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Autore: IlMareCalmoDellaSera    27/12/2017    2 recensioni
Un racconto del mio personale Sangue di Drago, tramite le varie missioni (o quest) che Skyrim ci consente di intraprendere.
(Le missioni saranno raccontate in ordine cronologico sparso, ma ognuna in un capitolo diverso. Il nome di ciascuna missione darà il titolo ad ogni capitolo)
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dovahkiin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quello zaino pesava, troppo. Daric cercò di sistemarselo meglio sulle spalle, per alleviare il fastidio, ma era una battaglia persa. Per fortuna era arrivato a Whiterun, e presto si sarebbe liberato di quel fardello. Mentre passava davanti alle scuderie della città, pensò tra sé che se fosse riuscito a superare la sua paura di salire in groppa ad un cavallo, si sarebbe potuto risparmiare parecchia fatica. In realtà c'era anche da considerare il problema che nella situazione attuale non poteva permettersi di comprare e mantenere un cavallo, e tutto sommato sarebbe stata anche una spesa inutile. Una volta che avesse consegnato quello che portava nello zaino si sarebbe diretto subito all'Accademia di Winterhold, dove si sarebbe fermato per qualche tempo. Non aveva intenzione di viaggiare per Skyrim più del necessario, o almeno, non nella situazione che si era sviluppata di recente. Già una volta aveva rischiato di rimetterci la testa, letteralmente, e non voleva tentare ancora la sorte.

Risalito il pendio arrivò all'ingresso di Whiterun, e dopo aver lanciato uno sguardo cauto alle due guardie, attraversò le porte.

Whiterun appariva subito come una città movimentata e vivace. Trovandosi al centro di Skyrim, serviva come snodo per quasi tutte le rotte commerciali, oltre ad essere un punto di riferimento anche per i viaggiatori.

Non avendo visitato nessun altra delle città di Skyrim non aveva modo di fare paragoni, ma Whiterun sembrava davvero una bella città, elegante e ben curata. Solo ora che vi ritornava per la seconda volta, si rese conto di quanto lo stile architettonico degli edifici gli ricordasse quello di Bruma. Non si stupì più di tanto, considerato che Bruma era una città con una lunga e prevalente tradizione nordica.

A differenza di Bruma, però, la gente lì non sembrava abituata alla vista di persone abbigliate con delle vesti da mago. Aveva sentito della diffidenza dei nord nei confronti della magia, tuttavia gran parte degli sguardi che gli venivano rivolti sembravano solo curiosi. Forse dipendeva dalla città, alcune erano più tolleranti, altre meno.

Arrivato al mercato, si fermò un momento per osservare il viavai di persone, un sorriso accennato sulle labbra. Era rincuorante vedere che almeno certe cose non cambiavano.

Continuò a risalire Whiterun, diretto al palazzo dello jarl. Di nuovo fu impressionato dalla sua maestosità, e al tempo stesso dalla sua "leggerezza". Il palazzo aveva una forma alta e slanciata che, unita alla sua posizione predominante, lo rendeva visibile da ogni angolo di Whiterun.

Una volta entrati, non si poteva non rimanere meravigliati dal magistrale lavoro di carpenteria che sosteneva le due grandi volte, che incombevano imponenti sulla grande sala del palazzo. L'aspetto austero e solenne contribuiva ad aumentare il senso di gravità che, assieme all'odore del legno stagionato, sembrava aleggiasse in quel posto.

Daric percorse la sala tra le occhiate delle guardie e della servitù, e si diresse verso le stanze di Farengar Fuoco-Segreto, il mago di corte. Quando entrò nel suo studio, lo trovò intento a conversare con una donna, vestita con un'armatura di cuoio e con un cappuccio che le nascondeva il volto. Tutti e due erano chini sul tavolo ad esaminare un libro.

«Non abbiamo molto tempo. Non stiamo parlando più di mere teorie, i draghi sono tornati» disse la donna.

«Lo so, lo so. Non temere. Per fortuna lo jarl si è interessato alla faccenda, perciò posso dedicargli molto più tempo. Spero di avere presto l'occasione di esaminare un drago vivo, sarebbe terribilmente intrigante» replicò Farengar. «Ora c'è un altro passaggio che vorrei mostrarti...» disse, sfogliando il libro.

«C'è qualcuno che ti aspetta, Farengar» disse la donna, impassibile, senza nemmeno alzare lo sguardo.

Il mago alzò lo sguardo e si accorse di Daric. «Ah, il collaboratore dello jarl. Già di ritorno dal Tumulo delle Cascate Tristi? A quanto sembra non sei morto» osservò Farengar con ironia.

«Non lo sono?» disse Daric simulando stupore, e si tastò il petto e l'addome, come ad assicurarsi che non ci fossero ferite mortali. «Sembra di no».

«Anche il senso dell'umorismo! E dimmi, hai trovato quello che ti avevo chiesto?»

«Guarda tu stesso».

Sollevato, Daric poté sfilarsi quel pesante zaino dalle spalle, per posarlo con delicatezza sul tavolo. Farengar non perse tempo ed aprì lo zaino, da cui estrasse una tavoletta di pietra incisa.

«Sì, questa è la Pietra del Drago!» disse, compiaciuto. «Sono sorpreso, a quanto pare stavolta lo jarl mi ha mandato qualcuno competente. Ti ringrazio, anche a nome della mia... socia» indicò la donna con un cenno del capo. «È stata lei a scoprirne la posizione, anche se non vuole dirmi come».

«Quindi sei stato tu a recuperarla dal Tumulo? Notevole» disse lei.

Nonostante il volto fosse oscurato dal cappuccio, Daric ebbe la sensazione di aver già incontrato quella donna. Tuttavia decise di non indagare, non voleva sembrare inopportuno.

«Lieto di essere stato d'aiuto» sorrise Daric. «Immagino che il mio lavoro sia giunto al termine».

«Sì, ora inizia il mio» disse Farengar, posando la Pietra del Drago sul tavolo. «Grazie ancora, puoi parlare con lo jarl per la tua ricompensa».

Non che Daric ci tenesse ad avere una ricompensa, ma visto che si era preso l'incomodo di esplorare una rovina piena di trappole, banditi e non morti - e soprattutto, con un ragno gigante - forse non era venale aspettarsene una.

Daric riprese il suo zaino, e augurò buon lavoro al mago di corte. Quando fece per uscire dallo studio, quasi si scontrò con una dunmer. L'elfa era armata fino ai denti, ed esibiva un'espressione molto tesa. Daric la riconobbe subito: era il fedele huscarlo dello jarl di Whiterun.

«Grazie ad Azura sei ancora qui» gli disse, quando lo riconobbe. «Abbiamo bisogno del tuo aiuto».

«Di nuovo? Per cosa?» Daric non fu per niente rassicurato dal suo tono urgente.

Lei sembrò ignorare la sua domanda «Ehi, Farengar!» Chiamò ad alta voce. «C'è bisogno anche di te, è stato avvistato un drago non molto lontano da qui».

Daric sentì una stretta allo stomaco. Possibile che fosse lo stesso di Helgen?

Farengar, d'altra parte, sembrò eccitato dalla notizia. «Davvero?» fece, e si affrettò ad unirsi a loro.

L'huscarlo sbuffò all'entusiasmo di Farengar. «Seguitemi» disse. Guidò entrambi fuori dallo studio e salirono per una scalinata in pietra. Arrivarono in una sala che, a giudicare dall'aspetto, sembrava adibita alla pianificazione tattica e militare. Su un tavolo facevano mostra due grandi mappe di Skyrim, di cui una punteggiata da numerosi segnalini rossi e blu.

Nella sala trovarono jarl Balgruuf, accanto ad un uomo della guardia di Whiterun che era piegato in avanti, mani sulle ginocchia, e respirava pesantemente. Quando vide arrivare il suo huscarlo, accompagnata da Daric e Farengar, lo jarl si rivolse alla guardia: «Allora soldato, va meglio ora?»

«Sì signore» rispose quello, e dopo un altro profondo respiro risollevò il busto e si portò il pugno al petto.

«Potresti ripetermi quello che hai detto ad Irileth?» chiese Balgruuf, con tono comprensivo ma urgente.

«Certo, signore» rispose prontamente la guardia. «Ero alla torre di osservazione ad ovest, con gli altri della mia squadra. Ad un certo punto abbiamo sentito le vedette dare l'allarme, urlavano che un drago si stava avvicinando da sud, a grande velocità. Sapevamo tutti quello che è successo a Helgen, quindi non abbiamo dubitato per un secondo. Mi è stato ordinato di avvisare la città, ma non appena sono uscito dalla torre ho sentito un ruggito, e ho temuto che mi attaccasse. Non mi sono voltato indietro, ho corso più veloce che potevo».

«Hai agito bene, ragazzo» disse lo jarl, poggiandogli una mano sulla spalla. «Puoi andare a riposarti ora, te lo sei meritato».

La guardia ringraziò, e dopo che ebbe lasciato la sala, la dunmer si rivolse a Balgruuf: «Ho già radunato un gruppo di uomini, una tua parola e li guiderò io stessa alla torre».

Balgruuf ponderò con un'espressione cupa. «Va bene. Mi affido a te, Irileth».

«Mio jarl,» intervenne Farengar, «lascia che vada anch'io. Per me sarebbe l'occasione perfetta per studiare un drago dal vivo».

«E l'occasione perfetta per farsi ammazzare» commentò Irileth.

Farengar le rivolse un'occhiataccia, ma prima che replicasse fu anticipato da Balgruuf: «Irileth ha ragione, e non posso rischiare di perdervi entrambi. Ho bisogno che tu rimanga a fare il tuo lavoro qui, Farengar».

Il mago di corte aprì la bocca per replicare, ma subito ci ripensò. «Come desideri, mio jarl» acconsentì, rassegnato.

Balgruuf annuì, soddisfatto, e si rivolse a Daric, che fino a quel momento aveva atteso in paziente silenzio.

«Ho saputo che hai ritrovato quell'antica tavola per Farengar».

«Sì, signore» rispose Daric.

«Non mancherò di ricompensarti, non temere. Purtroppo la situazione è grave, c'è un drago che minaccia il mio feudo, quindi mi dispiace tagliare corto i convenevoli, ma ho ancora bisogno del tuo aiuto».

«Il mio aiuto?» Fece Daric, perplesso. «Cosa posso fare io?»

«Non è ovvio?» Intervenne Irileth. «Qui tra noi, sei quello che ha più esperienza riguardo ai draghi».

«Esatto» continuò Balgruuf. «Ho bisogno che tu accompagni Irileth, e che la consigli sul metodo più efficace per affrontare quel drago».

«Esperienza? Quale esperienza?» Farfugliò Daric, allibito. Se la situazione non fosse stata così grave, gli sarebbe venuto da ridere. «Non sono mica uno di quegli antichi cacciadraghi akaviri, quindi quali consigli volete che abbia? Sono solo sopravvissuto all'attacco di un drago!»

«Ti sembra poco?» Fece l'huscarlo, quasi spazientita.

«Forse no, ma non mi sembra abbastanza per maturare un'esperienza utile! Per quello che vale, anche il soldato che era qui poco fa è sopravvissuto all'attacco di un drago, e davvero pensate che lui avrebbe consigli da darvi?»

«La situazione è urgente e non abbiamo altri a cui rivolgerci» disse Balgruuf, senza mezzi termini. «Anche il più piccolo aiuto potrebbe essere fondamentale, e non voglio tralasciare nessuna possibilità. Il fatto che tu sia riuscito a recuperare quella tavola dimostra che non sei certo uno sprovveduto, e a me non serve un cacciatore di draghi, mi serve qualcuno che aiuti i miei uomini a non finire massacrati inutilmente».

Brutale onestà. Daric non poté non empatizzare con quell'uomo, che stava cercando in tutti i modi di proteggere la sua gente, compresi i suoi soldati.

«D'accordo, andrò anch'io» disse infine. «Farò quello che posso per rendermi utile».

«Ti ringrazio» disse lo jarl, per poi rivolgersi al suo huscarlo: «Non voglio atti d'eroismo, sia chiaro. A me serve che torniate vivi, mi sono spiegato?»

«Sì, mio jarl» rispose lei. «Non ti preoccupare, non ci tengo a morire in modo stupido».

«Cercate di raccogliere il maggior numero di informazioni e, se potete, riportate qualche... pezzetto del drago per Farengar» aggiunse Balgruuf, con un mezzo ghigno.

A quelle parole, il mago fece la stessa espressione di un bambino alla promessa di un giocattolo, e ringraziò profusamente lo jarl.

«Bene» concluse questi. «Ora andate, prima che quella bestia decida di attaccare la città.»

Daric seguì Irileth fuori dal palazzo, con mille pensieri che si agitavano nella sua testa. Quando arrivarono nel distretto inferiore della città, l'insegna di una bottega catturò la sua attenzione.

«Irileth!» Daric chiamò l'huscarlo, che procedeva davanti a passo spedito. Quando lei si fermò e si voltò verso di lui, Daric le indicò la bottega. «Devo comprare alcune cose» le disse.

Lei guardò l'insegna e, riconoscendola, annuì. «Ti aspetto alla porta d'ingresso, cerca di fare in fretta» gli disse, prima di riprendere a camminare.

Daric entrò nel negozio, e lo trovò proprio come se l'aspettava: pieno di ingredienti e prodotti alchemici.

«Benvenuto!» fu salutato dalla proprietaria, una donna imperiale di mezza età. «Tutto quello che vedi è in vendita, non esitare a chiedere se hai bisogno».

«In effetti...» Daric si avvicinò al bancone. «Purtroppo ho il tempo contato, quindi mi servirebbe un aiuto. Hai delle foglie di aloe?»

«Ah, mio caro» disse la donna, con un'espressione nostalgica. «Non vedo una pianta di aloe da vent'anni, da quando mi sono trasferita da Cyrodiil. Una pianta dalle molte virtù, ma purtroppo a Skyrim non cresce. Di rado mi arriva da qualche mercante viaggiatore, ma con questa guerra in corso ne vedo sempre meno».

«Un vero peccato» mormorò Daric. Cercò di pensare ad una valida alternativa, guardando gli scaffali. «Forse...»

Daric uscì poco dopo dalla bottega, con un po' di oro in meno ma con qualche sicurezza in più per un eventuale scontro con quel drago. Si affrettò a raggiungere le porte della città e si riunì con Irileth, che stava parlando ad un gruppo di guardie. Giunse proprio sulla fine di un discorso di incoraggiamento.

«Non sappiamo fino in fondo cosa ci aspetta» disse Irileth, «ma sappiamo cosa è successo ad Helgen, quindi lasciate che vi dica questo: noi potremmo essere i primi, dopo secoli, ad uccidere un drago. Pensate solo a questo e scacciate la paura, perché questa impresa entrerà nella storia e nelle canzoni degli anni a venire! Siete con me?»

Irileth urlò l'ultima frase, e il gruppo di soldati proruppe in un coro di approvazione.

«Per Skyrim! Per Whiterun! Per lo jarl!» urlò ancora Irileth, imitata subito dopo dai soldati.

Quando Daric si avvicinò, gli chiese: «Sei pronto?»

«Ora sì».

«Bene» disse, prima di rivolgersi di nuovo ai suoi uomini. «Ascoltate, lui è un sopravvissuto dell'attacco ad Helgen» ed indicò Daric, «ci aiuterà come può nel caso dovessimo affrontare quel drago. Se non avete domande, possiamo metterci in marcia».

Ci fu qualche mormorio, ma nessuna domanda. Mentre il drappello usciva dalle porte della città, Daric poté notare che ognuno di loro era equipaggiato con arco e frecce. Nemmeno Irileth era una sprovveduta.

Non appena la strada si aprì alla vista della pianura di Whiterun, una colonna di fumo catturò l'attenzione dell'intero gruppo. Le volute nere si levavano da una torre di guardia, un cupo presagio di ciò che li stava aspettando.

Daric, che procedeva in testa accanto ad Irileth, le domandò: «È quella la torre?»

«Purtroppo sì» rispose lei, e invitò tutti ad accelerare il passo.

Mano a mano che si avvicinavano, Daric continuava a lanciare occhiate alla torre e ai dintorni, ma nessun drago sembrava essere visibile. Quasi cominciò a sperare che quella creatura se ne fosse già andata. Un pensiero poco nobile, ma non si sarebbe vergognato nel dire che in quel momento avrebbe preferito correre nella direzione opposta.

Era inquietante il tempismo con cui questo drago decideva i suoi attacchi. La prima volta, se fosse arrivato un istante dopo, Daric sarebbe morto decapitato. Questa volta, se fosse arrivato un istante dopo, Daric se ne sarebbe andato da Whiterun senza essere coinvolto in questa faccenda.

Se fosse stato paranoico, avrebbe pensato che quel drago lo stesse perseguitando.

Arrivarono in prossimità della torre, e poterono rendersi conto dell'entità dell'attacco. A terra alcuni focolai stavano consumando macchie di vegetazione spontanea e alcuni cumuli di materiali non più riconoscibili, mentre dalla torre alcune finestre eruttavano fumo e ceneri. L'odore acre di bruciato permeava l'aria, ed aveva un retrogusto sinistro che soffocava il respiro. A parte questo quadro devastato, il drago ancora non si palesava.

«Non mi piace questa calma» disse Irileth, a mezza voce. «Ascoltate, per prima cosa cerchiamo i sopravvissuti e prestiamo loro soccorso. Fate attenzione e state all'erta».

I soldati si divisero e iniziarono a perlustrare la zona, subito seguiti da Irileth.

Daric preferì dirigersi subito alla torre. Di sicuro i sopravvissuti si erano riparati all'interno, e se c'erano dei feriti poteva aiutarli.

A giudicare dall'aspetto attuale, quella torre un tempo era stata costruita assieme ad una piccola cinta di mura, che racchiudevano un cortile interno. Le mura erano in completo abbandono, forse erano state in parte riutilizzate come materiale per la manutenzione della torre.

Per entrare nell'edificio dovette quasi arrampicarsi su un troncone mezzo crollato delle mura. Indugiò sulla soglia, per quello che riusciva a vedere all'interno non c'era anima viva, e neanche morta. Sulla parete in fondo spiccava una grosso alone nero, e parte del mobilio era bruciato.

«C'è qualcuno?» Chiamò con prudenza.

«Chi va là?» fu la risposta che gli arrivò. «Entra e fatti vedere!» comandò bruscamente quella voce.

Daric entrò, cauto, e alla destra si trovò una guardia con la spada sguainata. Alla sinistra vide che ce n'erano altre due, sedute a terra, in condizioni non proprio ottimali. Dopo averlo squadrato, la guardia rilassò un poco la postura «Sei un viaggiatore? Non dovresti essere qua, questo posto è stato appena attaccato e stiamo aspettando i rinforzi».

«I rinforzi sono arrivati» gli disse. «Irileth è qui fuori, immagino che vorrai parlarle».

La guardia non se lo fece ripetere due volte e subito si precipitò fuori.

Daric invece si avvicinò ai due soldati feriti e si inginocchiò davanti a loro. Il primo aveva un'ustione sul braccio destro, dalla mano fino al gomito. Questi alzò lo sguardo, «Sono arrivati i rinforzi?» chiese a Daric, con la voce tesa dal dolore.

«Sì, il vostro compagno è riuscito a portare l'allarme a Whiterun».

Il soldato annuì, «Vorrei andare anch'io, ma con il braccio ridotto così non riesco nemmeno ad impugnare la spada».

«Forse posso fare qualcosa, porgimi il braccio».

Gli porse il braccio, e Daric vi avvicinò le sue mani.

«Non ti serve un unguento?» domandò la guardia.

Daric non rispose, invece evocò una debolissima magia del gelo e la diffuse sulla pelle ustionata. La guardia sospirò, sollevata.

«Tieni il braccio fermo ancora un po'» gli disse, quindi evocò una magia curativa. Le lesioni scomparvero in breve tempo, e la pelle ritornò sana.

«Come va adesso?» gli chiese. Il soldato osservò il braccio, sfiorando la pelle con l'altra mano. Infine provò ad aprire e chiudere le dita della mano appena guarita «È tornato come nuovo» disse, quasi ridendo per il sollievo. «Sei un nuovo guaritore del Tempio? Non ti ho mai visto prima».

«No, sono a Whiterun solo di passaggio. Sto assistendo lo jarl in alcune faccende, mi ha chiesto lui di venire qui».

«Davvero?» fece l'altro, sorpreso. «Se è così, devo dire che lo jarl ci ha visto giusto. Grazie per l'aiuto, quella bruciatura faceva davvero male».

«Di nulla, sono qui apposta» Daric sorrise imbarazzato. In realtà non era lì per fare il guaritore, ma non ci teneva affatto a puntualizzarlo.

«Quindi non ti dispiace se ti chiedo di rimettere in sesto anche il mio compagno?» gli chiese il soldato a bassa voce, indicando l'altra guardia seduta poco lontano da lui. «Scommetto che ora si sta trattenendo dal chiederlo, perché vuole fare il duro che soffre in silenzio».

«Certo, posso provarci».

«Ehi, Gunnar! Hai sentito?» disse al suo compagno. «Lo jarl ha mandato un guaritore! Ora non avrai più scuse per battere la fiacca, fra poco si torna in azione».

«Invece tu ti stai ammazzando di fatica...» rispose Gunnar, a tono con la provocazione scherzosa del compagno, ma con una voce flebile ed affaticata.

Daric gli si avvicinò, accompagnato dall'altro soldato. «Coraggio, fagli vedere le braccia» gli disse quest'ultimo.

Gunnar obbedì senza fiatare, e con gran fatica sollevò le braccia, mostrandogli le sue ferite. Daric sibilò a denti stretti, si sentì male solo a guardarle. Sulla parte esterna degli avambracci, fino al dorsi delle mani, la pelle era diventata bianco-brunastra, e aveva lo stesso aspetto del cuoio. Era un'ustione grave, e la parte colpita faceva pensare che il soldato si fosse fatto scudo con le braccia da una fiammata.

«Come ti senti?» gli domandò.

«Mi gira la testa... e mi sento stanco...» mormorò Gunnar.

«E alle braccia, cosa senti?»

«Niente... non sento più niente...».

Daric annuì, cupo. Era come sospettava.

«È grave?» gli domandò preoccupato il compagno a bassa voce, per non farsi sentire da Gunnar. «Fino a poco tempo fa non stava così male, a parte le ustioni».

«È uno stato di malessere che insorge dopo ustioni gravi» spiegò Daric. «È stato il drago, vero?»

«Sì, ci ha attaccati a sorpresa. Gunnar è stato atterrato e non è riuscito a fuggire in tempo, per fortuna la fiammata non l'ha investito in pieno».

«È stato molto fortunato, ma bisogna intervenire in fretta, altrimenti rischia un collasso. Ho bisogno di bende e di una ciotola».

Il soldato si allontanò subito per procurargli quanto chiesto.

Daric tornò a rivolgersi a Gunnar: «Adesso ti darò una pozione da bere, ma prima devo toglierti l'elmo. Va bene?»

Lui annuì, quindi Daric afferrò l'elmo e con delicatezza lo tirò verso l'alto, sfilandolo. Il viso di Gunnar era quello di un giovane nord, forse anche più giovane di Daric. I suoi occhi chiari erano velati dalla sofferenza, e i lunghi capelli castani si erano attaccati al viso madido di sudore.

Daric aprì la sua tracolla e vi estrasse un'ampolla rossa. Con qualche accortezza, riuscì a fargli bere la pozione.

«Bravo» gli disse. «Vedrai, fra poco ti sentirai meglio».

Gunnar deglutì e distolse lo sguardo. «Dimmi sinceramente» esordì, la voce spinta indietro dall'orlo del pianto, «Dovranno amputarmi le braccia?»

Daric ebbe una stretta al cuore.

«No!» si affrettò a rispondere. «Credimi, ho visto di peggio» gli disse, cercando di suonare rassicurante. «Le tue braccia torneranno com'erano, ci vorrà solo qualche giorno».

Gunnar lo guardò negli occhi, sorpreso e sollevato, poi gli sorrise, «Grazie».

Dopo poco l'altro soldato tornò con due rotoli di bende ed una ciotola di legno, e Daric poté mettersi al lavoro. Nella ciotola versò ad uno ad uno gli ingredienti, pescandoli dalla tracolla: da una bottiglietta versò una quantità d'olio, poi da un sacchetto di cuoio aggiunse una manciata di polvere color acquamarina, infine da una fiala stillò due gocce di un liquido denso e scuro. Mescolò il preparato con una spatola, e intorno si diffuse un aroma dolce ed erbaceo.

«Lavanda?» chiese l'altro soldato, inginocchiato vicino al suo compagno.

«Esatto» rispose Daric. «Di norma avrei preferito l'aloe per una bruciatura, ma anche l'essenza di lavanda fa il suo dovere» commentò, mentre spalmava l'unguento sulla pelle.

«Già» mormorò Gunnar con un sorriso nostalgico, «Me lo diceva anche mia nonna».

Poco dopo, alcuni uomini dei rinforzi entrarono nella torre con dei secchi colmi d'acqua, diretti ai piani superiori. Entrò anche Irileth, e si affiancò a Daric, osservando in silenzio.

Finita l'applicazione, Daric avvicinò le mani alle ferite ed evocò di nuovo una magia curativa. Stavolta la pelle non guarì, ma la polvere che aveva aggiunto all'unguento iniziò a brillare appena.

«Che cosa...?» esclamò stupefatto Gunnar, ritirando d'istinto le braccia. La proverbiale diffidenza dei nord verso la magia era riaffiorata.

«Stai tranquillo» gli disse Daric, paziente. «È un rimedio che ho usato altre volte, è perfettamente sicuro».

Per qualche istante Gunnar sembrò indeciso tra il rischiare di perdere le braccia ed il rischiare di fidarsi di una magia sconosciuta, ma alla fine, con un po' di riluttanza porse di nuovo le braccia a Daric per fargliele bendare.

«Non avevo mai visto un unguento così... particolare» commentò l'altro soldato, quasi affascinato.

«Non mi stupisce» disse Daric. «È una mia invenzione, lo usai per la prima volta per guarire la mano di un fabbro, che si era procurato un'ustione simile alla tua».

«Ed è guarito?»

«Certo, è tornato a fare il suo mestiere come prima» sorrise Daric.

«Ora ascolta bene» gli disse, quando ebbe finito di bendarlo, «Ovviamente dovrai stare a riposo. Dovrai tenere le bende per almeno cinque giorni, poi potrai toglierle e lavare via quello che resta dell'unguento. Quando la pelle sarà quasi guarita sentirai prurito e formicolio, ma dovrai evitare di grattarti» poi, dopo averci pensato un attimo, aggiunse «Anzi, evita in ogni caso di toccarti, altrimenti potrebbero restare delle cicatrici. Tutto chiaro?»

«Credo di sì».

Grazie alla pozione Gunnar aveva recuperato un colorito più sano, e non sembrava più sul punto di svenire. Daric si rivolse ad Irileth: «Sarebbe meglio che il suo compagno rimanesse con lui, per sicurezza».

«Va bene, mi fido del tuo parere» rispose lei. «Rimarrai con lui, d'accordo?» ordinò al compagno di Gunnar.

«Sì, signora».

Uscirono dalla torre e tornarono nel cortile, dove i soldati stavano spegnendo gli ultimi focolai.

«Avete trovato altri feriti?» le chiese Daric.

La dunmer scosse la testa. «Nessun altro ferito. Ci sono stati due morti, abbiamo trovato i corpi carbonizzati».

Fu in quel momento che Daric riconobbe quel retrogusto nauseante nel fumo: era l'odore della carne bruciata. Mormorò una preghiera ad Arkay per i due caduti, vittime di una morte così atroce. Non fece in tempo a finirla, che una voce dall'alto attirò la loro attenzione.

«Il drago sta tornando! Da sud!» Gridò una guardia dalla cima della torre.

«Me lo sentivo!» sibilò Irileth, per poi gridare agli altri: «Preparatevi all'attacco! Trovatevi un riparo e sfoderate gli archi, che ogni freccia sia un colpo a segno!»

I soldati reagirono con ammirevole disciplina, nonostante il ruggito terrificante che giunse poco dopo. Qualcuno si riparò dietro gli speroni del muro semicrollato, qualcuno entrò nella torre ed affacciò l'arco dalle feritoie. Per Daric, d'altro canto, sentire quel verso fu come rivivere un incubo. Non potevano bastare pochi giorni per affievolire il ricordo della devastazione di Helgen: le urla, le fiamme e il terrore incombente della morte.

«Sei pronto?» gli chiese la dunmer, i palmi delle mani già crepitanti di elettricità.

Daric annuì, risoluto.

La belva arrivò, come preannunciato, da sud. Oscurò il sole per un momento, come una nube passeggera, ma invece dell'acqua piovve il fuoco.

Daric fece appena in tempo a ripararsi, assieme ad Irileth, dietro una sporgenza del muro. Appena le fiamme passarono, uscirono allo scoperto. Il drago stava tornando indietro, quindi passarono al contrattacco. Le frecce cominciarono a sibilare nell'aria, mentre Irileth fece saettare le sue scariche elettriche. Daric non aveva idea se i draghi avessero particolari debolezze elementali, quindi tanto valeva che usasse il suo elemento preferito. Attinse al suo magicka e condensò nell'aria un dardo di ghiaccio, quindi lo scagliò verso il drago.

Molti delle offensive andarono a segno, ma il drago non sembrò accusare il danno. Fu quando questo ritornò per attaccare, che Daric si rese conto di un fatto lampante.

«Non è lo stesso!» disse ad Irileth, concitato.

«Di cosa stai parlando?»

«Del drago! Non è lo stesso che ha attaccato Helgen, questo è diverso!» Non poteva sbagliarsi, la creatura che aveva visto ad Helgen era nera come la notte, questa invece sembrava avere le scaglie forgiate nel bronzo.

«Allora speriamo che non arrivi anche l'altro» replicò lei, digrignando i denti e lanciando un'altra scarica.

A breve, i focolai tornarono ad ardere in più punti, ma per fortuna il fumo veniva subito disperso dalla grande mole d'aria che il drago spostava con le ali possenti. Nonostante la creatura fosse attaccata da più direzioni, rimaneva ad un livello superiore nello scontro. Scovava in modo sistematico i suoi avversari, e li spingeva alla fuga o a desistere. Si contavano già i primi feriti.

«Dobbiamo costringerlo ad atterrare» mormorò Daric.

Proprio in quel momento, il drago aveva appena cercato di disfarsi del soldato in cima alla torre, che per un soffio era riuscito a sfuggire ai suoi artigli. La belva tornò all'attacco, ma stavolta si fermò a mezz'aria. Fu in quel momento che a Daric balenò un'idea.

Evocò un altro dardo di ghiaccio, e mentre il drago reclinava il collo serpentino e spalancava le fauci, lo scagliò con tutta la forza.

Il dardo si inchiodò sull'ala destra, ed il getto di fuoco del drago fu subito spento da un ruggito irritato. La belva quasi precipitò, ma con fatica riprese quota e tornò a volare.

«Hai avuto una buona idea» gli disse Irileth, per poi gridare agli altri: «Mirate alle ali!»

La soddisfazione di Daric ebbe vita breve, perché il drago puntò dritto verso di lui. Atterrò in cima al muro usato come riparo e, per la sorpresa di tutti, parlò:

«Nos kinzon[1], hai guadagnato la mia attenzione, mortale».

Daric rimase paralizzato, da un'egual misura di meraviglia e terrore. In quel momento, in cui si trovò a fissare la creatura negli occhi, si sentì come un topolino al cospetto di un falco, e gli istanti parvero dilatarsi.

«Yol...»

Intuì quello che stava per succedere, ma i suoi piedi erano incollati al suolo. Non poteva muoversi.

«Toor...»

Solo in quel momento si rese conto che il drago pronunciava delle parole prima di soffiare il suo getto di fuoco, da lontano li aveva scambiati per semplici ruggiti. Chissà se avevano un significato?

«Shul!»

Chiuse gli occhi e si preparò al peggio. Oramai, ci aveva quasi fatto l'abitudine.

Tuttavia, il calore ustionante delle fiamme non arrivò. Si sentì invece strattonare con forza, e si ritrovò a rotolare a terra assieme a qualcuno. Quando riaprì gli occhi vide quelli cremisi di Irileth, sopra di lui.

«Si può sapere che ti è preso?» lo rimproverò con asprezza.

«Scusami» balbettò, imbarazzato. «È stata la paura».

Nel frattempo il drago era stato costretto a riprendere il volo, visto il costante numero di frecce che gli arrivavano addosso.

L'huscarlo sbuffò, rialzandosi in piedi, e gli offrì una mano.

«Non farmi rimpiangere di non aver portato Farengar al posto tuo» disse lei, ironica nonostante la situazione.

Daric sorrise, ed afferrò la sua mano. «Avresti dovuto portarci tutti e due, per fare un confronto» osservò, quando si fu rialzato.

«Me lo ricorderò la prossima volta» replicò lei, mentre tornava a guardare il drago. «A quanto pare la tua idea sta funzionando».

In effetti la belva stava avendo sempre più difficoltà a mantenersi in volo, viste le numerose lacerazioni che si erano formate sulle membrane delle ali. Bastarono alcuni altri colpi andati a segno per costringerla ad atterrare, proprio dietro la torre.

«Mantenete le distanze!» ordinò Irileth ai suoi uomini. «Non ingaggiate il corpo a corpo! Qualcuno intanto aiuti i feriti a rifugiarsi nella torre».

Daric fu tentato di andare a recuperare i feriti, ma la sua coscienza gli impose di seguire Irileth. Aveva promesso allo jarl di assisterla come poteva, e ci teneva a mantenere la parola data.

Arrivarono nello spazio retrostante la torre, e trovarono il drago ad aspettarli. Tutt'altro che domo, ora si agitava come una belva in trappola. Sputava fuoco a chiunque si esponesse per attaccarlo, anche da lontano, e ruggiva infastidito per le frecce che piovevano dalla torre, che era l'unico posto sicuro. Purtroppo le frecce erano limitate, sia nel numero che nell'efficacia, visto che di rado sembravano penetrare la corazza spessa delle scaglie. Daric e Irileth erano gli unici che, con la magia, riuscivano a ferirlo. Tuttavia il drago l'aveva capito, e quindi non lasciava loro sufficiente spazio per scoprirsi ed attaccare.

«Penso che dovremmo salire anche noi sulla torre, almeno avremmo più copertura» suggerì l'huscarlo.

«Aspetta, voglio prima fare un tentativo. Tienilo distratto per qualche momento» la fermò Daric.

«D'accordo» acconsentì, prima di sporgersi dalla copertura solo il tempo necessario per lanciare alla cieca qualche scarica.

Daric chiuse gli occhi, e proiettò la sua mente sulla sponda delle acque dell'Oblivion. Concentrandosi sul morfotipo, la forma che desiderava evocare, lanciò l'invito tra le onde del caos primigenio, e qualcosa subito rispose. Come un pesce che abboccava all'amo, Daric lo trascinò a sé. Lo ammanettò alle catene dell'obbedienza e, riaprendo gli occhi, gli aprì il passaggio per il Mundus.

Una bolla violacea apparve di fronte al drago, e da questa emerse l'incarnazione del fuoco. Una figura dalle fattezze femminili che leggiadra danzava nell'aria, proprio come la fiamma di cui si formava.

«Un Atronach?» fece Irileth, sorpresa. «Questa non me l'aspettavo».

Il daedra cominciò subito ad attaccare il drago, lanciando rapido una sequenza palle di fuoco. Quest'ultimo rispose con il suo getto incendiario ma, come Daric aveva supposto, l'Atronach ne era del tutto immune. Il drago provò ad accorciare le distanze, per stritolarlo tra le sue fauci, ma il daedra evitava con destrezza ogni morso.

«Ora è distratto!» disse Daric, ed entrambi ne approfittarono per uscire dalla copertura ed attaccarlo.

Il drago tuttavia, non si fece prendere in giro a lungo. Quando si accorse che si trattava di una tattica diversiva, reagì in modo inaspettato.

«Fo Krah Diin!»

Una bufera di ghiaccio esplose dalle fauci del drago, e l'Atronach, trovandosi sopraffatto dal suo elemento avverso, fu ricacciato nell'Oblivion.

«Grazia divina di Akatosh!» boccheggiò Daric, colto alla sprovvista. «Puo soffiare anche il ghiaccio?!»

«Dannazione, pare proprio di sì» imprecò Irileth a denti stretti.

«Brit grah[2]. Nonostante la vostra fragilità, siete pieni di risorse» disse il drago. «Yol Toor Shul!»

Di nuovo furono costretti a ripararsi dietro la copertura, e furono nella stessa situazione di prima.

«Peccato, era una buona trovata evocare un daedra» disse Irileth. «Ora però sappiamo che può sputare sia ghiaccio che fuoco, non potresti evocare un Atronach della Tempesta, o un dremora?»

Daric scosse mesto il capo. «Purtroppo non ho molta esperienza con la scuola dell'Evocazione, sarebbero oltre la mia portata».

«Capisco, allora dobbiamo farci venire un'altra idea» disse lei, alzando le spalle. «Oppure potremmo prenderci una fiammata in piena faccia, tanto per cambiare».

«Aspetta... cosa hai appena detto?» fece Daric, colto da un'intuizione.

«Che dobbiamo farci venire un'altra idea, mi sembra ovvio».

«No, quello che hai detto dopo»

«Che potremmo prenderci una fiammata in faccia?» ripeté Irileth, incerta su dove volesse andare a parare.

«Sì, esatto!» esclamò Daric, schioccando le dita. «Ecco l'idea che ci serve».

Lei gli rivolse un'occhiata scettica. «Cioè vorresti farla finita? Che razza d'idea sarebbe?»

«No, non volevo dire questo» disse Daric, agitando una mano. «Il punto è che tu sei una dunmer!» disse, come se lo avesse scoperto solo in quel momento.

Irileth sollevò un sopracciglio. «Il tuo acume mi sorprende. E con ciò?»[3]

«Beh, la tua gente ha una resistenza innata al fuoco, giusto?»

«Sì, ma non siamo immuni. Ne uscirei tutt'altro che illesa da un attacco del genere».

Daric si limitò a rovistare nella sua tracolla, quindi estrasse una boccetta e la agitò davanti agli occhi di Irileth. «E se io ti fornissi ancora più protezione?» propose, con un sorriso trionfale.

«Un tonico di resistenza al fuoco?» Irileth lesse l'etichetta, con un'espressione meditabonda. «Sì, potrebbe funzionare, ma non a lungo».

«A me bastano pochi secondi. Ho bisogno che tu mi copra, in modo che possa preparare un incantesimo più potente».

«Ora ho capito cosa hai in mente» annuì. «Devo però ricordarti che il drago sputa anche il ghiaccio, oltre che il fuoco. Cosa facciamo se decide per il primo invece che per il secondo?»

«Il drago pronuncia delle parole prima di usare quegli attacchi magici, quindi abbiamo una finestra di tempo per prevederlo».

«Dici sul serio? A me sembrano solo ruggiti»

«Anch'io la pensavo così. Non so quale lingua sia, ma ti assicuro che sono parole».

«Quindi mi assicuri che sei in grado di riconoscere un attacco dall'altro?»

Daric annuì.

Irileth ci pensò su per qualche momento. «Va bene. Al momento non mi vengono idee migliori, quindi mi fiderò di quello che dici».

«Grazie» disse, offrendole il tonico. «Ho bisogno di copertura per qualche secondo, tu dovrai solo farmi da scudo. A proposito...» aggiunse, d'improvviso «Porgimi il tuo scudo».

Lei acconsentì. Daric accostò una mano sulla superficie di legno, e in pochi secondi fu ricoperta da uno strato di ghiaccio.

«In questo modo potrai frangere le fiamme più a lungo, senza paura che lo scudo si bruci».

«Mi stai facendo preoccupare. Sicuro che ti serva solo qualche secondo?»

Daric sorrise imbarazzato. «È solo una precauzione in più. Mi sento in colpa per quello che ti sto chiedendo di fare».

«Non devi sentirti in colpa. Piuttosto, assicurati di colpirlo una volta per tutte».

Irileth bevve il tonico e, dopo un cenno d'intesa, uscì allo scoperto, con Daric a seguirla come un'ombra.

«Ehi, drago!» urlò lei. «Una volta che avremo finito con te, appenderemo la tua testa accanto a quella del vecchio Numinex, che ne dici?»

Provocarlo per attirare la sua attenzione era una buona idea, se poi fosse riuscita anche a farlo parlare, tanto meglio. Daric cominciò subito ad intessere il suo incantesimo. Dato che non era un esperto nella scuola della Distruzione, doveva colmare questa sua mancanza attingendo da un'altra scuola.

«Potrai anche sconfiggere me, ma ora che il padrone è tornato il vostro tempo è finito» rispose il drago.

Daric cercò di non farsi distrarre, tuttavia la menzione di questo "padrone" non poteva non preoccuparlo. Ancora nascosto alle spalle di Irileth, Daric solidificò un cuneo di ghiaccio, il più possibile appuntito.

«Yol...»

Riconoscendo la parola, Daric la avvertì subito: «È il fuoco!»

«Toor Shul!»

Irileth fece appena in tempo a sollevare il suo scudo, e furono investiti dal getto di fuoco. L'idea stava funzionando, Irileth sembrava imperturbabile al calore, e questo consentì a Daric di non interrompere la preparazione. Ora che il proiettile era stato formato, si stava affidando alla scuola dell'Alterazione per renderlo duro come l'acciaio.

Quando il fuoco si dissipò, il drago si accorse che il suo avversario non era agonizzante al suolo. Memore dello scontro appena avuto con l'Atronach, adottò subito la medesima strategia.

«Fo...»

Era arrivato il momento. «Via! Ora!» urlò Daric.

«Krah Diin!»

I successivi eventi si incastrarono l'uno con l'altro, come i denti di due ingranaggi. Irileth si buttò a terra di lato, e mentre il drago spalancava le fauci, Daric scagliò il suo proiettile di ghiaccio. La belva riuscì ad emettere appena uno sbuffo di gelo, prima che il proiettile lo colpisse alla sprovvista, conficcandosi dritto nella sua gola. Il ruggito di dolore si trasformò a breve in un gorgoglio di sangue, ed il drago si accasciò soffocando al suolo. Dopo alcuni spasimi, sempre più deboli, non si mosse più.

Tutt'intorno ci fu un lungo momento di silenzio, ma quando fu chiaro che non si sarebbe più rialzato, i soldati esplosero in grida di vittoria. Daric era rimasto frastornato, ancora non riusciva a capacitarsi di quello che era successo. Si riscosse solo quando Irileth gli diede un pugno amichevole sulla spalla.

«La tua idea ha funzionato, a quanto pare» si complimentò lei.

«Ha funzionato...» mormorò, «Ce l'abbiamo fatta!» disse, per poi sfogare la tensione accumulata in una risata liberatoria.

Sventata la minaccia incombente, poterono tutti prendere fiato e riassestare la situazione. Mentre quelli illesi si occuparono di spegnere nuovamente i focolai, e di disfarsi di tutti gli oggetti bruciati nella torre, Daric si curò dei feriti.

Quando ebbe finito, ed il sole si apprestava a tramontare, fu avvicinato da Irileth. «Io devo rimanere qui ancora per un po'» gli disse. «Bisogna organizzare il trasporto dei due morti a Whiterun, e bisogna scrivere un rapporto su quello che è successo qui. Tu intanto potresti ritornare dallo jarl e riferirgli che il drago è stato ucciso».

«Sì, immagino che sia in attesa di notizie» concordò Daric.

«Un'ultima cosa...» gli disse, facendo cenno di seguirla. Uscirono entrambi dalla torre, e tornarono nello spazio retrostante. Accanto al corpo del drago, a cui Daric non aveva osato avvicinarsi, si era radunato un capannello di soldati. Era comprensibile che provassero curiosità verso una creatura che, fino a poco tempo fa, abitava solo le leggende.

«Dobbiamo prendere un "pezzetto" del drago da portare a Farengar. Pensi di poterlo fare tu?» gli chiese Irileth.

«Penso di sì» rispose, non molto propenso all'idea. Irileth quindi lo salutò, e tornò ai suoi doveri.

Avvicinandosi al gruppo di soldati, Daric sentì che si scambiavano commenti sull'aspetto feroce del drago.

«È veramente spaventoso» disse uno. «Le canzoni non gli rendono giustizia».

«Già. Guardate quante frecce aveva conficcate addosso» disse un altro. «Sembrava imbattibile».

«Scusate» intervenne Daric. «Non fate caso a me, devo solo prelevare dei campioni».

Estrasse un coltello d'argento dalla tracolla, e fece per avvicinarsi al drago. Tuttavia, quando fu ad appena un passo di distanza, si bloccò di colpo. Il corpo inerme del drago iniziò ad illuminarsi. Come se un fuoco lo stesse consumando, le membra presero a sfaldarsi in brandelli, ed a disperdersi nell'aria come cenere. Uno strano flusso dorato si era levato dal drago, ed ora stava confluendo verso Daric. La sensazione fu indescrivibile. Fu come se la sua mente stesse inspirando a pieni polmoni, gonfiandosi di una conoscenza finora sconosciuta. Fu come vivere migliaia di anni in un secondo solo, e quando quel secondo finì, Daric si trovò a barcollare.

Fu sorretto prontamente da uno dei soldati. «Stai bene?» gli chiese.

Lui annuì, incerto. Guardò il corpo del drago: si era ridotto allo scheletro.

«Tu... hai assorbito la sua anima!» disse un soldato, la voce carica di meraviglia.

Daric aprì bocca ma non riuscì a proferire una parola, tanto era lo stupore.

«Sei il Sangue di Drago!» continuò il soldato.

Questa affermazione levò molti commenti scettici da parte degli altri uomini.

«Di cosa stai parlando?» chiese Daric, ritrovata la parola.

«Le leggende narrano che solo il Sangue di Drago può assorbire le anime dei draghi» rispose lo stesso soldato. «E che Kyne mi fulmini, ma è quello che hai appena fatto».

«Suvvia, Holvur» intervenne un altro. «Sei un po' troppo cresciuto per credere queste favole, non credi?»

«E tu sei un po' troppo furbo per aver detto un'idiozia simile» replicò Holvur, stizzito. «Quindi, secondo te, anche questo bestione sarebbe una favoletta?» chiese, indicando il drago.

«Credo a quello che vedo» continuò imperterrito l'altro soldato.

«E non hai visto quello che è appena successo, Hroki? O stavi dormendo?»

«Non so quello che ho visto» rispose Hroki, scaldandosi appena. «Per quello che ne sappiamo potrebbe essere stata una reazione spontanea del drago».

«Va bene, sapientone, allora ti mostrerò un'altra prova» insistette Holvur, poi rivolgendosi a Daric. «Se sei il Sangue di Drago, allora puoi usare gli Urli come i draghi. Perché non provi?»

Daric scosse il capo, confuso. «Anche se volessi, non so di cosa stai...»

Fu in quel momento che gli tornò in mente quello strano episodio al Tumulo delle Cascate Tristi, quando si era quasi sentito chiamare da una parete levigata, scolpita in caratteri sconosciuti. Fu in quel momento che la conoscenza assorbita dal drago andò a collimare con quel ricordo in un'unica parola, la stessa che nel Tumulo era risuonata insistente nella sua testa. Fu in quel momento che assunse un significato, e sentì il bisogno insopprimibile di urlarla.

«Fus!»

Forza. Era questo il significato della parola, ed era ben più che semantico, era fisico, tangibile. Dalla sua bocca non uscì solo il suono della parola, ma anche la manifestazione della forza stessa che rappresentava. Fu quella forza che scosse lo scheletro del drago, e fece barcollare i soldati davanti a sé, incluso lo scettico Hroki.

«Hah!» esultò Holdur, soddisfatto. «Ora l'hai visto e l'hai sentito, ci credi adesso?»

Hroki alzò le mani. «Va bene, mi arrendo. Sangue di Drago o meno, ha dato una bella lezione a quel drago, e tanto mi basta» disse, per poi andarsene. Gli altri nel frattempo avevano incominciato a mormorare tra loro, alcuni eccitati alla notizia, altri ancora scettici.

«Cosa ho appena fatto?» domandò Daric, sbalordito.

«Hai Urlato» rispose Holdur. «Non l'avevi mai fatto prima?»

«No, mai»

«Dunque lo hai fatto d'istinto, e questo dimostra che sei il Sangue di Drago» concluse il soldato.

Daric continuava a non capire, e scosse la testa, perplesso.

«Col tempo capirai» gli disse, come se avesse letto nella sua mente, e gli diede una pacca d'incoraggiamento sulla spalla. «Abbi cura di te, e grazie per il tuo aiuto» lo salutò, prima di andarsene anche lui. Ad uno ad uno il capannello si disperse, e Daric rimase solo. Con mille pensieri che gli affollavano la testa, e ancora con il coltello in mano, guardò la carcassa del drago: non c'era rimasto molto da prelevare. Decise di prendere un dente, e qualche frammento dai brandelli di pelle che erano rimasti attaccati qua e là alle ossa.

Nella strada di ritorno a Whiterun, ebbe modo di ripensare a quanto successo. Ormai poteva accantonare l'idea che si trattasse di una serie di semplici coincidenze. Perciò, se non era casuale, allora era voluto. Ma da chi? E, soprattutto, perché? Non gli piaceva essere all'oscuro dei fatti, ma al momento la migliore strategia da adottare era quella del "aspettiamo e stiamo a vedere".

Era arrivato alle fattorie nei pressi della città, quando un boato scosse il cielo e la terra, ed un coro di voci tonanti echeggiò nell'aria:

«Dovahkiin!»

Daric si preparò al peggio, ma in pochi istanti ritornò il silenzio e la tranquillità. Non provò nemmeno a chiedersi cosa fosse successo.

«Non c'è che dire, Skyrim è davvero un posto vivace» disse tra sé, riprendendo a camminare. Doveva sperare che l'ironia non l'abbandonasse mai, altrimenti sarebbe impazzito di questo passo.



La mattina successiva, Lydia stava per iniziare il suo allenamento quotidiano nel grande porticato di Dragonsreach, quando fu avvicinata da Proventus Avenicci.

«Salute, Lydia»

«Sovrintendente» ricambiò il saluto con un cenno del capo. «Posso fare qualcosa per te?»

«Mi dispiace interrompere il tuo allenamento, ma lo jarl vorrebbe parlarti».

Rimase spiazzata da quella richiesta. Di solito la mattina era un momento fitto di impegni per lo jarl.

«È urgente?» domandò, tastando il terreno.

«Non proprio, ma è molto importante» rispose Avenicci, evasivo. «Ora lo jarl ha un momento libero, quindi è meglio non rimandare».

«Va bene, andrò subito»

Salutò il sovrintendente e si diresse verso la grande sala. Quando arrivò al cospetto dello jarl, lo trovò immerso in una fitta conversazione con Irileth.

«Sei sicuro che sia una buona idea?» sentì dire dall'huscarlo. «Ci stiamo privando di un buon elemento».

«Lo so, ma lui ne avrà senz'altro più bisogno» rispose Balgruuf, prima di notare il suo arrivo.

«Lydia, ragazza mia» lo jarl la salutò come al solito in tono bonario, quasi come un padre.

«Volevi parlarmi, signore?» chiese lei, chinando il capo con rispetto.

«È così. Immagino che tu abbia saputo quello che è successo ieri».

Lei annuì, anche se incerta. «Ti riferisci alla faccenda del drago? O a quella dei Barbagrigia?»

«Entrambe, visto che sono collegate» rispose lo jarl. «Non è ancora di pubblico dominio, ma pare lo straniero che ci ha aiutati sia proprio il Sangue di Drago».

Lydia spalancò gli occhi, sorpresa. «Quindi i Barbagrigia stavano convocando lui?»

Quasi tutti a Skyrim sapevano che i Barbagrigia erano degli eremiti, e che non erano affatto soliti nel farsi sentire in quel modo. La sera prima, quando le loro voci erano esplose dall'alto del loro monastero di Hrothgar Alto, tutti avevano ripensato all'ultima persona che avevano convocato: nientemeno che il giovane Tiber Septim.

«Esatto, ma questi sono affari dei Barbagrigia, non nostri» tagliò corto lo jarl. «Quello che ci interessa, è che lo straniero abbia un giusto riconoscimento per l'aiuto che ci ha dato, ed è per questo che gli ho conferito il titolo di thane di Whiterun. Tuttavia, ogni thane che si rispetti deve avere un huscarlo fedele e all'altezza del compito, ed è qui che entri in gioco tu, Lydia».

«Io?» fece lei, ancora più sorpresa. «Davvero hai pensato a me?»

«Ma certo, ragazza mia» disse Balgruuf, sorridendo. «Sono convinto che saresti perfetta. Sta a te scegliere però, non è mia intenzione obbligarti».

«Per me sarebbe un onore, signore» rispose subito, cercando di tenere a freno l'emozione nella voce. Il fatto che lo jarl avesse pensato a lei per un simile compito, la riempiva d'orgoglio. Avrebbe avuto l'occasione di servire e proteggere non solo un cittadino illustre e valoroso, ma anche un eroe leggendario.

«Sapevo che avresti accettato» disse lo jarl, soddisfatto della reazione positiva. «In tal caso ti invito subito a fare la sua conoscenza, il thane è con Farengar in questo momento».

Lydia ringraziò e si congedò dallo jarl, dirigendosi verso lo studio del mago di corte.

Quando si fu allontanata a sufficienza, Irileth parlò: «Non le hai detto nulla di Daric, lo sai che potrebbe essersi costruita un'immagine sbagliata su di lui?»

«Lo so, ed è per questo che non le ho detto nulla» rispose lo jarl, serio. «Lydia è una brava ragazza, ma anche lei deve imparare che spesso le tradizioni limitano le nostra concezione del mondo».

Quando Lydia entrò nello studio del mago di corte, lo trovò assieme ad un collega. O forse era un nuovo apprendista?

«Quindi non c'è rimasto nient'altro?» chiese Farengar all'altro mago, un po' deluso. «Solo ossa?»

«In pratica sì. Ti avrei portato anche un'ampolla di sangue, ma...» l'altro mago scrollò il capo, senza finire la frase.

«Beh, potresti darmi il tuo sangue» suggerì Farengar con un ghigno. «Non sarebbe più o meno uguale?»

«Chiedo scusa» la donna interruppe la conversazione, visto che stava virando su toni inquietanti.

«Ah, Lydia» esclamò il mago di corte, sorpreso. «A cosa devo questa visita?»

«Sto cercando il nuovo thane» rispose, entrando nella stanza. «Lo jarl mi ha detto che avrei potuto trovarlo qui».

«Infatti l'hai trovato» disse Farengar, indicando l'altro mago con un cenno del capo.

Lydia lo squadrò da capo a piedi, perplessa. Era esile, come la gran parte dei maghi, e la veste che indossava aveva di sicuro visto giorni migliori. Da sotto il cappuccio, che era sollevato sulla testa, vide il volto di un giovane incorniciato da una barba ispida e nera, gli occhi grigi che ricambiavano il suo sguardo con curiosità. Nulla lasciava pensare che quella persona fosse l'uccisore di un drago.

Lei tornò a rivolgersi a Farengar, con un'espressione scettica. «Non prenderti gioco di me, non è divertente».

Il mago di corte, invece di rispondere, cominciò a sghignazzare senza ritegno, seguito a ruota dal supposto thane.

Lydia roteò gli occhi, quasi annoiata. «Mi sono persa una battuta?»

«Dipende» replicò Farengar, divertito. «Spero che la tua ultima sia stata una battuta, perché la mia non lo era».

Fu in quel momento che Lydia notò un'ascia appesa alla cintola dell'altro mago, e si ricordò di averla vista nell'armeria di Balgruuf. Di solito, quando uno jarl nominava un thane, gli consegnava una delle sue armi personali come distintivo del suo titolo. Non appena combinò insieme i due fatti, l'incredulità lasciò il posto alla vergogna. Lei si era aspettata un guerriero dall'aspetto feroce ed intimidatorio, un po' come Hrongar, il fratello dello jarl. Persino come mago aveva un aspetto alquanto misero, sembrava uno dei soliti apprendisti squattrinati che Farengar riceveva nel suo studio di tanto in tanto. Tuttavia i fatti parlavano chiaro, e a meno che lo jarl non fosse impazzito, quel ragazzo era veramente il nuovo thane di Whiterun, nonché il vociferato Sangue di Drago.

«Vi lascio soli alle vostre presentazioni» disse Farengar, e lasciò lo studio per non gravare oltre sull'imbarazzo del giovane huscarlo.

Resasi conto di aver fatto una figuraccia, chinò il capo per nascondere il rossore sulle guance. «Mio thane» disse, cercando di recuperare un po' di contegno. «Se vorrai scusare la mia insolenza, sarò onorata di essere il tuo huscarlo. Sarò il tuo scudo e la tua spada, proteggerò la tua persona ed i tuoi averi con la mia vita, fino alla morte se necessario».

Sollevò di nuovo lo sguardo, pronta a ricevere il giudizio, ma trovò il thane in difficoltà quasi quanto lei.

«Va bene, accetto» balbettò, rosso in viso. «Ma nessuno deve morire per me, sia chiaro»



Passato il momento di imbarazzo, e fatte le dovute presentazioni, Daric e Lydia lasciarono Dragonsreach.

Non appena fu fuori, Daric inspirò con piacere l'aria frizzante del mattino. In silenzio scese la scalinata, seguito a breve distanza da Lydia, e quando arrivò ad una delle panchine ai piedi del Verdorato, ci si sedette subito. Sospirò ed abbassò il viso sui palmi aperti delle mani. L'huscarlo rimase a guardarlo, confusa per il silenzio in cui sembrava essersi chiuso. Proprio in quel momento un bambino passò correndo accanto a loro, intento nei suoi giochi, ma subito dopo Lydia lo vide tornare indietro per fermarsi davanti a Daric. Lei rimase incerta su che cosa fare: il bambino sembrava intenzionato a volere l'attenzione di Daric, che era ancora ignaro della sua presenza. Doveva fermare il bambino? Forse il thane non voleva essere disturbato...

Fu così che Daric si sentì tirare per una manica, e quando risollevò lo sguardo incontrò quello meravigliato del bambino.

«Che belle vesti, signore» disse questi. «Sei uno stregone?»

Daric sorrise con tenerezza. «Suppongo di sì. Perché me lo chiedi?»

«Puoi farmi diventare invisibile?» chiese il bambino, trepidante. «Sai, sto giocando a nascondino e non voglio farmi trovare».

Come ragionamento non faceva una piega, ma l'incantesimo di Invisibilità richiedeva una conoscenza avanzata nella Scuola dell'Illusione. Daric stava per rispondergli che purtroppo non ne era capace, quando all'improvviso arrivò una bambina redguard e afferrò il suo coetaneo per le spalle, facendolo sobbalzare.

«Trovato!» Disse lei, esultante. «Ora tocca a me nascondermi».

«Così non vale, Braith!» Si lamentò il bambino. «Non hai contato fino a trenta!»

«E invece sì» replicò la bambina.

«E invece no»

«E invece sì» disse lei, minacciosa, con le mani sui fianchi. «Vuoi che ti faccio sanguinare il naso, piccolo Lars?»

Il bambino indietreggiò. «Smettila!» Balbettò, poco convincente.

«Scusami, signorina» Daric si intromise nella discussione, poggiando una mano sulla spalla di Lars. «È così che tratti gli amici?» Le chiese, a metà tra il serio ed il giocoso.

Braith sbuffò. «Lui non è mio amico, è solo un piagnucolone».

«Se non è tuo amico allora perché giochi con lui?»

Stavolta la bambina non ebbe la risposta pronta, e se ne uscì con un «Fatti gli affari tuoi,» prima di prendere Lars per un polso e trascinarlo via, ignorando le sue proteste.

Daric ridacchiò, scuotendo la testa. «Credo che il "piccolo Lars" abbia una spasimante».

«Tipico dei bambini» commentò Lydia, divertita. «Lo tratta male perché in fondo gli piace, e perché lui non se ne accorge».

«Già, e non sono solo i bambini a farlo...» solo in quel momento Daric, quando si rivolse a lei, notò che era ancora in piedi. «Siediti, ti prego» le disse, indicando lo spazio vuoto accanto a sé. Lei assecondò la richiesta, titubante.

«Sai, è tipico dei bambini anche meravigliarsi per ogni cosa nuova» continuò, guardando l'acqua che scorreva placida nei canali. «Se ha detto che ho delle belle vesti, allora non ha mai visto un mago che si rispetti. Senza offesa per Farengar, ovviamente» specificò, in fretta. «La verità è che sto indossando gli abiti di un poveraccio che era morto in una cella ad Helgen, ed ancora non sono riuscito a trovare niente di meglio» disse, avvilito. «Ti chiedo scusa, credo di essere un thane piuttosto patetico».

«Io non...» Lydia si morse il labbro, presa dai sensi di colpa. «È per quella frase che ho detto a Farengar, vero?»

Daric sorrise, scuotendo la testa. «No, era una frase sincera, e non posso biasimarti per essere stata scettica. Voglio dire, qui a Skyrim il Sangue di Drago per eccellenza è lui» indicò una statua di Tiber Septim, proprio davanti a loro. «Anche a Cyrodiil, quando si parla di Sangue di Drago si pensa ai grandi imperatori del passato, non certo ad uno come me».

«Forse hai ragione. Ciò non toglie che questo tipo di paragoni sia ingiusto» replicò lei. «E avrei dovuto sapere bene che si giudicano le persone in base a ciò che fanno, non in base a ciò che sono o a come appaiono».

«Tutti noi impariamo dagli errori non c'è nulla di male» disse Daric, prima che il silenzio calasse sulla conversazione. In sottofondo, si sentivano solo i sermoni veementi di un sacerdote di Talos.

«E comunque» riprese Lydia, dopo appena un minuto. «Nessuno chiamerebbe "patetico" uno che ha ucciso un drago».

Daric rise. «Grazie, sei gentile. In effetti mi sto autocommiserando un po' troppo, ma a dirla tutta se non fosse stato per Irileth sarei morto carbonizzato, quindi è stata un'impresa tutt'altro che eroica».

«Se non fosse stato per i suoi Cinquecento Compagni, Ysgramor non avrebbe mai conquistato Skyrim» controbatté Lydia, sorridendo. «Eppure nessuno si sognerebbe di sminuirlo per questo. Forse hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle, e guarda caso un huscarlo serve anche a questo».

Il mago la guardò, un po' a disagio. Non era abituato che una persona gli giurasse fedeltà, senza conoscerlo e senza chiedere nulla in cambio. Da una parte lo rincuorava, da un'altra gli metteva apprensione, soprattutto la parte con: "fino alla morte se necessario".

«Non ho ancora capito bene questa faccenda dell'huscarlo» disse, cercando di non suonare irrispettoso. «Da dove vengo io non esiste nulla del genere».

«Se ti viene più facile, puoi considerarmi come una guardia del corpo» replicò lei, alzando le spalle. «Potresti anche incaricarmi di sorvegliare la tua casa, se preferisci».

«La mia casa...» mormorò, guardandosi attorno. «Mi piacerebbe averne una qui, Whiterun mi sembra davvero una bella città».

«Lieta che tu la pensi così» disse Lydia. «Ora che sei thane, potresti valutare di acquistarne una».

«Se avessi il denaro, volentieri». L'idea di per sé era buona. Dato che ormai era chiaro che avrebbe dovuto fermarsi a Skyrim più tempo del previsto, avere un punto di riferimento, un rifugio in cui dormire che non fosse solo una locanda, era essenziale. «Ma prima vorrei sapere cosa vogliono da me questi Barbagrigia. Tu conosci la strada per Ivarstead?» le chiese.

«Sì, posso accompagnarti se vuoi».

Daric si alzò. «Di solito sono un solitario, ma non rifiuto la compagnia» disse, prima di sfilare l'ascia dalla cintola e porgerla a Lydia. «Tieni, questa sarà più utile a te».

Lei esitò. «Sei sicuro?»

«Certo che lo sono» annuì con vigore, quasi spingendo l'ascia tra le mani dell'huscarlo. «So usare appena un pugnale, quindi con un'ascia in mano sarei pericoloso... e non nel modo giusto».

Anche Lydia si alzò, e accettò l'arma offerta con gratitudine. «Quando vuoi partire?»

«Subito» rispose Daric, pensoso. «Ma prima devo scrivere una lettera al mio maestro».




Scusate per il ritardo, ma questo capitolo mi ha bloccato per settimane. La quest già di per sé è cruciale per il Sangue di Drago, visto che gli viene rivelata la sua natura particolare, ma lo scoglio più difficile da superare è stato il combattimento con il drago. Non so voi, ma sin da subito sono stato un po' insofferente verso quei lucertoloni alati, che trovavano sempre i momenti meno opportuni per attaccarti. La mia prima fanfiction, "Un mestiere ingrato", la scrissi proprio sull'onda della rottura di scatole che mi provocavano, e infatti ci sono alcuni rimandi a quella storiella, soprattutto la tattica diversiva con l'Atronach. Ovviamente il Sangue di Drago di quella storia era solo il "prototipo" di Daric, quindi sono due personaggi diversi. Detto questo, spero che il combattimento con il drago sia stato sufficientemente movimentato, tutto qui.

Questo capitolo è venuto molto più lungo di quanto mi aspettassi, quindi spero che non sia stato pesante. In realtà avevo anche scritto il dialogo post-combattimento con lo jarl, ma alla fine mi è sembrato solo uno spiegone inutile, quindi l'ho tagliato. Magari fatemi sapere, per il futuro, se preferite che i capitoli più lunghi vengano spezzati in due parti.

Angolino noioso delle spiegazioni: anche stavolta mi sono preso qualche libertà, sia nell'interpretazione dell'ambientazione di gioco, sia nella scrittura di alcuni passaggi, quindi se ne trovate che non vi convincono fatemelo sapere. Come avrete notato, nel personaggio di Lydia ho dovuto metterci molto del mio, anche perché il gioco ci lascia solo una base minima da cui partire. Io ho voluto immaginarla come una specie di "pupilla" dello jarl, con un rapporto quasi padre-figlia tra i due.

Vi ringrazio per aver letto fin qui, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate. Vi avviso subito che il prossimo capitolo non sarà pubblicato prima della fine di febbraio.

Vi auguro quindi un buon anno, ciao e a alla prossima :)



Note:

1. Traduzione: (un) colpo acuto [?]

2. Traduzione: (una) bella battaglia [?]

3. Citazione del mitico Lupo Alberto :) [?]




Piccolo avviso: con il prossimo capitolo, probabilmente pubblicherò anche la terza revisione del primo, con alcune correzioni suggerite nelle recensioni, e alcune modifiche/aggiunte nei dialoghi. Mi scuso con chi ha già recensito, ma quel capitolo ancora non mi soddisfa pienamente, abbiate pazienza per favore :)

  
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