Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Kat Logan    10/01/2018    3 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
In the muddy water we’re crawling
Holds me down
Hold me now
Sold me out
In the muddy waters we’re falling
It is not clear why we choose the fire pathway
Where we end is not the way that we had planned

Muddy Waters – LP
 
 



«Così vicina. Ci sono così vicina, Haruka…».
Come una fiammata la cascata di capelli cremisi era ad un passo da lei. Haruka poteva vederla nitidamente; ne avvertiva i passi riecheggiare per quei corridoi asettici.
Il suo battito accelerò pericolosamente ed Haruka non fu più sicura se il cuore stesse per schizzarle fuori dal petto o direttamente dalle orecchie.
«Ci sono più vicina di te».
Eudial sorrise come solo lei sapeva fare. Con la bocca di un serpente pronto ad iniettare il proprio veleno mortale alla vittima prescelta.
Haruka sapeva non esserci antidoto e le sue gambe presero ad andare più veloci. Si mise a correre ma non riuscì a raggiungerla.
«Presa».
Eudial portò una mano alla spalla di Michiru e Haruka si svegliò di soprassalto da quell’incubo.
 
«Detenuta 233, in piedi».
Ci mise qualche secondo per comprendere a fondo il significato che la voce della guardia aveva dato alle parole appena pronunciate.
«Sei sorda o solo stupida, detenuta 233?».
Haruka si alzò con fare automatico dalla branda consunta e priva di biancheria per poi stagliarsi di fronte all’idiota che l’aveva richiamata all’ordine con quello stupido numero.
“Forza, di qua” la strattonò spingendola con l’ausilio del manganello facendola uscire dalla sua cella.
«Si è liberata la stanza del grand’hotel per te».
 
Da Osaka a Tokyo la stessa identica frase rimbombò davanti alle porte che potevano varcare solo gli addetti del reparto di psichiatria.
 
 
***
 
«Dio, non ci posso credere!» esclamò Ami in preda all’adrenalina o forse ai troppi caffè bevuti. «Ė la prima volta che faccio le sette di mattina senza essere andata a dormire e soprattutto…a casa!». Non si sentì stupida nel dirlo, ma solo emozionata. Lei aveva passato l’intera adolescenza a testa china sui libri per costruirsi un futuro brillante mentre i suoi coetanei bighellonavano per la città godendosi durante la notte.
Sadao sorrise. Nemmeno lui era stato un grande nottambulo. Forse per timidezza o forse soffocato dalla propria famiglia, aveva passato i suoi giorni di gioventù rinchiuso a casa.
 
E ora se l’erano presa quella notte e l’avevano vissuta a modo loro.
 
Erano andati a pattinare sul ghiaccio mentre i primi fiocchi discendevano in città e a sorpresa lui si era scoperto portatissimo per quell’attività.
Avevano passeggiato guardando le nuove luminarie natalizie e provato a vincere senza successo un paio di peluche alla sala giochi vicino casa di Ami.  Solo quando il freddo si era fatto troppo intenso, colorando ad entrambi di rosso la punta del naso e le gote erano entrati al caffè. Da lì avevano continuato a guardare la neve, a imparare qualcosa in più l’uno sull’altro e avevano deciso di provare tutto il menù dei più strampalati caffè di Tokyo senza accorgersi dello scorrere del tempo.
«Abbiamo l’ultimo Ami». Sadao tamburellò con l’indice sul ventesimo in lista. Era una coppa XXL con caffè, latte alla vaniglia, panna montata guarnita di granella alle nocciole e ciliegine candite.
«Potrebbe partirci una vena o qualcosa del genere?».
«Abbiamo diviso più o meno tutto e la quantità di caffè dentro a queste cose è minima…o almeno credo. Forse sono diventata immune alla caffeina con tutto quello che bevo all’osped-». Si bloccò spalancando le labbra.
«Oh mamma…».
«Cosa? Che succede?!» si agitò Sadao richiudendo subito il menù.
«Che ore abbiamo fatto?!».
«Le set-te. Le set-te e un qua-quarto precisamente. Ora».
«Devo attaccare!».
Sadao sbatté le palpebre ancora confuso. Cominciava ad avvertire la stanchezza e il cervello non funzionava più a dovere. Anche se probabilmente quello si era spento nel momento che l’aveva vista uscire dallo spogliatoio così bella la sera prima.
«In ospedale!».
«Ooh. T-ti accompagno».
Ami si alzò portando la mano sul braccio dell’altro che non era fasciato.
«No» le disse dolcemente. «O tu rischierai di fare tardi per salvare il mondo dai cattivi!». Rise piano, come fosse un segreto divertente che nessun altro al di fuori di loro due avrebbe mai capito.
Infilò il cappotto, prese il mazzo di fiori che lui le aveva recato in dono e prima di andare si chinò verso il ragazzo posando le labbra sulle sue.
Sadao sentì la scossa a quel contatto e il profumo di fragola del lucidalabbra di lei.
 
«Ci vediamo!» Ami corse via col cuore in gola.
 
 
***
 
 
Il dottor Chiba l’aveva spedita a casa. Minako era rimasta per l’intera notte a rigirarsi il cellulare tra le mani nell’aspettare il caso di psichiatria. Poi il suo Samsung aveva ceduto e con lui lo aveva fatto lei a causa della noia.
Niente più video di cuccioli da guardare e Akira non si era degnato di rispondere nemmeno a un messaggio.
Quando poi l’attesa era divenuta ormai insostenibile e i suoi occhi si stavano per chiudere sul banco dell’infermeria, Mamoru le aveva detto di andare.
Minako non si aspettava di vedere il mattino. Dovette coprirsi col palmo le iridi per non essere accecata da tutto quel bianco gelido che aveva ricoperto ogni cosa durante la notte.
«Peggio di un vampiro…» sostenne. «Un vampiro al contrario. Recluso di notte e libero di giorno. Però ora me ne vado a dormire col sole quindi sempre un vampiro sono diventata!» blaterò tra sé e sé, senza curarsi di chi poteva incrociarla e sorprenderla in quello strambo monologo.
 
Il furgone del penitenziario di Chiba accostò al marciapiede.
Il guidatore rimase sul veicolo mentre la guardia al posto del passeggero scese e aprì a quella nel retro.
Minako soffiò tra le sue monopole rosse e calde assistendo incuriosita alla scena.
I due “scaricarono” una giovane dai lunghi capelli cremisi nella sua tuta carceraria, ammanettata.
«Dai muoviti, non abbiamo tutta la mattina» la intimarono a procedere passando accanto a Minako.
«Bei guanti, biondina!» le disse la ragazza prima di venir spintonata all’interno dell’ospedale.
Minako non l’aveva mai vista, ma ebbe come un brutto presentimento.
Avvertì un dolore forte e netto alla sua cicatrice ma lo ignorò sentendo la voce di Ami rotta dal fiatone.
«Ce l’ho fatta. Sono in tempo. Sono in tempo! Ciao Mina!». L’amica portò le mani alle ginocchia tirando un lungo respiro. Tutto quel freddo faceva fare più fatica del dovuto ai suoi polmoni.
«In realtà ti sei appena persa una carcerata che si complimenta con me per i guanti» ridacchio Minako.
«Fatto le ore piccole?» indagò maliziosa.
«Mai andata a letto» le schioccò l’occhiolino con fare orgoglioso Ami.
«O-mio-Dio» Minako abbandonò ogni strano presentimento per lasciare spazio all’eccitazione. Le era passato persino il sonno a quella notizia.
«Si, ma Mina. Devo andare!» Ami tranciò le gambe ad ogni speranza dell’amica di ascoltare anche il solo più piccolo dettaglio del suo appuntamento.
«Guastafeste» Minako lasciò andare uno sbuffo e incrociò le braccia al petto. «Io ho appena staccato. E il caso di psichiatria è tutto per te. Ha appena varcato la soglia».
«Corro».
«Ehi fai attenzione ha le manette!!» la intimò Minako.
Ami stette attenta a non scivolare sul lastrone di ghiaccio e varcò le soglie dell’ospedale. Prese l’ascensore e una volta che le porte automatiche si aprirono salutò con un cenno frettoloso del capo Mamoru che teneva sottobraccio un plico di lastre.
I suoi occhi chiari intercettarono il bianco sterile del corridoio e prima che potesse chiudersi alle spalle la porta dello spogliatoio avvertì una sola frase.
 
«Si è liberata la stanza del grand’hotel per te».
 
 
***
 
 
Michiru aveva passato la notte in bianco. Non avrebbe certo potuto chiudere occhio sapendo dove sarebbe stata portata la sua adorata Haruka.
Non aveva idea di cosa accadesse all’interno di una prigione ma non ci voleva un genio per comprendere non si trattasse di un bel luogo.
Haruka era una donna forte, la più forte che Michiru avesse mai incontrato ma questo non la faceva stare meno in pena.
Aveva atteso che la piccola Hotaru si svegliasse, l’aveva nutrita, cambiata e cullandola tra le braccia le aveva parlato di Haruka.
«La devi assolutamente conoscere…» gli occhi scuri della bambina a quelle parola si sgranarono un po’ di più.
«E’ un po’ burbera all’inizio ma, ehy…è davvero speciale…».
Hotaru rispose con un versetto sollevando le piccole manine verso l’alto per poi afferrare una lunga ciocca color acqua marina.
Michiru sospirò.
Haruka ne aveva fatte tante in passato per essere arrestata, ma ora cosa le era passato per la testa di fare?
 
Il campanello suonò.
Michiru si alzò dalla poltrona andando ad aprire alla porta e salutò il padre.
«Grazie per essere venuto papà» la figlia gli era davvero grata.
Yoshio la salutò, si tolse il cappotto e tutto contento non tardò a voler la nipotina tutta per sé.
«Tesoro cosa succede? Sembravi piuttosto preoccupata».
«Tienimela tu, ti prego. Poi troverò qualcuno che mi aiuti».
Michiru indossò la propria giacca allacciandosi sino al collo i bottoni e avvolgendosi in una calda sciarpa blu notte.
«Problemi con Haruka?».
«In un certo senso» prese la borsa frettolosamente.
Non sapeva ancora dove fosse giusto andare. Akira o polizia, polizia o Akira. Le scelte erano due ma le parevano mille in quell’istante.
«Credo ti possa fidare del tuo vecchio ormai…».
«Mi fido papà, ma…».
L’uomo puntò il suo sguardo profondo in quello di Michiru.
«Non mi verrà un attacco di cuore».
«Risolverò tutto, okay? Se così non fosse allora chiederò aiuto a te e dirò tutto. Va bene?».
Yoshio borbottò qualcosa. Non gli andava a genio di scendere a compromessi, ma era meglio che niente. Poi preso dalla neonata decise di farsi i fatti suoi e concentrarsi sulla piccola creatura che gli aveva rapito il cuore.
«Fai attenzione. O la prenderò a calci quella ragazzaccia se ti succederà qualcosa».
 
Michiru gli soffiò un bacio dalla soglia e si richiuse la porta alle spalle.
 
 
***
 
«Cosa diavolo è successo a Ten’ō? Dov’è quella scansa fatiche?» la voce di Jadeite rimbombò per l’intera centrale.
«Ho salvato la vita a quella disgraziata e ora…».
«Ommioddio, questa faccenda deve aver pompato in maniera smisurata il tuo ego».
Jadeite alzò gli occhi dal monitor ritrovandosi davanti la persona che aveva parlato. Rei con la sua chioma corvina era in piedi davanti alla sua scrivania con le mani puntate sui fianchi.
«Che ci fai qui?».
«Buongiorno anche a te» schioccò la lingua Rei prima di aggiungere un: come sei fastidioso.
Solo allora Jadeite si rese conto di aver usato un tono che poteva esser mal interpretato. Non era scocciato di averla intorno, tutt’altro. Era soltanto stato preso in contropiede.
«Ti togli?».
Jadeite aggrottò la fronte senza capire.
«Da quella scrivania. Ti togli?».
«Non è tua questa postazione, lo sai?».
Rei parve accigliata.
«Beh, tecnicamente nemmeno tua se è per questo».
Ci risiamo pensò il biondo.
«E’ di…».
«Era» controbatté infastidito.
Rei si dovette mordere la lingua per non esplodere.
«Che suc-cede qui?!» Sadao interruppe sul nascere il litigio e spalancò la bocca nel riconoscere la figura di Rei nell’ufficio.
«Sei tornata!».
«Alla buon ora. Anche tu. Credevo di doverti catalogare come persona scomparsa! Dove sei stato tutta la notte?» chiese Rei, levandosi una volta per tutte il cappotto in panno rosso.
«Al mio ap-puntamento» Sadao sentì le guance avvampare e abbassò lo sguardo in automatico sul proprio braccio ancora malconcio.
«Bene casanova. Vedo hai fatto colpo. La prossima volta però chiama!».
«Non sei mica sua madre…» borbottò Jadeite. Non sapeva se essere più infastidito da tutto l’interesse che Rei mostrava nei confronti del suo protetto o per il fantasma di Setsuna, presente in ogni conversazione. Odiava sentirsi fuori posto, a lui piaceva essere al centro dell’attenzione e non il guastafeste di turno. No signore, lui era la festa semmai.
 
La risatina nervosa del più giovane placò ancora una volta la bomba ad orologeria che gli altri due parevano esser sempre sul punto di fare esplodere.
«Beh, bentornata» sorrise giovialmente Sadao.
«Non sono proprio tornata» confessò Rei.
Sadao e Jadeite si ritrovarono nello stesso momento a puntarle gli occhi addosso.
«Credo di voler cambiare divisione, ammesso mi accettino».
«Dio, no» Jadeite si portò una mano al viso con fare disperato. «Sarò io e i novellini per l’eternità?».
«Sadao non è proprio un novellino». Eccola che riprendeva le difese del giovane che ora la guardava con lo sguardo di una pecorella smarrita incapace di dire qualsiasi cosa.
Prima era stato scelto da Setsuna e lei era morta. Ora sembrava essere stato scelto da Rei e lei se ne andava.
«Oh andiamo, non sa nemmeno colpire un bersaglio!».
«HEY!» sbottò Sadao offeso.
«Non lo sa fare perché tu non gliene dai l’opportunità. Razza di egoista, narcisista…BIONDO!».
Rei sembrò buttare lì l’ultima parole come un insulto e Jadeite rimase spiazzato perché non sapeva se sentirsi realmente offeso per il suo colore di capelli o meno.
Faceva un gran rumore quella morettina. Era come un fuoco d’artificio incontrollabile e per quanto gli dava sui nervi era allo stesso tempo una boccata di aria fresca. La odiava per due minuti e tutto il resto del tempo cercava di conquistarla anche se non sapeva più il motivo che lo spingesse a farlo.
Forse era autolesionista.
Rei sbatté la porta uscendo dalla stanza e ora il turno di aggredire Jadeite era quello di Sadao.
«Ecco l’hai fatta andare via!».
«Vuoi metterti a piangere, ora?».
«I-io non pi-piango!».
«Mammina è andata via e ti stai lamentando!».
La porta si riaprì immediatamente mostrando Rei paonazza in viso. «NON SONO SUA MADRE!».
«Beh lo…».
«SPOSTATI!» anche Sadao urlò. «To-to-togliti dalla tua NON postazione!».
«NE HO ABBASTANZA» Jadeite batté il pugno sulla scrivania esasperato.
«Non capisci ni-niente» Sadao non riuscì a trattenersi.
«Già» diede manforte Rei.
«Quel-lo è l’unico computer che può accedere a-ai dati fe-federali protetti».
 
Il silenzio calò nella stanza. Attorno a loro i centralini non smettevano di squillare e gli occhi di otto agenti erano fissi sulle imposte sgangherate dell’ufficio che era stato di Setsuna.
Ma lì dentro c’erano solo tre respiri e lo sfarfallio di un neon mai aggiustato che si portava con sé troppi ricordi perché Rei potesse ancora del tutto accantonare il suo passato.
 
E se Setsuna fosse stata ancora lì con loro avrebbe avuto un deja vù nel vedere Michiru Kaiō percorrere il corridoio e arrivare lì nella sua stanza.
 
 
***
 
Haruka era sfinita.
La stessa canzone veniva canticchiata da qualcuno con la voce da usignolo strozzato per l’ennesima volta.
«Ti prego, finiscila. Per l’amor del cielo!» batté sul muro della sua cella per essere più concisa nella sua richiesta.
«Che c’è non ti piace la buona musica?» rispose la voce con un risolino a seguito di quel quesito.
«E’ già difficile stare qui dentro così. Non vorrei anche diventare pazza per colpa tua».
«Come credi abbia fatto lei?».
La bionda sospirò inclinando il capo contro al muro e massaggiandosi i polsi doloranti.
Non aveva voglia di fare conversazione, né tanto meno rispondere agli indovinelli.
Era umida quella cella, il freddo le stava entrando nelle ossa perché la divisa non era calda abbastanza. Seguì con gli occhi una fila di macchie proseguire da metà della parete per poi finire sul soffitto doveva aveva piantato le sue perle cobalto.
«Ehilààà…» sembrava ancora canticchiare.
«Che c’è. Non ho voglia di parlare» sputò seccata.
«Nemmeno di Eudial?».
D’improvviso il nome accese l’interesse della bionda.
Haruka si alzò in piedi come colpita da una scossa elettrica e si diresse contro le sbarre fredde arpionandole con le dita.
«Chi sei? Fatti vedere».
Una testa rossa fece capolino dalla cella a fianco.
«Petirol» fu la risposta dietro un sorrisetto inquietante. «Allora…hai cambiato idea?» la incalzò.
Haruka dovette respirare a fondo. Non si avevano risposte gratuite, soprattutto su gente pericolosa come Eudial.
Ponderò di essersi cacciata in un pasticcio e che per lo più tutto si stava rivelando del tutto inutile, ma forse era arrivata. L’occasione di risollevare le sorti di quel gioco pericolosamente malato poteva essere quella.
«Cosa vuoi in cambio?» dritta al punto. Tagliente come la lama di un coltello.
Petirol sbatté le lunghe ciglia dalla sua gabbia. Non era abituata a ricevere qualcosa indietro visto che il suo Oyabun si era sempre rivelato senza scrupoli e di un egocentrismo troppo ingombrante per tollerare le richieste di qualunque tirapiedi.
«Tu mi fai cinque domande e ottieni le tue risposte, io faccio altrettanto».
Ad Haruka parve uno scambio equo anche se non aveva idea che cosa potesse trarne l’altra da tutto quel ciarlare.
«Ok».
«Tra due ore alla mensa».
 
 
***
 
Michiru non era sicura di quella scelta. Ma Akira e Minako in qualche modo erano diventati la sua famiglia e aveva deciso di lasciarli fuori da quella faccenda, al sicuro. Se ne sarebbero occupate le forze dell’ordine o ancora meglio un avvocato.
Entrare nella stessa centrale di cui aveva varcato la soglia la prima volta in quella notte piovosa per salvare la vita ad Haruka le fece uno strano effetto.
Dovette poggiarsi allo stipite della porta con una mano come se quel gesto potesse aiutarla ad arginare lo tsunami di ricordi di cui fu preda.
«Signora…ehm…» Kaiō o Ten’ō?  Si ritrovò a pensare in preda al panico Jadeite. Non voleva fare brutte figure, non davanti a quell’irriverente di Rei o gliel’avrebbe fatta pagare sino all’eternità.
«Ten’ō» optò poi. «Ha notizie della sua compagna?». Avrebbe dovuto dire marito?
Michiru si ridestò dall’ondata di emozioni da cui fu pervasa.
«Si, io non…capisco…» improvvisamente si ritrovò confusa e tutti gli occhi dei presenti furono puntati su di lei.
«Che è successo?» intervenne Rei.
«Haruka. L’hanno arrestata questa notte».
Jadeite si fece scappare un grugnito di disapprovazione, come un padre farebbe davanti all’ennesimo casino combinato da un adolescente ribelle e pianta grane.
«Non so per quale motivo. Non ha avuto il tempo di spiegarmi nulla. Ma sono venuti a prenderla».
«Ok, calma Michiru» Rei prese in mano la situazione facendola sedere.
«Non possono portare qualcuno in prigione senza un processo e delle prove valide».
«Aveva bevuto? Ha fatto qualche schiamazzo di troppo forse?» chiese senza troppo tatto Jadeite guadagnandosi un’occhiataccia da parte della mora e di Sadao.
Michiru parve rinsavire. «Il furgone» deglutì. «Il furgone non era suo. Forse per qualche strano motivo ha rubato un veicolo…».
Strano motivo? Ma ti senti Michiru? E’ strano che scambi la valigetta ventiquattr’ore con quella identica di un altro uomo d’affari. Non che sei colpevole di furto.
«Ok, ok. Vediamo di risalire a tutta questa faccenda» disse Jadeite con tono professionale.
Digitò sulla tastiera la password del distretto e fece un veloce controllo.
«Sadao potresti guardare le ultime denunce di furto riguardanti furgoni?» chiese distrattamente senza staccare gli occhi dal monitor.
Il giovane ubbidì, ma maldestramente il blocco di documenti gli cadde per terra a causa della mano inabile.
Rei lo guardò torva ma si chinò fulminea per rimediare quel macello.
«Vediamo…» borbottò Jadeite.
«Niente» aggiunse Sadao.
«Cosa vuol dire niente?» lo incalzò il biondo.
«Non ci sono denunce di furto».
«Ma c’è la denuncia per danni di un furgone noleggiato ieri» chiarificò Rei.
«Lo ha riportato una pattuglia questa notte»
«E Haruka è stata qua» la interruppe Jadeite con un ulteriore click del mouse.
«E perché diavolo non è ancora nella nostra cella qui in centrale allora?».
Le iridi di Michiru rimbalzarono sui tre alla ricerca di risposte quanto lei quando la vibrazione del cellulare attirò la sua attenzione.
Aprì l’sms inviato dal numero di Akira.
 
“Bank for International Settlements”.
 
Michiru dovette sbattere un paio di volte le palpebre per arrivare a capo di quello sembrava un vero e proprio rebus.





Note dell'autrice:
Anche a questo giro il capitolo mi stava sfuggendo di mano. Per evitare venisse troppo lungo e di annoiarvi ho deciso di terminarlo così. Mi ero prefissata un paio di altri capitoli per arrivare alla fine di tutto, ma temo ci vorrà qualcosa in più visto che ogni volta mi dilungo come se non ci fosse un domani. Chiedo scusa, non ho più le mie doti di "compattamento storia".
Mi rendo anche conto di star dando quasi più spazio ai personaggi secondari che a Michiru e Haruka, ma cosa volete che vi dica, mi pare doveroso parlare anche di loro e approfondire le loro vicende essendo infondo tutti collegati! 
Ammetto di adorare il rapporto (continuo battibecco) tra Jadeite, Rei e quello sfigatino di Sadao. Perdonatemi dunque se mi dilungo con loro!
Come sempre grazie di tutta la pazienza che nutrite nell'aspettare gli aggiornamenti.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Kat Logan