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Autore: heliodor    06/01/2018    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il tradimento

Joyce non si fermò finché il cavallo non iniziò a schiumare e sbandare. Il povero animale stava per crollare al suolo.
Si affrettò a smontare ai margini della foresta, in mezzo al sentiero che aveva seguito per la prima volta quando era giunta a Nazedir con Jhazar e la sua scorta.
Lasciò andare il cavallo che si incamminò nella direzione opposta, diretto alla fortezza. Doveva essere stato addestrato a tornare indietro nel caso si fosse perso.
Joyce se ne dimenticò addentrandosi tra gli alberi. Aveva seguito le tracce dei cavalieri fino a quel punto, ma da lì in poi aveva deciso di restare al coperto.
Non era stato difficile seguire più di cento cavalieri che si muovevano compatti sul terreno morbido. Le tracce erano ben visibili alla luce del suo globo luminoso.
In cielo non c'era la luna e la stelle erano coperte da un velo di nuvole e quella era l'unica luce che le rischiarava la strada e le impediva di perdersi nel buio.
Doveva accettare il rischio che la scorgessero. Se si fosse accorta di essere seguita o individuata, lo avrebbe annullato e si sarebbe nascosta, sperando di cavarsela in qualche modo.
Avanzò nella densa boscaglia, i piedi che affondavano nel terreno morbido che la rallentava.
La colonna dei soldati non doveva essere lontana da lì, forse appena mezzo miglio sul sentiero. Era impossibile che stessero procedendo nel folto della foresta. Prima o poi doveva arrivare in vista della retroguardia.
Che cosa avrebbe fatto allora?
Il suo piano era di seguirli e cercare Rancey. Doveva fare in modo che non venisse solo catturato o ferito. Doveva morire.
Quel pensiero la inquietava e al tempo stesso le faceva sentire un brivido lungo la schiena. Stava davvero pensando di uccidere una persona a sangue freddo?
Mesi prima non avrebbe mai immaginato di poterlo pensare ma le cose erano cambiate. Avrebbe fatto i conti con la sua coscienza dopo, con Oren salvo e lei al sicuro.
Prima però doveva trovare Rancey.
Therenduil, l'alfar che si era offerto di guidarli, li stava conducendo verso il luogo in cui si nascondeva.
Ci sarebbe stata una battaglia, su questo non c'era dubbio, il cui esito era incerto. Quanti soldati aveva Rancey? E quanti stregoni?
Joyce non lo sapeva, ma dal contingente che era partito dalla fortezza, intuiva che doveva essere piuttosto ampio.
Dunque si sarebbe trovata nel bel mezzo di una battaglia, senza alcuna vera esperienza sul campo, a parte quella che aveva maturato suo malgrado in quelle settimane.
Udì delle voci provenire da un punto davanti a sé. D'istinto recitò la formula per dissolvere il globo luminoso e si acquattò nell'ombra, cercando di capire da dove venissero.
"...studieremo il da farsi" stava dicendo una voce femminile.
"Tu pensi davvero che..."
"Io non penso. È il momento di agire."
"Ma se noi..."
Le voci si allontanarono e divennero incomprensibili.
Joyce uscì dal suo nascondiglio con cautela, guardandosi attorno per essere sicura che non ci fosse qualcun altro che si era attardato tra gli alberi.
Forse era incappata in una pattuglia della retroguardia. Era stata fortunata a non venire individuata.
Quello significava che era vicina al contingente di Nazedir e che da quel momento doveva procedere con maggior cautela e senza usare il globo luminoso.
Si alzò in piedi e fece un passo nella direzione che stava seguendo prima di nascondersi e una mano le afferrò la spalla.
Emise un grido soffocato mentre cercava di sfuggire a quella presa ferrea. La spalla avvampò d dolore intenso.
Evocò un dardo magico ma una voce dal buio disse: "Se fossi in te non lo farei."
Sentì il freddo di una lama premere contro la sua gola, non troppo da ferirla ma abbastanza da lasciarle il segno.
Quella voce...
Dove l'aveva già udita?
Rimase immobile nel buio, il respiro del suo assalitore sul collo.
"Ti incontro sempre nei luoghi più impensabili" sussurrò alle sue spalle.
Joyce cercò di divincolarsi, ma ottenne solo altro dolore alla spalla e la lama che premeva più forte contro la sua gola.
Con la coda dell'occhio riuscì a scorgere il volto del suo aggressore.
Zefyr, esclamò dentro di sé.
"Che ci fai qui? E perché indossi il mantello dell'ordine di Nazedir?" le chiese il ragazzo.
"Io..."
"Non mentire o lo capirò" l'ammonì premendo la lama sulla sua gola.
Joyce deglutì a vuoto. "Vi stavo seguendo."
"Perché?"
"Voglio uccidere Rancey."
Zefyr grugnì qualcosa. "Non stai mentendo?"
"È la verità."
"O sei molto brava o..."
"Lo voglio morto" ripeté Joyce disperata.
"Come mai? Che ti ha fatto?"
"Ha maledetto una persona a cui tengo molto."
Zefyr restò in silenzio. "Sembra che tu stia dicendo ancora la verità."
Come faceva a saperlo? Che poteri aveva Zefyr? "C'è anche un altro motivo."
"Dimmelo" le intimò Zefyr.
"Credo che Jhazar sia in pericolo. E anche tuo padre."
"Lo so anche io che è pericoloso. Sta per scoppiare una battaglia."
"Non è per quello. Non solo."
"Spiegati."
"Credo che Gajza abbia in mente qualcosa."
"Che ne sai di lei?"
"So quanto basta" e quello che Eryen si è lasciata sfuggire.
La pressione della lama si allentò. "Se stai mentendo ti ucciderò, sappilo."
Lui lasciò la presa sulla spalla e le afferrò il braccio. "Evoca un dardo ti taglio la mano" disse minaccioso.
"Non ti colpirò alla schiena" disse Joyce guardandolo negli occhi. "Al tribunale ti ho salvato, l'altro giorno."
"E io ho salvato te. Siamo pari."
"Gajza ha davvero in mente qualcosa di brutto."
"Cosa?"
"Non lo so, ma voglio scoprirlo. Tu sai dov'è?"
"È nelle retrovie, insieme a mio padre e Jhazar. Lo so perché ero con loro prima di andare in perlustrazione. Sapevo che qualcuno avrebbe cercato di seguirci."
"Allora raggiungiamoli" disse Joyce.
"Da quella parte." Zefyr indicò un punto tra gli alberi. "E non fare scherzi o..." Agitò la spada nell'aria.
Joyce si mise in cammino.
Marciarono per una mezz'ora al buio e in silenzio, accompagnati solo dal rumore dei loro passi e delle foglie agitate dal vento.
Faceva caldo anche se era quasi notte fonda e l'umidità impregnava l'aria. Joyce sentiva il pizzicore degli insetti sulla pelle ma non se ne lamentava. La sua mente era impegnata in altri pensieri.
Non aveva idea di cosa avesse in mente Gajza. Per quanto ne sapeva, il comportamento di Eryen poteva essere dettato solo dalla sua follia. Forse si era inventata gli ordini della sua maatsiba solo per convincere le guardie ad assecondarla.
Forse.
Ma se invece fosse stato tutto vero?
Gajza era un membro potente del circolo di Nazedir, mentre Jhazar era uno straniero e Gastaf non era nemmeno uno stregone.
Il suo vantaggio era netto.
Per quanto ne sapesse, Joyce era l'unica in grado di contrastarla se avesse tentato un colpo di mano.
Ma cosa aveva intenzione di fare?
"Ferma" disse Zefyr.
Joyce si arrestò all'istante.
"Che cosa?" domandò.
"Zitta" fece Zefyr. "C'è qualcosa di strano."
Joyce gli rivolse un'occhiata dubbiosa.
"Avremmo già dovuto incontrare altre pattuglie qui in giro e invece non c'è nessuno" spiegò il ragazzo. "È strano."
Da un cespuglio arrivò un rantolo sommesso che la fece trasalire.
Zefyr si voltò di scatto, un attimo prima che un dardo magico esplodesse sopra la sua testa. Joyce si sentì spingere a terra e poi nell'erba umida che le si appiccicò addosso, bagnandola.
Altri dardi esplosero sopra le loro teste, passando a pochi centimetri di altezza. Udì il suono di passi che si allontanavano e il frusciare delle foglie, poi il silenzio.
Joyce non riusciva nemmeno a respirare a fondo, tanta era la paura di alzare la testa. Zefyr invece aveva sollevato il collo per guardarsi attorno.
Il ragazzo si alzò e la rimise in piedi.
"Chi erano?" domandò Joyce.
"Uomini di Rancey. Devono averci teso un'imboscata."
Joyce si aspettava che l'attacco partisse da un momento all'altro, ma non accadde. Invece la foresta tornò nello stato di quiete di pochi minuti prima.
Spinta dalla curiosità si avvicinò al cespuglio dal quale era venuto il rantolo di poco prima.
Zefyr non fece in tempo a fermarla. "Aspetta. Potrebbe essere una trappola."
Oltre il cespuglio, distesi sull'erba, c'erano due corpi.
Joyce annaspò nel buio alla ricerca di un riparo, ma l'attacco non partì. Zefyr giunse di corsa e gettò un'occhiata ai due corpi distesi a terra.
"Sono morti" disse il ragazzo avvicinandosi. Ne rovesciò uno a pancia all'aria. Aveva due grossi squarci all'altezza del petto, in due dei punti dove la corazza era meno spessa o aveva delle giunture.
"Dardi magici" disse Zefyr esaminando l'altro corpo. "Chissà chi erano."
Joyce li conosceva. Erano Theeron e Gart, i soldati di scorta a Jhazar. Erano spariti poco dopo il loro arrivo a Nazedir e da allora non li aveva più visti.
Zefyr notò la sua espressione. "Li hai mai visti prima?"
Joyce annuì. "Facevano parte della scorta di Jhazar."
"E che cosa ci facevano qui?"
Joyce si strinse nelle spalle. Gart era giovane e simpatico, Theeron invece era più anziano e burbero, ma non erano cattive persone. Perché erano state uccisi in modo così orribile?
Il ragazzo annuì. "Andiamo da mio padre. Lui saprà cosa fare."
Si rimisero in marcia con più decisione e affrettarono il passo. Ogni tanto Zefyr si fermava per ascoltare i rumori della foresta, gli occhi chiusi e la testa che ruotava da un lato all'altro.
"Tu hai dei poteri?" gli chiese Joyce.
Zefyr le rivolse un'occhiata in tralice. "Perché me lo chiedi?"
"Riesci a vedere nel buio e hai visto me quando ero invisibile."
"Non vedo meglio di chiunque altro e anche il mio udito non è migliore" disse il ragazzo.
"E allora come riesci a..."
"Addestramento. Esperienza."
"Solo questo?"
"Solo? È questo ciò che mi rende una lama d'argento."
"Non volevo offenderti."
"Lo so, sei una strega e per te è inconcepibile il pensiero che qualcuno senza poteri possa tenerti testa."
Meno di quanto tu pensi, si disse.
"Noi lame ci alleniamo tutta la vita per questo. Addestriamo i sensi a percepire cose che gli altri non vedono e sentono e alleniamo i nostri muscoli per resistere a sforzi che nessun altro potrebbe compiere." Si batté una mano sulla corazza. "E il resto lo fa l'acciaio."
"Così sei riuscito a sentirmi quando ero invisibile?"
"Il rumore dei tuoi passi. Il tuo respiro. Persino il battito del tuo cuore o il profumo che usi" spiegò Zefyr. "Sono tutti particolari che tradivano la tua presenza."
"Vorrei imparare anche io."
"Ci vogliono anni di addestramento" disse il ragazzo.
Invece di smorzare il suo desiderio, lo acuì. Joyce desiderava davvero imparare e lo avrebbe fatto, se ne avesse avuto il tempo.
"Vieni" disse Zefyr. "Il punto d'incontro è da questa parte."
Gli alberi divennero meno fitti aprendosi in un'ampia radura immersa nella semi oscurità. Lì, fermi nel buio, c'erano una mezza dozzina di figure umane.
Joyce ne riconobbe subito tre. Jhazar, Gastaf e Gajza.
Le altre tre indossavano mantelli con i simboli del circolo di Nazedir.
Appena li vide arrivare, Gajza sollevò lo sguardo. I suoi occhi scintillavano.
Joyce si sentì raggelare il sangue. Lei la stava vedendo oltre il velo della trasfigurazione?
Gajza si accigliò.
"Su, vieni" disse Zefyr incoraggiandola.
"Forse non è un buon momento" disse Joyce. Non voleva avvicinarsi a Gajza e ai suoi occhi speciali.
La strega li osservò mentre si avvicinavano. "E lei chi è?" domandò con tono brusco.
"Un'amica" rispose Zefyr.
"Davvero?" fece Gajza. "E allora perché cela la sua vera identità?"
Zefyr le rivolse un'occhiata dubbiosa. "Che vuoi dire?"
"Chiedilo alla tua amica. E dille di mostrarci il suo vero volto."
Zefyr guardò Joyce. "Dice la verità?"
"È una lunga storia. Devo proteggere la mia identità dagli uomini di Malag." Era la prima scusa che le era venuta in mente e sperava che funzionasse.
"Se sei una nostra alleata, non devi avere segreti. Ti proteggeremo noi" la rassicurò Zefyr.
Magari fosse così semplice, pensò. "Non puoi capire."
"Se non si mostra per chi è veramente" disse Gajza. "Devi ucciderla e subito."
Zefyr mise mano alla spada.
Joyce chiuse gli occhi e chinò il capo. Quando lo rialzò, Sibyl non c'era più ed era tornata se stessa.
La prima cosa che fece fu di cercare lo sguardo di Jhazar.
Lo stregone aveva serrato le labbra e la fissava con espressione turbata.
Ora lui sa, pensò Joyce. Addio speranza di tornare da suo padre. Ovunque fosse andata, l'accusa di magia impura l'avrebbe seguita per sempre.
Gajza rise. "Lo sapevo. Era come sospettavo. Jhazar, sei davvero prevedibile. Portare una spia con te fingendola tua nipote."
Anche Zefyr era stupito. "Hai finto per tutto questo tempo?" le chiese incredulo.
Anche di più, si disse Joyce. Annuì. "Mi spiace, ma non potevo dirlo a nessuno."
Il ragazzo scosse la testa. "Quindi anche il resto erano bugie?"
"No" disse Joyce. "È tutto vero."
"E come faccio a crederti?"
Gajza si schiarì la voce. "Nipote o no, questo non cambia il mio piano." Prese la spada che pendeva al fianco di Gastaf e con un gesto fluido e veloce la conficcò nell'addome di Jhazar, passandolo da parte a parte.
A quella vista Joyce ebbe un sussulto.
"Che cosa fai?" urlò Gastaf riprendendosi dalla sorpresa iniziale.
Gajza girò la spada nella ferita con espressione trionfante. Jhazar si inginocchiò, le mani all'addome nel tentativo di arrestare il sangue che fuoriusciva copioso dalla ferita.
Joyce vide con orrore la punta della spada che premeva sul mantello alle sue spalle. Tentò di fare un passo in avanti, ma i suoi muscoli non ubbidirono. Era troppo sorpresa per riuscire a pensare.
"Mi spieghi che bisogno c'era?" Urlò Gastaf. "Non era questo il piano. Dovevamo solo spaventarlo."
"Ora ha paura" disse Gajza. "Quindi ha funzionato."
Zefyr, immobile al fianco di Joyce, scuoteva la testa incredulo.
"Ecco che cosa è accaduto" disse Gajza. "Jhazar ha attaccato Gastaf, che si è difeso uccidendolo. Purtroppo, il malvagio stregone ha fatto in tempo a lanciargli due dardi prima di morire." Evocò due dardi magici, uno per mano e li lanciò contro Gastaf. I due proiettili magici lo passarono da parte a parte, aprendo altrettanti fori nella sua corazza, dove il metallo era più sottile.
Il contraccolpo mandò Gastaf gambe all'aria a un paio di metri di distanza.
Zefyr afferrò la spada e si preparò a caricare, ma Joyce si aggrappò alla sua spalla, fermandolo. Recitò la formula del velo di oscurità.
Un buio innaturale piombò sulla radura, nascondendo tutto l'orrore.
Joyce usò tutta la sua forza per costringere Zefyr  piegarsi sulle ginocchia e poi in avanti, un attimo prima che due dardi magici sfiorassero le loro teste.
"Prendeteli" gridò Gajza.
I suoi occhi speciali non funzionavano altrettanto bene in quella oscurità innaturale. E nemmeno i miei, pensò Joyce.
Ma lei aveva Zefyr, che non aveva bisogno di quei poteri. "Portaci lontano da qui" gli sussurrò Joyce.
Zefyr grugnì qualcosa e, strisciando, la portò verso gli alberi.
Il buio si dileguò e loro si gettarono in mezzo ai possenti tronchi che formavano una muraglia naturale attorno alla radura.
Dietro di loro udì le grida di Gajza mescolarsi a quelle degli stregoni.

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