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Autore: heliodor    12/01/2018    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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L'avamposto

Fuggirono tra gli alberi senza badare alla direzione e dove mettevano i piedi. Un paio di volte rischiò di cadere ma riuscì a tenersi in piedi e continuare a correre.
Corsero e corsero per molto tempo, al buio, finché Joyce non ne poté più e dovette fermarsi.
"Non siamo ancora al sicuro" disse Zefyr.
Joyce boccheggiò alla ricerca disperata di aria. "Non ce la faccio più."
Lui la costrinse a muoversi spingendola per qualche altro minuto, finché Joyce non ce la fece più a reggersi in piedi e si accasciò ai piedi di un albero.
Zefyr , la spada nella mano, rimase in piedi, la testa che si muoveva in tutte le direzioni.
"Ci inseguono?"
Scosse la testa. "Sì, ma sono lontani." Fece per muoversi ma Joyce lo bloccò.
"Dove vai?"
"Da mio padre. Ha bisogno d'aiuto."
"Ma lì ci sono Gajza e i suoi. Ti uccideranno."
"Non posso lasciarlo a terra. Tu lasceresti tuo zio..." Poi si fermò, forse ricordando che quella era una menzogna. Fece per muoversi in direzione della radura. "Tu resta qui."
"No" disse Joyce alzandosi a fatica. "Potresti avere bisogno di qualcuno che ti copra le spalle. Vengo con te."
Lui grugnì qualcosa ma non si oppose.
Tornarono verso la radura seguendo un percorso diverso e più lungo. Ogni tanto Zefyr si fermava per ascoltare i rumori della foresta e sceglieva una direzione diversa, per poi tornare su qull giusta.
Impiegarono quasi un'ora per tornare alla radura. Era vuota, fatta eccezione per i due corpi riversi al suolo. Nessuno dei due si muoveva.
Zefyr si accucciò dietro un albero e rimase in attesa per qualche minuto. "Non sento niente" disse a Joyce alzandosi. "Io vado a vedere, ma tu resta qui. Se è una trappola scappa più veloce che puoi."
E dove potrei andare? Si chiese. Ormai era sicura di essersi persa. La prospettiva di vagare per quella foresta giorni e giorni era quasi peggiore che essere uccisa subito da Gajza.
Zefyr uscì dal nascondiglio e corse verso il corpo di suo padre. Si chinò, esaminandolo per qualche minuto. Scosse la testa e passò a Jhazar. A quel punto fece un cenno a Joyce.
Lei uscì dal nascondiglio e corse verso Zefyr.
Anche al buio colse l'espressione stravolta del ragazzo. Le bastò gettare una rapida occhiata al corpo di Gastaf per capirne il motivo. Suo padre giaceva riverso al suolo, gli occhi sbarrati per la sorpresa e il dolore che doveva aver provato in quegli ultimi istanti. La morte doveva essere stata molto rapida.
Joyce si chiese come facesse Zefyr a non versare nemmeno una lacrima accanto al corpo martoriato del padre.
"Mi spiace" riuscì a dirgli."
Lui annuì. "Sapevo che un giorno sarebbe finita così. È il destino di tutte le lame."
Jhazar emise un rantolo sommesso e mosse appena un braccio,
Joyce fu subito accanto a lui. "Non agitarti. Dobbiamo portarlo da un guaritore."
Zefyr scosse la testa.
Jhazar tossì sputando sangue. "Gajza. Ci ha attirati in trappola. Ha ucciso Gastaf per sabotare l'alleanza" disse con voce appena udibile.
"Non sforzarti" disse Joyce.
"Per me è finita." I suoi occhi sembrarono luccicare. Erano lacrime? "Mi spiace di non poterti riportare da tuo padre."
"Gli dirò che cosa è successo. Dimmi dov'è e ci andrò io stessa."
Jhazar infilò una mano nella tasca del mantello e ne trasse fuori un oggetto luccicante simile a un uovo.
Joyce lo prese. "Che cos'è?"
"Sigillo. Usalo per andare..." Jhazar vomitò sangue e reclinò la testa da un lato.
"Jhazar? Jhazar?" Joyce fu tentata di scuoterlo, ma sapeva che era tutto inutile. Lo stregone non respirava né si muoveva.
Zefyr le poggiò una mano sulla spalla. "Dobbiamo andare. Tra poco torneranno."
"I corpi..."
"Non possiamo fare niente per loro, ma possiamo rendere utile il loro sacrificio. Torneremo alla fortezza e informeremo la stovoi di quello che è accaduto. Selena punirà Gajza e tutti quelli che l'hanno aiutata."
Joyce annuì.
"Dobbiamo fare in fretta."
Zefyr la trascinò verso il confine della radura.
"Come faremo a tornare a piedi?" domandò Joyce. " Gajza e i suoi hanno i cavalli. Se tornano alla fortezza ci raggiungeranno."
"Ci riuniremo alle altre lame d'argento. Loro ci proteggeranno. E avremo cavalli freschi per il viaggio di ritorno."
A Joyce sembrava una buona idea e lo seguì.
Zefyr si mosse veloce tra gli alberi, fermandosi di tanto in tanto per verificare la loro posizione e la presenza di eventuali nemici nei dintorni.
Raggiunsero il sentiero dopo quasi un'ora di cammino e da lì procedettero rapidi verso il punto indicato per la riunione.
Prima di arrivarci videro le fiamme levarsi alte nel cielo. Coprirono il resto della distanza di corsa, raggiungendo un punto dove il sentiero curvava a sinistra.
Oltre la svolta, videro i cadaveri sparpagliati al suolo. La maggior parte di essi indossavano la corazza scintillante delle lame. Avevano ferite da dardo magico nei punti di giuntura o quelli più sottili.
Un gruppo di guerrieri si era asserragliato su una collinetta ed erano stati uccisi tutti insieme. I loro corpi carbonizzati giacevano ai piedi dell'altura, insieme alle armature annerite.
Erano stati uccisi da una palla di fuoco. Più di una a giudicare dallo stato pietoso dei loro resti.
I carri pieni di provviste erano in fiamme e non c'erano cavalli vivi. Erano tutti morti insieme ai loro cavalieri o erano fuggiti chissà dove.
L'olezzo di carne bruciata le diede il voltastomaco e fu costretta a coprirsi il naso e la bocca con la mano.
Zefyr si aggirò come un fantasma tra i corpi dei suoi compagni. "Tutto il reggimento" balbettò. "Mariok, Leermyn, persino il giovane Gilmer. Sono tutti morti" disse con tono incredulo. "Chi può aver fatto una simile strage? E perché?"
"La stessa persona che ha ucciso tuo padre" disse una voce alle loro spalle.
Joyce si voltò di scatto e vide un gruppo di ragazze e ragazzi armati di arco e frecce. Indossavano abiti di foggia grossolana di colore scuro o marrone ed erano ricoperti di foglie tanto da sembrare dei piccoli cespugli umani.
A parlare era stata una ragazza dai capelli biondi, l'unica a indossare un cappuccio sopra la testa.
Joyce l'aveva già vista il giorno prima, nel tribunale.
Zefyr estrasse la spada e l'agitò minaccioso verso i ragazzi. "Siete stati voi alfar a fare questa strage?"
La ragazza lo fissò in silenzio. Poi disse: "Le corazze scintillanti sono arrivate con i mantelli rossi e hanno messo campo qui, in mezzo al sentiero."
Se le armature scintillanti erano le lame d'argento, chi erano i mantelli rossi? I membri del circolo di Nazedir?
"Poi i mantelli rossi sono andati nella foresta, lasciando qui le corazze scintillanti. Quando sono tornati, con loro c'erano anche i mantelli grigi."
Chi erano i mantelli grigi?
"Insieme hanno attaccato le corazze scintillanti, prendendole di sorpresa. Alcuni hanno lottato, ma sono stati tutti uccisi, dal primo all'ultimo. Alcuni mantelli grigi ridevano mentre li uccidevano e anche qualche mantello rosso."
"Stai mentendo" gridò Zefyr.
La ragazza non rispose.
"I mantelli rossi e grigi hanno portato via i loro caduti e si sono ritirati nella foresta. Ma torneranno, è solo questione di tempo."
Dagli alberi si levò un fischio acuto.
"Che vi dicevo?" fece la ragazza. "Stanno venendo qui a finire il lavoro." Indicò Zefyr.
"Dovete portarci con voi" disse Joyce. "Al sicuro."
La ragazza la squadrò da capo a piedi. "Perché dovrei aiutare una kodva?"
"Io ho aiutato voi" disse Joyce.
La ragazza le rivolse un'occhiata dubbiosa.
"Quando Olfin e i suoi due amici sono scappati dalla prigione, io li ho aiutati. Chiedilo a loro."
Uno degli alfar si fece avanti. Era un ragazzo di dodici o tredici anni. "Una ragazza di nome Sibyl ci ha aiutati e tu non le somigli."
Anche nel buio, Joyce lo riconobbe. Era Olfin, il ragazzo alfar che aveva aiutato a evadere il giorno prima.
"Ero io quella ragazza" disse Joyce. "E posso dimostrarlo." Usò la trasfigurazione per diventare Sibyl.
La ragazza guardò Olfin, che fece un cenno con la testa. "Aiuteremo te, ma la corazza scintillante non è il benvenuto."
"Zefyr non vi ha mai fatto del male" disse Joyce.
"È comunque un kodva. Noi non ci fidiamo di loro."
"Perché"?
"Così ci è stato detto di fare dagli adulti" rispose la ragazza.
La mente di Joyce lavorò frenetica. Gli alfar, anche se erano diversi dai Nazedir, sembravano avere una cosa in comune con loro. L'amore per la forma più che la sostanza. "Mi spiace" disse cercando di usare un tono deciso. "Ma i conti non tornano. Voi dovete aiutare sia me che Zefyr."
"E per quale motivo?" chiese la ragazza indispettita.
"Io ho salvato tre di voi e noi siamo soltanto in due. Siete ancora in debito."
"Daez" esclamò la ragazza. "Questa è una sciocchezza."
Alle sue spalle si levò un brusio di approvazione.
"La kodva ha ragione, Leyra" disse Olfin. Altri annuirono decisi.
Dagli alberi si levò un altro fischio, più acuto e lungo di quello precedente.
"Devi prendere una decisione" disse Joyce incalzandola.
Leyra annuì e fece cenno di venire avanti. "Vi porteremo entrambi con noi. Ma darete a noi le vostre armi. Olfin, tu sarai il loro responsabile. Se combinano qualche guaio, sarai tu a pagarne le conseguenze."
Olfin si avvicinò a Joyce. "Dammi le tue armi, Kodva." Joyce le mostrò le tasche vuote e il contenuto della sacca a tracolla.
L'alfar si rivolse a Zefyr, che rimase immobile.
Joyce gli fece un cenno con la testa.
Zefyr allora diede la spada a Olfin ancora nel fodero e un pugnale che portava legato al fianco.
"È tutto?" domandò l'alfar.
Zefyr sospirò ed estrasse un secondo pugnale da uno dei bracciali e lo passò all'alfar.
Olfin annuì e si allontanò tornando tra i suoi.
"Da questa parte" disse Leyra.
Si addentrarono nella foresta con gli alfar. Tutti mantennero le distanze, tranne Olfin che marciò al loro fianco per tutto il tempo.
Joyce ne approfittò per scambiare qualche parola con lui. "Dove sono i tuoi amici? Ce l'hanno fatta a scappare?"
"Galasar si è ferito a un piede saltando da un muro e Indis è rimasta al villaggio per difenderlo. Noi siamo solo una pattuglia."
"Mi fa piacere che stiano bene."
"Perché volete ucciderci?"
Quella domanda la sorpresa. "Io non..."
"Tu indossi il mantello rosso. Loro cercano sempre di ucciderci quando ci incontrano. Per questo gli adulti ci dicono di non avvicinarci quando passate per la foresta."
Joyce sorrise. "Io non faccio parte del circolo di Nazedir" disse Joyce. "Il mantello l'ho solo preso in prestito."
"Da chi?"
Stava per dire da un'amica ma quella sarebbe stata una bugia troppo grossa anche per lei. "Da una persona che non ne avrà bisogno per un po'."
Olfin annuì. "Anche le corazze scintillanti a volte ci danno la caccia."
"Zefyr non lo farebbe mai" lo rassicurò Joyce. Ma ne era davvero certa? Come ogni soldato, lui doveva ubbidire agli ordini e se gli avessero ordinato di farlo, lui avrebbe ubbidito.
Olfin gli scoccò un'occhiata dubbiosa. "Quelli come lui sono i peggiori. A parte Esper."
"Chi è Esper?" chiese Joyce.
Prima che Olfin potesse rispondere, Zefyr la spinse da parte e disse: "Ripeti quello che hai detto."
Davanti a quel tono minaccioso Olfin si ritrasse.
"Così lo spaventi" lo ammonì Joyce.
"Ripetilo" disse Zefyr con tono ancora più perentorio.
Olfin si allontanò di qualche passo. Ogni tanto gettava loro qualche occhiata fugace, ma non osò più avvicinarsi per il resto del viaggio.
"Che ti prende?"
"Che prende a te. Socializzi con questi selvaggi?"
"Non mi sembrano selvaggi. E voglio fare amicizia con loro. Se non te ne sei accorto, siamo prigionieri."
"Per merito tuo" disse Zefyr.
"Se non fosse stato per me, ti saresti fatto uccidere."
Zefyr sbuffò. "Piuttosto cerchiamo un modo per andarcene di qui a cavallo e precedere Gajza alla fortezza."
"Quando arriveremo al loro villaggio ci penseremo."
Ci vollero due ore piene di cammino per raggiungere il posto di cui Leyra e Olfin parlavano.
Il sole iniziava a sorgere e illuminava una lunga palizzata di legno che si ergeva tra gli alberi della foresta.
Due torri sorvegliavano l'unico ingresso, un cancello ricavato da tronchi legati tra di loro. Una dozzina di arcieri sorvegliava dall'alto la zona.
"Leyra"gridò uno di essi. "È tornata Leyra."
Il cancello si aprì e il gruppo fece il suo ingresso.
Joyce fu sorpresa di non vedere alcuna abitazione lì in giro.
Si era aspettata qualche casetta di legno o di pietre impastate tra loro, ma non era preparata a quella vista.
Oltre il cancello la foresta sembrava continuare indisturbata, come se nulla fosse.
C'erano molte persone che si erano radunate vicino al cancello, ma non aveva idea da dove venissero e cosa ci facessero lì, anche se sembravano del tutto a loro agio.
Poi notò le corde che scendevano dagli alberi e vide un paio di ragazze legate a esse che si lasciavano posare a terra con dolcezza.
Sollevò gli occhi verso la cima degli alberi e vide le case costruite tra i rami. Non ce n'erano due uguali tra loro, per forma e proporzioni. Tutte però sorgevano aggrappate ai tronchi più spessi o sospese tra quelli più sottili. I pavimenti erano sostenuti da tronchi piantati nella corteccia degli alberi. Camminamenti di legno sostenuti da corde collegavano le case le une alle altre. Attorno ad alcuni alberi vi erano più ponti, formando dei nodi.
Uomini e donne si muovevano lungo i camminamenti o erano affacciati alle verande sospese nel vuoto, senza paura di cadere di sotto.
Indossavano abiti colorati di foggia grossolana, ma anche stoffe più delicate e sottili dai molti colori.
Davanti alle case, sugli ingressi senza porte, erano appese corone di fiori o di foglie intrecciate dalle quali spuntavano piccoli frutti rossi e bianchi.
Alcune ragazze portavano tra i capelli alcuni di quei fiori. Non c'erano due composizioni uguali tra di loro.
Delle scale a chiocciola si arrampicavano lungo alcuni tronchi portando ai camminamenti sospesi nel vuoto o ad abitazioni più grandi delle altre. Nessuna di queste scale aveva un corrimano.
Bambini che si reggevano a stento in piedi salivano e scendevano senza paura da queste scale mentre altri, più grandicelli, usavano le corde per andare su e giù.
Tutto era in continuo movimento, senza che riuscisse a cogliere nessun vero ordine in tutto quello.
Mai nella sua vita aveva assistito a un simile spettacolo.
Presa da quel posto, non si accorse che due alfar si erano avvicinati. Erano un uomo e una donna adulti. Entrambi indossavano delle tuniche color marrone scuro.
"Leyra" disse la donna. "Aspettavamo il tuo ritorno."
"Taras Arwel" disse Leyra inchinandosi. "Taras Serime."
"Chi sono i due ospiti che hai portato?" chiese Serime.
"Lei è Sibyl" disse Leyra. "E lui è un suo amico."
"Ci ha aiutati a fuggire dal tribunale" disse Olfin indicando Joyce.
"E lui è Zefyr" disse Leyra.
Serime assunse un'aria severa. "E chi vi ha detto di portarli qui? Conosci molto bene le nostre regole, nidda Leyra."
La ragazza arrossì. "Lo so, taras, ma loro avevano bisogno d'aiuto e dovevo ricambiare il favore di kodva Sibyl."
Serime fece una smorfia. "Mettendo in pericolo l'intero avamposto?"
Leyra arrossì ancora di più e si ritrasse indietro.
"Lei non ha colpa" disse Joyce. "Sono stata io a insistere."
Serime le rivolse un'occhiataccia. "Kodva, quando vorrò udire la tua voce te lo chiederò. Per ora rimani in silenzio."
Joyce avrebbe voluto ribattere, ma si morse la lingua.
"Io invece voglio udire che cosa ha da dire" disse Arwel.
Serime si irrigidì ma chinò il capo in un cenno di assenso. "Sarebbe meglio rimandare questo discorso a quando saremo nel tempio, taras."
"Giusta osservazione" rispose Arwel. "Ci andremo dopo che i nostri ospiti si saranno riposati. Immagino che siano molto stanchi."
"Molto" ammise Joyce.
Zefyr invece non parlò, limitandosi a fissare con ostilità i loro ospiti.
Arwel fece un cenno con la testa a una ragazza. Indossava una lunga veste decorata con motivi floreali e una corona di fiori rossi e viola sopra i capelli chiari e lunghi. "Nidda Irel, vorresti occuparti tu della loro sistemazione?"
"Certo taras Arwel. Posso suggerire l'albero del fiore di ginepro? La casa è abbandonata da tempo ed è molto ampia."
"Molto bene. Andate con Irel, penserà a tutto lei."
Joyce ubbidì, seguita da uno Zefyr più riluttante.
La casa a loro assegnata era raggiungibile solo con delle corde. Mezza dozzina di alfar le gettarono di sotto e attesero.
Irel spiegò loro come fare a usarle. "Devi reggerti qui" disse indicando una barretta di legno. "E poggiare il piede qui sopra" aggiunse mimando il gesto di appoggiare il piede su un piolo di legno legato a uno dei capi della corda.
Joyce fece come aveva detto e si tenne stretta mentre la issavano sopra in cima all'albero.
Zefyr la raggiunse un minuto dopo e poi toccò a Irel, che venne issata mentre delle ragazze portavano brocche piene d'acqua, piatti colmi di cibo, delle stuoie e dei vestiti.
Appoggiarono tutto sul pavimento di tronchi e se ne andarono via di corsa senza osare fissarli in viso.
Irel indicò le brocche. "Per lavarvi."
Joyce guardò le stuoie messe una di fianco all'altra.
"Noi non dormiamo insieme" disse Zefyr con tono sgarbato.
"Io credevo..." iniziò a dire Irel.
"Quello che voi selvaggi credete è irrilevante. Noi non siamo abituati alla vostra promiscuità."
Joyce si sentì avvampare.
"Perdonami, fadyn. Ti farò preparare una abitazione tutta per te" disse Irel con tono mortificato.
Quando fece per ritirarsi, Joyce la raggiunse. "Grazie, nidda Irel."
Lei sorrise. "Grazie a te, kodva Sibyl."
Zefyr scosse la testa. "Ed eccoci qui, prigionieri di questi selvaggi."
"A me non sembrano così selvaggi."
"Volevano farci dormire insieme."
"È stato un malinteso."
"Certo, come no. Non hai visto come vivono?"
"Sì" disse Joyce. "E mi piace molto."
Zefyr trasse un profondo sospiro. "Allora resta con loro. Io me ne andrò alla prima occasione."
"Credi che sia una buona idea?"
"Perché no?"
"A quest'ora Gajza sarà tornata alla fortezza portando la notizia della morte di Jhazar e di tuo padre."
Quelle parole sembrarono risvegliare in lui un ricordo sopito. "Credi che non lo sappia? È questa la ragione principale per cui voglio andarmene. Devo inchiodare alle sue responsabilità quella maledetta strega."
"È la tua parola contro la sua."
"Ha fatto massacrare le lame d'argento. I miei compagni."
"E ucciderà qualsiasi testimone dell'accaduto. Noi compresi."
Zefyr scosse la testa. "In ogni caso, io devo tornare a Nazedir e fare il mio dovere. Per mio padre e i miei compagni."
Joyce non aveva idea di quanto stesse soffrendo Zefyr, ma tutto quello che poteva fare era offrirgli un po' di conforto. "Vuoi parlare di quello che è successo?"
Zefyr la guardò stupito. "Credi che mi metterò a piangere sulla tua spalla, strega? Non sono quel tipo di persona, io."
"Volevo solo..."
"Guarda che per me tu non sei diversa da Gajza. Voi streghe considerate gli altri degli inferiori, indegni di vivere."
"Non siamo tutti così."
Zefyr scrollò le spalle e uscì sulla veranda.
Irel tornò in quel momento. "Ho trovato una sistemazione anche per te, fadyn Zefyr."
"Alla buonora" disse seguendola con aria seccata.
Joyce lo vide allontanarsi su uno dei camminamenti sospesi, lo sguardo pieno di risentimento.

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