Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: Sapphire_    08/01/2018    6 recensioni
Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolare, così anche Amelia.
Nel suo caso lui si chiama Alessandro Angelis, insegna matematica e fisica, è troppo bello ma anche troppo stronzo - e gode da matti a rifilarle insufficienze.
Il vero problema però si presenta quando la povera ragazza finisce per ritrovarselo a cena con i suoi genitori e l'unica cosa che può pensare, mentre lo guarda, è cosa abbia fatto di tanto male per meritarsi una punizione del genere.
~
Dal testo: "«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
Aveva appena dato dello "stronzo senza cuore" al proprio professore. Che la odiava."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sì, ho già una long romantica da finire.
Sì, è ferma da vari mesi.
No, questo non mi ferma dal pubblicare una nuova storia.
Spiego un paio di cose prima di lasciarvi alla lettura: ho già un’altra storia in corso che non aggiorno da un po’, come ho scritto poco sopra, ma ho sempre voluto cimentarmi nel tema trito e ritrito dell’amore tra il professore e la studentessa. Che ci posso fare, è sempre qualcosa che mi ha fatto sognare grazie al fascino del proibito. Ci sono varie originali su questo tema nel sito, ma ho voluto comunque proporre la mia versione con “La fisica dell’attrazione” (titolo pessimo, lo so, ma sono terribile a sceglierli).
Amelia e Alessandro sono i due protagonisti di questa storia – mi sono venuti prima i nomi della stessa, a dire il vero! Amelia mi è entrato in testa come un tarlo e non sono riuscita a darle un nome diverso, mentre Alessandro… beh, è il mio nome preferito! Sono ancora in fase di creazione nonostante abbia già in testa come voglio rendere la storia, però spero possiate amarli insieme a me.
Un solo appunto che mi sento di fare è per com’è scritta: il mio stile di solito è più prolisso e descrittivo, ma questa volta ho sperimentato un po’ e ho cercato di renderlo più dinamico e meno “lento”, spero che questa scelta non faccia sembrare la narrazione troppo rapida.
Detto questo non voglio aggiungere altro se non che ogni commento o parere è ben accetto!
Vi auguro una buona lettura!
Un abbraccio,
 
~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo uno
~
Di brutte sorprese e insulti
 
 
 
Diciamocelo, i professori, nella testa di ognuno di noi, sono come delle ombre che prendono vita soltanto nelle mura scolastiche e fuori, nella vita vera, cessano improvvisamente di esistere. Sì, ci sono ogni tanto degli sporadici incontri al supermercato – oddio, ho visto la prof di italiano compare degli assorbenti! Ma non era in menopausa, quella? – ma tutti gli studenti preferivano cancellare quei ricordi dolorosi e far finta che, fuori dalla scuola, i professori non esistessero.
Era quello che faceva anche Amelia, d’altronde.
Per questo, quando aprì la porta di casa propria per accogliere i cari amici di famiglia assenti da anni dall’Italia e si ritrovò di fronte il proprio insegnante di matematica e fisica, quasi svenne.
Dio, dimmi che è uno scherzo, pensò tragica.
E invece no, perché – scherzetto! – gli amici di famiglia di cui i suoi genitori tanto parlavano con toni calorosi avevano un figlio. E quel figlio era il suo professore.
«Amelia! Ma guardati, come sei cresciuta! Sei davvero bellissima!»
La ragazza ebbe bisogno di alcuni secondi prima di spostare lo sguardo scioccato dal proprio insegnante – il professor Angelis, che ricambiava sentitamente – sulla signora di una certa età che faceva capolino dietro di lui.
«Emh, io…»
Si sentiva come se fosse stata all’interrogazione.
«Tesoro, non rimanere sulla porta, falli entrare!» e la madre corse in suo aiuto, trascinandola via per un braccio e facendo entrare gli ospiti – un signore, la donna che le aveva fatto i complimenti e il suo professore.
Qualcuno mi svegli da questo incubo.
«Michele, da quanto tempo!» ed ecco anche suo padre, che andava ad accogliere il padre del suo professore – non riusciva a pensarla in maniera diversa – con un allegro sorriso, per poi abbracciarlo e dargli qualche pacca sulla spalla.
«Davide, ti trovo più in forma di quanto pensassi!» frase scherzosa e risata, ma Amelia rimaneva una statua di marmo.
«Serena è bella proprio come l’ultima volta che l’ho vista.» continuò quel Michele, in direzione di sua madre.
«Posso dire la stessa cosa te e Margherita.» rispose il padre.
Ah-ah, che divertente. Portatemi via, continuava a pensare Amelia perché, nonostante tutti gli sforzi, proprio non riusciva a spostare lo sguardo impietrito dal proprio professore, la cui espressione era una maschera di ghiaccio – aveva più espressioni anche quando la interrogava, soprattutto quando andava male e le faceva un sorriso che pareva più un ghigno di divertimento.
Sì, perché non solo lui era il suo professore, ma era anche il professore di matematica e fisica, le due materie odiate profondamente da Amelia, insegnate da una persona che più bastarda non poteva essere.
Ecco chi era Alessandro Angelis: bastardissimo professore di discipline scientifiche, temuto da tutto l’istituto, amante di note sul registro e gitarelle dal preside, perfido come pochi nel beccare proprio la domanda sull’argomento saltato dallo studente; tutto questo contenuto in un bellissimo involucro costituito da un metro e ottanta di fisico asciutto, capelli neri e occhi grigi, incastonati in un viso angelico che nascondeva il demonio in persona.
Fondamentalmente era il sogno erotico di studentesse, professoresse e anche alcuni studenti, in pratica chiunque ci parlasse si rendeva conto che piuttosto che starci assieme sarebbe stato meglio restare single a vita.
«Aspetta, ma tu non sei…?»
Eh, finalmente te ne sei accorta, mamma, pensò ironica Amelia. Perché ovviamente i suoi genitori lo conoscevano, ovviamente erano andati ai colloqui e ovviamente lui si era lamentato di lei.
C’erano troppe cose ovvie in tutto quello, tranne il motivo per cui il suo professore era anche il figlio di cari amici di famiglia.
«Sì, sono il professore di Amelia.»
E anche lui alla fine parlò – lei non aveva il coraggio di confermare quella sentenza di morte.
«Ma davvero?»
«Ma non credevo fossi ancora alle superiori!»
Michele e Margherita – che abbinamento di nomi – sembravano spiazzati e stupiti e ad Amelia venne confermato quello che già sapeva, ovvero di sembrare più grande di quanto non fosse.
Aveva solo diciotto anni e gliene davano sempre almeno venti!
«No. Ho diciotto anni.» si ritrovò a spiegare, parlando per la prima volta da quanto quei tipi erano arrivati.
«Sì, è una mia studentessa.» disse a sua volta Alessandro – oddio, era così strano pensarlo in quel modo! – lanciandole una vaga occhiata. Gli occhi grigi sembravano più metallici e freddi del solito – di sicuro non era granché contento di passarsi una cena con i suoi genitori e una sua alunna.
Amelia si schiarì la gola.
Avanti, non hai mai avuto troppi problemi a tenergli testa, tira fuori le palle anche questa volta, disse tra sé, ma anche nella sua testa il tono era piagnucoloso.
In effetti era sempre stata piuttosto bellicosa nei suoi confronti; insomma, era una testa di cazzo e la odiava e godeva a metterle due, e lei di certo non era il tipo che chinava la testa in certe situazioni. Non era una cima in matematica e fisica, questo era vero (anzi, diciamo che faceva proprio schifo), ma lui la odiava seriamene!
«Quant’è piccolo il mondo.» commentò e dentro la sua testa si diede uno schiaffo dopo che vide l’occhiata scettica del suo docente.
No, ma continua pure così Amelia, vai alla grande, sembri proprio intelligente, fece sarcastica.
I suoi genitori – avrebbe dovuto far loro un monumento, lo sapeva – la tirarono fuori da quell’impiccio, soprattutto perché erano a conoscenza del pessimo rapporto tra i due.
«Beh, in ogni caso oggi non siamo a scuola ma qui a casa per una bella riunione tra vecchi amici, quindi non pensiamo a queste sciocchezze!» fece con un bel sorriso la madre, e continuò a parlare di aperitivi e chissà cosa trascinando i due dentro, ma Amelia era rimasta ferma alla parola “sciocchezze”.
Sciocchezze? Ma stiamo scherzando?! Io domani me lo ritrovo a scuola quello lì, che mi interrogherà solo perché ha voglia di vedermi disperare sulla mia povera media, pensò tragica Amelia.
Nel giro di venti secondi rimase sola nell’atrio con il professore.
Si schiarì di nuovo la gola, nervosa.
«Sembra nervosa, Moretti.»
Ora lo picchio.
«No, sto alla grande.» mentì spudoratamente con un sorriso falso quanto una banconota da quindici euro.
«Lei dice? Perché ha la stessa espressione di quando la chiamo all’interrogazione e non è preparata.» disse con un ghigno l’uomo «Ovvero sempre.» aggiunse allargando il sorriso.
«L’ultima frase non credo fosse necessaria.» non riuscì a frenare la lingua «Ma, come ha detto mia madre, qua non siamo a scuola e siamo tra amici, giusto? Non c’è problema se ti do del tu e ti chiamo Alessandro, vero?» fece melliflua.
Qualcuno mi dia un colpo in testa, pensò. Era sempre così: la sua bocca parlava prima che potesse pensare seriamente a quello che stava dicendo e, se in certi casi questo sua “capacità” la salvava in corner, in quel caso stava solo rischiando il debito.
O magari anche una bocciatura, considerando come l’espressione di Alessandro si fece gelida; i suoi occhi si assottigliarono e la bocca divenne una linea orizzontale.
Non fece in tempo a ricevere una risposta.
«Amelia! Vieni qui, e porta anche Alessandro.» la richiamò la madre dal salotto.
Com’è che sa già il suo nome?, si domandò per un attimo, ma poi con ci diede più peso; sbuffò e con un gesto si scostò i ricci neri da davanti.
«Prego.» fece con un sorriso finto, scostandosi e facendo un cenno per farlo passare.
Lui fece un freddo sorriso.
«Prima le signorine.» disse facendo un cenno a sua volta.
Amelia strinse le labbra e non commentò; lo precedette nel salottino dove gli adulti – beh, anche Alessandro era un adulto, anche se faceva i dispetti come un bambino – si gustavano l’aperitivo. Dietro di lei percepiva la presenza del professore come sarebbe successo a un lebbroso con la morte.
«Tesoro, tutto bene? Ti vedo un po’ troppo silenziosa.»
Mamma, ti uccido, pensò con un’aria omicida Amelia. La donna la osservava con aria preoccupata mentre sorseggiava un bicchiere di prosecco; affianco a lei, Margherita la osservò.
«Cara, spero che non sia per la presenza di Alessandro.» commentò dispiaciuta la donna, scostandosi una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio.
La bocca era asciutta e per un attimo non riuscì a rispondere, ma poi sentì la mano del professore poggiarsi con delicatezza sulla sua schiena – ma che cazzo, stai lontano! – e la sua presenza affianco a lei.
«Oh, non preoccupatevi per quello. Stavamo proprio dicendo che siamo fuori dalla scuola, non avrebbe senso mantenere una certa formalità in una situazione del genere.» fece innocente, guadagnandosi dei sorrisi dalle due donne e un’occhiata omicida dalla ragazza.
Amelia decise di ignorarlo e andò avanti decisa, prendendo il bicchiere di prosecco che le era stato preparato.
Ho più bisogno dell’intera bottiglia che di un bicchiere per sopportare questa serata, pensò tragica.
Si chiuse nella propria bolla di isolamento mentre gli adulti – e questa volta era compreso anche Alessandro – parlavano tra di loro di argomenti non di suo interesse. Approfittò di quel momento per afferrare il cellulare e iniziare a scrivere come una forsennata.
Daniele. Ho bisogno di aiuto.
Passarono solo pochi secondi prima che ricevesse una risposta.
Dimmi tutto.
Angelis è a casa mia.
Non dovette specificare il nome, né cosa insegnava, né che stesse parlando del proprio professore. Il suo migliore amico comprese immediatamente perché la risposta fu solo un grandissimo:
COSA. Dimmi che stai scherzando.
Vorrei poterlo fare…
Oddio. Oddio. Amelia stai calma. Perché è a casa tua?
Spese pochi secondi a spiegare la situazione per bene.
Ti ricordi che ti avevo parlato della cena con dei vecchi amici di famiglia che mancavano da tanto tempo dall’Italia? Ecco, hanno un figlio che lavora qui in città e a quanto pare è proprio Angelis. Ti giuro che come ho aperto la porta credevo di svenire.
La risposta le arrivò dopo poco, ma non fece in tempo a leggerla né tantomeno a rispondere dato che fu richiamata all’attenzione dal padre.
«Tesoro, non stare incollata a quel telefono.» la rimproverò dolcemente l’uomo.
Amelia alzò lo sguardo e fu sicura che, se si fosse guardata allo specchio, avrebbe riconosciuto la sua faccia da “cerbiatto colto dai fari di una macchina”. Non fece in tempo a rispondere.
«Questo è un problema di Amelia, in effetti… Si distrae spesso anche in classe.»
E mentre Amelia pensava a un modo per uccidere il proprio professore e farla franca – veleno nel cibo? Incidente per le scale? – Margherita intervenne come un “Deus ex machina”.
«Dimmi, cara, a che anno sei?»
Evidentemente la donna doveva essere cosciente della stronzaggine del figlio se aveva deciso di distrarre la conversazione in lidi più sicuri – più o meno, dato che riguardava sempre la scuola.
«All’ultimo.» rispose cortese e con un sorriso appena accennato. In sottofondo sentiva le chiacchiere del padre e di Michele che avevano ripreso a parlare di fatti propri.
«Che scuola?» continuò educata, e ad Amelia venne il dubbio che non si ricordasse nemmeno la scuola in cui il figlio lavorava.
«Istituto linguistico.» rispose però, facendo finta di nulla.
«Oh! Lingue, quindi. Quali studi?»
«Inglese, francese e tedesco.»
«Tedesco? Sai che anche Alessandro lo conosce bene? Ha vissuto con noi a Berlino per parecchi anni.» disse la donna con un sorriso.
Amelia lanciò un’occhiata al proprio professore e lo vide alzare gli occhi al cielo – non voleva condividere informazioni personali con un’alunna?
«Non lo sapevo.» si ritrovò a rispondere.
«Hai già qualche idea per l’università?»
Mi sembrava strano che nessuno mi avesse ancora fatto questa domanda oggi, pensò ironica. Ormai era la domanda che tutti le proponevano ogni volta che affermava di essere all’ultimo anno di liceo.
«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Alessandro!» lo richiamò la madre dopo aver notato come Amelia fosse sbiancata.
L’uomo prese l’ultimo sorso del proprio bicchiere.
«Sì?»
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
La madre, che aveva appena preso un sorso dal proprio bicchiere, iniziò a tossire quando si rese conto che la figlia aveva appena dato dello stronzo al proprio professore. Amelia sorrideva melliflua e guardò il proprio docente che la fissava con aria gelida – e forse anche stupita dal fatto che avesse davvero avuto il coraggio di dargli dello stronzo.
D’altro canto, nella propria testa, Amelia si preparava un cappio per impiccarsi.
Ciao ciao promozione.
«Quello che Amelia voleva dire…» iniziò Serena mentre lanciava occhiate omicide alla figlia cercando di non essere vista.
«…è che sono uno stronzo senza cuore. Lo so.» concluse Alessandro.
«Non ho detto questo!» protestò Amelia, improvvisamente resasi conto di ciò che aveva detto.
«Ma l’hai pensato.»
«Sì. Cioè, no!»
Merda.
«Che ne dite di iniziare la cena?» cambiò radicalmente il discorso la madre, cosciente che da lì non ne sarebbero usciti; conosceva la figlia e di conseguenza anche della sua particolare dote “prima parlo e poi penso”. Non aspettò che qualcuno rispondesse: precedette tutti verso la sala da pranzo venendo ovviamente seguita.
Amelia si attardò giusto un attimo presa dal cellulare e lesse la risposta di Daniele.
Cazzo, ma quante probabilità c’erano? Sei sfigata, lasciatelo dire.
Amelia ignorò alla grande quelle parole e scrisse;
Ho appena dato dello stronzo senza cuore ad Angelis.
Invio. Si morse un labbro frenetica mentre aspettava la risposta, lanciando di tanto in tanto occhiate ai cinque che, poteva vedere, si stavano già sedendo a tavola. Una vibrazione e corse a leggere il nuovo messaggio.
…che fiori vuoi sulla tua tomba?
Amelia fece una smorfia.
Grazie del sostegno.
Inviò il messaggio in fretta e poi mise il telefono in tasca, correndo verso la sala da pranzo.
Tutti erano già seduti e si accorse con orrore come l’unico posto rimasto libero – ovvero il suo – era esattamente di fronte al professore. Si trascinò lentamente e come una condannata a morte verso la sedia, spostandola rumorosamente e sedendosi.
Alzò gli occhi e, di fronte a lei, Alessandro la fissava con uno strano sorrisetto divertito.
Questa sarà una lunga serata…
 
E, in effetti, fu una lunghissima serata.
Se Amelia, dopo l’ultima uscita in cui aveva insultato il proprio docente senza porsi troppi problemi, cercava di stare il più zitta possibile, Alessandro pareva volersi vendicare e ci stava anche riuscendo.
«…sì, beh, Amelia è sempre stata una ragazza molto schietta.» terminò Davide, facendo un cenno verso la figlia e riportandola sulla terra – qual era il discorso, a proposito?
«Ho avuto modo di rendermene conto in diverse occasioni.» rispose Alessandro sorseggiando il proprio bicchiere di vino rosso e lanciando un’occhiata ad Amelia.
Amelia sbuffò.
«Quello che ho detto prima non era rivolto a te.» rispose sforzandosi di sorridere e risultare credibile.
«Ah, e allora a chi?» chiese il professore.
«Era un discorso in generale!» sbottò la giovane e poggiò con malagrazia le posate sul tavolo, ricevendo in questo modo un’occhiataccia da parte della madre.
«Non avete anche voi sentito il telefono squillare?»
Con queste parole, Amelia fece un falsissimo sorriso e si alzò dalla sedia, per poi uscire dalla sala da pranzo senza attendere una risposta – che sarebbe stata superflua in quel caso, dato che non aveva suonato proprio nessun telefono.
Si diresse in salotto e sprofondò sul divano, passandosi le mani tra i capelli e mettendo in disordine i riccioli neri; stava per prendere il telefono se qualcuno non le avesse parlato in quel momento,
«Stanca?»
Sobbalzò all’improvviso e si voltò: di fronte a lei, Alessandro la osservava con uno sguardo scanzonato.
«Sto alla grande.» rispose.
Ma quanto poteva essere assurda quella situazione? Era lì, nel proprio salotto, immersa nel divano, e chiacchierava – beh, chiacchierare era una parola grossa – con il professore che più odiava e che più la detestava.
Anche se, doveva ammetterlo, era davvero troppo bello per sembrare vero.
«Il tuo libro sembra non pensarla allo stesso modo.» disse l’uomo facendo cenno al libro che, schiacciato sotto la ragazza, sbucava appena tutto spiegazzato.
Amelia fece un salto spaventata e afferrò il libro sotto di lei. Era quello di fisica, abbandonato lì da quel pomeriggio dopo ore e ore di tentativi di studio – tentativi perché, chissà come, aveva scoperto che fissarlo intensamente non aveva fatto sì che la conoscenza le venisse infusa nel cervello come invece sperava.
«Com’è rovinato… Ci devi passare davvero tanto tempo assieme.» fece sarcastico l’uomo, notando come il libro fosse spiegazzato. Lo afferrò dalle mani della ragazza e lo sfogliò: togliendo le evidenti pieghe date da come la mora ci fosse seduta sopra, era praticamente intonso.
«O forse no.» considerò fintamente sovrappensiero.
«Cosa vuoi?» fece all’improvviso Amelia, con un tono secco che stupì anche lei.
Alessandro la osservò attento.
«Dovrei volere qualcosa?» chiese con finta aria ingenua.
«Altrimenti perché saresti qui?» disse Amelia, incrociando le braccia sulla difensiva.
«Cosa intendi? Sono qui perché i tuoi genitori mi hanno invitato a cena.»
Amelia. Respira. Non farti prendere da un attacco isterico, pensò la mora, cercando di credere davvero in quello che pensava.
«Dico qui in salotto invece che in sala da pranzo.» si costrinse a spiegare, evitando di aggiungere anche “schifoso deficiente”. Non credeva che potesse essere utile.
«Forse dovrei chiederti scusa.»
Cosa?
«Eh?» disse, sembrando molto intelligente.
«Allora non è che ti distrai, sei proprio così di tuo.» considerò stupito l’uomo.
Amelia lo guardò male.
«Non mi stavi facendo delle scuse?» recuperò in fretta. Alessandro si lasciò scappare una smorfia ma ridivenne velocemente impassibile.
«Mi sono solo reso conto che potrei aver esagerato, poco fa, a cena.» ammise, per poi fare come se fosse a casa a propria e sedersi sul divano affianco a lei con nonchalance.
Amelia stava per chiedergli chi gli avesse dato il permesso di farlo, ma poi decise di non gettare altra benzina sul fuoco; pareva proprio che il professore le stesse proponendo una tregua – forse pensava che, così facendo, Amelia non lo avrebbe tormentato per tutto l’anno? Aveva comunque lui il coltello dalla parte del manico – e chi era lei per rifiutarla? Aveva già il debito in entrambe le materie – sia per le sue performance scolastiche che per le altre – forse era il caso di non rischiare la bocciatura.
In quel momento, seduta affianco a lui, si rese conto del proprio atteggiamento da quando se lo era ritrovato di fronte alla porta insieme ai genitori: era stata poco educata, aveva risposto in un pessimo tono al proprio docente – anche se in quel frangente non poteva considerarlo davvero tale – e Alessandro, d’altronde, era comunque più grande di lei, indi per cui doveva mostrargli maggiore rispetto.
Solo che mi fa uscire di testa quando lo vedo assumere quell’atteggiamento borioso e bastardo, e di certo lui non ha fatto granché per evitare certe frasi, pensò insofferente.
Però doveva spezzare una lancia in suo favore: da brava persona matura, si era reso conto di aver esagerato ed era venuto da lei per chiederle scusa.
Il minimo che poteva fare era ricambiare, no?
«Le devo delle scuse anche io. Non sono stata una perfetta padrona di casa, lo ammetto, e mi sono fatta influenzare dal non proprio ottimo rapporto che ho con lei.» disse a voce un po’ più bassa di quanto non dovesse.
Di fronte a lei, l’uomo inarcò un sopracciglio.
«Mi stai dando di nuovo del lei?» chiese, ma non la lasciò rispondere «Non scherzavo prima, quando ti ho detto che avevi ragione. Non siamo a scuola e non ci siamo nemmeno incontrati per caso in un supermercato. I nostri genitori si conoscono e io sono a cena da te, mantenere un certo tipo di formalità non avrebbe senso e credo che sarebbe anche più imbarazzante; quindi, per favore, dammi del tu.»
Amelia lo guardò più sorpresa di quanto avrebbe voluto mostrare e l’uomo lo notò, perché sbuffò e continuò a parlare.
«Anche se so che voi mi considerate un mostro – per carità, non dico che non mi piaccia questa cosa o che io non alimenti la vostra idea – non sono così terribile come posso sembrare.» fece una pausa, un poco sovrappensiero «O almeno, non sempre.» aggiunse.
Amelia tacque ancora, poi si costrinse a dire qualcosa – anche se avrebbe voluto solo fuggire da quella situazione così assurda.
«Emh… Sì, beh, hai ragione. Allora possiamo tornare di là e stare tranquilli, no?» Scema, frase migliore no, eh? «Insomma, passiamo la serata insieme ai nostri genitori e poi, quando ci vedremo a scuola, come se nulla fosse successo, giusto?»
Alessandro la fissò impassibile e in silenzio per un po’, tanto che Amelia ebbe voglia di alzarsi, scuoterlo per le spalle e urlargli “dimmi qualcosa!”.
«Ovviamente. Non credere che, solo perché i nostri genitori si conoscono, smetterò di rifilarti due appena ne ho l’occasione.» e ghignò.
Se per un attimo, un minuscolo e infinitesimale attimo, Amelia aveva anche solo pensato che forse era migliore e più umano di quanto non sembrasse, in un attimo tutto crollò e si ritrovò a odiarlo come all’inizio.
«Non ne dubitavo.» rispose sarcastica e senza attendere si alzò, precedendolo in sala da pranzo.
«Ti conviene muoverti, o mi mangerò anche l’ultima fetta di torta.» gli disse prima di sparire, non sentendo così lo sbuffo dell’altro che borbottava.
«Che ragazzina.»
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Sapphire_