Capitolo 7: Blood.
Nel capitolo precedente: I tributi e i mentori si salutano la sera prima dell’inizio degli
Hunger Games. Finnick Odair promette ad Annie Cresta, tributo femmina del
distretto 4 di fare di tutto per farla uscire dall’Arena viva.
Ho sognato che
tutto era solo un enorme incubo.
Era stata
sorteggiata una ragazza chiamata Dawn e io rimanevo a casa con la mia famiglia
come ogni anno. Faccio braccialetti e lavo i piatti e mi siedo sul divano con
Arnav quando i giochi finalmente iniziano. Lui nasconde in certi momenti la sua
faccia nel mio braccio come fa sempre e io gli sposto i capelli castano chiari
via dagli occhi e spero più forte di quanto abbia mai fatto che lui non debba
mai essere in quella posizione. Segno me stessa e lui per gli Allenamenti
quella notte dopo che la luna diventa piena e la marea è alta, sapendo nel
fondo del mio cuore che probabilmente è estremamente in ritardo. Ritorno a
caso, sentendo il rumore delle conchiglie rotte e dello spostamento di sabbia
sotto i miei piedi. Non ci faremo mai volontari come gli altri ragazzi che
partecipano all’Allenamento, ma almeno se uno di noi viene sorteggiato, avremo
una minima possibilità.
Mi siedo vicino
al letto di Arnav per tutta la notte, lo ascolto mormorare senza sosta nel
sonno, così grata che nessuno di noi è ancora caduto come preda della Capitale.
So che non è
garantito e quel pensiero è peggio della consapevolezza che sarò nell’arena in
solo poche ore. Spero che Cora abbia il senso di iscriverlo all’Allenamento.
Spero un sacco di cose, cose che non sarò in giro per assicurarmi che
succedano, cose che sono estremamente importanti per me. È quasi un rilievo
sapere che presto non dovrò più preoccuparmi di niente.
Mauve bussa
leggermente sulla porta e il mio cuore si stringe ancora una volta. Considero
una vasta gamma di cose ridicole: nascondermi sotto il letto, saltare fuori
dalla finestra, scappare nelle strade della Capitale e cercare di nascondermi tra
i cittadini per il resto della mia vita. Ma so che non c’è niente che io possa
fare eccetto affrontare questo terrore. Devo camminare verso la mia morte, con
la faccia bella alta e i piedi ben piantati nel terreno. E lo devo fare da
sola.
Una parte di me
mantiene i modi, perché sto dicendo a Mauve di entrare prima di averlo
realizzato. Non mi siedo, però. Sento che più rimango sdraiata in questo letto,
più tempo mi rimane per andare nell’arena. Le lenzuola sono ancora stropicciate
ed odorano di Finnick. Questo me lo fa mancare terribilmente, anche se l’ho
visto solo pochi minuti, secondo la mia percezione. Non posso evitare di
chiedermi a che ora ha lasciato la stanza, dov’è ora e come si sta atteggiando
di fronte a tutto questo.
Mauve distende
una vestaglia nel letto e mi dice di cambiarmi e mettermi quella. Devo andare
su un hovercraft che atterrerà presto nel tetto del Centro di Addestramento. Mi
porterà all’arena e lì finirò di prepararmi con lei. Poi andrò in un tubo che
trasporterà direttamente nell’arena, dove non tornerò.
Mi lascia sola
dopo aver detto questi. Rimango sdraiata per altri istanti, il mio corpo intero
teso e lo stomaco così nauseante che sono sicura di star per vomitare. Voglio
correre e trovare Finnick e pregarlo di dirmi come ha fatto nei suoi Giochi.
Non gli ho chiesto abbastanza. Ho cercato di non farlo, perché sembrava
qualcosa che non voleva rivivere. Ma ora darei qualsiasi cosa per sapere come
ha fatto. Come si è alzato e si è messo una vestaglia ed ha camminato di sua
spontanea volontà verso l’hovercraft. Come è riuscito a trattenersi dal
vomitare e dallo svenire. Suppongo che la risposta sia sul fatto che è molto
più forte di me.
Mentre mi alzo
dal letto e tremando mi tolgo i vestiti, mi sento peggio di quanto io mi sia
mai sentita. La vestaglia è di un materiale che mi fa sentire ancora più
agitata. Sono così debole nelle ginocchia che cado di nuovo nel letto, seduta
con la testa tra le ginocchia e facendo grossi respiri. Non riesco a sentire i
miei polmoni e posso sentire il panico scorrere tra le mie vene come se stesse
dicendo sei mia.
I miei occhi
colgono un flash di bianco nel comodino. Alzo la testa e lo prendo con una mano
tremante. È un sottile pezzo di carta bianca con il mio nome scritto
ordinatamente nella parte in alto che è ripiegata. Lo apro, sapendo già dalla
scrittura chi me l’avesse scritta.
Intendo ancora quello che ho detto quel giorno. Sei più forte di
quello che pensi.
Sii forte, stai al sicuro.
Stringo così
forte il pezzo di carta nella mano che si stropiccia. Lo lascio stretto nella
mia mano e prendo un respiro profondo prima di alzarmi in piedi. Devo fidarmi
di Finnick su questo. Ho deciso molto tempo fa di fidarmi di lui, e non mi tiro
indietro ora. Devo credere che abbia ragione, o altrimenti non penso che
riuscirei a mai a farcela.
Nell’hovercraft
vomito. Riesco ad arrivare al bagno e mi sdraio con la faccia premuta nelle
fragili piastrelle che non possono essere incrostate con niente eccetto vere
gemme. Rimango lì, esausta e tremante, chiedendo chi scelga le piastrelle per
gli hovercraft dei tributi. Mi chiedo se questa persona pensi che ad un tributo
che deve entrare nell’arena interessi davvero che mattonelle ci siano nel bagno
che possono o possono anche non utilizzare. Mi chiedo quanti tributi si sono
sdraiati come sono io ora, deboli e terrorizzati al punto da stare male
fisicamente, sul pavimento di questo bagno di classe. Non mi devo chiedere
quanti di loro ora sono morti.
Mauve mi tiene la
mano quanto il localizzatore è piazzato dentro la mia mano. Odio il modo in cui
si fa sentire sotto la mia pelle e passo il resto del mio viaggio
sull’hovercraft a sperare disperatamente di poterlo strappare via dalla mia
mano. Sembra definitivo in un certo senso, tipo il modo in cui la fine di una
tempesta sembra definitiva quando la pioggia finalmente finisce di cadere e un
paio di leggeri raggi di sole si fanno spazio tra le nuvole. Non posso evitare
di vedere il localizzatore come un marcatore di tombe.
C’è un pranzo
sull’hovercraft per me, ma non voglio averne a che fare. Mi sforzo di mangiare
un po’ di pezzi di pane, ma mi sto sentendo così male che non riesco a mangiare
altro. Rimango seduta e bevo più acqua possibile, invece. Ecco qualcosa che
riesco a fare.
Non ho guardato
fuori dalle finestre dell’hovercraft, ma quando finalmente ci siamo fermati,
realizzo che le finestre sono annerite. Ciò mi fa salire un nuovo livello di
isteria e ci vuole ogni millimetro della cosiddetta forza che Finnick dice che
io abbia per non farmi salire un conato. Sono persa in un mondo che consiste in
rapidi battiti di cuore che fanno eco nella mia testa, palmi sudati e stomaci
dolenti mentre sono guidata nella Stanza da Lancio.
Solo quando Mauve
gentilmente tira fuori dalla mia mano il pezzettino sgualcito di foglio io
riesco a tornare alla terribile realtà di questa situazione. Lei guarda il
pezzetto e penso che anche lei sappia chi l’abbia scritto, perché mi guarda con
così tanta tristezza che mi sento stravolta.
Mi prende le mani.
“Annie, non
piangere. Se inizi ora, sarà così difficile fermarti e non abbiamo tempo per
quello.” Mi ricorda gentilmente. So che ha ragione. Prendo respiri profondi e
annuisco, il mio stomaco è così stretto che mi sento sicura di star per
soffocare.
Mi invita ad
andare in bagno e farmi una doccia. Rimango in piedi sotto il getto e chiudo
gli occhi, cercando di fingere di essere da un’altra parte. Magari sotto la
pioggia nel distretto 4. Comunque, sono così pietrificata che non riesco
neanche a farlo. Niente può non farmi pensare ad altro.
Considero di
cercare di affogarmi mentre sono qui e ho la breve opportunità, ma ho la
sensazione che non avrò successo e che finirò per sentirmi ancora peggio. Sono
già certa che non riuscirò assolutamente a correre quando suona il gong. Le mie
gambe sono tremanti e continuo a reprimere un’ondata di nausea così intensa che
svengo quasi.
Comunque, ho
promesso a Finnick che non mollerò.
Mauve asciuga il
mio corpo perché non riesco a stare in piedi per molto tempo quando esco dalla
doccia. Mi aiuta a vestirmi con l’abbigliamento che tutti i tributi devono
indossare. Mi guardo, cercando di capire che arena sarà basandomi
sull’abbigliamento. Consiste in pantaloni con un materiale simile a quello dei
costumi, una canottiera dello stesso materiale e una giacchetta con la zip di
cotone pesante.
Guardo Mauve
negli occhi per la prima volta oggi.
“Pensi che
nell’arena avremo l’acqua?” chiedo. Mi aggrappo fortemente ai piccoli sprazzi
di speranza che nascono dentro di me, nello stesso modo in cui Cora stringe
stretta ogni notte la trapunta che nostra madre le ha fatto.
“Non lo so,”
dice. La esamina da più vicino. “Il tessuto sembra davvero quello dei costumi.
La giacchetta sembra che assorba molto, anche.”
Premo un palmo
sopra il mio battito del cuore velocizzato e respiro profondamente. Per favore,
fa’ che sia una piscina gigante. Fa’ che ci siano barche e onde e acqua salata.
So che non sarà
così semplice, però. Non lo è mai. Se fosse un mare gigante, ci saranno
creature che mangiano gli uomini ovunque. Ci saranno piscine con onde che
affogano tributi. Qualsiasi cosa che sia un incubo per noi e uno show
interessante per quelli che guardano.
“Annie, guardami
per un momento.” Sussurra Mauve.
La guardo. Mi
mancherà la sua pelle colorata. Mi mancherà lei.
“Prima che tu
vada nell’arena, devi sapere una cosa. E voglio che tu mi prometta ora che mi
crederai, perché devi farlo. Non è il momento per dubitare di quello che le
persone dalla tua parte ti dicono.” Dice.
Annuisco
velocemente. Voglio dirle che non ho energia per fare altro eccetto per andare
in panico, nessuna forza rimasta eccetto per stare in piedi. Di sicuro non ho
l’energia che ci vuole per non fidarmi delle persone più vicine agli amici che
ho qui.
Mi prende le mani
tra le sue. Le sue sono piccole e fresche. Mi stringe le mani con forza.
“Così tante
persone stanno tifando per te. Ci hai colpito in un modo che può essere solo
descritto come aver messo le radici nel nostro cuore. Non sarai mai sola in
quell’arena, non importa quanto tu ti senta di esserlo. Guarderemo tutti ogni
secondo e faremo il massimo per aiutarti, perché vogliamo onestamente che tu
ritorni a casa. Il tuo ragazzo farà tutto quello che può fare per farti uscire
da lì e io credo che quell’uomo possa fare qualsiasi cosa che si mette in testa
e in testa ha il pensiero di farti uscire viva.”
È il massimo che
io abbia mai sentito dire da Mauve in una volta sola, ma la sorpresa di ciò è
eclissata dal piccolo shock che scorre dentro di me quando si riferisce a
Finnick come ‘il mio ragazzo’. Finnick non è mio, ma non la correggo, perché lo
sarebbe potuto essere un giorno se non stessi per morire. Forse avremmo potuto
innamorarci. Forse si sarebbe sistemato con me alla fine e avrebbe lasciato le
sue amanti bellissime. Ci tengo a lui, e lui ci tiene a me, quindi chi potrebbe
dire cosa sarebbe diventato quell’affetto? Magari non sarebbe successo niente,
ma magari sarebbe accaduto qualcosa. Magari qualcosa di bello in modo
emozionante. E quindi lo lascerò descriverlo come mio, perché ho bisogno di
appoggiarmi a qualcosa di mio ora e Finnick è qualcosa di meraviglioso.
Non piango, ma la
prossima cosa che so è che la mia visione è sfocata. Fisso il contorno di Mauve
e le stringo la mano.
“Grazie, Mauve.
Grazie per tutto.” Sussurro. Sbatto via le palpebre e le guardo scivolare giù
dalla mia faccia, arrivando fino alle mie gambe. Non affondano neanche nel
tessuto. Invece, scivolano giù nella gamba. È un tessuto decisamente
impermeabile.
“È stato un
piacere.” Sussurra. “Non penso di avertelo mai detto, ma sei una ragazza
bellissima. Spero di avere la possibilità di vederti crescere in una donna
ancora più bella.”
È tipico della
Capitale ricordarmi qualcosa di così futile come l’aspetto fisico prima di
andare ad affrontare la mia morte, come se significasse qualcosa di grandioso,
ma lo apprezzo lo stesso. La bellezza non mi aiuterà a vincere i Giochi, ma
sapere che Mauve pensi così bene di me potrebbe.
Il mio
ringraziamento viene spazzato via da un suono penetrante continuo. Ho la
sensazione di sapere cosa significhi e il mio sospetto è verificato quando
Mauve mi aiuta ad alzarmi dalla sedia e stringe velocemente la mia spalla.
“Buona fortuna,”
dice.
Non ho tempo di
rispondere perché il cilindro di vetro si abbassa su di me fino ad intrappolarmi
con un’ape sotto un bicchiere.
C’è un silenzio
di tomba dentro il cilindro e non posso fare altro tranne fissare in panico la
faccia di Mauve. Troppo presto, sento il cilindro iniziare ad alzarsi. L’aria è
così sottile qui dentro ed inizio a respirare profondamente. È completamente
buio intorno a me e ci metto tutta me stessa per non raggomitolarmi in una
posizione fetale.
È il minuto più
lungo della mia vita. Sono certa che rimarrò chiusa dentro al cilindro per
sempre. Quando finalmente comincia a raggiungere la superficie, vorrei esserlo.
L’improvviso
cambiamento di luce mi sciocca. Per un momento sono tornata sul palco con
Caesar, a fissare direttamente le luci del palco. Chiudo i miei occhi quando il
cilindro si è alzato completamente. Apro gli occhi lentamente, sbattendo gli
occhi rapidamente fino a quando i miei occhi si abituano al cambiamento della
luce.
Comincia un conto
alla rovescia, iniziando a sessanta secondi. Non riesco a respirare. Non è
abbastanza lungo.
I miei occhi
esaminano i miei dintorni e la prima cosa che sento è il panico. I miei occhi
si allargano e la mia bocca si apre lentamente. Guardo i miei compagni tributi
intorno a me, e molti di loro non hanno ancora realizzato cosa c’è di così
tremendo nell’arena di quest’anno.
Tutti i 24
tributi sono sparpagliati in un pezzo di terreno che sporge da una steppa e da
una collina estremamente alta. Il terreno su cui stiamo ora potrebbe passare
come un terrazzamento, se non fosse così ovvio che è fatto dall’uomo. La
collina è formata normalmente per metà, ma poi improvvisamente si inclina un
poco – solo per far sì che non possiamo rimanere in piedi – e poi prosegue da
lì fino alla fine. Questo terrazzamento si avvolge completamente intorno la
circonferenza della collina. Non riesco a vedere i tributi o cosa ci sia
dall’altra parte della collina da dove sono.
La cornucopia è
proprio in cima alla collina.
C’è come minimo
un miglio di terreno piatto intorno al monticello. Più in là nella distanza ci
sono montagne, ma sono troppo distanti. Posso vedere un po’ di acqua se mi
sporgo sulla destra e sono sicura che ci deve essere un corpo d’acqua nascosto
alla mia visuale dalla collina.
Le mie mani
cominciano a torturare i miei capelli mentre tendo di capire cosa fare.
49, 48, 47, 46 –
Questa visuale
praticamente ti forza a girare la testa verso la Cornucopia. Se non lo fai,
quelli in cima alla collina con le nuove armi a lunga distanza possono
facilmente prenderti come bersaglio e spararti quando corri lontano in bella
vista. No c’è posto per nascondersi per almeno venti minuti di corsa,
specialmente con niente con cui proteggerti. Neanche correre verso la
Cornucopia servirà, perché è sempre un bagno di sangue.
L’unica opzione è
andare a nascondersi prima che i tributi arrivino alla Cornucopia e prendere
un’arma.
Come fai a
nasconderti quando non c’è un nascondiglio?
35, 34, 33, 32 –
Il piano di
Finnick di nascondersi vicino alla Cornucopia non funzionerà. Non c’è
assolutamente posto per nascondersi. La Cornucopia è l’area più lampante
dell’intera arena.
20, 19, 18, 17 –
Sto respirando
affannosamente e sono orripilata da questo cambio di eventi già disastroso. La
fortuna non è nel mio favore. Ma non lo è mai stata.
Lacrime di
frustrazione mi oscurano la visuale non appena colgo un bagliore dell’acqua a
destra e all’improvviso so istintivamente cosa devo fare. Se riesco ad arrivare
al corpo d’acqua prima che gli altri tributi arrivino alla Cornucopia, potrei
avere una possibilità. Posso scomparire sotto l’acqua e stare fuori dalla
vista. Riesco a nuotare abbastanza lontano senza aver bisogno di salire per
prendere un po’ d’aria, ma anche quando devo farlo, riesco a farlo con
nonchalance. Forse il lago porta alle montagne in distanza? Esse danno il
nascondiglio migliore. Devo rinunciare a qualsiasi possibilità di rubacchiare
un’arma.
Ci sono un sacco
di difetti in questo piano, ma il conto alla rovescia è arrivato al cinque, e
non ho tempo di considerarli attentamente. I miei muscoli sono tesi dal nervoso
e immediatamente posiziono il mio piede in modo da poter scattare in avanti.
Inchiodo i miei occhi nel pezzo di acqua che vedo alla mia destra.
Risuona il gong e
mi prende in contropiede così tanto che mi congela. Rimango lì ferma per cinque
secondi agonizzanti, incapace di muovermi, respiro attraverso piccoli sussulti,
prima di spingermi in avanti. I tributi intorno a me si stanno arrampicando
correndo sulla collina, probabilmente avendo già realizzato quello che ho
pensato io. Spingo le mie gambe in avanti e mi spingo a correre più forte.
Salto giù dalla sporgenza, atterrando immediatamente sul terreno. Sono in piedi
prima di avere persino tempo di registrare il dolore. Quando sento il primo
urlo, cambio le mie tattiche e corro sotto la sporgenza, per fare in modo di
non poter essere colpita da sopra.
Quando vedo il
corpo d’acqua nella sua completezza, sono sconvolta. Va verso le montagne,
giusto. È enorme.
Chiudo gli occhi
quando lascio il nascondiglio della sporgenza. Sono certa che in ogni momento
una freccia potrebbe penetrare nella mia carne. Posso sentire bruciare i
muscoli nelle mie gambe e un lato di me sembra essere stato appena pugnalato.
Mi spingo ancora oltre, certa di non aver mai corso così velocemente nella mia
vita. Mi sembra di scivolare contro l’aria.
Ogni urla di un
mio compagno tributo mi spinge a correre sempre più veloce fino a quando la
riva del lago è chiaramente visibile. C’è un dislivello di un centimetro e
mezzo dalla collina al lago, ma non ho tempo di scendere lentamente. Salto giù
da lì, atterrando sui miei piedi, mentre le mie arcate si espandono
dolorosamente. Mi rannicchio sotto la sporgenza e mi raggomitolo per pochi
istanti. Non penso di poter essere vista dalla cima della collina in questa
posizione e so che non riuscirei a nuotare a lungo fino a quando non riacquisto
il respiro. Non voglio neanche fare un grande tuffo quando entro nell’acqua.
Non voglio che nessuno sappia che sono qui.
Raccolgo le mie
ginocchia e le avvicino al mio petto. Mi sono sbucciata la mia tibia sinistra
in modo abbastanza profondo quando sono saltata dalla prima sporgenza. Ci sono
tre tagli profondi che fanno fuoriuscire sangue di un rosso accesso. Premo un
manico della giacca di cotone contro di essi e faccio quanta pressione riesco a
sopportare, digrignando i denti. Non so cosa ci sia in quell’acqua. Non voglio
che una creatura assettata di sangue senta il mio.
È inutile,
comunque. Questo lo so. Non c’è alcuno modo con cui io possa fermare la mia
fuoriuscita di sangue prima di entrare nell’acqua. Ora sono sicura sotto la
sporgenza, ma quanto durerà? Quanto tempo ci vorrà prima che un altro tributo
arrivi qui?
Il suono del
primo cannone mi fa tirare un piccolo urletto. Mi schiaffo una mano sopra la
bocca e respiro profondamente attraverso il mio naso. Non posso evitare di
ricordare le urla che ho sentito. Quelle persone erano in agonia fino ad ora.
Molti di loro lo sono ancora.
Come se stessero
sentendo i miei pensieri, suonano altri due cannoni. Sono tre in totale. Non
posso pensare di chi siano. Me lo dico, ma sto già immaginando le facce di
tutti i tributi alle interviste, con le guance rosse e pieni di vita. Entra
nella mia mente un’immagine di loro con la pelle pallida e sangue secco sul viso
e sussulto.
Tolgo la manica
dal mio taglio e gli do un’occhiata. Sta ancora sanguinando, ma non tanto come
prima. Cerco di aspettare ancora un po’, ma sono così ansiosa che sento di
poter esplodere. Non riesco a stare qui seduta.
Gattono fino alla
riva dell’acqua. Mi aspetto che non sia profondo com’è il mare nel bagnasciuga,
ma quando guardo in basso, sembra così profondo da non avere un fondale. So
immediatamente che qualcuno che non sa nuotare non può andare in questo lago.
Vuol dire che nessuno dovrebbe entrarci,
dato che la maggior parte dei tributi non è capace?
Se è questo il
caso, mi sento più positiva nell’usarlo. Se fosse piena di mostri che mangiano
gli umani, vorrebbero attirare più persone possibili.
Mi siedo sulla
riva e mi faccio scendere nell’acqua lentamente, consapevole del rumore che sto
facendo. Il dolore breve e lancinante che provo mi fa capire che è acqua
salata, non acqua fresca. Ci devono essere fiumi o altri laghi nelle montagne,
allora. Qualche fonte d’acqua fresca. Sono sicura che gli altri tributi
cercheranno di stare vicino a quelle, dato che non avranno nessun beneficio da
questo lago. Da quello che riesco a vedere finisce proprio prima delle
montagne, quindi non si connette con altri corpi d’acqua. Una struttura
isolata.
Cammino
lentamente dentro l’acqua per circa un minuto, facendo in modo che il mio corpo
si abitui all’acqua. È dolorosamente fredda. I miei denti stanno battendo dopo
solo trenta secondi di immersione. Il freddo mi beneficia, però, perché
guarisce la mia gamba ora pulsante.
Mi sento meglio
nell’acqua. Sento di poter respirare meglio, vedere meglio. So cosa devo fare
ora. Devo arrivare alle montagne, dove posso nascondermi. Non so cosa farò con
le armi. Magari Finnick mi può mandare un coltello? Altrimenti, magari
incontrerò un tributo morto e –
Mi fermo lì, e la
nausea mi ritorna. Mi guardo rubare un’arma dalle mani di un tributo morto e mi
sento disgustosa. Ma so che se dovesse accadere, succederà così.
I miei pensieri
sono interrotti da un suono che non riesco a localizzare. All’inizio penso che
sia un uccello che mi era piombato vicino all’orecchio.
La freccia che
atterra nell’acqua vicino a me mi suggerisce che la mia supposizione era
scorretta.
Non mi giro per
vedere chi è o chi sono. Inalo il più profondamente possibile e vado giù con la
testa sotto l’acqua. La temperatura dell’acqua mi fa male alla testa. Mantengo
gli occhi chiusi stretti e mi spingo sempre più in giù nell’acqua. È abbastanza
torbida da essere sicura che non potranno vedermi. Nuoto fino alla metà del
lago, tenendomi stretta all’idea che se riuscissi ad allontanarmi abbastanza
dalla loro posizione, loro molleranno.
È come se niente
fosse vero qui giù. Non riesco a sentire niente, non riesco a vedere niente,
non riesco ad odorare niente. L’acqua è completamente intorno a me e mi sento
vicina alla sicurezza. Dopo circa quattro minuti di nuoto vigoroso, posso
sentire i miei polmoni bruciare e il mio petto stringersi. So di aver bisogno
d’acqua, ma non ho idea di quanto io sia lontana dall’aggressore.
Dopo aver
iniziato a sentirmi più debole e tenere la bocca chiusa comincia ad essere
quasi impossibile, mi dirigo verso la superficie dell’acqua. C’è un periodo
esteso di panico in cui penso di non riuscire a trovarlo o a farcela in tempo.
Mi sforzo ad
aprire gli occhi quando sono sicura di essere vicino all’aria. L’acqua è
ugualmente torbida come sotto. Riesco a vedere un paio di pesci non lontani da
me. La superficie è solo poco lontana.
Mi giro così
quando esco in superficie posso far uscire solo l’estremità della mia faccia.
Il mio naso esce e sporgo fuori anche la bocca. Muovo le mie braccia e gambe in
piccoli cerchi restando a galla mentre cerco di inalare il più silenziosamente
possibile.
Rimango così per
un paio di istanti molto tesi prima di decidere che il mio aggressore deve aver
pensato che io non valga il tempo di seguirmi. Vado sott’acqua e riemergo,
questa volta solo per togliere i miei occhi dall’acqua.
Bruciano al
contatto con l’aria, ma sono abituata ad esso dopo aver vissuto nel Distretto 4
per tutta la mia vita. Sono uscita più velocemente di quanto mi aspettavo. La
sporgenza da cui sono saltata prima è solo una linea nella distanza. La
Cornucopia è così lontana che tutto quello che riesco a scorgere di essa è il
suo oro.
Non c’è modo di
sapere se sono suonati altri cannoni mentre ero sott’acqua.
Non riesco a
vedere nessuno in lontananza. Mi giro così la Cornucopia è alle mie spalle e
direttamente di fronte a me ci sono le montagne. Sono ancora molto lontane. Ci
vorrà probabilmente tutto il giorno a nuoto. Tutto quello che c’è alla mia
destra è ancora acqua e poi un ciglio distante che sembra quasi una prateria.
Alla mia sinistra c’è solo un terreno aperto, quello che ho visto prima quando
stavo esaminando i miei dintorni.
Nuoto in avanti,
prendendo un ritmo molto pacato. Se nuoterò così, non mi sforzo di più di
quanto io abbia già fatto.
Nuoto per circa
trenta minuti, facendo progressi moderati, fino a quando riesco a percepire che
qualcosa non è a posto. Le mie braccia cominciano a pesare tipo cinquanta chili
per ognuna e muovere le gambe anche due o tre volte mi fa ansimare dallo
sforzo.
Realizzo che
probabilmente sono estremamente disidratata. Quando è stata l’ultima volta in
cui ho bevuto? Non me lo ricordo neanche chiaramente. Penso questa mattina
sull’hovercraft.
Do la colpa alla
disidratazione, ma ho la sensazione che ci sia qualcos’altro di sbagliato. Sto
nuotando da può, ma la metà del tempo lo puoi chiamare nuotare dato che mi sto
praticamente lasciando trasportare. Il corpo è abituato a nuotare per ore ed
ore alla volta.
Per la prima
volta nella mia vita, sono onestamente impaurita di affogare. Devo girarmi e
galleggio sulla schiena perché persino tenermi a galla mi stanca troppo.
Respiro profondamente e mi lascio galleggiare, nuotando a cagnolino ogni tanto
per mantenermi nella direzione giusta.
Solo quando la
pelle al di sopra dell’acqua inizia ad asciugarsi, io realizzo quale sia il
problema.
Sento qualcosa
che mi solletica il naso e le orecchie. Pensavo che l’acqua mi stesse ancora
scivolando addosso, ma l’acqua nel resto della mia faccia si è asciugata un
paio di minuti fa. Alzo una mano e mi tocco il naso e quando la porto al
livello dell’occhio, mi accorgo di star fissando il mio stesso sangue.
Immediatamente
affondo di nuovo dentro l’acqua, riprendendo a camminare. Alzo di nuovo la mano
e mi tocco le orecchie. La mia mano e coperta in altro sangue ancora.
Non ho idea di
che cosa stia succedendo. Non ho idea del perché il mio naso e le mie orecchie
dovrebbero sanguinare. Mi esce il sangue dal naso, ovvio. Potrebbe derivare da
un cambiamento della temperatura. Ma non c’è nessun motivo per cui le mie
orecchie dovrebbero sanguinare.
Mi lascio
galleggiare sulla schiena e afferro il retro del mio polpaccio sinistro,
portandolo a livello visivo, mentre il mio fondoschiena affonda leggermente
nell’acqua. Sono in grado di mantenermi a galla abbastanza a lungo da vedere
che sta perdendo sangue così velocemente che sembra pulsare.
Non sono debole
perché sono esausta o persino disidratata. Sono debole perché qualcosa –
probabilmente quest’acqua – mi sta facendo perdere sangue.
Non ho idea di
quanto sangue abbia già perso. Tutto quello che so è che a malapena riesco ad
andare avanti, ma devo uscire dall’acqua.
Considero
lasciare perdere, poi. Sono al caldo nell’acqua, ora, e mi sento libera proprio
come l’acqua mi ha sempre fatta sentire. Non dovrebbe essere un modo brutto per
morire. Preferibilmente. Ad un certo punto perderei la conoscienza a causa
della perdita di sangue e sarà come addormentarsi. Non sentirò dolore. La mia
famiglia non mi vedrà morire in un modo orrendo. Morirei da sola, lontana dal
pericolo. Solo negli Hunger Games ha senso.
Non posso farlo,
però. Le promesse che ho fatto a Cora, Arnav e Finnick sono come l’indicatore
di posizionamento che mi è stato piantato dentro la pelle. Non posso mandarle
via. Non posso dimenticarmele. Non posso galleggiare semplicemente e lasciarmi
dissanguare mentre loro guardano.
Ritorno a
galleggiare sul dorso e muovo le mani il più velocemente possibile, spingendomi
verso la riva. Le montagne sembrano più vicine. Devo fermarmi dopo quello che
mi sembrano quindici minuti. Sono stordita e non riesco a capire da che parte
sia la riva. La mia testa sembra essere stata premuta verso il basso da oggetti
pesanti. Le mie orecchi fischiano e niente è a fuoco. Penso che questo sia
perdere la conoscenza.
Qualcosa atterra
sulla mia spalla. Galleggio lì per alcuni istanti, troppo stanca o forse troppo
disorientata da prenderlo. Mi dimentico che sia lì per alcuni minuti. Sono
impaurita quando me lo ricordo, impaurita che sto davvero per morire qui,
galleggiando di schiena, magari solo dieci minuti dalla riva.
Quando apro gli
occhi, l’intera arena sta girando. Ci vogliono un paio di tentativi prima che
io prenda il paracadute. C’è un piccolo tubo di metallo attaccato e c’è un
quadrato abbastanza largo di carta attaccato al tubo. È umido dal fatto che è
stato attaccato a me. Lo libero prima, perché a meno che non ci sia una barca
attaccato al tubo, non mi può aiutare.
Lo apro, mentre
un ricordo mi bussa nella mia mente. Non ho già fatto la stessa cosa
recentemente? L’ho già fatto?
Tengo la carta di
fronte a me e batto le palpebre un paio di volte. Ci metto così tanto a capire
le parole sul foglio. Dimentico cosa sto facendo dopo quasi ogni frase e inizio
ad abbioccarmi. Devo scuotere la testa per tornare a leggere. Ma quando
finalmente finisco, capisco.
Devi uscire dall’acqua. Qualcosa dentro fa da anticoagulante. Ti
farà sanguinare a morte. La medicina per aiutarti è nel tubo, ma non funzionerà
fino a quando non uscirai dall’acqua. Ci sei così vicina, Ann. Se hai bisogno
che io ti mandi una zattera, dì solo “sì” ad alta voce e te lo manderò. Ma se
hai modo di andare a riva da sola, sarebbe meglio. Non vuoi sapere quanto sia
estenuante cercare di inviare una zattera. Ma giuro sulla mia vita che se ne
hai bisogno, troverò un modo di prenderla senza far male. Per favore non
mollare. Fidati di me come io mi fido di te.
Non so se sia la
scrittura di Finnick, o forse il fatto che mi abbia chiamato ‘Ann’ invece che
‘Annie’ come se mi conoscesse da tutta la vita, o forse solo la consapevolezza
che io potrei essere curata se solo riuscissi ad arrivare a terra, ma sto di
nuovo muovendo le mie mani. Metto il quadratino di carta nel paracadute e porto
il paracadute alla bocca, mordendolo così so che non lo perderò nell’acqua.
Inizio a nuotare a cagnolino di nuovo. È agonizzante. Devo chiudere gli occhi e
spostare tutta la mia energia rimasta nello spingermi in avanti. Anche respirare
ha un costo per me che mi fa tremare così tanto da sentirlo nella testa.
Quando la mia
schiena tocca la riva del lago, sto piangendo. C’è un filo nero nella mia testa
che cerca di buttarmi sotto e sta diventando doloroso combatterlo. Sono
terrorizzata dal fatto che non ho più controllo sul mio stesso corpo. Sto
tossendo fuori il sangue che continua a riempirmi la bocca non importa quanto
io lo sputi fuori. Pianto le unghie nel fango della banchina e mi spingo in
avanti. Sento pezzi appuntiti di conchiglie rotte e pietre che mi tagliano le
mani, ma non posso preoccuparmi di niente ora. Tutto quello a cui riesco a
pensare è a quanto sono vicina alla riva e come ho promesso a Cora e alla
sfumatura degli occhi di Arnav quando sta soffiando le candeline della sua
torta di compleanno.
Quando le mie
dita affondano nella sabbia asciutta, do una spinta finale e cado nella sabbia.
Apro la bocca e afferro il tubo. Ci metto più di quanto mi aspettassi per
aprirlo. Uno sciroppo liquido verde accesso lo riempie fino all’ultima goccia.
Chiudo la bocca intorno al tubo e ingoio la medicina che sa di menta.
Se un tributo
dovesse apparire ora, non avrei la possibilità neanche di alzare una mano per
coprirmi la faccia. Mi stendo nella sabbia sporca, perdendo e acquistando conoscenza,
fino a quando lentamente le cose cominciano a sembrare più chiare.
Per prima cosa
prendo coscienza di quanto abbia freddo ora. Poi mi rendo conto di aver un
lieve dolore alla gamba. Dopo, riconosco la consistenza granulosa della
‘sabbia’ della specie di spiaggia in cui sono.
Quando finalmente
sono in grado di sedermi senza che il mondo giri come una girandola, sono in
grado di percepire l’orrore del lago da cui sono appena uscita. Senza dubbio è
lì per prendere come preda quelli che hanno un minimo di conoscenza generale
sul curare le ferite: l’acqua salata le fa guarire prima. Un tributo ferito
zoppica verso un lato del lago, con l’intento di sommergere la ferita e pulirla
per evitare l’infezione e poi si trovano dissanguati di ogni goccia di sangue
che posseggono. È una trappola che mira a prendere qualcuno nel loro punto più
basso ed è vile, e sono sorpresa di riuscire ancora a sentire lo shock alle
cose che gli Strateghi possono fare dopo tutto questo tempo.
Mi immagino le
facce degli Strateghi che ho visto quando facevo il mio punteggio e mi chiedo
quale sia il responsabile di questa invenzione. Mi chiedo se si stanno
ricordando la mia faccia dal punteggio ora, come io mi immagino le loro. Mi
odiano come io odio loro?
Il cielo si sta
scurendo velocemente. Non posso stare qui, ma non desidero viaggiare tra le
montagne al buio. Mi alzo in piedi, ancora un po’ barcollante e infilo il
bigliettino che Finnick mi ha inviato nella tasca della felpa. La felpa è quasi
asciutta ora, dopo essere stata sdraiata sotto il solo per quello che mi sono
sembrate ore. Non mi interessa se Panem mi vede mettere via il biglietto come
se fosse un tesoro. Non mi interessa se pensano che sia un biglietto d’amore.
Non mi interessa niente quello che pensano. So solo che devo averlo con me.
I miei occhi si
aggiustano alla luce smorzata e cammino in avanti. Le montagne sono enormi. Non
mi sono mai sentita così piccola come mi sento ora. Decido che arrampicarmi su
una di essa non è qualcosa che devo fare in questo momento, o nella mia
condizione in questo momento, quindi fisso le loro basi. Noto una piccola
cunetta tra due montagne poco lontano alla mia destra e comincio a camminare
verso di essa. La camminata è estenuante. Quando finalmente arrivo, sono
sorpresa di vedere che è un posto per nascondersi migliore di quanto avessi
immaginato. La piccola apertura tra le due montagne si apre in una caverna di
qualche tipo dopo pochi metri. Una caverna con muri, soffitti e pavimenti di
pietra. L’apertura è abbastanza larga per far sì che io ci possa entrare, il
che è confortante. Nessuno più grande di me riuscirebbe ad entrare qui dentro.
Gattono in avanti
lentamente e arrivo nello spazio aperto. L’aria è molto umida qui dentro ed è
quasi buio completo, ma non mi interessa. Si apre un cerchio gigante. Comincio
a camminare seguendo la curva sinistra della caverna – dove non posso essere
vista da qualcuno che curiosa da fuori dal buco – quando sbatto la testa contro
qualcosa.
Sussulto e alzo
una mano, quasi convinta che sia un altro tributo. Nella poca luce realizzo che
sia una stalattite che pende dal soffitto. Mi abbasso e continuo a camminare,
ora cauta per gli ostacoli che riesco a malapena a vedere.
Mi siedo nel
pavimento tra due stalagmiti che si innalzano dal terreno. Appoggio la testa
contro quella alla mia destra ed è quasi confortevole. Sembra sicuro, almeno,
anche se non c’è modo di sapere quali creature stanno aspettando nell’ombra
dietro di me.
Sconvolta dagli
eventi del giorno, mi lascio di nuovo andare e piango. Non mi interessa
abbastanza da preoccuparmi del ridicolo e patetico casino che devo sembrare
alle persone che mi stanno guardando ora. Fisso il braccialetto che Cora mi ha
fatto – il braccialetto che tengo come il mio simbolo – e infilo la mia altra
mano dentro la tasca della felpa, stringendo forte il biglietto che Finnick mi
ha mandato. Sto ricordando lo strano filo nero della perdita dei sensi che mi
ha quasi tirato giù e sono sicura di non voler più dormire.
Tengo il
biglietto stretto in mano, sapendo che Finnick capirà che è il mio modo per
dirgli grazie. Sa già di essere l’unica ragione per cui io sono viva ora.
Mi appisolo in un
sogno più profondo di quanto avessi pianificato o voluto. Un peso sulle mie
gambe mi sveglia. I primi veri raggi di luce mattiniera stanno penetrando nel
buio della caverna. Sono così assetata e affamata da essere spaventata.
Guardo giù le mie
ginocchia e sono spiazzata dal vedere un altro paracadute lì innocuo. Sono grata
fino al midollo, perché dopo il giorno che ho passato ieri, sommato ad un quasi
nullo consumo di cibo e acqua, non sono sicura di quanto lontana sarei arrivata
per cercare piante commestibili e un fiume da cui bere. Non ho neanche un’arma.
Apro il
contenitore rotondo di metallo e nella mia faccia appare il primo vero sorriso
che ho avuto in quelli che sembrano anni senza che io me ne accorga. Finnick mi
ha mandato dei panini caldi e un thermos di limonata di fragola, l’unica
sostanza che sono riuscita a consumare la notte prima dei Giochi. So che l’ha
fatto per farmi alzare lo spirito più di tutto, ma mentre spezzo un panino, mi
accorgo che sto troppo preoccupata per lui. Su cosa stia facendo per prendere
qualsiasi soldo che usa per darmi regali come limonata di fragola, quando la
maggior parte dei mentori non riescono neanche a mandare acqua ai loro tributi.
Hai infilato un
altro biglietto dentro, questo dice semplicemente di stare ferma lì. Direi che
la mia assenza di armi non gli è passato di mente neanche a lui.
Mangio quanto
posso e poi metto via il resto per dopo. È ridicolo che io sia preoccupata per
Finnick, quando lui è là ed io sono qui ma là
non è esattamente un bel posto.
“Anche tu rimani
al sicuro.” Sussurro, pensando al biglietto che ha lasciato nel mio comodino. So
che saprà cosa intendo. Se abbia sentito o meno, però, è tutta un’altra
questione.
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Nel prossimo capitolo: Annie pensa di aver passato un giorno pesante, ma
non è niente in confronto a cosa dovrà affrontare nello scorso capitolo, dove
incontrerà inevitabilmente due altri tributi che metteranno alla prova la
fiducia che lei ha nelle persone – e in Finnick. (forse).