
mondo si capovolse. Regina udì il grido di Mary Margaret e
qualcuno che si
aggrappava al suo braccio, forse Henry.
Poi
le
tenebre si diradarono e loro si ritrovarono di nuovo al cimitero,
davanti alle
lapidi con i loro nomi.
Regina
Mills.
Lilith
Page.
Biancaneve.
Ade
esitò un istante, come se fosse indeciso sul da farsi. Poi
si accostò alla
tomba della figlia di Malefica. Posò due dita sul dorso
freddo del marmo e
rivolse un’occhiata ai presenti, quasi fosse un mago che
voleva stupire tutti
con qualche nuovo trucchetto. Infine, tracciò una linea sul
nome di Lilith. Una
linea con il dito indice.
Le
lettere si illuminarono una alla volta. La luce azzurrata si espanse,
racchiudendo la lapide in un bozzolo.
Lily
fece per avvicinarsi, ma sua madre la prese per un braccio,
trattenendola.
Il
bozzolo si ruppe e tutti videro la pietra liscia. Eretta ed intonsa.
Senza più
nomi incisi.
“Anche
Euridice sarà vostra, quando sino in
fondo avrà compiuto
il tempo che le spetta: in pegno ve la chiedo, non
in dono.”
Tremotino apparve preceduto da una nube rossa, accompagnato dal re di Camelot, che stringeva un braccio di Zelena. Ade non riuscì subito a decidere quale dei due sorrisetti fosse il più odioso.
- Quindi è questo il Dio dei Morti. – lo sbeffeggiò Artù, puntandogli un dito contro. Indossava la sua armatura. Il mantello rosso era polveroso e sfilacciato. Il fodero appeso alla cintura era vuoto. Niente armi. Per lo meno... niente armi comuni. Nella mano libera reggeva la Folgora Olimpica. La sua Folgore. Quella che aveva rubato a suo fratello moltissimo tempo prima. Il re senza più regno aveva due occhi scuri e orlati di rosso, gli occhi di un folle.
- Mi aspettavo di meglio. Qualcosa di più... terrificante, forse. – disse Artù, fingendosi enormemente deluso.
- Fidati, questa non è la mia vera forma. Se vedessi quella vera, non sopravvivresti. – Ade osservava Zelena per assicurarsi che non fosse ferita.
- Ho provato a fermarli. – disse lei. Sollevò un braccio per mostrare il bracciale nero agganciato al polso. – Ma...
- Non è certo colpa tua. È loro.
- Oh, davvero? – Tremotino sembrava divertirsi un mondo. – Se non fosse per quel contratto, non saremmo qui. Avresti potuto strapparlo tempo fa, quando te l’ho chiesto.
Ade mostrò il contratto che lo legava all’Oscuro Signore. Lo srotolò davanti a lui, perché potesse constatare con i suoi occhi che non stava mentendo. Lo aveva portato. – Non era nel mio interesse.
- Ma ora sì. Bene. Faresti meglio a non muoverti, se non per strappare quel contratto.
Non perse tempo. Persino il sorrisetto di Artù vacillò quando le mani di Ade strapparono la pergamena e gettarono via i due pezzi, uno a destra e uno a sinistra.
- Non credevo che sarebbe stato così semplice. – disse Artù, mentre Zelena strattonava per liberarsi ma senza riuscirci.
- Beh, lo è stato. Ora lasciatela andare. - replicò Ade.
- La lasceremo andare. – rispose Tremotino. – Ma c’è ancora una cosa...
- Il suo cuore. – lo anticipò Artù. – Mi sono aggiudicato il suo cuore. Mi serve per tornare in vita. Un cuore che batte. Prendo volentieri quello di una strega perfida e potente. Ho molte cose da fare lassù. Ho una moglie che mi aspetta.
- E che ti odia, perché l’hai legata a te con un incantesimo. – commentò Zelena, acidamente.
- Le cose si possono aggiustare, strega. – Artù guardò Tremotino. – Allora?
Ade si scagliò contro il re di Camelot e fu allora che un’onda di magia viola piombò nel Granny’s dalla porta che conduceva sul retro e investì in pieno Artù, che perse l’equilibrio. La Folgore gli sfuggì di mano, slittò attraverso il linoleum, roteando e finì ai piedi di Ade, che si affrettò a raccoglierla.
- Non ero sicuro che ce l’avresti fatta. – disse Ade, rivolto a Lily, che entrò, andando a mettersi di fianco a lui.
- Ho imparato qualcosa negli ultimi tempi. Grazie a mia madre.
- E da quando Lilith Page risponde al Dio dei Morti? Te l’ha detto, tua madre, che è la squadra sbagliata? – L’Oscuro non sembrava affatto sorpreso. Era paziente. Come se aspettasse il resto. Uno scontro, magari. – Oh, ma dimenticavo... tu sei l’Anti Salvatrice. Il Dio dei Morti, per te, è un’ottima scelta.
- Sarò anche l’Anti Salvatrice, ma sono qui per salvare Emma e gli altri. Sparisci, Oscuro. – sibilò Lilith, con gli occhi dorati e pieni di fuoco. – Hai ottenuto ciò che volevi. Vattene e basta. Hai visto che cosa c’è qui? La Folgore Olimpica. Vuoi finire arrostito?
Tremotino rifletté qualche istante.
Ade ne approfittò per far sparire Artù. L’uomo imprecò contro di lui, prima di svanire in una nube nera. Le prigioni dell’Oltretomba lo avrebbero accolto volentieri. Aveva in mente tante belle torture. Forse avrebbe raggiunto Percival, il suo cavaliere. Si sarebbero fatti compagnia a vicenda e avrebbero lottato assieme contro il fuoco...
- D’accordo. Ammetto che hai ragione. – Tremotino scomparve a sua volta.
Ade corse ad abbracciare Zelena. Lily incrociò le braccia al petto, fissando la Folgore ancora nelle mani del Signore dei Morti. Quell’arma la rendeva nervosa. Forse avrebbe dovuto trovare un modo per sottrargliela. O avrebbe dovuto chiedergli di consegnarla. Non aveva ancora mantenuto la parola...
- Hai strappato quel contratto per me. Non credevo che l’avresti fatto. – Zelena appoggiò una mano sul suo petto, all’altezza del cuore, dopo che lui l’ebbe liberata dal bracciale che bloccava i suoi poteri.
- Ancora non hai capito che quello che ti ho detto quando ti ho... diciamo rapita... è vero. Farei questo ed altro per te.
Lily roteò gli occhi. Sbirciò fuori dalla finestra e vide sua madre, che disegnava ampi cerchi girando in tondo, in forma di drago, sopra al Granny’s.
Zelena lo baciò.
“Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
io non me ne andrò: della morte d'entrambi godrete!"
Il cuore di Ade riprese a battere con un potente sussulto.
Le lancette della Torre dell’Orologio giravano al contrario.
E la Torre non era più nello stesso posto. Non appena Zelena aveva baciato Ade, spezzando la maledizione, l’esilio era terminato e le lancette avevano cominciato a muoversi.
- Perché è qui? – chiese Mary Margaret.
- Perché è un portale. – rispose Ade. – Quando gireranno abbastanza velocemente, si aprirà. E potrete andarvene. Potremo andarcene.
Regina guardò sua sorella, aspettandosi di vederla sorridere, soddisfatta. Invece, notò che era scura in volto. Accennò un sorriso, ma era distratta. Continuava a sfregarsi l’interno del polso con il pollice.
- Allora che cosa aspetti? Togli gli altri nomi dalle tombe. Ora. – sentenziò Lily. – Ti ho aiutato. Adesso tocca a te.
Emma era tesa come una corda di violino. Si aspettava che il Signore dell’Oltretomba opponesse resistenza. Si aspettava che avanzasse qualche altra pretesa. Killian la stava fissando con insistenza, ma lei era troppo concentrata su Ade.
- Con piacere. – disse lui.
Con un unico, semplice gesto della mano, come se stesse usando uno straccio per pulire una lavagna, cancellò i nomi di Regina e Biancaneve dalle lapidi.
- Come promesso. Ora potete andare via. Beh... potreste. Immagino che...
- Immagino che ora ci occuperemo del resto dell’accordo. L’uscita. Vogliamo procedere? - domandò Regina.
“Tra le ombre appena giunte si trovava,
e venne avanti con passo reso lento dalla ferita.”
- Euridice riuscì ad andarsene. Mangiò l’ambrosia. Il cibo degli Dei. – spiegò Ade, non molto felice di dover raccontare di nuovo quella maledetta storia. Mostrò la pagina dedicata a loro nel libro.
- Ma non è andata così. – disse Henry, sfogliando le pagine. – Orfeo non riuscì a riportarla indietro. Conosco il mito. Ha fallito. Gli era stato imposto di non voltarsi fino a che non avesse varcato le porte dell’Averno.
- Lui si è voltato. – concluse Ade. – Già. Gli avevo imposto quella prova. Suonava... così bene. La sua musica era celestiale. Persino le Furie e le Arpie si misero a piangere e a loro non era mai capitato. Fu davvero imbarazzante. Per tutti.
- E allora? – chiese Henry, incuriosito suo malgrado.
- E allora... la storia non finisce con il fallimento di Orfeo. Lui venne rispedito nel mondo dei vivi, ma rimase per sette giorni davanti alle porte. Implorò Caronte e ogni giorno il traghettatore lo scacciò. Era caparbio. Immagino che tutti sognino un amante così... coraggioso e fedele.
- Ha avuto una seconda occasione?
- Tempo dopo, sì. Se ne andava in giro a suonare quella sua lira, commuovendo chiunque incontrasse. Alla fine commosse Afrodite. Commosse una divinità.
- Che lo aiutò ad entrare nell’Oltretomba. – concluse Regina. Occhieggiò di nuovo Zelena. Era decisamente chiaro che stesse meditando. Che stesse macchinando qualcosa. Era sicura che non stesse solo pensando alla bambina che l’aspettava lassù, a Storybrooke.
- Costrinse Caronte a collaborare. – stava dicendo Ade. – Fatto sta che Orfeo non fallì quella volta. Riuscì a portarla con sé, dopo averle dato l’ambrosia. Però...
- Però? – chiese Emma.
- Euridice... non era più la stessa. – Ade fissava Emma. – L’ambrosia le aveva permesso di andarsene, ma questo posto... l’aveva corrotta. Era rimasta qui per... un po’ di tempo. E tornare in vita può comportare delle conseguenze.
Emma non chiese che fine avesse fatto Euridice, secondo le voci. Il gelo era tornato. Cercò di leggere la menzogna negli occhi di Ade. Non la trovò.
Lui non aggiunse altro e, con un gesto della mano, trasformò il muro di mattoni della biblioteca in un ascensore.
- Stai scherzando? Un ascensore? – domandò Lily.
- Sì, un ascensore. L’ambrosia... è potente. È come un bambino viziato. Vuole tutto il potere per sé. Laggiù la magia non funziona. – spiegò Ade. – Una volta scesi... sarete soli.
- E? Cosa succederà allora? – chiese Regina, scrutando l’ascensore.
- Non ne sono sicuro. So che la strada è lunga. E non facile. Ma non mi sono mai spinto così in profondità.
- Quindi vuoi che Emma vada nell’unico posto dove persino il diavolo ha paura di andare? – Killian non credeva alle sue orecchie.
- Non è la paura, il problema. – si affrettò a controbattere. – È la prima prova. Quella che va necessariamente superata perché le porte si aprano e voi possiate percorrere la strada che vi condurrà all’ambrosia. La persona che verrà con te, Salvatrice... sarà giudicata. Dovrà offrire il suo cuore.
- Ma non avremo la magia... – mormorò Emma.
Ade affondò una mano nel petto di Regina, senza curarsi di essere delicato, ed estrasse il cuore. Lei non ebbe nemmeno il tempo di gridare. Ade mise l’organo prezioso in un sacchetto e strinse i lacci per chiuderlo, come se si fosse trattato di tramezzino da mangiare durante un simpatico picnic.
- Non ci provare mai più. – sibilò Regina.
- Immagino che non ti dispiaccia poi così tanto. O forse sì. Dipende da cosa succederà là sotto.
Killian serrò le labbra e uscì dalla biblioteca con passo deciso, chiudendosi le porte alle spalle.
- A qualcun altro indubbiamente dispiace. – commentò Ade, cedendo il cuore a Regina. – Buona fortuna.
Henry si avvicinò alle sue madri e allargò le braccia per stringerla a sé entrambe. Lui aveva fiducia. Sapeva che ce l’avrebbero fatta. Non poteva essere altrimenti. Loro due insieme erano più forti. Anche senza la magia.
- Quello che è successo a tua madre... – disse Mary Margaret a Regina.
- Se ti stai domandando quando proverò ad ucciderti per aver eliminato mia madre... lo Spettro... sappi che non intendo farlo. – l’anticipò, pur rimanendo seria. Era troppo occupata a pensare al peso che reggeva nella mano destra. Il cuore. Quel cuore nero. Il suo passato era pesante quanto un macigno e la sola idea di essere giudicata la raggelava. Non si era nemmeno sentita sorpresa quando Ade aveva strappato il cuore senza chiedere, indicandola come colei che avrebbe accompagnato Emma in quel viaggio terribilmente pericoloso. Ma quel cuore...
Mary Margaret l’abbracciò.
- Prendi questo, Emma. – disse Marian, porgendole l’amuleto che Lily aveva trovato nella stanza di Murphy, al Granny’s. – Non so perché, ma... potrebbe servirti.
Lo prese e se lo mise al collo.
Lily la fissava, leggermente contrita. – Devo dire che il Re dei Morti ha ragione, per quanto mi costi ammetterlo. Regina è l’unica che può accompagnarti là sotto.
- Hai già fatto abbastanza. – replicò Emma, appoggiandole una mano sulla spalla. – Cerca di non metterti nei guai. E se al tramonto io non dovessi tornare...
- Tornerai.
- Ma non è detto. E allora voglio che tu te ne vada. Insieme agli altri. Non tornare, Lily. Mai più.
Sembrava un ordine e non una semplice richiesta. Gli occhi di Emma non scherzavano affatto. Erano verdi e duri, volevano tutta la sua attenzione.
Lily fece un profondo respiro, lo trattenne per qualche istante, lo lasciò andare. Le costò molto dire ciò che disse. – D’accordo. Lo farò.
“Orfeo del Ròdope, prendendola per mano, ricevette l’ordine
di non volgere indietro lo sguardo, finché non fosse uscito
dalle valli dell’Averno...”
Lily seguì Emma, sostando dietro al suo sguardo, fino a quando le fu possibile.
Vide l’ascensore scendere sempre più in profondità e toccare il fondo. Vide un lungo tunnel illuminato da qualche fuoco fatuo, un tunnel che si perdeva nell’oscurità.
Poi il contatto s’interruppe. Calò un sipario nero e, per quanto si sforzasse, non riuscì a penetrarlo. Malefica le venne vicino e la tenne fra le braccia.
- Dobbiamo davvero rimanercene qui ad aspettare, quindi. – disse Fiyero, giocherellando con una delle sue frecce.
- È qualcosa che devono affrontare da sole. – rispose Ade. – Al tramonto ce ne andremo.
- Non senza di loro. – asserì Henry.
- La loro strada è lunga. Impiegheranno del tempo per arrivare all’Ambrosia. E se ci arriveranno e riusciranno a prenderla... le porte si apriranno per loro e passeranno. Ve lo garantisco.
- Non ci sei mai stato laggiù. Come fai a garantirlo? - chiese Fiyero.
- Non ci sono mai stato, ma so che non sarà facile uscirne. Tuttavia, se ne usciranno, non avranno bisogno del portale per passare. Torneranno a casa, semplicemente.
Silenzio. Tutti si fermarono a riflettere.
- E le persone che sono ancora intrappolate qui? Loro che fine faranno? Come faranno ad andarsene? – domandò Henry, allargando le braccia.
Ade si accorse di avere ancora la Folgore Olimpica in mano e la porse a Zelena.
- Perché la dai a me? – chiese lei, confusa, stringendo l’impugnatura d’avorio dell’arma divina. Vide Marian che, d’istinto, si allontanava di qualche passo mentre la Folgore veniva depositata in altre mani.
- Mi fido. Tienila tu. – commentò Ade. Poi si rivolse di nuovo ad Henry. – Ora che il mio esilio è finito, saranno libere di risolvere le loro questioni in sospeso. Potranno andarsene e nessuno glielo impedirà.
- Ma molti di loro non sanno quali sono... le questioni in sospeso. Forse... potrei dirglielo io, in quanto Autore. Potrei aiutarle. – Henry si tastò la tasca nella quale teneva la penna.
- Credimi, forzare una cosa simile potrebbe solo causare altri problemi.
- Non voglio forzarli. Voglio solo... aiutare. Una... spinta.
Mary Margaret intervenne, posando una mano sul braccio di Henry. – Non credo che tu possa farlo. Devono riuscirci da soli. Se Regina fosse qui te lo direbbe.
“In un silenzio di tomba s’inerpicano su per un sentiero
scosceso, buio, immerso in una nebbia impenetrabile.”
Il tunnel che si era aperto davanti a loro quando l’ascensore aveva raggiunto le profondità dell’Oltretomba diventò ben presto una caverna buia, nebbiosa, piena di curve, con il soffitto così basso che Emma e Regina furono costrette a proseguire piegate. Non dissero niente per un bel po’. Almeno fino a quando non raggiunsero l’uscita, ritrovandosi in una stanza sotterranea chiusa. Davanti a loro c’era una vecchia porta alta e a due battenti. Sigillata. Tra essa e le due visitatrici c’era una roccia, sulla quale era posata una bilancia.
Emma si avvicinò per leggere la targhetta che riportava le istruzioni. – È in un’altra lingua. Credo che dica...
- Amor Verus Numquam Moritur. – lesse Regina, senza ombra di esitazione. – È latino, Emma. L’Amore Vero non muore mai.
Emma aggrottò la fronte. - Oh, beh...
- Non ho studiato solo la magia.
L’Amore Vero non muore mai.
Certamente Orfeo, moltissimo tempo prima, aveva posato il suo stesso cuore su uno dei piatti dorati della bilancia, mentre Euridice osservava.
- Quindi... se non ho capito male, questo è il momento in cui vengo giudicata. – disse Regina, più a sé stessa che ad Emma.
- Questo è il momento in cui quello che provi... viene giudicato.
Amor Verus Numquam Moritur.
Regina avrebbe dovuto capirlo subito che il suo cuore non sarebbe stato giudicato per le azioni che aveva compiuto fino a quel momento. Non solo, per lo meno. Esitò. – Stai forse dicendo che... quello che c’è tra noi è...
- Vero Amore? – Emma fissò la porta chiusa. C’erano dei simboli intagliati nel legno. Simboli. Polvere. Ragnatele. – Stiamo per scoprirlo, no?
- Emma... il Vero Amore è la magia più rara e potente di tutte.
- E secondo la polvere magica di Trilli, non dovrei essere io. – concluse Emma. – Ma quello è successo molti anni fa.
- Non è solo per via di Trilli e della sua polvere. È per... non so, tutto il resto. Ci siamo odiate, ho cercato di distruggerti...
- Mi hai anche fatto dimenticare qualcosa di importante.
- Certo, perché temevo che mi avresti rovinata!
Emma non ricordava di aver mai sentito Regina esprimersi tanto a fatica e subito divenne molto più cauta. – D’accordo. Forse dovresti solo... sai, mettere il tuo cuore sulla bilancia. Lo scopriremo insieme. Insieme, va bene?
Regina la fissava, stupita, persino speranzosa. – E Capitan Mascara? A lui che cos’hai detto?
- La verità. – rispose Emma, risoluta. – Non volevo ferirlo, ma non potevo nemmeno mentire. Non ho tempo per i sotterfugi.
- Così adesso mi odierà ancora di più. La cosa positiva è che il sentimento è reciproco.
- Regina.
Lei capì che se avesse esitato ancora forse qualcosa le avrebbe impedito di farlo. Aprì la sacca ed estrasse il cuore. Nero e pulsante, sembrava suggerirle quanto folle fosse quello che stava per fare. Ricordò la conversazione avuta con Mary Margaret nella sua cripta. Allora la madre di Emma le aveva detto chiaramente che pensava che lei potesse aiutarla. Regina le aveva mostrato il cuore nero per farle capire che era una pazza se davvero credeva che tutta quell’oscurità avrebbe potuto salvarla.
Tra poco sapremo se avevi ragione, Biancaneve. Tuo marito sarà anche un idiota, ma tu non lo sei di certo. E mi tocca ammetterlo.
Sentiva su di sé lo sguardo di Emma, quindi mosse un passo verso la bilancia e poi posò il cuore su uno dei piatti.
“E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,
quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,
l’innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell’Averno.”
Sulle prime non accadde niente.
L’Oltretomba rimase in silenzio. La porta non si aprì. Il piatto non si mosse di un millimetro. Il cuore di Regina restò là, esposto, nero, pulsante, ad occhieggiare la caverna.
- Non credo che stia funzionando... – iniziò Regina.
Avvertì l’ombra del fallimento che aveva spinto Orfeo fuori dal Regno dei Morti solo per essersi girato quando avrebbe dovuto continuare a camminare.
Poi l’aria venne smossa dal passaggio di una presenza fredda ed entrambe udirono un boato, il tonfo di inimmaginabili piedi da mammut che calpestavano il terreno. Dapprima il rumore era lontano, ma si avvicinava, si avvicinava sempre di più.
Emma si voltò in tempo per vedere la caverna da cui erano arrivate che crollava, bloccando ogni via d’uscita.
Infine un rantolo. Regina si portò le mani al petto e crollò, il volto contratto in una smorfia di dolore.
- Regina!
- Emma... non so cosa... il cuore...
Emma non perse tempo e si lanciò sul cuore di Regina con le mani protese, ma qualcosa la trattenne. Il pavimento sotto di lei tremò e si spaccò. Due serpenti sgusciarono fuori dalle crepe e si attorcigliarono intorno alle sue caviglie. Emma strattonò con tutte le sue forze e non ottenne alcun risultato, perché i serpenti si arrampicarono fino alle sue ginocchia, inchiodandola. Erano terribilmente forti. Altri serpenti le serrarono i polsi, impedendole di arrivare al cuore sul piatto della bilancia.
Regina, nonostante il dolore, si aggrappò ad una sporgenza e si tirò su. Levò una mano solo per ricordarsi che non poteva usare la magia in quel luogo. Cadde di nuovo.
“E poi... effettivamente sì, è folle. Ma non mi stupisce. L’amore... è una cosa strana. Quando ho conosciuto Azzurro l’ho colpito in faccia.”
“Forse tu puoi, Regina. Forse il tuo cuore può aiutarla.”
Ignorando la sofferenza, Regina spiccò un balzo mentre i serpenti si appropriavano del collo di Emma, pronti a soffocarla. Abbrancò il corpo dell’altra madre di suo figlio, sentì una di quelle serpi sfiorarle la faccia, la lingua biforcuta che sibilava accanto al suo orecchio...
Poi baciò Emma sulle labbra.
“Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero
(di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?)”
Emma e Regina atterrarono insieme, abbracciate. I serpenti sciolsero la stretta e si dissolsero con una serie di pop. Il piatto che sorreggeva il cuore di Regina si abbassò leggermente e uno scatto secco riverberò per tutta la caverna.
I battenti della porta si aprirono, lasciando filtrare una luce gialligna. Al di là, le forme degli alberi stagliati contro un cielo nuvoloso.
- Che cosa è successo? – domandò Regina, sollevando la testa e fissando l’apertura con gli occhi sgranati.
“Amor Verus Numquam Moritur.”
- Il Vero Amore. – mormorò Emma.