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Autore: heliodor    30/12/2017    4 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Bizvar

Non poteva dire a Jhazar che si sarebbe unita a quella caccia. Era fuori luogo anche andarci come Sibyl.
Pensò a diverse scuse per unirsi a Jhazar e agli altri, ma le sembravano tutte poco credibili. Se doveva andare, doveva farlo in segreto, senza che se ne accorgessero.
La sua speranza è che fossero tutti troppo concentrati su Rancey e le sue forze per accorgersi di lei.
Era un buon piano e poteva funzionare, ma l'esperienza le diceva che avrebbe dovuto anche improvvisare a un certo punto.
Tutte le volte che era partita credendo di avere escogitato un piano infallibile, i suoi buoni propositi si erano scontrati con l'imprevedibile realtà.
Quindi stavolta si sarebbe affidata di più al suo istinto e alla capacità di trovare una soluzione all'ultimo momento, anche perché non aveva idea di che cosa l'aspettasse.
L'unico assaggio che aveva avuto della foresta era avvenuto di giorno e si era quasi persa. Di notte doveva essere anche peggio.
Avrebbe dovuto fare del suo meglio per non perdere di vista il gruppo.
Immersa in quei pensieri non si rese conto che Jhazar la stava congedando. "Torna nella tua stanza e restaci."
"Certo" disse cercando di mostrarsi sincera.
"Potrebbe esserci un certo trambusto alla fortezza."
Joyce contava sulla confusione per far perdere le proprie tracce e poter poi rientrare senza essere notata a missione compiuta.
Impiegò le ore successive a prepararsi. Scelse un vestito scuro con cappuccio, in modo da potersi confondere nel buio e si procurò una sacca dove infilò un secondo vestito. Indossò gli stivali al posto delle scarpe e fece a pezzi un secondo vestito ricavandone delle strisce di tessuto. Non aveva idea di come utilizzarle, ma era sempre bene avere delle bende con sé. Scese nelle cucine e prese dalla dispensa un po' di carne secca, del miele e dei biscotti cotti al forno. Mise tutto nella sacca e iniziò la lunga attesa.
Quando le ombra calarono sulla fortezza, si affacciò al balcone per vedere cosa succedeva nell'enorme cortile.
Un centinaio di soldati si erano radunati disponendosi su dieci file. Da quella distanza non poteva riconoscere i volti, ma era sicura che alcune delle figure a cavalo erano Zefyr e suo padre.
Altri cavalieri si unirono al folto gruppo che andava radunandosi, formando un piccolo esercito di centocinquanta persone. Molti di loro indossavano i mantelli del circolo di Nazedir, lo stallone nero su campo dorato.
Altre figure a piedi, scudieri e valletti, sciamavano in tutte le direzioni. Riconobbe Selena che parlava con Gajza e Jhazar e al suo fianco Eryen.
La ragazza scambiò due parole veloci con Gajza e lei si allontanò con passo veloce. Due guardie si unirono a lei mentre rientrava nella fortezza. Per un attimo le sembrò che la ragazza avesse sollevato gli occhi verso la sua finestra, ma da quella distanza era impossibile dirlo.
Joyce represse l'inquietudine che quel gesto le aveva provocato e iniziò a pensare alle prossime mosse.
Dopo la partenza del contingente avrebbe avuto pochi minuti, forse venti o trenta, per lasciare la fortezza e mettersi sulle loro tracce.
La foresta era distante una quindicina di miglia e lei poteva arrivarci con due o tre levitazioni, ma si sarebbe dovuta mantenere a una certa distanza dal convoglio se non voleva essere individuata, anche se contava sul fatto che l'attenzione degli stregoni fosse rivolta verso la foresta e non verso la fortezza, dalla quale non si aspettavano certo un attacco.
Respirò a fondo e aprì la finestra, assaporando i profumi portati dalla leggera brezza che soffiava verso la fortezza.
Ricordò la prima volta che aveva volato attraverso la finestra, a Valonde. Era così spaventata dall'idea di librarsi nel vuoto.
Temeva che l'incantesimo fallisse o che lei sbagliasse a pronunciare la formula, schiantandosi al suolo.
Che sciocca.
Ora aveva assoluta fiducia nella magia. Era una parte di sé e non sarebbe mai riuscita a rinunciarvi per niente al mondo.
Peccato non poter mostrare a tutti quello che sapeva fare.
Era quello il suo destino? Vivere per sempre in incognito una doppia vita? Di giorno principessa e di notte astuta maga che vola nel cielo in cerca di avventure?
Quel pensiero la face sorridere e per un attimo fatale si distrasse.
Non si accorse che la porta della sua stanza si era aperta e qualcuno era entrato.
Aveva già messo un piede sul davanzale e stava per issare l'altro, quando udì una voce dire alle sue spalle: "Fallo. Mi renderai le cose più facili."
Si fermò all'istante, il sangue che le gelava nelle vene. Si voltò, incontrando gli occhi socchiusi di Eryen.
"Non si usa più bussare?" disse senza osare muoversi.
Eryen fece una smorfia. "Stavi andando da qualche parte per caso?"
"Mi godevo il fresco" disse Joyce cercando di guadagnare tempo.
"Se è il fresco che vuoi, dove ti sto per portare ne troverai quanto ne vuoi" disse la ragazza. Fece un cenno ai due soldati che l'accompagnavano.
I due avanzarono verso Joyce, che valutò se opporsi o no. Decise che era troppo in svantaggio. Tolse il piede dal davanzale e attese immobile davanti alla finestra.
"Quella non ti serve" disse Eryen indicando la borsa. "E nemmeno il mantello."
Joyce gettò la borsa e il mantello sul letto.
"Andiamo" disse Eryen voltandosi verso la porta.
Scesero di tre livelli nel silenzio più assoluto, rotto solo dall'eco dei loro passi.
"Mi spieghi che succede?" chiese Joyce a Eryen.
La ragazza procedeva in testa al gruppo mentre i due soldati stringevano Joyce ai fianchi.
"Ho fatto qualcosa di male? Ho violato una delle vostre leggi?"
Eryen sospirò. "Gajza non si fida di te e mi ha chiesto di tenerti d'occhio mentre lei non c'era" rispose con tono divertito.
"Solo questo?"
"Ti sembra poco? La maatsiba è stata molto chiara su questo punto. Non devo permetterti di andare in giro liberamente per la fortezza. Questo è quanto saprai da me."
"Ma che male posso farvi? Non ho nemmeno i poteri."
"Non ha importanza. Io eseguo solo gli ordini della maatsiba."
"Stovoi Selena sa quello che stai facendo?"
"Ovviamente no. La stovoi non deve esserne informata."
"Perché?"
"Ordini della maatsiba."
"E non ti chiedi perché ti ha ordinato di non parlarne con la stovoi?"
Eryen si voltò. "Dovrei?"
C'era sincero stupore sul suo viso? Davvero pensava che eseguendo quell'ordine non stesse facendo niente di male?
"Quando la maatsiba tornerà e mi troverà nelle prigioni la prenderà molto male. E anche tamish Jhazar. Ci hai pensato?"
"La maatsiba sarà orgogliosa di me. E in quanto a Jhazar..." si lasciò sfuggire un messo sorriso.
"Cosa? Continua."
Eryen la ignorò e continuò dritta per la sua strada.
Joyce cominciò ad avere paura. Non per lei, ma per Jhazar e quello che le parole di Eryen potevano significare. Se non temevano l'ira di Jhazar era perché lui non sarebbe mai tornato da quella spedizione.
Era per via del messaggio che aveva ricevuto? O per il fatto di supportare l'alleanza?
Fino a quel momento si era distratta pensando solo a Gastaf e lo stregone che lo serviva, dimenticandosi che anche Gajza poteva avere del risentimento verso Jhazar. E lei.
Scesero un'altra rampa di scale, dopo la quale l'ambiente cambiò di netto. I corridoi decorati con arazzi e dipinti lasciarono il posto a pareti di nuda pietra grigia e scura. C'era odore di muffa e le torce che illuminavano il cammino erano più distanziate, creando ampie zone di buio lungo il percorso.
Eryen fece un cenno alle due guardie, che si fermarono. "Da qui proseguiamo da sole. Restate qui di guardia."
I sue soldati si disposero a entrambi i lati del corridoio.
Eryen fece cenno a Joyce di seguirla.
"E se mi rifiuto?"
Eryen le mostrò la mano, dove un dardo magico brillava. "Non costringermi a colpirti."
"Come nella palestra?"
"Quello era per metterti alla prova. Stavolta non mancherò il bersaglio."
"Volevi mettermi alla prova?"
Selina annuì. "Una strega qualsiasi avrebbe reagito d'istinto a quell'attacco preparando uno dei suoi incantesimi. Tu invece hai solo tremato come un bizvar qualsiasi."
O una maga senza alcuna esperienza o quasi di combattimento. Almeno per una volta la sua mancanza di addestramento era stata utile. Se avesse mostrato i suoi segreti ora sarebbe morta o rinchiusa in una cella della fortezza.
Non che la sua situazione fosse migliore, in quel momento.
"Bizvar?"
"Gli inferiori senza poteri. È così che li chiamiamo qui. Voi che nome usate?"
"Persone."
Eryen sorrise. "Sei proprio patetica. Cosa si prova a nascere senza poteri? A sapere che lo stregone dal rango più basso può disporre a piacimento della tua vita?"
"Dalle mie parti gli stregoni non si comportano così. Seguono delle regole. Un codice."
"Davvero?"
Joyce annuì. "Non usano i poteri per fare del male chi non li ha."
"E in guerra? In una battaglia? I vostri stregoni non uccidono i soldati?"
Joyce ricordò Vyncent che addestrava Bardhian a superare le difese di un guerriero. "Quello è diverso."
"Cosa c'è di diverso? Spiegamelo."
"Non lo so."
Eryen rise di nuovo facendo montare la rabbia dentro Joyce.
"Vedi? Sei solo una stupida bizvar. Tutti voi pensate che chi ha i poteri vi debba qualcosa. I poteri sono un dono degli dei. Chiediti perché a te non sono stati concessi e ad altri sì. Sai qual è la risposta?"
Joyce scosse la testa.
"Perché non ne eri degna."
Si fermarono dinanzi a una porta di ferro chiusa da una solida serratura. Solo un minuscolo spioncino si apriva al centro della porta.
"Acciaio rinforzato" disse passando la mano sul metallo. "Nemmeno una palla di fuoco può buttarla giù."
Eryen infilò la chiave nella serratura e la fece scattare. "Entra" disse facendosi da parte.
Joyce mise un passo nella cella. Era buia e le pareti erano incrostate di umidità e c'era una puzza terribile, come di fogna. Nell'oscurità colse un movimento fugace seguito da uno squittio. Topi? Pensò con orrore.
"Quando ti sarai abituata ti piacerà, vedrai" disse Eryen divertita.
Joyce decise di agire.
Aveva pensato per tutto il tragitto al momento migliore per farlo e aveva scelto quello.
Finse di scivolare e si piegò in avanti di scatto.
"Che ti prende?" disse Eryen afferrandole il lembo del vestito con la mano libera.
Joyce si sollevò di scatto e le diede una spallata al centro del petto, spingendola verso la parete con tutta la forza che aveva.
Eryen gridò, per il dolore o la sorpresa Joyce non seppe dirlo, quando colpì la parete con la schiena.
Joyce stava già mormorando la formula del dardo magico quando sollevò la mano e gliela puntò verso il viso.
Un chiarore spettrale illuminò l'espressione sorpresa di Eryen.
"Da questa distanza non ti mancherò" disse Joyce a denti stretti. A stento dominava il desiderio di far partire il dardo.
Eryen sgranò gli occhi. "Tu... ma come hai fatto? Io credevo che..."
"Cosa si prova a sapere che una strega di basso rango può disporre della tua vita a piacimento?" le chiese Joyce.
Eryen non rispose.
Joyce l'afferrò per il bavero e la spinse dentro la cella. "Dammi la chiave."
Eryen gliela gettò.
Lei la raccolse. "Anche il mantello."
Eryen si tolse il mantello con riluttanza e lo gettò a terra. "Non riuscirai a fuggire."
Joyce raccolse anche il mantello. Pensò a una frase a effetto da dirle. I protagonisti dei romanzi d'avventura ne avevano sempre una pronta quando riuscivano a ribaltare una situazione che li vedeva in svantaggio.
Non le venne in mente niente, a parte tirare fuori la lingua e mostrarla a Eryen prima di chiuderle la porta in faccia.
Chiuse a chiave e poi sollevò lo spioncino.
Dall'interno arrivò la voce, attutita, di Eryen. "Non arriverai al cortile, stupida."
"Quando ti sarai abituata ti piacerà, vedrai" disse Joyce.
Dall'altra parte giunse il rumore di pugni inferti sul metallo. "Fammi uscire. Guardie. Sta scappando."
Joyce valutò se fosse il caso di restare lì e tormentarla per un altro po', ma il buon senso prevalse e se ne andò.
Infilò il mantello di Eryen e si calò il cappuccio sulla testa, facendo attenzione a nascondere anche la più piccola ciocca di capelli.
Le guardie attendevano ancora nel punto dove le avevano lasciate. Quando la videro arrivare si irrigidirono.
"Controllate la prigioniera ogni tre ore" disse fermandosi giusto un attimo e tenendo gli occhi bassi.
"Sì tamisa" rispose una delle guardie.
Joyce si allontanò a passo spedito lasciandosi dietro la prigione.
Come al solito il suo piano era fallito, stavolta ancor prima di iniziare. Stava peggiorando.
Ora doveva pensare a un altro modo per andarsene da lì. Era certa che Gajza avesse dato l'ordine di fermare chiunque volesse lasciare il castello, ma lei non era una persona qualunque.
Con il mantello del circolo di Nazedir addosso era una strega a tutti gli effetti. Per giunta era la strega più importante del regno.
Doveva sfruttare quell'occasione unica.
Tornò nella sua stanza e prese la sacca che aveva lasciato sul letto.
Si sistemò meglio il mantello e uscì dopo essere diventata Sibyl. Cercando di non dare nell'occhio e senza mai mostrare il viso raggiunse il cortile.
Era deserto, fatta eccezione per un paio di valletti che stavano accudendo dei cavalli. Joyce puntò decisa verso di loro. "Questo lo prendo io" disse afferrando le redini di uno dei due animali.
"Tamisa" disse il valletto. "Li stavamo riportando nella stalla. Prendo la tua cavalcatura se..." Erano così intimoriti dalla sua presenza che non osavano guardarla in viso.
Tanto meglio, pensò. Sarà più facile.
"Non ho tempo" disse Joyce montando in sella. "Non dite a nessuno che mi aveva vista lasciare la fortezza o..."
"Certo tamisa, certo."
"Come ordini" disse l'altro.
Joyce diede di sprone e si avviò a uno degli ingressi.
Nessuno osò fermarla e quelli che erano di guardia si limitarono a irrigidirsi sull'attenti quando sfilò davanti a loro.
Appena fuori dalla fortezza diede di sprone e cavalcò verso la foresta.

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